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UNDICESIMA SERIE

AVVERTENZA

1. Il presente volume, quinto della serie undicesima, contiene il materiale relativo alla seconda parte del sesto ministero De Gasperi (1° novembre 1950-25 luglio 1951). Come notato nell'avvertenza al volume precedente, questa divisione è dovuta solo a motivi editoriali e non tocca quindi l'azione di politica estera del sesto ministero De Gasperi. Il ministro degli Esteri è sempre Carlo Sforza, che vive i suoi ultimi mesi a Palazzo Chigi con la coscienza d'essere prossimo al termine della sua esperienza ministeriale, anche a motivo delle sue ormai precarie condizioni di salute. Volendo però lasciare un'ultima traccia di sé con una propria iniziativa, decise di chiedere la revisione ufficiale del trattato di pace almeno da parte dei tre paesi firmatari di cui l'Italia era divenuta alleata. Lo fece con una lettera inviata al collega francese Robert Schuman il 5 febbraio 1951. Il materiale relativo a questa iniziativa costituisce l'unico argomento nuovo rispetto ai temi compresi nel volume precedente. Di essi ha naturalmente sviluppo maggiore la proposta del presidente del Consiglio francese René Pleven di formare un esercito europeo per risolvere il problema del riarmo tedesco sollevato, nell'estate 1950, dagli Stati Uniti. Le reazioni italiane non furono all'inizio positive, come s'è visto nel volume precedente, soprattutto perché si temeva che la nuova trattativa avrebbe ritardato l'attivazione del Comando unico in Europa delle forze armate dei paesi alleati. Ma quando, nel dicembre, il Consiglio atlantico nominò a quell'incarico il generale Eisenhower, il problema venne riesaminato e nell'incontro che De Gasperi e Sforza accettarono d'avere con i colleghi francesi a Santa Margherita Ligure dal 12 al 14 febbraio 1951, il Governo italiano dette la sua approvazione al piano Pleven. Fu però un'adesione alquanto sofferta perché Sforza e le autorità militari non erano molto convinti dell'utilità e della realizzabilità del progetto francese, al pari degli Stati Uniti.

Nella primavera del 1951 De Gasperi e Sforza ebbero un altro incontro importante: quello con i governanti inglesi. Si svolse a Londra dal 13 al 14 marzo 1951. I problemi specifici da trattare erano molti ma non tali da meritare la presenza del presidente del Consiglio, che non s'era mai recato all'estero con Sforza. L'eccezione fu sollecitata dall'ambasciatore a Londra Gallarati Scotti con l'intento di eliminare, nel modo più autorevole possibile, il clima di freddezza con l'alleato inglese determinato dai contrasti sulla sorte delle ex colonie italiane.

Tra gli altri argomenti da segnalare c'è ancora la questione della sorte del Territorio Libero di Trieste. In vista di un nuovo incontro tra le quattro grandi potenze, il Governo italiano chiese di ottenere, ed ottenne, la conferma che i tre occidentali avrebbero continuato a sostenere l'impegno assunto con la dichiarazione del 20 marzo 1948. Sul piano dei rapporti diretti italo-jugoslavi continuarono invece i sondaggi sull'ipotesi della modifica delle due zone d'occupazione secondo linee etniche, consistente nel passaggio di taluni comuni costieri abitati in maggioranza da italiani alla Zona A e nel trasferimento alla Zona B di alcuni comuni interni abitati in maggioranza da jugoslavi. Ipotesi certo ragionevole ma che non teneva conto del fatto che mentre in Italia si considerava la Jugoslavia come un complesso unitario, per il Governo di Belgrado si trattava invece di una questione che interessava solo due membri della Federazione, Croazia e Slovenia, delle cui aspirazioni il Governo centrale doveva tener conto considerando, soprattutto, che la Slovenia avrebbe finito con il perdere quasi del tutto il suo già limitato sbocco al mare.

2.- La documentazione raccolta in questo volume proviene prevalentemente dai fondi dell'Archivio storico del Ministero1, in particolare dalla serie degli Affari politici, da quella degli Affari economici, dalla raccolta dei telegrammi segreti ed ordinari e, in misura limitata, dalle serie della Segreteria generale e del Gabinetto, meno ricche che per gli anni precedenti per effetto del definitivo ritorno della trattazione degli affari alle direzioni generali competenti. Un buon contributo è stato apportato dai fondi delle quattro ambasciate maggiori, Washington, Parigi, Londra e Mosca e, soprattutto, dall'Archivio privato Sforza e dall'Archivio personale De Gasperi. Per quanto riguarda il primo è da segnalare che, dopo il versamento effettuato nel 1954 all'Archivio Centrale dello Stato, le carte rimaste a Strasburgo presso la nuora di Sforza sono state ora tutte versate all'Archivio storico del Ministero. Circa l'Archivio De Gasperi, già consultato per i precedenti volumi, ringrazio ancora sentitamente la signora Maria Romana Catti De Gasperi che ne ha consentito la consultazione prima del suo definitivo trasferimento all'Istituto Universitario di Firenze. - 3.- Nelle varie monografie aventi per oggetto i problemi toccati dal materiale contenuto in questo volume sono riportati, integralmente o in parte, vari documenti che qui si pubblicano. Non se ne è potuto fare riferimento nelle note dato il loro numero. Si è invece fatto riferimento, ove di ausilio alla comprensione di alcune tematiche o per completezza di documentazione, alle pubblicazioni straniere, in particolare ai volumi della raccolta Foreign Relations of the United States relativi al periodo preso in esame. Quanto alle memorie dei protagonisti si è dato conto solo dei documenti già pubblicati dal ministro degli Esteri Carlo Sforza nel suo volume Cinque anni a Palazzo Chigi (Roma, Atlante, 1951), perché costituiscono una traccia significativa di quanto egli ha ritenuto di dover ricordare della sua attività. 4.- Nella determinazione dell'impianto generale del volume ho avuto, come per il precedente, l'amichevole ed autorevole collaborazione del collega Ennio Di Nolfo, che ringrazio sentitamente, mentre per la sua preparazione mi sono avvalso del personale della segreteria tecnica della Commissione. In particolare devo ringraziare la

Con gli ordini di servizio nn. 43 e 44 del 9 novembre 2006 il ministro degli Esteri ha disposto la declassifica di tutti i documenti di carattere politico per gli anni 1948-1953. I documenti inclusi nel presente volume vengono però come sempre pubblicati con l'indicazione della classifica originale.

dott. Antonella Grossi e la dott. Francesca Grispo, entrambe del ruolo Coordinatore Archivista di Stato, alle quali si devono le ricerche effettuate nell'Archivio storico del Ministero e negli altri fondi su ricordati per l'individuazione del materiale utile per la pubblicazione che, dopo la mia selezione, è stato dalle stesse preparato per la stampa. Alle citate dottoresse, che hanno anche predisposto l'indice-sommario e la tavola metodica ossia il complesso delle attività necessarie per costruire il volume, va il mio più sentito ringraziamento ed apprezzamento per la eccezionale professionalità e passione con le quali hanno svolto il loro lavoro. Con loro ha collaborato alla ricerca archivistica la dott. Paola Tozzi Condivi che, pur di diverso ruolo, ha svolto il suo lavoro ad ottimo livello. A lei si deve anche la preparazione dell'indice dei nomi, mentre il delicato compito della decifrazione e trascrizione degli autografi è stato svolto dalla signora Andreina Marcocci. Esprimo a tutti il mio ringraziamento per la collaborazione ricevuta che, per le dott. Grossi e Grispo, è stata anche una costante, preziosa ed eccellente assistenza al mio lavoro di curatore del volume.

PIETRO PASTORELLI


DOCUMENTI
1

L'INCARICATO DEGLI AFFARI A TIRANA, PAOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12819/88. Tirana, 1° novembre 1950, ore 24 (perv. ore 20 del 3).

Direttore generale affari politici m'ha consegnato stasera nota (che trasmetterò primo corriere) con cui questo Governo protesta per violazione suo spazio aereo avvenuta 16 ottobre u.s. da parte tre apparecchi italiani provenienti coste italiane che avrebbero gettato in varie località Albania (Tirana Valona Coritza Scutari) manifestini propagandisti redatti da organizzazioni sovversive albanesi in Italia. Nota accusa Governo italiano: perseguire fini rapacità imperialistiche e fasciste contro Albania; collaborazione stretta con agenzie spionistiche americane inglesi greche jugoslave; aiutare criminali guerra albanesi d'intesa padroni anglo-americani; mantenere invariata politica contro indipendenza Albania imposta da trattato di pace, malgrado ipocrite dichiarazioni ufficiali italiane. Nota conclude affermando popolo albanese accoglie con odio ed indignazione tali nuovi atti e chiedendo Governo italiano rinunzi immediatamente simile attività aggressiva criminale che minaccia pace balcanica nel quadro programmi imperialistici preparazione terza guerra mondiale1 .

2

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12760/141. Bruxelles, 2 novembre 1950, ore 18,20 (perv. ore 23).

Riunione gruppo studi Unione doganale europea chiusasi approvando tre progetti convenzione che Governi dovrebbero firmare entro anno corrente, relative definizioni valori — nomenclatura doganale — fondazione Consiglio cooperazione doganale.

Convincere britannici assoggettarsi tale regolamentazione comune costituisce senza dubbio notevole progresso: ma non si è riusciti condurli ad accogliere, come sarebbe stato logico, che gruppo studi venisse fuso con nuovo Consiglio cooperazione temendo essi che ciò potesse spostare studi teorici verso inizio pratica attuazione.

Con principali delegazioni saremmo d'accordo che O.E.C.E. deferisse gruppo studi questioni economiche doganali derivanti da preparazione integrazione europea (piano Pella e Stikker); ciò consentirebbe mantenere in vita concetto unione generale attraverso accostamenti successivi.

Dovendo incontrarmi con dirigente belga e ministro commercio estero per esa me d'insieme rapporti italo-belgi partirò sabato.

1 1 Per la risposta vedi D. 6.

3

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 11599/6675. Washington, 2 novembre 1950 (perv. il 7).

In queste ultime settimane si sono verificati due avvenimenti le cui conseguenze potranno accelerare le decisioni del Governo americano circa le funzioni da attribuire alla E.C.A. in avvenire e il carattere da dare all'assistenza americana affidata alle cure di quella Amministrazione.

Alludo in particolare alle conclusioni raggiunte dal Comitato dei deputies a Londra di deferire all'O.E.C.E. il compito degli accertamenti sulle necessità e possibilità produttive dei paesi del N.A.T.O., in relazione al programma a medio termine e alla presentazione al presidente Truman da parte di Gordon Gray della copia riveduta e corretta del suo rapporto. Ho segnalato a V.E. con mia comunicazione n. 5826 del 22 settembre u.s.1 le linee essenziali di tale rapporto di Gray e, in particolare, l'interesse che si era centrato intorno alla proposta in esso contenuta per la costituzione di un ente governativo incaricato di amministrare i vari tipi di aiuto, oggetto di concessioni americane. Ho anche segnalato che si svolgevano molte animate discussioni nell'ambito dell'Amministrazione americana in merito a tale proposta: essa sembra ora aver fatto breccia e costituire oggetto di studio approfondito presso questi uffici competenti. A tale studio l'Amministrazione americana è stata certo incoraggiata anche dalle sopra citate decisioni raggiunte dai deputies circa l'intervento dell'O.E.C.E. nella elaborazione dei programmi N.A.T.O.

Mi sembra quindi poter pienamente confermare la previsione che formulavo con il mio rapporto del 27 luglio u.s.2, nel quale facevo presente che si sarebbe qui proceduto secondo la formula «business as usual» per almeno circa sei mesi e che

dopo tale periodo la E.C.A. avrebbe iniziato la fase della sua «trasfigurazione». Vari segni stanno a dimostrare, malgrado le riluttanze di certi Dipartimenti americani a conferire troppa autorità a tale organismo, che il destino della E.C.A. è quello ormai di trasformarsi in un organismo più vasto e potente e con compiti più confacenti alla mutata situazione politica internazionale. Se e per quanto tempo la

E.C.A. conserverà tale nome è anche cosa da accertarsi. Mi sembra comunque meritevole, a tale riguardo, segnalare l'enfasi che viene ora posta in qualsiasi dichiarazione americana relativa ai programmi economici sull'importanza che, nella elaborazione di tali programmi, si tenga conto preminentemente delle necessità del riarmo e della produzione militare. Foster, in un recente suo articolo al Journal of Commerce ha praticamente dedicata la maggior parte delle sue considerazioni ai programmi di riarmo, precisando anche i rapporti che l'E.C.A. ha già stabilito con le autorità militari in proposito. Un altro segno notevolmente interessante degli orientamenti che affiorano non soltanto negli ambienti governativi ma nell'opinione pubblica in generale circa la necessità di facilitare l'apprestamento militare è anche dato dalla lettera che mi è stata inviata dall'United States Council of the International Chamber of Commerce con un questionario che trasmetto con telespresso a parte, appunto relativo al «futuro dell'E.C.A. e dell'O.E.C.E. in un mondo che si sta riarmando». Lo stesso dicasi per le dichiarazioni fatte da Hoffman al suo arrivo dall'Europa, tutte intonate alla necessità di una completa «integrazione» dei programmi economici normali e quelli militari.

Di fronte a tali manifestazioni mi sembra ovvio domandarsi quali sono i principi alla base di tali marcate tendenze e come si delineino gli studi dell'Amministrazione volti a fissare le caratteristiche che dovrà assumere il lavoro dell'E.C.A.

Circa i principi sopradetti e la «filosofia» della strategia economica americana, questo Governo va convincendosi sempre di più della necessità di una continuazione ad infinitum dell'erogazione di aiuti e di un rafforzamento dell'arma economica. Vorrei anzi a questo riguardo citare una frase detta al ministro Lombardo da un alto esponente di questi ambienti governativi, il signor Szymzchak, governatore del Federal Reserve Board, e cioè che «è ora che gli Stati Uniti mutino radicalmente il proprio atteggiamento, anche nell'uso dell'arma economica, passando da una fase di containment dell'aggressività sovietica a una fase di maggiore attività offensiva». Tale espressione mi sembra corrispondere alle intenzioni trapelate di questo Governo, sia per quanto concerne l'uso degli aiuti a scopi preminentemente militari, e sia per quanto riguarda un più ampio impiego di fondi per finalità di propaganda. In sostanza, il principio basilare che sembra animare oggi certi ambienti del Governo americano, è che sarà possibile distaccare proseliti dall'U.R.S.S. solo se la democrazia saprà offrire prove di essere in grado di assicurare un più elevato livello di vita nei paesi occidentali e se, allo stesso tempo, essa saprà militarmente attrezzarsi per dimostrare ai tentennanti che con il riarmo in corso di effettuazione è garantita ampia protezione e libertà.

I teorizzanti di tali principi sul aggressive containment pensano insomma in termini sia di concessione di dollari volta al rafforzamento militare e sia alla creazione di settori cuscinetto in cui l'apparenza dei superiori livelli di vita assicurati dagli Stati Uniti ai paesi ad essi aderenti, possa convincere, per quanto possibile, gli spettatori d'oltre cortina.

Da ciò deriva anche la necessità di intensificare lo sforzo propagandistico alla quale si fa sovente allusione in questi ultimi tempi nei circoli governativi americani.

Mi sembra che il più eloquente commento e anche le considerazioni più equilibrate in argomento siano state pronunciate da Hoffman nel suo discorso al National Foreign Trade Council, in cui egli, ricalcando su tali nuovi principi che stanno evidentemente permeando nel Governo americano, ha in pratica precisato che l'aiuto ai paesi stranieri dovrà impegnare gli Stati Uniti per un periodo indefinito in misura di 3 miliardi all'anno (comprendendo in tali paesi anche quelli asiatici). Inoltre Hoffman ha insistito a lungo e con enfasi sulla necessità di potenziare i mezzi propagandistici e, mentre ha condannato la «guerra preventiva», ha rilevato l'assoluta necessità di una unione tra i paesi liberi e di una completa loro intesa per la creazione di forze armate tali da trattenere la Russia dal prendere qualsiasi iniziativa di nuove aggressioni.

In tale clima di maggiore «attivismo» nel Governo americano per ciò che riguarda l'uso degli aiuti economici, l'E.C.A. ha appunto posto mano in modo molto intenso negli ultimi giorni agli studi relativi alla propria «trasfigurazione». Ciò sembra essere necessario anche per contingenze di ordine amministrativo, in quanto l'organizzazione predetta dovrà proporre al Bureau of Budget entro il giro di poche settimane le somme che saranno necessarie non soltanto per il suo funzionamento ma che dovranno costituire l'oggetto della sua azione. Tali studi sono entrati in una fase di tale intensità che i funzionari dell'E.C.A. a contatto con questa ambasciata non nascondono, pure esprimendosi con ovvie cautele di riservatezza, che il lavoro si è notevolmente appesantito negli ultimi tempi tanto da impegnare tutta l'Amministrazione a un lavoro assiduo in giorni feriali e festivi. È stato comunque possibile accertare che, per quanto riguarda la nuova fisionomia dell'E.C.A. dal punto di vista amministrativo, gli orientamenti sono per concentrare in quella organizzazione i seguenti tre ordini di problemi: aiuti economici per il mantenimento della stabilità economica generale, aiuti per la produzione militare nei paesi europei, assegnazioni di materie prime sotto controllo. Evidentemente i tre problemi sono strettamente connessi, ma, dalle dichiarazioni fatte da questi funzionari, si intenderebbe potenziare notevolmente gli uffici che saranno incaricati del terzo dei problemi predetti, per il quale si formulano qui previsioni di rilevanti difficoltà in avvenire. Ho infatti segnalato in passato che è stato in pratica raggiunto l'accordo tra il Dipartimento del Commercio e l'E.C.A. per deferire a quest'ultima organizzazione l'incarico di claimant per i paesi europei di tutti i materiali sotto controllo. A tale scopo la E.C.A. sta accingendosi a potenziare, anche per tale attività, il suo personale disponibile.

Per quanto concerne poi l'ammontare degli aiuti che verranno dall'E.C.A. amministrati e che certamente comprenderanno quelli all'Europa e quelli, sempre più crescenti, ai paesi asiatici, non vorrei che i principi che ho sopra esposto circa la necessità di una maggiore aggressività possano far pensare ad erogazioni di fondi molto più ampie che nel passato o comunque senza i tradizionali controlli esercitati da questi uffici nell'esame dei programmi europei. Direi anzi che tale esame verrà compiuto con maggiore severità appunto per accertare in quale modo i paesi dell'Europa occidentale si andranno adeguando alle intenzioni americane per una continuazione di aggressive containment dell'espansione sovietica. Mi sembra che l'esempio del programma inglese e le dichiarazioni fatte da Foster in argomento pochi giorni dopo le conversazioni con Gaitskell circa l'opportunità di decurtazioni, siano la prima illustrazione di tale nuovo metodo di esame, riportato soprattutto ai rapporti alle esigenze dell'economia con quelle del riarmo.

Non si è mancato a questo proposito, da parte di questa ambasciata di accertare se erano già in corso revisioni dei vari programmi nazionali, analogamente a quanto stava avvenendo per la Gran Bretagna. Dalle risposte fornite dai funzionari del l'E.C.A. sembrerebbe che tale esame del cosiddetto «comportamento» degli altri europei non ha ancora luogo con le stesse caratteristiche che quelle del programma inglese, ma che comunque a una revisione del tipo di quella effettuata in aprile sul nostro programma, si giungerà nel giro di quattro o cinque settimane. Mi sembra quindi del tutto importante che si possa essere pronti per quell'epoca con tutti i dati atti a dimostrare che il nostro programma procede secondo i desideri americani. Non mi nascondo a questo riguardo che la mutata situazione del mercato può condurre a rallentamenti nell'utilizzazione dei fondi, non mi nascondo neppure le difficoltà amministrative per l'utilizzo del fondo lire. Ritengo comunque opportuno segnalare a codesto Ministero tale «febbre» di esame che si sta manifestando nell'ambito di questa Amministrazione, sia per le responsabilità che normalmente le competono e sia per adeguare la collaborazione con gli europei ai nuovi principi sopra indicati. Sarà anche mia cura ottenere al più presto possibile copia del rapporto Gordon Gray3 , prima anche della sua pubblicazione di cui non si conosce ancora la data. Dalla lettura di tale rapporto sarà forse anche possibile dedurre se e quali proposte sarà possibile e opportuno formulare da parte nostra in relazione alle intenzioni di questo Governo, nella nuova fase in cui la E.C.A. si accinge ai compiti che ho sopra illustrati.

3 1 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 434. 2 Non pubblicato.

4

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE A TRIESTE, CARROBIO

T. SEGRETO 9269/C. Roma, 3 novembre 1950, ore 16.

(Solo per Trieste) Ho telegrafato a Washington e Londra quanto segue:

(Per tutti) Questa ambasciata degli Stati Uniti ha chiesto conoscere nostro punto di vista circa opportunità indire elezioni amministrazioni comunali Trieste e altri comuni zona A che scadrebbero di carica per compiuto biennio giugno 1951. Generale Airey è di avviso indirle per non esporsi accuse antidemocraticità.

Viene risposto alla predetta ambasciata che noi propendiamo per proroga poteri amministrazioni in carica perché una campagna elettorale a Trieste — dove è ancora

vivo doloroso ricorso elezioni zona B — si rifletterebbe inevitabilmente sui rapporti italo-jugoslavi che nessun Governo occidentale può avere interesse riacutizzare nel-l'attuale momento europeo.

Voglia esprimersi costì in tal senso e telegrafare1 .

3 3 Vedi D. 18.

5

L'INCARICATO DEGLI AFFARI A MOSCA, ZAMBONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 12912/248. Mosca, 5 novembre 1950, ore 18,40 (perv. ore 19,30).

Comunicazione in via diplomatica Governi americano inglese e francese dichiarazione Praga relativa questione germanica1 viene in questi ambiti diplomatici interpretata come mossa tattica sovietica diretta soprattutto raggiungere seguenti scopi:

1) ritardare ed intralciare azione americana per riarmo blocco occidentale;

2) accrescere motivo opposizione francese riarmo germanico;

3) mettere in tutta evidenza che, fra grandi problemi connessi questione germanica, problema riarmo tedesco assume attualmente per U.R.S.S. carattere predominante;

4) dimostrare su terreno propagandistico intenzione pacifista sovietica ed alimentare così movimento partigiani pace in vista specialmente prossimo secondo congresso mondiale in Inghilterra.

Si ritiene che richiesta fatta sovietici per ripresa trattative dirette ambito quattro potenze sia conseguenza insuccessi ripetuti tentativi fatti Vyshinsky in America per iniziare dette trattative, come da U.R.S.S. desiderate in sede non ufficiale. Non si esclude che in discutibili richieste sovietiche possa intravvedersi modifica atteggiamento U.R.S.S. nel senso di essere disposta a qualche reale concessione per evitare riarmo tedesco e smorzare azione riarmo generale provocata da aggressione Corea.

Non esiste però finora nessun concreto elemento che confermi tale ipotesi, pur essendo essa suffragata anche da vari altri indizi e da predominante interesse sovietico al mantenimento del disarmo tedesco. Da parte di questa ambasciata America si considera alquanto difficile per tre Governi respingere senz'altro richiesta sovietica;

n. 45, p. 785.

ma si è di avviso che convenga subordinare riunione quattro ministri esteri a preliminare esecuzione da parte sovietica decisione presa a Parigi in occasione ultima conferenza dei quattro circa problema Austria.

Ciò rappresenterebbe elemento concreto atto confermare effettiva disposizione sovietica a risolvere problemi ancora in sospeso e realizzerebbe condizione più volte posta da occidentali per procedere nuova riunione quattro.

Questo ambasciatore America mi ha detto che malgrado sue insistenze Gromyko non ha voluto aggiungere alcun chiarimento o illustrazione verbale alla nota consegnata, neanche circa significato che da parte sovietica si attribuiva a espressione contenuta nella nota di indire «al più presto» conferenza quattro ministri esteri.

Stampa locale odierna pubblica testo integrale nota senza alcun commento2 .

4 1 Con il T. segreto 13030/931 del 7 novembre Theodoli assicurò di aver eseguito le presenti istruzioni e di essere in attesa di una risposta dal Foreign Office. In data 26 novembre (T. segreto 13838/966) Gallarati Scotti comunicò le decisioni britanniche: «Foreign Office mi fa sapere che generale Airey è stato incaricato concordare, in occasione sua visita Roma, direttamente con nostro Governo decisione circa elezioni amministrative comunali Zona A. Punto di vista inglese, pur rendendosi conto motivi da noi esposti, ha finito per coincidere con quello americano ...». Per la risposta di Tarchiani vedi D. 8.

5 1 La nota sovietica, del 3 novembre, è edita in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950),

6

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO DEGLI AFFARI A TIRANA, PAOLINI

T. 9311/52. Roma, 6 novembre 1950, ore 13,30.

Suoi n. 881 e 902 .

Prego voler subito rimettere a codesto Ministero degli affari esteri nota del seguente tenore:

«Onoromi comunicare che ho ricevuto incarico respingere nota rimessami 1° corrente mese che per contenuto tono e forma il Governo italiano considera inaccettabile».

Verbalmente esprimasi nel senso che accusando Italia di mantenere invariata la politica fascista contro indipendenza Albania codesto Governo dimentica che fui io prima del fascismo ad accentuare una politica indipendenza assoluta dell'Albania anche contro certi suoi vicini. Tale è tuttora mio fermo pensiero. Dia conferma telegrafica consegna nota3 .

2 Del 2 novembre, non pubblicato.

3 Con T. 53 in pari data Sforza aggiungeva: «Ella può comunicare per iscritto a codesto Governo, facendo riferimento a notizie diffuse dall'Agenzia telegrafica albanese, che da accurate indagini esperite è risultato che nessun aereo italiano o comunque partito da aeroporti italiani, ha sorvolato il territorio albanese il 16 ottobre».

5 2 Per il seguito della questione vedi D. 49. Per le risposte alleate vedi D. 118.

6 1 Vedi D. 1.

7

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1898/965. Ankara, 6 novembre 1950 (perv. il 10).

Il 1° novembre u.s. il presidente della Repubblica, Celal Bayar, ha inaugurato la prima sessione della nuova legislatura dell'Assemblea nazionale tracciando un quadro particolareggiato della politica estera ed interna della Turchia.

Mentre riferisco con rapporto a parte circa i problemi interni trattati nel discorso, rilevo che le dichiarazioni fatte dal capo dello Stato in materia di politica estera

— di cui la stampa ha tenuto a sottolineare il tono equilibrato e sereno — riflettono un programma di azione che la Turchia intende svolgere gradatamente e le cui linee, almeno per quanto riguarda le prime fasi, sono nettamente definite.

«Noi procederemo un passo alla volta», mi ha detto il segretario generale Akdur, riferendosi alle dichiarazioni del presidente della Repubblica. L'obiettivo fondamentale resta sempre, come è chiaro, l'organizzazione della sicurezza, che, nel concetto di questo Ministero degli esteri, dovrebbe estendersi in qualche modo anche alle zone limitrofe, in modo da consolidare la situazione del Medio Oriente e cioè dell'Iran e dei paesi arabi.

Il primo passo, nello sviluppo di tale politica, sarà di valorizzare la collaborazione che la Turchia e la Grecia sono state invitate a dare agli Stati Maggiori del gruppo atlantico «nella preparazione di piani militari relativi alla difesa del Mediterraneo», secondo le stesse parole di Celal Bayar. La Turchia si propone, a tal fine, di «consolidare le relazioni con la Grecia» e «imprimere un orientamento più decisivo alla collaborazione tra i due paesi».

L'obiettivo che s'intende raggiungere, con questa azione congiunta, è di trasformare la collaborazione de facto col gruppo del Patto atlantico in una incorporazione de jure.

L'elemento nuovo perciò in questa linea di condotta è il proposito di valersi della collaborazione della Grecia per premere più efficacemente in vista dell'entrata nel gruppo del Patto atlantico, mentre fino adesso si era preferito agire isolatamente considerandosi la Grecia, per la sua situazione militare e politica, un ostacolo all'inclusione del Mediterraneo orientale nel sistema di sicurezza atlantico.

L'argomento più efficace di cui la Turchia intende valersi, per giustificare que sta sua rinnovata insistenza, è che solo inquadrandosi nel Patto atlantico essa sarà in grado di esercitare una azione di primo piano nel settore del Medio Oriente. Su questo punto il segretario generale Akdur si è lungamente intrattenuto con me, nel-l'evidente desiderio di convincermi sulla giustezza di tale tesi.

Oggi, secondo quanto egli mi ha detto, l'orientamento di alcuni di tali paesi è tutt'altro che definito e ciò si deve soprattutto all'incertezza che pende sul loro avvenire, ancorché vi contribuiscano i contrasti tra loro e la malferma situazione interna di alcuni di essi. In conseguenza di tale malessere, non mancano uomini politici, ora nell'uno ora nell'altro paese che, sia pure per mero sfogo di malcontento dinanzi allo scarso interessamento delle potenze occidentali, ostentano un orientamento verso la Russia. Si tratta, è vero, di manifestazioni superficiali, delle quali sarebbe errato esagerare l'importanza, ma che rivelano uno stato di turbamento del quale l'U.R.S.S. si sforza di trar profitto.

Come vedesi, tutta la politica della Turchia s'impernia sullo sviluppo del Patto atlantico ch'essa considera «come il meccanisno più efficace di sicurezza che esista oggi contro l'aggressione». Il presidente Celal Bayar si è compiaciuto di sottolineare il contributo della Turchia alla causa della pace, il suo attaccamento alle Nazioni Unite e la sua lealtà nell'adempiere gli impegni internazionali, di cui ha dato prova con l'invio di un'unità militare in Corea dietro invito del Consiglio di sicurezza.

L'esperienza tuttavia di questi ultimi mesi ha messo in evidenza le falle dell'organizzazione delle Nazioni Unite. A questo riguardo il presidente Celal Bayar ha fatto sua la formula societaria con l'affermare la necessità dell'attuazione «automatica» delle misure di sicurezza in caso di crisi.

In attesa che queste misure consolidino l'organizzazione internazionale e che la Turchia faccia parte de jure del sistema del Patto atlantico, il Governo di Ankara si tiene stretto all'alleanza con la Gran Bretagna che Celal Bayar ha definito «il fattore più efficace» della collaborazione tra i due paesi sul piano internazionale.

Di tono più misurato sono state invece le parole del presidente nei riguardi del-l'altra alleata della Turchia, la Francia, da lui menzionata subito dopo la Gran Bretagna. È poi venuta la volta degli Stati Uniti e subito dopo dell'Italia alla quale il presidente Celal Bayar ha inteso dare, anche nell'ordine delle precedenze, particolare rilievo. Le parole con le quali egli ha esaltato le strette relazioni tra i due paesi, la comunanza di interessi e di ideali e l'importanza della politica di amicizia italo-turca quale fattore di pace e di collaborazione europea, sono state accolte dall'Assemblea con vive acclamazioni e ripetuti applausi. Nei riguardi della Russia il presidente si è limitato ad augurarsi delle relazioni «buone».

Per ultima è stata menzionata la Bulgaria e prospettata la linea di condotta che il Governo turco si propone di seguire nella questione dei rifugiati. Su di essa riferisco più dettagliatamente a parte.

Le dichiarazioni di politica estera del presidente hanno riscosso le generali approvazioni dell'Assemblea. Merita di esser notato l'applauso, particolarmente caloroso, col quale i deputati hanno sottolineato le parole del presidente relative alla Germania. La manifestazione non ha soltanto inteso affermare il favore dell'Assemblea per il ritorno della Germania, auspicato da Celal Bayar, quale fattore di forza e di stabilità nell'organizzazione della sicurezza internazionale, ma esprimere la viva simpatia di cui la Germania gode tuttora in questi ambienti.

Anche nel corpo diplomatico, che assisteva al completo alla cerimonia inaugurale, le impressioni sul discorso sono state nel complesso favorevoli. Non è mancata tuttavia qualche riserva, sia per quanto riguarda l'aspirazione della Turchia a partecipare de jure al gruppo delle potenze atlantiche, sia sul desiderio di un più marcato interessamento a favore dei paesi arabi; ancorchè questo secondo obiettivo sia stato, nel discorso, abilmente sfumato e solo indirettamente accennato. Da parte americana l'insistenza della Turchia a trasformare la sua collaborazione con gli Stati Maggiori atlantici in una vera e propria partecipazione al gruppo è considerata l'indice di una mentalità formalistica e piuttosto curialesca. Viene citato al riguardo il caso della Polonia che, pur avendo contratto una formale alleanza con la Gran Bretagna e la Francia, fu abbandonata al suo destino. Per quanto si riferisce alla politica da svolgersi nei paesi arabi si ritiene, sempre da parte americana, che l'unico obiettivo possibile sia di mantenere in tale zona una certa stabilità. Le divergenze che tuttora dividono i paesi arabi tra loro e con lo Stato d'Israele non sembrano per ora solubili ed è perciò ben difficile, in tale situazione, contare su un sostanziale contributo di questi paesi alla politica internazionale.

Nelle sue grandi linee la politica estera della Turchia segue il solco tracciato dal precedente Governo e questo spiega il consenso che anche i deputati di opposizione hanno dato senza riserva a questa parte del discorso del presidente Celal Bayar, il cui testo viene trasmesso con telespresso a parte per opportuna documentazione di codesto Ministero.

8

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 11695/6721. Washington, 6 novembre 1950 (perv. il 13).

Riferimento: Telegramma ministeriale n. 9269/C. del 3 corrente1 .

Ho provveduto a portare a conoscenza del Dipartimento di Stato il punto di vista comunicatomi col telegramma in riferimento, circa le elezioni amministrative a Trieste e negli altri comuni della zona A del Territorio Libero di Trieste.

Codesta ambasciata degli Stati Uniti non aveva ancora riferito al riguardo. Su tale argomento l'unica segnalazione in possesso del Dipartimento di Stato era quella del rappresentante politico americano a Trieste, il quale, senza entrare nel merito della opportunità o meno delle elezioni, aveva ricordato che ai termini del bando delle precedenti ele zioni si sarebbe reso prossimamente necessario l'annunzio di una nuova consultazione popolare.

Il Dipartimento di Stato ha mostrato di rendersi conto del movente delle nostre preoccupazioni ed ha promesso che avrebbe attentamente studiato la questione, procedendo altresì alle necessarie consultazioni col Governo britannico. A titolo preliminare e personale, ci è stato però fatto rilevare che la rinunzia alle elezioni sarebbe particolarmente difficile per l'amministrazione anglo-americana. E ciò per due ordini di ragioni:

— -in primo luogo, data la scadenza fissa del mandato amministrativo, nota al pubblico, qualsiasi settore dell'opinione pubblica triestina avrebbe potuto chiedere perché non venivano indette le elezioni; in tal caso il Dipartimento si domanda se il rinvio di esse non sarebbe stato sfruttato dagli avversari che avrebbero potuto presentarlo come motivato da timori italiani sui risultati delle elezioni stesse; — -in secondo luogo, le opinioni pubbliche dei paesi responsabili dell'amministrazione della Zona A del Territorio Libero, paesi nei quali così radicato e naturale è il principio della consultazione popolare, si sarebbero potute domandare quale inconfessabile collusione tra le amministrazioni locali e il Governo militare alleato avesse potuto spingere quest'ultimo ad evitare le elezioni, senza che, aggiunge il Dipartimento, il predetto Governo militare possa menzionare il nostro suggerimento.

Da parte nostra si è risposto che un obiettivo esame della situazione politica triestina doveva automaticamente fare escludere qualsiasi perplessità italiana sul risultato delle elezioni. Per quanto poi riguardava la preoccupazione del Dipartimento circa la motivazione di un eventuale rinvio delle elezioni, da parte nostra si è fatto presente che ci sembrava che le ragioni da noi esposte offrissero in parte una soluzione a tale problema: senza infatti specificatamente menzionare i rapporti italo-jugoslavi, il Governo militare alleato avrebbe potuto spiegare la propria decisione con l'opportunità di evitare ad un organismo senza dubbio debole come il Territorio Libero di Trieste, l'inevitabile rialzo di temperatura di un periodo elettorale; tanto più che mentre le elezioni precedenti erano state dettate anche dal desiderio di confortare coll'espressione della volontà popolare la politica alleata nei confronti del Territorio Libero di Trieste, non sembrava che fossero ora intervenuti fatti nuovi per giustificare un ulteriore accertamento di tale volontà.

Sempre a titolo personale, l'interlocutore americano ha allora chiesto se le preoccupazioni del Governo italiano di evitare, nell'attuale momento, le ripercussioni sui rapporti italo-jugoslavi di una campagna elettorale nel Territorio Libero di Trieste fossero dettate, oltre che dalle ragioni generali da noi esposte, dal più specifico ed immediato motivo di non turbare presenti o futuri negoziati «politici» con Belgrado. Abbiamo risposto che il Dipartimento di Stato era bene al corrente della nostra posizione al riguardo e conosceva anche come, per il momento, le conversazioni col Governo jugoslavo fossero limitate al terreno delle trattative economico-finanziarie. Ciò non toglie, abbiamo ripetuto, che da parte italiana si annetta particolare importanza a che non si creino motivi per un inasprimento delle relazioni che, a giudicare dalle dichiarazioni di Kardelj (telegramma dell'Ufficio dell'osservatore presso le Na zioni Unite n. 385 del 30 ottobre u.s.)2, gli jugoslavi stessi desiderano evitare.

Come è noto, alle predette dichiarazioni di Kardelj si sono aggiunte oggi quelle di Bebler3, favorevoli all'ammissione dell'Italia, «così importante paese europeo», nelle Nazioni Unite.

Data l'intenzione manifestata al Dipartimento di Stato di consultarsi col Foreign Office sarò grato a V.E. se vorrà tenermi al corrente delle reazioni di Londra circa l'argomento in oggetto4 .

3 Si tratta delle dichiarazioni fatte da Bebler nell'assumere la presidenza del Consiglio di sicurezza favorevoli all'ammissione all'O.N.U. dell'Italia e del maggior numero di Stati dell'Europa sud-orientale, comunicate da Mascia con T. 12993/400 del 7 novembre.

4 Il documento reca la seguente annotazione di Zoppi: «Non si potrebbe facilitare la cosa promuovendo una intesa pel rinvio fra i maggiori partiti triestini?».

8 1 Vedi D. 4.

8 2 Non pubblicato.

9

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1488/618. Amman, 7 novembre 1950 (perv. l'11).

Mgr. Michele Assaf, arcivescovo greco-cattolico della Giordania, mi ha detto che fra giorni si reca in Egitto, e di là, insieme al patriarca Maximos ed altri vescovi e membri del clero greco-cattolico, partirà per Roma per guadagnare il giubileo e partecipare alle solenni onoranze per il XII anniversario di S. Giovanni Damasceno.

Mgr. Assaf ha aggiunto che giorni fa era stato ricevuto in udienza dal re, il quale lo ha incaricato di uno speciale messaggio verbale per il Sommo Pontefice.

Il messaggio è del seguente tenore:

«Dite a Sua Santità il Papa che io gli offro i miei saluti, i miei voti, e la mia considerazione. Ditegli di guardare con un occhio di bontà il Regno di Giordania, e mettetelo al corrente della sua vera situazione, della sua Costituzione, e delle sue intenzioni pacifiche.

Ditegli che noi non abbiamo risparmiato nulla per difendere i Luoghi Santi e tener lontano da essi qualsiasi aggressione. Ciò è il nostro programma, e noi continueremo ad applicarlo.

Noi collaboreremo sempre con Sua Santità per affermare negli spiriti e nei cuori degli uomini i grandi principî del Cielo».

Lo scopo di tale messaggio, che mgr. Assaf ha avuto cura di inviare in anticipo al Papa di modo che al suo arrivo a Roma la Segreteria di Stato abbia già pronta la ri sposta per Abdallah, è triplice:

— dimostrare che la Giordania è un paese libero e tollerante;

— -sottolineare l'impegno del re di difendere sempre la piena libertà dei Luoghi Santi, e, in vista della fine di ogni progetto di internazionalizzazione, per dare al Pontefice le opportune garanzie; — -cercare di creare col Vaticano una specie di collaborazione contro il co munismo. È quello che significa l'ultima alinea del messaggio e che si riallaccia al ten tativo fatto quest'inverno dal ministro d'Egitto presso la Santa Sede di dar vita ad un'intesa fra Cairo e Vaticano per combattere il comunismo (v. mio n. 312/102 del 18 febb. 1950)1 .

Mgr. Assaf nella sua lettera al Pontefice traccia anche una lusinghiera figura del re, ponendo in luce sopratutto la grande libertà religiosa che si gode in Giordania e specificando: «mieux que dans tout autre pays arabe et je dirais même, aussi bien que dans les meilleurs pays Catholiques du monde».

Il che è perfettamente vero.

Anche re Abdallah mi ha parlato del predetto messaggio, e, nel corso della conversazione, ha voluto sottolineare che fra cristiani e musulmani non c'è quell'insuperabile burrone che abitualmente si crede: proprio il contrario. E a conferma del suo dire mi ha ricordato che la Bibbia è un libro sacro per l'Islam e mi ha citato alcuni versetti del Corano secondo i quali Gesù Cristo sarebbe onorato come il più grande dei profeti, e si inviterebbero i musulmani ad amare i cristiani come fratelli in Dio.

Abdallah ritiene che la qualifica di «infedeli» data in via generale ai musulmani si applicava ai «turchi» e non agli «arabi», noti questi ultimi per la loro religiosità e tolleranza, e che l'opinione oggi comunemente diffusa fra i cristiani a proposito dei musulmani sia un residuo di quanto venne scritto e detto all'epoca delle crociate.

Anzi il re ha concluso che mi darà dei testi affinché si possano ritrarne argomenti per una serie di articoli da far scrivere e pubblicare su qualche nostro giornale

o rivista, per meglio illuminare l'opinione pubblica italiana al riguardo.

Re Abdallah cioè non lascia passare nessuna occasione per avvicinarsi al Vaticano, e tentare di gettare quel ponte fra Islam e Roma che dovrebbe contribuire ad arginare l'avanzata del comunismo nel Medio Oriente2 .

9 1 Non pubblicato, ma vedi serie undicesima, vol. IV, D. 62.

10

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13099/403. New York, 9 novembre 1950, ore 11,29 (perv. ore 19,40).

Suo telegramma 1° corrente1 .

Delegato jugoslavo Vilfan parlando con Confalonieri ha sottolineato significato politico della dichiarazione fatta da Bebler2 con particolare riguardo riferimento momento attuale.

Nel corso della conversazione è [emerso] che jugoslavi si sono convinti che Stati Uniti desiderano risolvere questione Trieste e hanno insistito perché Jugoslavia la risolva con intesa diretta con l'Italia.

Vilfan, commentando questi suggerimenti americani, ha fatto presente che porto Trieste, per assoluta insufficienza porto Fiume, è indispensabile per nuovi sviluppi economia jugoslava e che quindi Italia deve convincersi opportunità addivenire

2 Vedi D. 8, nota 3.

accordi secondo cui Italia dovrebbe praticamente dare in uso Jugoslavia totalità impianti portuali Trieste.

Altri membri delegazione jugoslava mi hanno fatto dire che sarebbe stato utile contatto fra nostre delegazioni. Ho fatto rispondere favorevolmente.

Prego segnalare d'urgenza se altri approcci del genere sono stati fatti Belgrado

o direttamente costì, e telegrafarmi norma di linguaggio3 .

9 2 Per la risposta del Pontefice al messaggio di Abdallah vedi D. 77.

10 1 T. segreto 9216/185 con il quale Sforza aveva dato a Brusasca le seguenti precisazioni sullo stato della questione di Trieste: «Se richiesto se attualmente vi siano negoziati su questo argomento V.E. potrà rispondere senz'altro di no; difatti qualsiasi carattere politico mancò al recente viaggio di Martino a Londra. Circa la proposta russa nominare governatore Trieste ella risponderà che vi siamo contrari perché ravvisiamo nella proposta una manovra sovietica diretta a privare l'Italia di quei benefici che possono derivare da attuale situazione e ad ostacolare sviluppo buone relazioni vicinato tra Italia e Jugoslavia alle quali noi teniamo».

11

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'ONOREVOLE TAVIANI, A PARIGI

TELESPR. 42/14788/C. 2 . Roma, 9 novembre 1950.

L'ambasciata d'America ha oggi presentato a questo Ministero l'unito memorandum3, illustrando, anche verbalmente, l'importanza che il Governo degli Stati Uniti annette ad una sollecita e favorevole conclusione dei negoziati per il piano Schuman, considerata indispensabile dal punto di vista politico anche in connessione con i progetti di riarmo tedesco.

Nel ricevere tale documento, da parte di questo Ministero non si è mancato di far rilevare che l'importanza politica del progetto, lungi dall'essere sottovalutata, era stata apprezzata sin dal primo momento in tutto il suo valore: ne era prova la immediata favorevole risposta affermativa di principio data dal Governo italiano, e tutta la condotta della nostra delegazione presieduta dall'on. Taviani.

Tuttavia, si doveva far rilevare ancora una volta la difficilissima posizione in cui il Governo italiano verrebbe a trovarsi se i territori del Nord Africa venissero esclusi dal piano. Un intervento nord-americano era stato già richiesto in passato, sulla base delle argomentazioni irrefutabili che avevamo addotte; si doveva perciò insistere anche oggi perché nuovi passi venissero esperiti affinché il Governo francese accedesse a soluzioni che potrebbero consentire all'Italia di sottoscrivere ad un accordo che altrimenti si risolverebbe in un danno per noi non sopportabile, malgrado tutta l'importanza politica che eravamo i primi a riconoscergli.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

MEMORANDUM. Roma, 7 novembre 1950.

The Government of the United States of America has followed with great interest the progress made in negotiating a treaty which would create an organization to pool coal and steel resources of Western Europe. It will be recalled that at the time the proposal was made, the President and the Secretary of State gave their full support to its objectives and French initiative was enthusiastically received in all quarters in the United States as holding out real hope for a new era in Franco-German relations and as a positive step toward greater economic integration of Western Europe.

The French Government attached great importance to the successful conclusion of these negotiations, particularly in connection with the question of German participation in Western European defense. The Government of the United States shares the French Government's view as to the desirability of concluding Schuman Plan negotiations in the near future, in a spirit consistent with the original proposal.

10 3 Per la risposta vedi D. 16. 11 1 Presidente della delegazione alla Conferenza per il piano Schuman. 2 Diretto per conoscenza ai Ministeri dell'industria e del commercio con l'estero, al C.I.R. ed alle ambasciate a Parigi e Washington. 3 Vedi Allegato.

12

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 11821/6797. Washington, 9 novembre 19501 .

Riferimento: Miei rapporti n. 11539/6615 e n. 11570/6646 del 1° corrente2 .

A oltre una settimana di distanza dalla fine della sessione del Comitato di difesa, perdura negli ambienti del Dipartimento di Stato e del Dipartimento della difesa una viva irritazione nei riguardi della Francia, per il ritardo, ch'essa ha provocato, nell'elaborazione dei piani di riarmo dell'Occidente. Si fa, fra l'altro, a Moch la colpa di non avere obbiettivamente informato il suo Governo sullo svolgimento delle discussioni (a quanto sembra, egli ha preteso che nessun telegramma partisse dal-l'ambasciata senza la sua approvazione).

A causa di quest'ultima circostanza il Dipartimento di Stato ha deciso di agire sul Governo di Parigi, per il tramite dell'ambasciata in quella capitale piuttosto che attraverso l'ambasciata francese a Washington. Il risultato, a quanto si dice, sarebbe stato abbastanza incoraggiante perché tanto Pleven quanto Schuman si sarebbero mostrati assai meno rigidi di Moch. Tuttavia, molta strada dev'essere ancora percorsa, prima di raggiungere un'intesa.

2 Non pubblicati.

L'atteggiamento personale di Moch non sembra, per ora, mutato. Il ministro della guerra, per mostrare la sua scarsa fretta di raggiungere un accordo, si è trattenuto per diversi giorni nel Texas, quindi si è recato ad Ottawa e sarebbe rientrato in Europa in piroscafo, se Bonnet non gli avesse energicamente consigliato di rientrare in aereo.

L'irritazione verso la Francia è assai viva anche presso le rappresentanze diplomatiche degli altri paesi del Patto atlantico (compreso il Belgio). Inoltre mi risulta che tutti i promemoria consegnati martedì scorso al Gruppo permanente sono redatti in senso nettamente contrario al piano francese, tanto che il promemoria italiano, che il generale Marras mi ha mostrato e che nella sostanza respinge chiaramente detto piano, appare come uno dei più cortesi verso la Francia.

Il Dipartimento di Stato farà il possibile per accelerare la procedura stabilita dal Comitato di difesa. Mi risulta anche, da fonte assai vicina ad Eisenhower, che questi ha fretta di lasciare la Presidenza della Columbia University (dove dice di sentirsi al tempo stesso troppo giovane e troppo vecchio per quel posto ...) e di assumere il comando della «forza integrata».

È quindi sperabile che la nuova riunione del Comitato di difesa possa effettivamente aver luogo a Londra ai primi di dicembre, come desiderato dal Governo americano. Non è completamente escluso che essa sia preceduta da una riunione anglo-franco-americana dei ministri della difesa, come il New York Times ha annunciato ieri.

Tuttavia questa notizia mi è stata dichiarata priva di fondamento dal Dipartimento di Stato ed appare non molto attendibile anche a causa della tensione dei rapporti personali fra Moch e i suoi colleghi americano e britannico.

12 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

13

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 5969/973. Vienna, 9 novembre 19501 .

Riferimento: Mio rapporto del 2 corrente n. 5786/9562 .

Come è stato accennato da ultimo nel rapporto sopra citato, è nuovamente circolata l'idea di portare la questione dello Staatsvertrag dinanzi alle Nazioni Unite. Lo stesso ministro Gruber vi ha accennato verso la metà di ottobre durante il suo soggiorno in America, ma come anche già riferito, essa non ha avuto molta fortuna e da ogni informazione ci risulta che è da considerarsi per il momento almeno come accantonata.

Si ripropone poi quasi contemporaneamente il problema dell'eventuale ammissione dell'Austria alle Nazioni Unite, in lista anch'essa insieme con molti altri paesi, mi si dice oltre dieci, ivi compresa l'Italia, che attendono da tempo per la nota opposizione e pregiudiziale sovietica, di entrare nell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

2 Non rinvenuto.

Si tratta in realtà di due questioni completamente distinte.

Per quanto riguarda l'idea di far intervenire le Nazioni Unite nella questione della conclusione del trattato di pace per l'Austria, ogni informazione porta a concludere che da parte americana non vi è alcuna intenzione di farlo, per almeno due ordini di considerazioni, che vale la pena di menzionare, per i riflessi di politica generale che indubbiamente indicano.

La prima ragione è che le Nazioni Unite sono già abbastanza oberate con la questione coreana, per sconsigliare di appesantirle ulteriormente con un'altra questione così complicata come quella del trattato austriaco. La seconda è che si pensa, da parte americana e inglese, che non sia assolutamente consigliabile di mutare per il momento la piattaforma e il terreno su cui si è finora discussa la questione austriaca, aggiungendosi a tale considerazione anche l'altra assai positiva che in fondo, anche malgrado le più recenti difficoltà, vi è a Vienna ancora in piedi un organismo interalleato dove bene o male continua una conversazione a quattro. La stessa situazione creatasi a Vienna e nella stessa zona dell'occupazione russa è tuttora in fin dei conti tollerabile, malgrado anche gli sviluppi derivanti dagli avvenimenti dei primi di ottobre.

Per ragioni locali quindi e per ragioni di politica generale, vi è in definitiva un interesse occidentale a mantenere, per quanto riguarda l'Austria, lo status quo, senza affrettare i tempi e senza pensare a forzare la situazione, dato poi e non concesso che i tempi possano essere affrettati e la situazione soprattutto poi forzata.

Per tutte queste ragioni, assai serie, in rapporto alla situazione generale, si ha da Vienna la impressione che contrariamente a quanto poteva apparire tempo addietro vi dovrebbe essere per il momento una certa stasi per quanto riguarda il fronte diplomatico austriaco, con nessuna specifica nuova iniziativa anglo-americana, e in modo da lasciare invece aperte tutte le porte per eventuali nuove conversazioni con i russi, e non inasprire la situazione locale.

Su questa medesima linea, va considerata anche la recentissima dichiarazione americana, di fronte all'iniziativa sovietica di discutere la questione germanica sulla base del comunicato risultato dalla Conferenza dei paesi Cominform di Praga, che prima di discutere il problema germanico e la eventuale cosiddetta proposta di pace sovietica, vi sia da dare proprio da parte sovietica una concreta prova di buona volontà e che questa non può essere offerta che dalla conclusione del trattato austriaco, ormai praticamente completato e definito, e per la cui conclusione non fa ostacolo che la provata volontà sovietica di non volerlo concludere.

L'iniziativa di Mosca ha pertanto offerto alle potenze occidentali di rispondere adeguatamente al discorso Vyshinsky del 28 ottobre alle Nazioni Unite, di cui al mio sopra citato rapporto, risposta che fissando a sua volta una condizione preliminare, bilancia efficacemente, dal punto di vista tattico, le due condizioni preliminari poste a sua volta dal ministro Vyshinsky: si è così finito per stabilire un certo equilibrio di posizioni.

È difficile ad oggi prevedere se questa situazione è suscettibile di sviluppo: mi limiterò soltanto a registrare le reazioni negative da rilevare a e da Vienna sia in campo austriaco, per quel poco che ciò possa contare, e poi soprattutto in campo alleato circa l'atteggiamento francese in materia di riarmo germanico e esercito europeo, e in forma anche più inquieta e quasi sospettosa, di fronte alle manifestazioni di opinione pubblica francese e con maggiore cautela dello stesso Governo responsabile in presenza della recente proposta sovietica di discutere a quattro i punti del programma formulato dalla Conferenza di Praga in materia di Germania: manifestazioni di tono non così riservato e anzi negativo con cui quella comunicazione russa è stata viceversa accolta a Washington e a Londra.

Come è accennato da principio, rimane aperta la questione dell'eventuale ammissione dell'Austria alle Nazioni Unite. Vi sono qui alcuni che ritengono che abbiano maturato nel frattempo varî elementi che rendano ormai più che facile una soluzione anche per quanto riguarda in particolare l'ammissione dell'Italia. Riferisco tali impressioni a puro titolo di cronaca, non avendo elemento né di informazione né di controllo, ma qui si sussurra che la Russia oggi sarebbe abbastanza incline a negoziare una soluzione transazionale, almeno per quanto riguarda l'Italia e alcuni dei paesi satelliti: ma ripeto non ho alcun elemento positivo. Aggiungerò solo che ad esempio in tale senso mi si è espresso in modo deciso questo ministro di Jugoslavia, che in questi tempi accentua costantemente il desiderio di parlarmi, compiacendosi dei migliorati rapporti con noi, profferendo le intenzioni iugoslave di un accordo diretto.

Malgrado queste voci, e ipotesi, per quanto è possibile invece giudicare più concretamente e salvo sentire qualche più positiva notizia da Gruber, giunto ieri sera in volo da Washington, via Parigi dove ha sostato per conferire con il ministro Schuman, non si conoscono viceversa elementi né sono ancora percettibili fatti nuovi che giustifichino il supporre che la Russia sia disposta a desistere dall'opporsi all'ammissione dell'Austria nelle Nazioni Unite. Per quest'ultima vi è tra l'altro un argomento tecnico e giuridico che può essere molto validamente fatto valere e precisamente che in mancanza dello Staatsvertrag non avrebbe senso l'ammissione dell'Austria alle Nazioni Unite, dato che questo paese non ha tuttora l'esercizio completo della propria sovranità.

Può essere d'altra parte, ma solo incidentalmente, accennato alla circostanza che, a rigore di termini, secondo la lettera dello Statuto delle Nazioni Unite, in realtà l'Austria non è da considerarsi tra i paesi nemici, perché come è noto essa è viceversa almeno in teoria considerata come paese liberato, con la conseguente singolarità per cui si parla di uno Staatsvertrag austriaco e non già di un trattato di pace: sottigliezza che tuttavia non è però neppure priva di alcune importanti conseguenze pratiche, anche se la formula adottata non si sviluppa poi in concreto in tutte le sue conseguenze che logicamente dovrebbero derivare da quella premessa.

Ho voluto menzionare tali varî punti, per completare gli elementi di valutazione della situazione, e indicare, sia pure nella loro più assoluta indeterminatezza, delle circostanze che, volendolo i russi, sarebbero anche suscettibili di ulteriori sviluppi.

13 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

14

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. 9469/415. Roma, 10 novembre 1950, ore 21.

Per sua norma di linguaggio è bene ella sappia che una mia interruzione durante dibattito parlamentare 9 corrente1 è stata erroneamente interpretata come dichiarazione disposizione Governo italiano a imminente riconoscimento della Cina.

Durante mio discorso di oggi2 ho rettificato tale interpretazione osservando che Governo italiano, come vari altri, aveva preso in considerazione possibilità riconoscere Governo Pechino contemporaneamente Inghilterra, ma che proprio esperienza inglese ci aveva dissuasi dal farlo prima ancora che recenti avvenimenti rendessero qualsiasi azione in questo senso inattuale.

Telegrafato Londra Parigi New York.

15

IL CONSIGLIERE VENTURINI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13150/454. Parigi, 10 novembre 1950, ore 17,48 (perv. ore 20).

Ieri è stato distribuito il nuovo testo completo progetto trattato carbone acciaio redatto da francesi i quali peraltro non hanno tenuto sempre conto esatto risultati discussioni finora intervenute fra delegazioni sei paesi. Invione a parte sette copie con preghiera trasmetterne un esemplare a ministri industria, tesoro, lavoro e commercio estero.

Richiamo attenzione particolare soprattutto su questioni:

a) programmi (articoli 35 e 36) dove è stato omesso qualsiasi riferimento a programmi ricostruzione e rinnovamento impianti in corso;

b) prezzi (articolo 38), aggiungendo che protocollo ivi fatto riferimento non è ancora definito perché concernente periodo iniziale con relative perequazioni, tuttora in discussione.

Su tali due questioni delegazione italiana confermerà obiezioni e riserve già fatte.

Terza questione, per noi interesse capitale, è — come noto — quella territori Nord Africa. Nel nuovo progetto francese trattato (articolo 59) viene per la prima volta espressamente specificata esclusione detti territori.

Al riguardo, ho subito compiuto passi sia presso Charpentier che Clappier ed ho loro chiaramente detto che Governo italiano sarà obbligato rivedere sua intera posizione qualora Governo francese, nonostante ripetute assicurazioni fornite a V.E. dal ministro Schuman, continuasse ad ignorare indispensabilità per nostra siderurgia ed economia italiana nel suo complesso di poter disporre, secondo stessi principi basilari piano Schuman, del libero accesso principale fonte mediterranea materie prime per produzione acciaio costituita da miniere Ouenza poste in Algeria, parte integrante della Francia metropolitana.

Dato tale stato di cose, riterrei opportuno che mia comunicazione orale venisse confermata in maniera ancora più formale, anche per permettere al Quai d'Orsay di prospettare in linea politica a ministri tecnici e ambienti governativi, contrari accoglimento nostra giusta richiesta, conseguenze che deriverebbero da eventuale ritiro Italia dal pool.

Mi permetto pertanto sottoporre a V.E. opportunità impartire istruzioni nostra ambasciata Parigi comunicare ufficialmente a Governo francese che Italia non potrebbe firmare trattato qualora da questo fosse esclusa Algeria2 .

14 1 In Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1950, vol. XVI, seduta del 9 novembre, pp. 23499-23539. 2 Ibid., seduta del 10 novembre, pp. 23541-23586. 15 1 Direttore generale aggiunto degli affari economici, membro della delegazione alla Conferenza per il piano Schuman.

16

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, A NEW YORK

T. SEGRETO 9482/205. Roma, 11 novembre 1950, ore 13,15.

Suo 4031 .

Nessun nuovo approccio politico è stato qui fatto. Ella conosce termini questione e sua estrema delicatezza; né ha bisogno consigli circa cautele da usare ove si passasse da discorsi generici ad altri più precisi.

Accenno fattole da Vilfan circa porto Trieste mi convince sempre più giustezza mia tesi essere nel comune interesse dei due paesi far sì che Jugoslavia si senta a Trieste, dal punto di vista utilizzazione impianti portuali, come a casa propria. Noi siamo disposti ad andare molto lontano su questa strada, ma beninteso a patto che questione territoriale vera e propria sia risolta secondo giustizia etnica e morale.

15 2 Vedi D. 21. 16 1 Vedi D. 10.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. S.N.D. 9515/81 . Roma, 11 novembre 1950, ore 23,45.

Suo 52 .

Progetto francese esercito europeo può essere esaminato sotto diversi aspetti che corrispondono ai vari scopi cui sembra diretto piano stesso.

Governo francese vuole evitare in primo luogo crisi politica interna rinviando immediata costituzione unità tedesche. Da questo lato nulla in contrario da parte nostra, anzi tendenza conciliante dei contrasti (se ancora sussistono) tra tesi americana e tesi francese. In altre parole siamo del parere che vantaggio contributo tedesco sarebbe più che annullato da danno crisi politica francese. Se però americani insistessero nel subordinare ancora invio loro rinforzi a simultanea formazione unità tedesche, allora bisognerebbe fare ragionamento inverso; danno militare e politico supererebbe di gran lunga i rischi di crisi francesi.

Per sua conoscenza la informo che, allo scopo superare noti timori francesi e facilitare loro accettazione piano americano, generale Marras ha proposto in Comitato capi Stato Maggiore costituzione unità tedesche inferiori vere e proprie divisioni ma comunque superiori a «battaglioni». Trattasi «gruppi tattici» comprendenti elementi fanteria, artiglieria e servizi, che permettano successivo potenziamento e assicurino intanto una certa autonomia operativa. Costituzione «divisioni» verrebbe così rinviata fase successiva.

Secondo scopo perseguito da Governo francese è di riservarsi posizione preminente (Ministero della difesa e comandante esercito sarebbero evidentemente francesi) nella nuova organizzazione. Anche se ciò può parere inevitabile data posizione centrale strategica della Francia, dovrebbero peraltro intervenire accordi tra nostro Stato Maggiore e quello francese.

Resta il terzo punto, che è il più importante, concernente autorità politica cui dovrebbe essere sottoposto esercito europeo.

Dal progetto francese non risulta chiaro in che cosa dovrebbe consistere tale autorità: è tuttavia prevista sia un'Assemblea sia un Consiglio dei ministri. Questo è il lato del progetto che ispira maggiori perplessità e sul quale V.E. dovrà avanzare riserve. Non si può escludere sospetto che costituzione di questa autorità politica con poteri non definiti non sia travestimento, in forma nuova, della vecchia ma sempre pericolosa e sempre irreale illusione creare terza forza europea in posizione equidistante tra due antagonisti. V.E. vorrà però astenersi dall'esprimere questi dubbi, e limitarsi a dichiarare che questione autorità politica dovrebbe comunque, data sua estrema complessità, essere rinviata a più tardi.

Quanto precede è naturalmente basato sulla presunzione che progetto in discussione costà sia quello contenuto in dichiarazione Pleven.

Ministero difesa sta esaminando possibile invio costà consigliere militare per assisterla.

17 1 Ritrasmesso a Quaroni e Tarchiani con T. s.n.d. 9516/516 (Parigi) 417 (Washington) dell'11 novembre. 2 Del 3 novembre, con il quale Rossi Longhi aveva chiesto istruzioni sulla linea da seguire nella prossima sessione del Consiglio dei sostituti.

18

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13230/872. Washington, 11 novembre 1950, ore 14,30 (perv. ore 23,30). Mio 8621.

Riassumo principali raccomandazioni rapporto Gordon Gray che si pubblicherà domani sera:

1) continuazione aiuti americani per tre o quattro anni, calcolati, in collaborazione con comitati N.A.T.O., in relazione sforzi riarmo singoli paesi e loro influenza su economia predetti;

2) distribuzione aiuto in modo contribuisca al massimo alla integrazione europea e continuazione aiuto meccanismo pagamenti intereuropei;

3) incoraggiamento esportazioni europee;

4) particolare considerazione spese militari britanniche affinché sforzo inglese non comporti pericolosi peggioramenti situazione economica;

5) ulteriori stanziamenti per Giappone;

6) circa aree arretrate potenziamento investimenti privati a mezzo negoziati trattati internazionali ad hoc, concessione garanzie statali ed aumento attività Aid in Bank ed International Bank per ammontare annuale congiunto di 600-800 milioni dollari;

7) adozione direttiva politica per cui prestiti americani possano essere spesi anche fuori Stati Uniti ed in certi casi per finanziare non importazioni ma costi locali;

8) potenziamento assistenza tecnica fino a 500 milioni dollari annuali in grants;

9) adozione metodi collaborazione internazionale per controllo materie prime. Applicazione controlli esportazioni in modo da servire particolari interessi Stati Uniti;

10) continuazione sforzi per normalizzazione commercio internazionale, per abolizione pratiche discriminatorie e limitazione a minimo misure protettive marina mercantile, per stabilizzazione finanziaria eventualmente con crediti atti consentire convertibilità monete;

11) adozione misure più liberali in controlli doganali, tariffe, ecc.;

12) circa organi amministrativi, su cui polarizzasi attenzione questi circoli governativi ed economici, Gray propone totale coordinamento vari dipartimenti e creazione unica organizzazione per amministrare tutti i programmi economici stranieri inclusi assistenza tecnica ma esclusi militari sotto forma armi e munizioni. Assistenza dovrebbe essere fornita soltanto dietro richiesta altri Governi ed a condizione valutati contributi da parte loro e comportamento soddisfacente per Governo americano.

Rapporto verrà pubblicato malgrado esitazioni ultima ora Casa Bianca conseguenti elezioni. Risultami che presidente ha deciso ugualmente pubblicazione in vista importanza e costruttività proposte. In dichiarazione apposita presidente indicherà domani rapporto all'attenzione Congresso per studio misure specifiche adeguate.

18 1 Dell'8 novembre, anticipava l'invio delle informazioni contenute nel presente documento.

19

L'INCARICATO DEGLI AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 4350/922. Madrid, 11 novembre 1950 (perv. il 14).

La votazione dell'Assemblea delle Nazioni Unite favorevole al ristabilimento della normalità delle relazioni diplomatiche con la Spagna dovrebbe costituire, e certamente costituisce, una svolta politica importante per il regime ed il popolo spagnolo.

Ma per un curioso, anche se nel fondo ben logico e spiegabile paradosso, le difficoltà per la Spagna incominciano proprio ora, dopo che il generale Franco ha raggiunto questo obbiettivo che ha costituito il suo predominante pensiero durante gli ultimi quattro anni.

Fino a questo momento l'imposizione delle sanzioni diplomatiche aveva rappresentato, nelle mani del Governo di Madrid, un eccellente diversivo che, bene utilizzato, è servito a rafforzare l'appoggio delle masse al regime, a distrarle da più gravi ed impellenti problemi di natura economica interna e, sopratutto, a polarizzare sulle Nazioni Unite la colpa delle gravi condizioni economiche nelle quali si dibatte la Spagna.

La decisione di Lake Success ha d'improvviso modificato questa situazione. L'isolamento diplomatico è formalmente terminato. La pregiudiziale politica che si opponeva alla concessione di aiuti economici è caduta!

A parte un certo gruppo di nazioni astenutesi durante la votazione, la Spagna ha inoltre conseguito la soddisfazione, che per essa costituisce una utile conferma dei suoi motivi di propaganda, che solo la Russia e le nazioni di essa satelliti si opponevano alla ripresa delle normali relazioni diplomatiche; laddove la grande maggioranza dei paesi, sopratutto le nazioni sorelle dell'America latina, e quelle amiche del gruppo arabo, sotto la direzione degli Stati Uniti, hanno riconosciuto il torto che le era stato fatto, e votato perché esso fosse cancellato.

Nella nuova situazione così creata, la condanna del dicembre 1946 non può pertanto essere ulteriormente invocata a pretesto per non avere un capo missione a Madrid.

Ogni Stato è ormai libero di agire come meglio creda, e se ostilità ed opposizione verso la Spagna alcuno oggi continui a mostrare, questo atteggiamento discende da un apprezzamento autonomo ed indipendente della situazione politica spagnola, e non più dall'obbligo formale nel quale ci si era trovati di attenersi ad una norma comune dettata dalle Nazioni Unite.

La Turchia, per esempio, che aveva richiamato il suo ministro in base alla finzione di una di lui partenza in congedo, ha creduto di doverlo far rientrare «dal congedo» nei tre giorni consecutivi alle decisioni del Comitato politico dell'O.N.U., anche prima che l'Assemblea avesse data la sua ratifica.

Inversamente, gli Stati Uniti, per bocca del loro presidente, si sono affrettati a dichiarare che sarebbe passato lungo tempo prima che essi avessero nominato un ambasciatore a Madrid.

Ed il Governo francese si appoggia su una mozione approvata dal Consiglio nazionale del Partito socialista, per far intendere che è, per ora, anch'esso contrario all'invio dell'ambasciatore.

Quello inglese si è limitato a dichiarare — per ora — che la questione verrà sottoposta a nuovo esame. Il che, pur apparendo vago, fa sorgere qui delle speranze, per quel che è convenuto chiamare lo spirito pratico del Foreign Office.

Queste prese di posizione di natura così diversa assumono agli occhi del Governo di Madrid un significato inequivoco.

La Turchia, appena ne ha avuto la possibilità, ha inteso compiere un gesto amichevole; gli Stati Uniti invece, con la dichiarazione del loro presidente (che è apparsa tanto più ostile in quanto in contraddizione con l'atteggiamento assunto dalla delegazione nella preparazione e nello sviluppo del dibattito sul «caso spagnolo») hanno voluto ribadire, questa volta, in maniera autonoma ed indipendente — e perciò il loro gesto è più grave — la loro ostilità al regime del generale Franco.

In altre parole, ciascuno è ormai di fronte alle proprie responsabilità. E Franco, e i singoli Stati che hanno votato a favore — o si sono astenuti — nel dibattito alle Nazioni Unite.

Se le varie potenze hanno, ora, autonomamente da decidere se dare effetto pratico immediato alla libertà d'azione che è stata loro riconosciuta dall'Assemblea delle Nazioni Unite, Franco ha da decidere — a più o meno breve scadenza — ché i problemi che lo assillano non consentono troppo lunghe dilazioni — se da parte sua non sia giunto il momento di compiere, anch'egli autonomamente, qualche gesto realistico che valga ad aprirgli effettivamente, e non soltanto formalmente, le porte della collaborazione internazionale. Basterebbe, per esempio, anche soltanto che egli «mollasse» subito il suo ministro d'industria e commercio, Suanzes, perché la cosa avesse le più benefiche ripercussioni sulle intenzioni degli Stati Uniti, senza parlare dei vantaggi concreti di generale consenso, nel paese, che la misura gli susciterebbe. Dico, però, subito, e questo è tragico per la Spagna, che la cosa non mi pare per ora possibile.

Egli sa, in ogni modo, — o dovrebbe sapere — e questo è il lato delicato della nuova situazione, che non potrà ormai più coprirsi col paravento dell'incomprensione delle Nazioni Unite, ma che egli deve, al più presto, dare al paese la sensazione che le decisioni dell'O.N.U. si risolvano veramente in quella concessione di «riparazioni economiche» che ha già chiesto il suo ministro Martin Artajo, in una recente intervista, «riparazioni», che solo possono «riparare» nel pensiero del Governo spagnolo, il danno effettivo che è stato fatto alla Spagna in questi anni.

Insomma, finora il «Caudillo» poteva fare stato — non del tutto a torto — di essere il difensore della dignità e del prestigio spagnoli nel mondo; oggi egli rischia di apparire agli occhi del suo popolo, soltanto, come un ostacolo.

Non vorrei mi si fraintendesse; né che per rendere le cose più facilmente comprensibili, io mi lasciassi involontariamente trasportare a troppo anticipare, presentando come già cristallizzata una situazione che è invece — per evidenti ragioni — ancora allo stato fluido; e suscettibile, quindi, di mutamenti e di sviluppi.

Tuttavia l'anticipazione appare evidente, fin da questo momento, da Madrid, e non da Madrid soltanto, come provano certi commenti, per esempio, della radio svizzera che mentre io scrivo diffondono analoghe considerazioni per i loro ascoltatori.

La nuova situazione alla quale alludo, è già registrabile nei nostri contatti sotto forma di un concreto nervosismo, così diverso dall'atteggiamento di olimpica e superba contentezza che è qui abituale, e di cui cominciano a dar prova il Ministero degli affari esteri ed i circoli governativi.

Il ministro Martin Artajo che è rimasto avvilito della dichiarazione del presidente Truman (non so se siasi reso conto che essa è stata in parte provocata dagli infelici discorsi di Franco alle Canarie: mio rapporto n. 04270/897 del 3 novembre c.a.)1 ha chiesto, per esempio, a questo nunzio di intervenire presso il fratello, delegato apostolico agli Stati Uniti, e che è attualmente di passaggio per Madrid, perché una volta a Washington agisse attraverso il clero e le organizzazioni cattoliche americane per la designazione, a breve scadenza, di un ambasciatore degli Stati Uniti.

Ho raccolto la notizia in casa dello stesso nunzio ove ho fatto colazione ieri per incontrarvi il fratello, delegato, che conosco da molti anni.

So che il nunzio si è schermito, e che il fratello ha rifiutato tutti gli inviti che gli erano stati fatti per evitare di trovarsi in una situazione imbarazzante.

Questo nervosismo ed impazienza si manifestano naturalmente, anche nei riguardi del nostro paese. Direi anzi che nei nostri riflessi il nervosismo è anche maggiore.

V.E. ricorderà che, in sul principio, quando l'Italia credette di doversi allineare con le Nazioni Unite, il Governo spagnolo mostrò disappunto e sorpresa che uno Stato che alle Nazioni Unite non apparteneva avesse creduto di dover compiere un gesto poco amichevole verso la Spagna. Poi, poco per volta, il realismo prevalse, ed in conseguenza anche dell'azione di chiarimento perseguita quotidianamente dal-l'ambasciata, per tenere i rapporti fra i due paesi, nell'interesse permanente dei due popoli, al di sopra della politica, il Governo spagnolo finì, con buona grazia, col mostrare di credere alle nostre spiegazioni, e non ce ne tenne più rancore.

Fu così, e solo così, che l'ambasciata poté garantire la continuità del suo lavoro e la difesa degli importanti nostri interessi in questo paese. Posso aggiungere, che nei due anni nei quali ho retto l'ambasciata in qualità di incaricato d'affari, ho sempre incontrato nei miei rapporti con queste autorità la massima cortesia e cordialità, e mai

la benché minima difficoltà per il fatto ch'io fossi soltanto un incaricato d'affari e non un capo missione, con pieno rango.

Contribuirono a tutto ciò, anche, grandemente, la constatazione fatta dal Governo spagnolo in più di una occasione — e l'Anno Santo in modo particolare ne ha fornito tante, a cominciare dal viaggio di Martin Artajo2 e dalle accoglienze cordiali che gli fecero l'E.V. ed il presidente De Gasperi — che l'opinione pubblica italiana, nella sua maggioranza, appariva amica della Spagna; una constatazione questa che era confortante per il Governo di Madrid e diminuiva in un certo senso l'amarezza che gli provocava l'assenza di un nostro ambasciatore dalla sua capitale.

Ma, ora, che le Nazioni Unite hanno modificata la loro politica verso questo paese, la Spagna attende con impazienza — e nervosismo — che l'Italia che non avrebbe avuto nessuna ragione giuridica per seguire, a suo tempo, l'O.N.U. nel ritiro dell'ambasciatore, compia — ora — il gesto amichevole di inviarne subito uno a Madrid.

Nei nostri riguardi il Governo spagnolo non mi sembra disposto ad accordare il beneficio del dubbio e dell'attesa, ma invece incline a considerare che un nostro ulteriore ritardo sarebbe un gesto ingiustificato, e perciò inamichevole.

Questo è, in breve, il succo di due lunghe conversazioni che ho avuto occasione di imbastire sull'argomento con l'ambasciatore Sangroniz, che era reduce da Roma, dopo un'udienza che gli aveva accordata l'E.V.

Giungendo a Madrid l'ambasciatore Sangroniz erasi mostrato, come è suo costume, piuttosto euforico e soddisfatto degli affidamenti che gli avrebbe dato l'E.V.

Ma essendo nel frattempo intervenuta la dichiarazione del presidente Truman, nei suoi primi contatti con il Ministero, i colleghi devono avergli fatto osservare che se l'Italia intendeva seguire gli Stati Uniti avrebbero potuto passare ancora parecchi mesi prima che arrivasse un nostro ambasciatore a Madrid. In questo caso gli affidamenti che Sangroniz credeva di aver portato con sé si sarebbero risolti in realtà in un rinvio a tempo indeterminato.

È soltanto dopo questa constatazione degli umori, in loco, che Sangroniz mi ha servito parte degli argomenti che ho sopra riferito all'E.V.

Successivamente, egli è stato ricevuto in udienza dal ministro Artajo il quale non gli avrebbe dato istruzioni di compiere ulteriori passi presso l'E.V. ma lo avrebbe incaricato di cogliere la prima occasione per parlare della questione allo stesso presidente De Gasperi.

Questo, Sangroniz non me lo ha detto, ma mi è parso di poterlo indovinare dalle sue parole.

Naturalmente da parte mia, anche nell'ignoranza nella quale sono delle ultime intenzioni dell'E.V., ho evitato i contatti con il Ministero e mi sono tenuto in un atteggiamento di riserva. Tuttavia un episodio occorso in questi giorni mi offre un'altra conferma di quanto ho avuto l'onore di esporre.

È noto a codesto Ministero come fra le varie questioni che attendono una soluzione fra noi e il Governo spagnolo, vi sia quella del pagamento di un'indennità di liquidazione ad un gruppo di ex funzionari italiani dell'Amministrazione di Tangeri.

Quando il Governo spagnolo assunse l'amministrazione della zona durante la guerra, licenziò tutti gli impiegati stranieri, ma si impegnò ad indennizzarli. I nostri finora non sono stati liquidati.

La questione aveva fatto in questi ultimi mesi notevoli progressi e lo stesso ministro Artajo, a seguito delle pressioni dell'ambasciata, aveva dato ordine che venisse richiesto al Ministero delle finanze lo stanziamento di una apposita somma in quello degli Esteri, per far fronte al pagamento delle indennità. Però essendo intervenuto nel frattempo l'inevitabile tempo d'arresto del periodo estivo, mi sono visto costretto di incaricare il primo segretario di presentare una nuova nota a questo Ministero per rimettere la questione in movimento.

Giorni fa Cittadini fu convocato dal capo dell'ufficio competente. Questi gli fece, prima, leggere copia di un appunto che aveva presentato personalmente al ministro Martin Artajo e nel quale l'ufficio proponeva la rapida liquidazione delle indennità ai nostri ex funzionari, e poi gli dichiarò che era spiacente di dovergli, però, aggiungere che aveva trovato il ministro molto mal disposto verso di noi a causa delle dichiarazioni che aveva fatte a Washington l'ambasciatore Tarchiani e che avevano provocato l'esclusione dei falangisti dal territorio degli Stati Uniti.

Il ministro Artajo aveva concluso dando istruzioni di tenere tutta la questione sospesa fino all'arrivo del nostro ambasciatore.

In sé e per sé questa sospensione, anche se dovesse estendersi, come certamente si estenderà, ad altri affari di ordinaria trattazione, non avrebbe importanza rilevante.

Molti di questi affari, come quello al quale ho accennato, si trascinano da anni, per l'incuria, o la cattiva volontà degli spagnoli, e se dovessero rimanere ancora qualche altro mese in sofferenza, in attesa dell'arrivo di un nostro ambasciatore, il danno non sarebbe, poi, irreparabile.

Ma è evidente che se questo dovesse essere il nuovo metodo da applicarsi, d'oggi in poi, alla trattazione di tutti gli affari correnti ne deriverebbe un inevitabile deterioramento dei rapporti politici fra i due paesi che finirebbe con l'annullare tutto il paziente lavoro che è stato in questi ultimi tempi compiuto, sopratutto con la visita a Madrid dell'on. Andreotti3 e con quella a Roma del ministro Martin Artajo, per cancellare sul terreno pratico gli effetti politici del richiamo dell'ambasciatore Gallarati Scotti da Madrid.

Naturalmente, io conto di reagire verso questo atteggiamento che mi pare del tutto contro-producente, e di non accettarne passivamente la inevitabilità. Ma prima di farlo ho ritenuto necessario e doveroso informare con tutta obbiettività l'E.V. della nuova situazione che si è venuta delineando qui, anche per l'ipotesi che V.E. giudicasse opportuno inviarmi istruzioni per mia norma di condotta ed eventualmente di linguaggio4 .

19 1 Non pubblicato.

19 2 Vedi serie undicesima, vol. III, DD. 499 e 511; vol. IV, D. 35.

19 3 Vedi serie undicesima, vol. III, D. 487. 4 Per la risposta vedi D. 25.

20

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13238/62. Sydney, 12 novembre 1950, ore 12,20 (perv. ore 7,30).

Siglato iersera con delegazione australiana progetto accordo emigrazione assistita da sottoporre all'approvazione rispettivi Governi.

D'intesa con altri membri nostra delegazione ho ritenuto non convenisse prolungare trattative dopo aver strappato a fatica — anche per costo viaggio, contributi governativi e crediti all'emigrante — clausole sostanzialmente conformi istruzioni di

V.E. Dalle esperienze di un mese di negoziati risultava infatti chiaro che ulteriori indugi non ci avrebbero fruttato alcun vantaggio mentre avrebbero potuto determinare negli australiani pentimenti su concessioni già accordateci.

A mio subordinato giudizio progetto accordo siglato ieri è quanto di meglio si possa ottenere nelle presenti circostanze. Dottor Masielli, che parte lunedì 13 corr. con aereo Quantas, lo presenterà Roma entro (manca) a codesto Ministero insieme con rapporto illustrativo ed altra documentazione.

Delegazione olandese ha parafato suo accordo 3 giorni fa ed ha concordato con Governo australiano breve commento stampa, di imminente pubblicazione, il quale si limita annunciare che negoziati sono stati conclusi. Lo stesso dovrebbe essere fatto per quanto ci concerne e delegazione australiana si è riservata farmi pervenire progetto comunicato da sottoporre a V.E. per simultanea pubblicazione a Roma e a Canberra fra una diecina di giorni. Frattanto raccomando vivamente evitare ogni indiscrezione e pubblicità1 .

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, PARIGI E WASHINGTON, ALLA LEGAZIONE ALL'AJA E ALLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA

T. S.N.D. 9537/C. Roma, 13 novembre 1950, ore 18.

(Per tutti meno Parigi) Ho telegrafato ambasciata Parigi quanto segue:

(Per tutti) Malgrado che io abbia ripetutamente fatto presente Schuman la necessità per noi che territori Nord-Africa e per lo meno Algeria, equiparata a territorio metropolitano, venissero inclusi piano Schuman, cosa che ripetei solamente

venerdì nel mio discorso alla Camera1, il progetto trattato relativo redatto da parte francese2 consacra per la prima volta ufficialmente esclusione territori stessi.

Governo italiano fu primo a rendersi conto alte finalità politiche progetto Schuman dimostrandolo con immediata adesione di principio e con tutto suo susseguente atteggiamento. Ma tale interesse politico, che è anche prevalentemente francese, non può recare di conseguenza che economia italiana venga assoggettata a sacrifici insormontabili che per di più potrebbero essere agevolmente evitati.

Nostro Parlamento mai comprenderebbe questo.

Rilevo altresì che, malgrado assicurazioni date a V.E. da codeste personalità e a me ripetute, neppure risulta esserci stata avanzata proposta alcuna tendente eliminare nostre fondatissime preoccupazioni e contro assicurarci insopportabili danni.

Voglia perciò V.E. esprimere per scritto nostra viva sorpresa facendo presente che Governo italiano in tali condizioni sarà costretto assicurarsi totale libertà azione.

Aggiunga verbalmente che di fronte a recente passo nordamericano3 a favore piano Schuman noi abbiamo già illustrato difficoltà nostra posizione nei riguardi presa di posizione francese. Tanto più che vantaggi che costì ci si ripromette dall'esclusione territori africani non appaiono proporzionati né ai danni che deriverebbero a noi se partecipassimo in tali condizioni, né agli scopi generali che il piano persegue se a causa di tali condizioni dovessimo restarvi estranei. Ci riserviamo di illustrare ulteriormente questi concetti agli amici americani.

20 1 Con T. 10821/56 del 23 dicembre Sforza investiva Del Balzo dei pieni poteri per la firma dell'accordo sull'emigrazione assistita tra Italia ed Australia.

22

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 0198. Parigi, 14 novembre 19501 .

Riferimento: Telegramma n. 5162 .

Le idee francesi non sono ancora ben chiare in merito a vari punti, e non dei minori, del cosiddetto piano Pleven.

Secondo Margerie, le funzioni del ministro della difesa saranno o dovrebbero essere puramente esecutive e non dovrebbero interferire con quelle del comandante supremo: come del resto è spiegato nel memorandum consegnato ieri da Alphand ai sostituti. Ministro della difesa potrebbe essere una personalità di qualsiasi paese appartenente alla comunità atlantica, anche ad esempio un lussemburghese, dato che a tale compito sia qualificato. Non sarebbe prevista invece la carica di comandante dell'esercito europeo: anche perché i contingenti sul continente non sono e non

2 Vedi D. 15.

3 Vedi D. 11.

2 Vedi D. 17, nota 1.

saranno tutti continentali. La strategia atlantica resta intatta: si vale di organi nuovi come il ministro della difesa o Alto commissario. I vari ministri della difesa dei paesi partecipanti deliberano in sede atlantica, eseguono, come pure l'Alto commissario, nei loro rispettivi paesi. (La cosa non è tanto chiara, osservo, per i paesi che non abbiano interessi da tutelare al di fuori dalla zona coperta dal Patto).

Per quanto riguarda l'autorità politica cui l'Alto commissario per la difesa dovrebbe rispondere, il memorandum consegnato da Alphand si riferisce a quella medesima assemblea prevista dal piano Schuman. Alla domanda se questa nuova proposta sia stata fatta in previsione di una adesione inglese ad entrambi i piani (Schuman e Pleven) Margerie ha risposto di ritenere che non ci sia da fare alcun assegnamento sulla partecipazione inglese, volta ormai a appoggiarsi sempre più al Commonwealth e a impegnarsi sempre meno, in corrispondenza del maggior impegno americano, sul continente europeo. Sei sole divisioni inglesi sul continente nel 1953, quali sono previste, forniscono un chiaro indizio di queste intenzioni inglesi.

Con tutto ciò potrebbe darsi benissimo che le idee francesi su questo punto non siano definitive. Secondo quanto diceva ieri stesso Clappier, Schuman, personalmente, non sarebbe favorevole a questa subordinazione dell'Alto commissario all'istituenda assemblea del pool. Penserebbe invece ad un rapporto diretto tra Alto commissario e un Consiglio dei ministri.

Data la fluidità delle idee francesi in tema di piano Pleven, mi sembra che questo potrebbe essere il momento buono per avanzare qualche nostra proposta. Naturalmente prima di farlo converrebbe sentire che cosa ne pensano gli americani.

Alla domanda se nuova autorità europea, sia pure nel quadro atlantico, quale prevista dall'ultimo piano francese, non potrebbe essere interpretata come una manifestazione di neutralismo o quanto meno di «triforzismo», Margerie ha risposto di essere da tempo e nettamente, nello stesso interesse degli americani ai quali non ha mai fatto mistero del suo pensiero, a favore della costituzione di una terza forza europea. Mentre è sempre e risolutamente stato contrario ad ogni forma di neutralismo.

A me sembra che, finché la forza in Europa non ci sarà, parlare di terza forza è per lo meno inopportuno. Oggi, di fatto, neutralismo e terza forza sono concetti assai vicini. Basti pensare che nel loro intimo sono neutralisti Pleven e Petsche, e che in fondo in fondo in uno stato d'animo non molto diverso sono anche Schuman e Moch.

Da parte nostra è stato insistito sulla opportunità di una stretta collaborazione italo-francese.

21 1 Vedi D. 14, nota 2.

22 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

23

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. S.N.D. 9672/13. Roma, 16 novembre 1950, ore 22.

Suo 131 .

Non c'è dubbio che articolo 6 trattato considera esplicitamente attacco contro forze occupazione in qualsiasi parte di Europa come identico, agli effetti giuridici, ad attacco contro una delle parti contraenti. Ma poiché articolo 11 riserva l'azione dei rispettivi procedimenti costituzionali delle parti, ella senza citarlo farà valere opportunità nello interesse di tutti di mantenere la libertà di azione degli Alleati contemperando la necessaria fermezza.

24

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI

T. 9692/178. Roma, 17 novembre 1950, ore 16.

Telegrammi della S.V. 216 e 2201 .

Diramazione della nota circolare ai rioptanti i quali hanno sollecitato chiarimenti notizie circa la loro situazione si approva senz'altro.

Peraltro, anche in relazione ai contatti già presi da lei con codesto Governo e di cui al suo rapporto n. 9252 e telegramma 2133, per estensione circolare a tutti i rioptanti indiscriminatamente sembra necessario assicurarsi preventivamente che da parte austriaca non saranno sollevate obiezioni.

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 461.

23 1 Del 15 novembre, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito sulla discussione in seno al Consiglio dei sostituti circa l'applicazione dell'art. 6 del Patto atlantico nell'ipotesi di un tentativo sovietico di estromettere gli Alleati da Berlino.

24 1 Rispettivamente del 26 e 28 ottobre, relativi alla proposta di Cosmelli di diramare una circolare informativa per gli optanti.

25

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO DEGLI AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA

T. S.N.D. 9705/98. Roma, 17 novembre 1950, ore 23.

Dica a Artajo1 che continuo a pensare opportuno l'invio di un ambasciatore a Madrid appena i paesi già da me indicati comincino; ma che una sola cosa potrebbe far protrarre la decisione: il tentare un ricatto per soluzioni che per giustizia ci spettano come quella per gli stipendi di Tangeri.

Desidero conservare e migliorare tutte le nostre relazioni con la Spagna, ma non al punto di subire un ricatto.

26

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13480/953. Londra, 17 novembre 1950, ore 22,02 (perv. ore 7,15 del 18).

Ho avuto oggi con Bevin lungo colloquio nel corso del quale abbiamo parlato di tutte le questioni che interessano rapporti italo-inglesi nonché sviluppi situazione generale.

Durante colloquio è pervenuto da delegazione britannica Lake Success telegramma relativo accettazione da parte etiopica emendamenti da noi richiesti per Eritrea. Bevin, che mi aveva in precedenza illustrato (come già ieri Strang) intensa opera persuasione esercitata da anglo-americani su delegazione etiopica e sforzi Aklilou per far accettare compromesso a imperatore, ha manifestato il più vivo compiacimento per tale notizia: egli spera vivamente essa preluda ad approvazione progetto che Stati Uniti presenteranno Lake Success. Bevin ha tenuto a sottolineare che soluzione questione Eritrea gli sembrava tanto più importante in quanto egli non vedeva che seri ostacoli, una volta superato questo, possano frapporsi a necessaria intensificazione collaborazione italo-britannica.

Circa rapporti italo-jugoslavi segretario di Stato ha ribadito concetti espostimi ieri da sottosegretario Davies esprimendo franco riconoscimento di quanto era stato fatto da parte nostra per miglioramento situazione, dapprima mediante creazione indispensabile «zona silenzio» e poi con ripresa trattative economiche. Bevin ha soggiunto che, in precedenza, Gran Bretagna aveva svolto azione intesa a svelenire

nostri rapporti con Belgrado così come aveva fatto per relazioni greco-jugoslave. Dato attuale miglioramento egli non riteneva fosse ora necessario di spingere più oltre questione accordo su Trieste: premesse si erano ormai costituite e, con l'andare del tempo, finirebbero per presentarsi circostanze atte a fare un passo avanti, specie se auspicabili conversazioni anglo-franco-russe-americane avessero luogo.

A quest'ultimo proposito Bevin, pur avendo cura misurare al massimo le proprie parole, ha detto che si stavano ancora discutendo con Washington e Parigi le basi della eventuale ripresa discussioni Consiglio quattro ministri esteri ma che egli «non riteneva impossibile» che Consiglio potesse riunirsi. In tal caso, anche senza farsi eccessive illusioni, si potrebbe legittimamente sperare in una distensione generale almeno per anno 1951. Comunque, ha concluso Bevin, questione più importante è che potenze occidentali procedano in pieno accordo, senza lasciarsi distrarre sul cammino da problemi secondari che le separano bensì cercando di risolverli in sede tecnica e con il debito senso delle proporzioni. Se si riuscirà a conseguire questa piena armonica collaborazione, allora si potrà guardare con assai meno preoccupazione anche a situazione asiatica.

Questo tema della intima collaborazione occidentale è stato, direi quasi, il motivo dominante del colloquio nel quale segretario di Stato mi è apparso nelle sue condizioni migliori e, per quanto era possibile desumere più dal suo tono che dalle sue stesse parole, piuttosto ottimista.

25 1 Risponde al D. 19.

27

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13541/883. Washington, 18 novembre 1950, ore 21,45 (perv. ore 9,30 del 19).

Mio 8681 .

È stata resa oggi di pubblica ragione comunicazione presidente Truman a leaders parlamentari nella quale, nel preavvisare presentazione a prossima sessione progetto legge per aiuti Jugoslavia, rileva seguenti misure già in corso adozione:

a) utilizzo per acquisti prodotti alimentari credito Export Import Bank precedentemente concesso Jugoslavia;

b) invio, tramite E.C.A., farina da Italia e Germania per valore 11 milioni circa dollari;

c) fornitura viveri per forze armate jugoslave acquistati con fondi M.A.P. dei quali aliquota è riservata paesi europei non appartenenti N.A.T.O.

Messaggio sottolinea che distacco Jugoslavia da Mosca costituito primo ostacolo imperialismo russo e che Tito dispone maggiore forza armata esistente, ad eccezione Russia, in Europa e tale da essere importante elemento difesa aggressione sovietica.

Presidente ha anche esplicitamente ammesso orientamento americano essere favorevole dar pieno sostegno Tito per «protezione interessi strategici e politici Stati Uniti in quella area».

Viene anche annunziato che Governo inglese ha notificato Belgrado essere pronto concedere 3 milioni sterline per acquisti alimentari area sterlina.

27 1 Del 10 novembre, non pubblicato.

28

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L.2 . Strasburgo, 19 novembre 1950.

Avrai visto che dai giornali appare che i miei due interventi di ieri nell'Assemblea furono un «gran successo». In verità non ci era di che. Dissi solo la verità; e ciò stupefece molto. Dissi ai deputati che non era abbastanza dire du mal des ministres; che dovevano faire mieux que les ministres e spiegai loro come era facile fare ciò. Domani non ci penserà più nessuno. Domani vedo gruppi federalisti, Bidault, ecc. e poi parto in modo da essere a Roma alle 7,55 di mercoledì [il 22]; il tempo di prendere un bagno e trovarmi al Quirinale alle 10,30 per la riunione del Consiglio supremo di Difesa.

Ti confesso che son molto preoccupato che i militari prendano tutto in mano attraverso il grimaldello del Segretariato. Lascio da parte i pericoli di cui ti parlerò a voce — ovvii del resto in un paese a struttura debole. Ma ammesso che queste sian cose difficili a dirsi, resta questo punto:

— che nell'epoca attuale la difesa nazionale è un tutto così complesso (armi, moneta, morale, invenzioni, politica estera, ecc.) che l'affidare il ganglio centrale del Segretariato [ai militari] o svisa ab initio la visione generale, o può indurre giudici futuri a sentenziare che noi fummo privi fin dal primo giorno della visione d'insieme del gravissimo problema. Perché caricarci di una storica responsabilità? Non ti pare? Se sei d'accordo ne parlerei con Einaudi.

In ogni modo a mercoledì mattina.

28 1 Ed. in MARIA ROMANA CATTI DE GASPERI, La nostra patria Europa, Verona, Mondadori, 1969, doc. IV fuori testo. 2 Autografo, in ISTITUTO UNIVERSITARIO EUROPEO, Firenze, Archivi storici dell'Unione Europea, Archivio Alcide De Gasperi.

29

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13607/143. Atene, 21 novembre 1950, ore 13 (perv. ore 15,30).

Seguito rapporti n. 2759 dell'8 corr. e 2813/977 del 16 corrente di questa ambasciata1 .

Questo ambasciatore degli Stati Uniti d'America, Peurifoy, mi informa che lunedì 27 corrente verrà annunciata prossima piena ripresa dei rapporti diplomatici fra la Grecia e Jugoslavia.

Subito dopo sarà riaperta frontiera fra i due paesi.

Ha aggiunto che tale ripresa, frutto lunghi e congiunti sforzi tanto americani quanto inglesi a Belgrado e ad Atene, è intesa non solo sostenere Belgrado politicamente ma anche, e sopratutto, economicamente data gravità situazione alimentare Jugoslavia.

Per giungere al risultato desiderato egli ha dovuto intervenire con massima energia presso greci cui contrarietà accordi con Jugoslavia era giunta fino al punto fare inscenare manifestazioni lavoratori porto Salonicco contro futuro scarico e tran sito merci dirette Belgrado. Ciò sempre a causa note affermazioni jugoslave circa «minoranze slave Egeo»; Peurifoy ha chiesto anche ai greci, e ottenuto, che questione restituzione bambini trattenuti Jugoslavia sia separata da quella della ripresa dei rapporti e trattata principalmente in sede O.N.U.

Ministro a Belgrado sarà nominato signor Capetanidis, già incaricato d'affari Grecia a Madrid. Segnalo suoi amichevoli sentimenti nei nostri riguardi. Ministro Jugoslavia in Atene sarà in un primo tempo signor Sehovic, già qui incaricato d'affari.

Peurifoy mi ha detto Dipartimento di Stato è molto soddisfatto per risultati raggiunti e che nuovi sforzi saranno certamente compiuti ora da Washington per riavvicinare Roma e Belgrado e per giungere a progetto soluzione questione Trieste.

Di ciò sarà ampiamente trattato in prossima riunione americana a Ginevra ove Peurifoy sarà primi dicembre prossimo e ove egli incontrerà ambasciatore Belgrado Allen.

29 1 Non pubblicati.

30

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13624/475. Parigi, 21 novembre 1950, ore 20 (perv. ore 23).

Odierna riunione del Consiglio O.E.C.E. Segretariato generale ha comunicato invito E.C.A. ad una missione O.E.C.E. che dovrà recarsi Washington per esaminare in comune questione aumento prezzi materie prime e penuria di alcune di esse nel quadro risoluzioni prese da Consiglio O.E.C.E. 7 ottobre. Missione dovrebbe recarsi Washington principio dicembre subito dopo riunione del Consiglio ministri1 .

Rappresentante americano ha espresso suo vivo compiacimento per tale iniziativa mettendo in rilievo particolare importanza che presenteranno lavori Consiglio 1° dicembre ai fini buon andamento missione predetta. Composizione e mandato dettagliato missione verranno precisate prossimi giorni2. Prego comunicare quanto precede massima urgenza ministro Pella.

31

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 13643/189-190. Bonn, 21 novembre 1950, part. ore 1,30 del 22 (perv. ore 8).

Ho avuto oggi, con preghiera mantenere ad esse carattere confidenziale, alcune informazioni sul colloquio che, in vista viaggio Bevin, ha avuto luogo ieri tra Alto commissario britannico e Adenauer nel corso del quale Kirkpatrik esposto anche idee fondamentali ministro esteri britannico su riorganizzazione europea.

Di particolare interesse per l'Italia appaiono le dichiarazioni di Kirkpatrik concernenti il piano Schuman. Secondo esse infatti Governo britannico, che auspica oggi una sua rapida realizzazione quale fattore essenziale riorganizzazione europea, si proporrebbe, subito dopo firma, iniziare trattative bilaterali per accordi singoli su stesse basi con vari paesi firmatari.

Bevin si proporrebbe poi appoggiare punto di vista tedesco (vedi mio telespresso 3754/1651 del 20 ottobre scorso)1 sulla soppressione Autorità internazionale Ruhr,

2 Con il T. 13756/477 del 24 novembre Cattani comunicò che la missione sarebbe stata composta non di delegati nazionali, ma di funzionari rappresentativi dell'O.E.C.E. tra cui il segretario generale Marjolin ed il presidente dei Comitati esecutivo, economico, scambi e mano d'opera Malagodi.

considerando che firma piano Schuman farebbe decadere ogni ragione suo mantenimento in vita. Credo che un tale provvedimento, che non so fino a che punto possa essere stato già concertato con i francesi, non mancherebbe avere notevole influenza nella politica interna tedesca sottraendo opposizione uno suoi principali argomenti polemici.

Alto commissario britannico aggiunto che Bevin non è contrario Europa federata su basi diverse però da quelle poste a Strasburgo che egli giudica non sufficientemente realistiche. Egli ritiene che Europa debba poggiare su due pilastri uno economico, costituito da piano Schuman, l'altro militare, costituito da esercito europeo.

Questa nuova organizzazione europea, nel pensiero ministro esteri britannico, non dovrà essere concepita come una terza forza ma essere invece integrata nel più vasto quadro della comunità atlantica.

Mi riservo riferire ulteriori informazioni evoluzione che sembra subire atteggiamento inglese nei confronti Germania e che non escludo possa avere presto nuovi sviluppi in relazione necessità consolidare posizione Governo federale indebolita da vicende problema riarmo. A questo proposito riserbomi riferire per corriere su significato recenti elezioni regionali e su concrete prospettive future.

30 1 Vedi D. 65.

31 1 Non pubblicato.

32

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO. Mosca, 22 novembre 19501 .

Rientrando a Mosca ho preso contatto con tutti i principali ambasciatori occidentali per un giro d'orizzonte sulla situazione internazionale: ho parlato con questi ambasciatori degli U.S.A., della Gran Bretagna, di Francia, del Belgio, d'Olanda, di Turchia, coi ministri d'Austria e di Finlandia e con altri diplomatici.

L'espressione generale ricavatone, è che l'attuale fase della situazione coreana è considerata con serietà ma senza alcuna preoccupazione: ciò conferma quanto al riguardo ha avuto occasione di riferire Zamboni in mia assenza. Che i cinesi possano essere effettivamente preoccupati dall'apparire degli americani alle frontiere della Manciuria, è ritenuto da molti: che essi abbiano intenzione di reagire seriamente in tempo prossimo, impegnando le loro forze regolari e provocando gravi incidenti e conflitti diretti con gli Stati Uniti, è generalmente escluso. Così pure è considerato inverosimile che i sovietici, dopo essere rimasti passivi per tanto tempo, possano ora mutare il loro atteggiamento assumendo maggiori iniziative: essi vedrebbero volentieri i cinesi cavar loro le castagne dal fuoco e mettersi in urto con i nord americani, ma non intendono certo scoprire apertamente queste aspirazioni. Probabilmente si contenteranno di una più o meno fruttuosa azione di amichevole pressione sui cinesi stessi.

Tuttavia la situazione è considerata, specialmente dai maggiormente responsabili, (ad esempio, gli inglesi) con serietà, in vista dei suoi sviluppi e della estrema difficoltà, per non dire impossibilità, di vedere una via di soluzione. Se i cinesi si contentassero di qualche garanzia sulla intangibilità delle loro frontiere mancesi, integrata magari dalla creazione di una più o meno efficace fascia aggiuntiva di sicurezza, la cosa non si presenterebbe poi tanto difficile. Ma vi è precisamente una totale incertezza sulle loro intenzioni. Essi non dimostrano per intanto alcuna fretta di far giungere la loro delegazione a Lake Success. Questa delegazione (il cui capo è un uomo di stretta educazione russa e sovietica, mentre il secondo delegato ha vissuto lungamente ad Hong Kong e conosce bene il mondo anglo-americano), è passata da Mosca il 19 novembre, arrestandosi poi a Minsk per il maltempo.

Se si deve poi giudicare dalle dichiarazioni di loro rappresentanti in questi giorni, i cinesi non palesano certamente intenzioni di remissività: basti pensare al recentissimo discorso di Ho Mo Jo al Congresso della pace di Varsavia, violentissimo e tutto pieno di sferzante ironia contro i «buoni amici americani». Stando a questo discorso ed alle sue proposte conclusive, i cinesi non chiederebbero di meno che il ritiro delle truppe americane dalla Corea, la soluzione del problema coreano, il disinteressamento degli U.S.A. a Formosa, la qualifica di criminale di guerra a Mac Arthur.

Queste possono essere esagerazioni polemiche e di propaganda, ma qui si nutrono molti dubbi che il Governo cinese sia disposto a risolvere facilmente il problema coreano, contentandosi di salvaguardare i confini della Manciuria e i relativi impianti elettrici. La Cina non può disinteressarsi così facilmente delle sorti della Corea, naturale base di partenza per ogni possibile aggressione dei giapponesi, o dei loro alleati o successori, contro il suo territorio. Esistono dunque qui preoccupazioni non immediate, ma di più lunga portata: si pensa che, come minimo, i cinesi vorranno quantomeno (oltre l'ammissione all'O.N.U.) anche la soluzione della questione coreana, con l'instaurazione di un regime che non potrebbe essere certo quello di Sygman Rhee; sempreché essi si contentino di non insistere, per ora, a fondo sulla questione di Formosa. Se soluzioni di tale ordine non li soddisfacessero, è da prevedere che essi continuerebbero ad aiutare i nord coreani sotto forma indiretta del volontariato, valendosi delle armi e dell'appoggio organizzativo sovietico.

Sono da rilevare al riguardo le parole dell'odierno appello del Comitato centrale del Fronte Nazionale Democratico Unito della Corea: «La ritirata dell'esercito popolare — vi si sottolinea — non significa per nulla la sua disfatta. Tale ritirata deve considerarsi temporanea, allo scopo di preparare una controffensiva tale da infliggere un colpo decisivo alle orde americane e da conseguire la vittoria decisiva». Queste parole non sono probabilmente soltanto necessarie frasi di incitamento: esse sono piuttosto considerate come indice di una preparazione in atto.

Se quindi un accordo non sarà raggiunto su una base piuttosto profonda, i nord-americani si troveranno nella alternativa: o di subire fra qualche tempo una rinnovata offensiva di truppe riorganizzate e munite di armi nuove, difficilmente contenibili nel caso che la difesa sia da essi lasciata ai soli sud coreani; o di essere costretti a tenere in permanenza, e forse a rafforzare ancora, forze proprie considerevoli e preziose in Corea, facendo il gioco dei cinesi e dei sovietici.

Ciò spiega perfettamente la serietà con la quale la situazione è qui considerata, e il perché i diplomatici occidentali di qui sentano la necessità di una saggia azione politica dei nord americani verso i cinesi, senza però riuscire a delinearne il contenuto concreto.

Per quel che riguarda la Germania, predomina anche qui la opinione che i tre Governi destinatari dell'ultima nota di Gromyko2 non intendono limitarsi ad una risposta negativa; mentre finora essi si sono limitati a chiedere chiarimenti, è in corso di studio da parte loro una risposta che offra all'opinione pubblica l'impressione di un atteggiamento costruttivo degli occidentali, di fronte alle ripetute avances sovietiche, e nello stesso tempo sveli gli aspetti più tendenziosi ed unilaterali delle proposte dell'U.R.S.S. Ma da questo alla possibilità di superare con proposte suscettibili di formare base di discussione l'attuale irrigidimento di posizioni contrastanti, corre molto, e tutti se ne rendono conto, mantenendo al riguardo un estremo scetticismo. Una base puramente astratta e teorica di accordo potrebbe immaginarsi nella rinuncia della Unione Sovietica alla comunistizzazione della Germania orientale, con l'accettazione di una effettiva unità su basi democratiche europee; e nella correlativa accettazione da parte occidentale di una smilitarizzazione temporanea della Germania [...]3. Ma la stessa dichiarazione di Praga sembrerebbe indicare che i sovietici sono fermi sulla loro concezione di un Governo provvisorio germanico contro il quale la Germania comunista si presenti in posizione di parità, senza lasciarsi veramente assorbire e confondere in una Germani unitaria: e d'altra parte è molto dubbio che gli americani siano ancora disposti a correre il rischio di una Germania sia pure democratica; ma unita e smilitarizzata, eventualmente suscettibile di sbandamenti nazionalistici o sinistroidi, e capace di ricominciare un gioco di equilibrio fra Occidente ed Oriente.

Su entrambe le situazioni quindi, la cino-coreana, e la germanica, a Mosca non si nutrono preoccupazioni immediate, ma si vede sempre più incerto e scuro il più lontano avvenire.

Queste sono le prime impressioni, rilevazioni di stati di animo e di inquietudini più che di fredde analisi della situazione, idonee a comprendere le vere intenzioni sovietiche e le effettive reazioni occidentali. Mi riservo di svolgere una tale analisi dopo avere con più tempo e maggiore agio studiato la situazione come la si vede a Mosca.

3 Parola indecifrabile.

32 1 Copia priva dell'indicazione del numero di protocollo e della data di arrivo.

32 2 Vedi D. 5.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 2697/1071. Mosca, 23 novembre 19501 .

Mio telegramma 265 del 21 corr.2 .

Come riferito nel telegramma richiamato, in conformità alle istruzioni ricevute ho ripreso, non appena giunto a Mosca, i miei contatti sulla questione delle riparazioni.

All'ambasciatore Kirk ho spiegato ampiamente tutti gli aspetti della questione. L'ho messo al corrente dell'ultima comunicazione di S.E. Sforza allo State Department tramite l'ambasciatore Tarchiani3. Gli ho illustrato la impossibilità di declinare ulteriormente la ripresa dei negoziati. Gli ho ricordato che, al tempo delle conversazioni di Mosca per l'accordo dell'11 dicembre 1948, noi avevamo presentato ai sovietici un elenco dei nostri beni in Ungheria, Rumania e Bulgaria con una valutazione approssimativa di 70 milioni di dollari, ma saremmo stati allora ben contenti di accettare, se i sovietici avessero avuto la perspicacia di proporcela, una valutazione globale sui 40 milioni. Ho aggiunto che non avrei aderito ad alcun accordo coi sovietici senza preavvisarlo, ma che evidentemente non sarebbe stato ragionevole presumere di indurre i sovietici ad accettare una valutazione tale, da lasciare loro un margine attivo minimo ed insignificante. Nostra ferma intenzione era di valutare i beni italiani al massimo possibile, nei limiti compatibili col lasciare ai sovietici un minimo di interesse ad aderire. Gli ho infine fatto presente che a Mosca l'ambasciata d'Italia si sarebbe rigorosamente limitata a ricercare un accordo sulla valutazione dei beni, rimanendo di competenza di Roma ogni ulteriore passo per l'esecuzione del trattato. A quel punto si sarebbe potuto valutare la convenienza eventuale di valersi di una delle altre vie rimaste aperte, ossia: a) diritto degli Alleati di disconoscere la valutazione consensuale, secondo l'art. 74 A n. 5 del trattato di pace; b) diritto dell'Italia di far subordinare le forniture in produzione corrente, all'adempimento degli obblighi posti dal trattato a carico dei sovietici per i beni italiani in Germania e nei nuovi territori sovietici.

L'ambasciatore Kirk era piuttosto all'oscuro della situazione; volle essere bene informato ma non fece alcuna obiezione, limitandosi a ringraziarmi della promessa di tenerlo informato.

Col vice ministro Bogomolov il 21 novembre fui molto chiaro nel dire, che non vi era possibilità alcuna di riprendere le trattative fino a che l'U.R.S.S. avesse insistito ad ottenere dalla parte italiana preliminari concessioni unilaterali, come quelle richieste nella nota del 10 aprile4, senza fare a sua volta equivalenti concessioni. Al fine di precisare che le eventuali trattative dovrebbero iniziarsi senza pregiudizio né espresso né

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 477.

4 Ibid., D. 123.

tacito alle posizioni di partenza fissate dagli aspetti di ciascuna parte, gli ho rilasciato il pro memoria che unisco in copia. Esso ha, ripeto, il solo scopo di stabilire che le trattative, eventualmente, si riprenderanno senza che la nota sovietica del 10 aprile abbia avuto da parte nostra alcuna accettazione. Per il semplice fatto di aderire alla ripresa delle conversazioni, i sovietici avranno accettato tale posizione: se non l'accetteranno, non si dovrebbero riprendere, ed avremo una ottima ragione per non riprenderle.

In via di chiarimento personale ho poi precisato a Bogomolov che me lo richiedeva, come io ritenessi più opportuno svolgere le eventuali trattative sulle base di una valutazione globale dei beni in discussione: i sovietici avrebbero cioè dovuto discutere il valore senza pretendere la previa determinazione dell'elenco dei beni da trasferire, giacché la discussione su questo punto avrebbe probabilmente riprodotto le insuperabili difficoltà già incontrate nelle trattative precedenti. Il Governo italiano intendeva cedere tutte le attività, e trattare per la valutazione di tutte le attività esistenti nei tre paesi; se poi qualcuna di esse veramente non interessava il Governo sovietico, questo in sostanza non riguardava la valutazione e avrebbe potuto essere tenuto in conto dopo se e quando, per regolarità formale, si fosse dovuto formare la lista precisa delle attività trasferite, ormai già globalmente valutate.

Ho detto questo, ripeto, in via di chiarimento preliminare della mia opinione, senza con questo pregiudicare in alcun modo l'indirizzo delle future trattative.

Il signor Bogomolov si è astenuto strettamente da qualsiasi commento, limitandosi a dire che per intanto egli doveva riaffermare la posizione assunta dal suo Go verno con le note del 10 aprile4 e del 15 luglio5, ma che avrebbe riferito la sua proposta. Debbo aggiungere che egli appariva piuttosto soddisfatto di avere ottenuto, co munque, una proposta costruttiva da parte nostra, tanto che nella seconda parte del colloquio, la sua abituale serietà si era dissipata.

33 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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IL MINISTRO A GEDDA, TURCATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1819/341. Gedda, 23 novembre 1950 (perv. l'8 dicembre).

In un recente colloquio con il ministro delle finanze, Abdallah Suleiman, l'uomo più influente e ascoltato da Ibn Saud, ho toccato l'argomento dell'apertura a Roma di una legazione dell'Arabia Saudita.

Fin dal mio arrivo a Gedda non ho mancato infatti di cogliere occasione per rimettere in campo questo argomento di cui si era occupato in precedenza il mio predecessore, ministro Zappi. La risposta era sempre la medesima, e che cioè l'apertura della legazione era, in linea di massima, decisa e che solo mancava la persona adatta a coprire il posto.

Nelle conversazioni con Abdallah Suleiman ho appreso in via confidenziale che l'argomento è stato trattato di recente dal Governo saudita, e che sarebbe allo studio l'accreditamento del presente ministro saudita a Parigi anche come ministro in Roma, dove rimarrebbe poi un incaricato d'affari ad interim.

La questione ha così fatto un passo innanzi, e, da vari sintomi, mi sembra abbia questa volta probabilità di essere risolta, per quanto con gli arabi non si possano mai fare previsioni sicure.

Tale soluzione, a mio avviso, non sembra peraltro del tutto soddisfacente in quanto che i rapporti sopratutto economici di questo paese con l'Italia sono più importanti di quelli con la Francia, la quale, come al solito, coglie ogni occasione per vantare la propria superiorità in qualsiasi campo.

Per questo ho suggerito in via amichevole ad Abdallah Suleiman di sollecitare a Riyad la realizzazione dell'intento (il Ministero degli esteri si è in pratica trasferito a Riyad), considerando tuttavia l'opportunità d'inviare a Roma un ministro autonomo, e cioè creare una legazione che non abbia alcun rapporto di dipendenza con Parigi.

Effettivamente, che non sia facile a questo Governo di trovare la persona adatta, è un fatto. Il Governo stesso è composto nella quasi totalità da stranieri (siriani in maggioranza). Comunque mi è sembrato, ad ogni buon fine, meglio affrontare subito la questione.

Nell'eventualità della prossima apertura della rappresentanza diplomatica saudita in Roma, è importante studiare la questione della sede della medesima. Tra il Pakistan e l'Arabia Saudita si è addivenuti ad un accordo secondo il quale i due paesi si sono impegnati a provvedere gratuitamente la sede per la rappresentanza diplomatica dell'altro contraente.

Credo che se fosse possibile addivenire ad un accordo analogo anche per noi, questo costituirebbe un notevole vantaggio economico per l'Italia, dati i prezzi esorbitanti degli immobili in Gedda1 .

33 5 Non pubblicato.

35

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE AL CONSIGLIO D'EUROPA, CAVALLETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1342/541. Strasburgo, 23 novembre 19501 .

Nella raccomandazione n. 6 formulata dall'Assemblea nell'agosto scorso2 l'Assemblea aveva manifestato fra l'altro il desiderio di essere tenuta al corrente degli sviluppi delle trattative sul piano Schuman. In esecuzione di tale mandato il presiden

2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 386.

te della Commissione economica, Reynaud, ha fatto ieri un lungo esposto alla Assemblea, dopo di che si è svolto un dibattito generale.

Reynaud ha, lungamente e in dettaglio, spiegato il testo del trattato oramai pronto, cercando di dimostrare come esso non contenga nulla che non possa essere accettato dal Governo inglese, a cui tuttavia, con il suo abituale sarcasmo, egli ha lanciato qualche pungente frecciata.

Reynaud tuttavia ha aggiunto di avere la convinzione che malgrado l'atteggiamento attuale del Governo britannico, appena l'Alta Autorità del carbone e dell'acciaio sarà costituita il Governo inglese prenderà con essa soddisfacenti contatti.

La discussione, che è seguita, è stata assai interessante. Non entro nei dettagli dei vari discorsi, segnalo solo le tendenze che si sono manifestate.

Anzitutto da parte francese (M.R.P.) si è seguitato a dolersi con estrema moderazione e benevolenza dell'assenza dell'Inghilterra e a insistere sul desiderio che essa al più presto possa recedere dalle sue perplessità e partecipare al pool, dato che l'Europa privata dell'Inghilterra non potrebbe solidamente unificarsi.

Da parte britannica si è continuato nell'atteggiamento, già assunto a Strasburgo nello scorso agosto; tanto i conservatori quanto i laburisti si sono augurati che il piano Schuman possa realizzarsi anche al di fuori dell'Inghilterra. Naturalmente i conservatori, lamentando anche che il cosiddetto piano Macmillan non sia stato preso in considerazione, si sono serviti dell'argomento, con la prudenza di chi non ha la coscienza del tutto tranquilla, per polemizzare col Governo laburista, mentre i laburisti hanno riaffermato le ragioni che hanno portato l'Inghilterra a tenersi lontana. Dal-ton poi ha lasciato capire che l'affermazione di Paul Reynaud non era errata e che l'Inghilterra stava effettivamente prendendo o prenderà quanto prima contatti per un accordo con l'Alta Autorità.

L'aspetto più importante della discussione è stato però l'atteggiamento dei socialisti continentali. Tre discorsi, uno di un delegato tedesco, il secondo di un belga e il terzo del francese Marius Moutet hanno costituito un notevole tiro di sbarramento contro il piano Schuman. Gli argomenti non sono stati nuovi ma, soprattutto da parte francese, si è insistito sulla impossibilità di fare l'Europa senza l'Inghilterra, impossibilità che si riflette in maniera quanto mai negativa sulla eventuale realizzazione del piano Schuman. Le perplessità esposte dai socialisti in questa sessione sono andate molto al di là di quelle che si erano già affermate a Strasburgo nello scorso agosto e costituiscono senza dubbio, nei confronti dell'agosto, un considerevole passo indietro.

In particolare si è avuta l'impressione che i socialisti, che bene o male nell'agosto scorso avevano votato una raccomandazione in cui si plaudiva al piano Schuman, avrebbero avuto adesso grosse difficoltà a votare una simile mozione. I socialisti non volevano impegnare, con un compromettente voto strappato in sede di Parlamento europeo, la loro posizione futura in seno ai Parlamenti nazionali al momento della ratifica. Io sono terribilmente angosciato, ha detto Moutet, e non vorrei pronunciarmi ora su un argomento così delicato, come quello di straniare l'Inghilterra dall'Europa continentale.

La situazione in Assemblea si è presentata così equivoca e delicata che, mentre normalmente un dibattito come quello di ieri si sarebbe dovuto chiudere con un voto, si è preferito da parte di Spaak, (che come sempre favorisce le posizioni socialiste) evitarlo; si è deciso solo di inviare il resoconto stenografico dei dibattiti ai sei paesi del pool e all'Inghilterra. Reynaud è stato lieto di accettare la proposta in tal senso di Spaak; tale soluzione, pur sollevando i socialisti dai loro casi di coscienza, allontanava il pericolo che risultasse diminuita o forse annullata la maggioranza di due terzi che esisteva in agosto per il piano Schuman.

Il dibattito di Strasburgo non può avere, come è abituale per tutti i dibattiti di Strasburgo, una importanza concreta, tuttavia, in questi ambienti, è sembrato indicativo di una situazione alquanto pericolosa.

Alcuni delegati francesi P.R.L. e M.R.P., con cui ho avuto occasione di parlare, mi hanno manifestato le loro apprensioni circa la ratifica del piano Schuman da parte dell'Assemblea nazionale francese, ove, mi è stato detto, tutta la destra è contraria e ove grava l'incognita dell'atteggiamento socialista, per cui tutti i timori sono, ora più che mai, giustificati!

Devo aggiungere che i delegati socialisti italiani a Strasburgo non hanno preso ieri nessuna posizione. Del resto anche per quanto riguarda gli altri delegati italiani non vi è da registrare nessun intervento di particolare importanza: solo l'on. Jacini, in una brevissima dichiarazione, ha affermato che il Governo italiano era ed è favorevole alla realizzazione del piano Schuman.

34 1 Il documento reca la seguente annotazione autografa di Sforza: «Dirgli che preferiremmo un semplice incaricato d'affari al ministro a Parigi, perché i nostri rapporti economici coll'Arabia Saudita essendo più importanti di quelli della Francia può essere più utile che un agente anche giovane ci si dedichi in modo permanente».

35 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2696/1070. Mosca, 24 novembre 1950 (perv. il 29 dicembre).

Pravda del 20 novembre, nella Rassegna internazionale del lunedì (a firma Ja Viktorov) osservava, a proposito del Congresso della pace di Varsavia, ch'esso aveva posto anche questioni nuove «specialmente questioni relative ad un appello alla Organizzazione delle Nazioni Unite colla richiesta di adempiere onestamente ai suoi obblighi di rafforzamento della pace e della sicurezza».

Tutto lo sviluppo del congresso ha dimostrato che questo è stato l'aspetto più interessante, direi lo scopo essenziale del convegno. Accanto alla consueta accademia propagandistica i partigiani della pace hanno impostato una linea di azione concreta, la cui importanza internazionale non è lecito sottovalutare.

Che questa presa di posizione, direi quasi questa sfida all'O.N.U. fosse il tema più importante del congresso, si è visto subito dal rapporto iniziale di Joliot Curie, che ha lanciato l'idea e fatto la prima proposta.

Il tema è stato ripreso, per una evidente parola d'ordine, da parecchi oratori: l'on. Pietro Nenni fra gli altri toccò l'argomento, parlando di «crisi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite». L'oratore ufficiale sovietico Fadeev (Ehrenburg svolse più tardi la sua solita parte di incantatore di serpenti) vi insistette in termini recisi ed autorevoli: «... purtroppo, anche qui l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ha detto Fadeev) non ha risposto alle speranze ed alle aspirazioni dei popoli. Essa si è trasformata in un mezzo di incoraggiamento delle forze della guerra — mezzo tanto più pericoloso, in quanto l'incoraggiamento delle forze di guerra si nasconde dietro ipocrite frasi d'amor della pace. Ecco perché io sostengo la proposta del Capo del nostro movimento per la pace signor Joliot Curie nel senso, che il nostro Congresso della pace deve rivolgersi alla Organizzazione delle Nazioni Unite a nome delle centinaia di milioni di amici della pace in tutto il mondo, colla richiesta di adempiere onestamente agli obblighi che le sono stati imposti dai popoli, di assicurare e di organizzare la pacifica collaborazione dei paesi, dei popoli e degli Stati.

Io approvo pure la proposte del signor Joliot Curie e del signor Nenni, nel senso che in questo appello all'Organizzazione delle Nazioni Unite a nome di centinaia di amici della pace in tutto il mondo, noi diciamo: Adempite al vostro dovere di fronte alla storia ed all'umanità. Che se voi non li adempirete, i popoli del mondo troveranno il modo di mettersi d'accordo anche senza di voi. Noi non vogliamo creare alcunché di nuovo, ma noi vogliamo che sia effettivamente attuato ciò che fu scritto a nome dell'O.N.U. al tempo della sua costituzione. Noi vogliamo che siano messe in atto praticamente quelle dichiarazioni sulla pace, sulla inammissibilità di impiego a scopo di guerra di mezzi di annientamento massiccio, come le armi atomiche, chimiche e batteriologiche, sulla riduzione degli armamenti e così via. Se le forze della guerra all'interno dell'O.N.U. non vi lasceranno la possibilità di tradurre in realtà le vostre stesse dichiarazioni, allora i popoli del mondo, anche più innumerevoli di quei cinquecento milioni che sottoscrissero l'appello di Stoccolma, costringeranno le forze della guerra a ritirarsi e si riuniranno all'infuori di voi sulla base della pacifica collaborazione, e daranno vita reale ad un autentico programma di pace lunga e duratura, esprimente gli interessi vitali di tutti i popoli».

Con le sue parole Fadeev teneva a dichiarare che non vi era nessuna intenzione di creare un organismo nuovo; ma nello stesso tempo ammoniva l'O.N.U. che, se essa avesse continuato a seguire la linea attuale, alla fine i popoli si sarebbero riuniti al di fuori di lei.

Ancora altri oratori ripresero lo stesso argomento, fra essi importante il delegato cinese Ho Mo Jo, che ripeté con parole diverse la minaccia di Fadeev: «Se in fin dei conti l'Organizzazione delle Nazioni Unite continuerà a rivelarsi incapace di soddisfare queste speranze, in tal caso noi non rimarremo colle mani in mano ad osservare il formarsi di una minaccia alla pace e la violazione della pace in tutto il mondo. Il nostro popolo cinese desidera prendere, insieme al popolo inglese, americano, francese, italiano, sovietico, polacco, coreano, mongolo ed a tutti gli altri popoli pacifici della terra, misure più effettive per l'assicurazione della pace e della sicurezza dei popoli».

Infine la delegazione italiana per bocca del sen. Ambrogio Donini, fece propria una proposta del delegato francese Ive Farge «per la creazione di una organizzazione permanente, la quale rispondesse a questa necessità, sorgente dalla situazione internazionale».

La necessità cui accennava il sen. Donini era quella di trovare un mezzo di accordi pacifici internazionali, dato che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si era rivelata finora inidonea a provocare tali accordi, e si era ridotta ad uno strumento del blocco americano. La critica e l'intimidazione (o minaccia) all'O.N.U. veniva così accompagnata dalla proposta di formazione di una organizzazione permanente nuova, la quale potesse realizzare i fini non raggiunti da quella.

Da tutto questo è nata l'approvazione dell'importante appello finale all'Organizzazione delle Nazioni Unite, nel quale dopo l'invito a risolvere secondo determinate e ben note linee pro-sovietiche i problemi mondiali (Corea, Cina, Formosa e Viet Nam

— Germania e Giappone — colonialismo — definizione dell'aggressore — propaganda di guerra — armi distruttive di massa — riduzione degli armamenti — scambi economici — scambi culturali) è sopratutto importante il punto decimo e conclusivo:

«10. Invitando l'Organizzazione delle Nazioni Unite a giustificare le speranze che i popoli in essa riposero, portiamo a sua conoscenza che è stato da noi creato un Consiglio mondiale della pace, il quale costituirà un organo rappresentativo comprendente i rappresentanti di tutti i popoli della terra, siano essi o no rappresentati alle Nazioni Unite, inclusi pure quelli, che oggi sono ancora soggetti o coloniali. Il Consiglio mondiale della pace richiamerà l'Organizzazione delle Nazioni Unite all'effettivo adempimento delle obbligazioni da essa assunte per il rafforzamento e lo sviluppo della pacifica collaborazione fra tutti i popoli. Esso assumerà su di sé l'alto compito di assicurare una pace solida e duratura, rispondente agli interessi vitali di tutti i popoli. Il Consiglio mondiale della pace darà all'umanità la certezza che, malgrado le difficoltà esistenti — che non è lecito sminuire — esso adempirà la missione assuntasi».

In sostanza: mentre Fadeev dichiarava che il Congresso della pace non avrebbe creato nulla di nuovo, qualche cosa di nuovo è stato subito dopo creato: non è stato tuttavia creato in luogo dell'O.N.U. ma accanto all'O.N.U., come organismo parallelo di controllo, di critica, di stimolo, ed anche di preparazione per una futura sostituzione.

Senza voler esagerare la portata dell'avvenimento, si deve riconoscere che il passo è serio e va seriamente considerato. Finora si erano più volte affacciate, del tutto a vuoto e su semplici congetture, ipotesi varie sulla possibile uscita dell'U.R.S.S. e dei suoi alleati dall'O.N.U. Di volta in volta ebbi occasione di esaminare e di escludere queste ipotesi. Oggi ci giunge al riguardo il primo, effettivo e concreto segnale d'allarme: sarebbe a mio avviso errato trascurarlo. La politica sovietica si rivela sempre più sistematica, compassata, fatta di mosse lente, non sempre del tutto chiare, ma di solito più o meno preannunciate. Persino quello che si assume come il modello tipico della sorpresa sovietica (l'accordo coi nazisti dell'agosto 1939) fu preceduto da guardinghi preavvisi — sopratutto un famoso articolo di Stalin — e da un chiaro mutamento di attitudine nei riguardi delle trattative cogli anglo-francesi.

Esaminando quindi seriemente la nuova posizione assunta dai sovietici al Congresso della pace, bisogna domandarsi fino a che punto essa costituisce soltanto una minaccia diretta a impressionare i paesi occidentali europei, e fino a che punto essa è invece il preludio, o il prudente inizio, di una larga svolta nella politica pacifica sovietica. Rispondere sicuramente è difficile, ma porre chiaro il quesito aiuterà a valutare i successivi atti della politica sovietica.

Da un lato, non pare dubbio che un intento intimidatorio nell'odierno gesto vi è. L'U.R.S.S. cerca in ogni modo di evitare il riarmo tedesco e il riarmo europeo, e si sforza di giungervi sia con le avances pacifiche, sia con le minacce più o meno chiare. La nota di Gromyko alle tre Potenze occidentali1 appartiene alla prima categoria di mosse, l'attuale creazione di un principio di organizzazione mondiale al di fuori

della O.N.U. appartiene alla seconda. Ho già avuto occasione di rilevare, e per me non è dubbio, che il giorno in cui l'U.R.S.S. uscisse dall'O.N.U., veramente si sarebbe alla vigilia di avvenimenti gravissimi: gli occidentali, e specialmente la Francia, se ne rendono conto. L'attuale larvata minaccia all'O.N.U. è diretta specialmente a impressionare i francesi, così come l'offerta di nuove trattative per il disarmo della Germania è diretta ad allettarli. Uguale portata, di tentativo di impressionare l'opinione pubblica occidentale, ha il tono piuttosto catastrofico del manifesto ai popoli del mondo, col quale si è chiuso il Congresso di Varsavia: «La guerra minaccia l'umanità — bambini, donne, uomini. La Organizzazione delle Nazioni Unite non ha corrisposto alle speranze dei popoli per il mantenimento della pace e della tranquillità. La vita degli uomini e le conquiste della cultura umana sono in pericolo».

Sarebbe tuttavia, a mio avviso, imprudente vedere nell'appello di Varsavia unicamente la mossa tattica, il gesto di propaganda e di pressione. I sovietici non drammatizzano del tutto a vuoto: essi non possono assistere indifferenti al riarmo dell'Europa, e sopratutto al riarmo della Germania. Questo era e rimane per loro il punto cruciale. È ragionevole pensare che, realizzato sotto la guida degli Stati Uniti, fra tre

o quattro anni, il riarmo dell'Europa e della Germania, gli Stati Uniti siano portati a valersene contro di loro. Tale ipotesi può essere estranea alla mentalità degli attuali dirigenti americani, ma non a quella di tutti gli uomini politici americani, né tantomeno estranea alla idea deformata che i sovietici se ne fanno. Le alternative che si presentano ai sovietici di fronte allo svolgersi di una tale situazione sono teoricamente tre: o subire passivamente il riarmo limitandosi alle proteste ed alle mosse diplomatiche, e fidando nel tempo e nel proprio rafforzamento; o fare dei passi concreti di distensione, sacrificando ad esempio, la Germania orientale in nome dell'umanità e del disarmo germanico; o infine, prevenire gli occidentali con una azione di forza prima che il loro riarmo sia compiuto.

Queste possibilità vanno tenute presenti tutte nel valutare la situazione, anche se si sia portati a conclusioni ottimistiche. Avendole presenti si può forse intendere meglio la portata della recente dichiarazione di Praga e del successivo passo di Gromiko, i quali potrebbero anche non avere una semplice funzione di vuoto appeasement, ma essere un principio di attuazione della seconda ipotesi sopra accennata.

Comunque, resta il fatto che i sovietici hanno dato, attraverso il Congresso di Varsavia, un chiaro segno della serietà colla quale considerano la situazione: hanno forzato i toni, probabilmente, a scopo di impressionare i sensibili nervi occidentali ma hanno anche preso di fronte all'O.N.U. un atteggiamento nuovo, concreto, lanciando un monito che non va preso troppo alla leggera.

P.S. Unisco i due articoli di fondo di Pravda ed Isvestia del 24 corrente2: entrambi, e specialmente il secondo, commentando il Congresso di Varsavia concentrano la loro attenzione esclusivamente sull'appello alla Organizzazione delle Nazioni Unite.

36 1 Vedi D. 5.

36 2 Non si pubblicano.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1195/709. Roma, 24 novembre 19501 .

Telespr. n. 21848/C. del 21 novembre 19502 .

Con due articoli di carattere ufficioso, pubblicati sul Quotidiano del giorno 16 novembre e nell'Osservatore Romano del giorno 21, a cui si può aggiungere l'articolo «Il destino di Gerusalemme» di Iginio Giordani sul Popolo del 18 novembre (che rappresenta il pensiero della Democrazia Cristiana), il Vaticano ha definito il proprio atteggiamento di fronte al nuovo progetto svedo-olandese per la sistemazione di Gerusalemme e dei Luoghi Santi palestinesi. Tal posizione, come mi fu ieri riconfermata ad abundantiam da mons. Tardini, è nettamente negativa.

La Santa Sede opina che le proposte svedo-olandesi — come un tempo il piano Garreau3 — non costituiscono un progetto capace, se realizzato, di risolvere il problema. La posizione del commissario delle Nazioni Unite, sia pur coi suoi poliziotti, sarà o diverrà in breve altrettanto inefficiente nella zona araba quanto — ed assai più — in quella ebraica. Quando si tratterà delle questioni minori, di cui il progetto lo vuole investire, se le sue decisioni non garberanno alle autorità centrali o locali esse sapranno insabbiarle o addirittura, pur nei debiti modi, non ne terranno alcun conto. I rapporti e le proteste, che il commissario porterà all'O.N.U., avranno il seguito che si può immaginare. In breve, il rappresentante delle Nazioni Unite sarà esautorato, o parli o taccia, quando non pensi qualche fanatico a farlo fuori, cosa che certamente sarebbe molto deplorata in Israele, ma si risolverebbe alla fine alla stessa maniera del caso Bernadotte: rimpianti ed impunità.

Quando poi si trattasse di questioni maggiori, per es. di quel conflitto fra le due parti che un giorno deve pur scoppiare, i Luoghi Santi di Gerusalemme avranno la sorte che la guerra di casa in casa e di strada in strada, non il commissario, determinerà.

Feci osservare a mons. Tardini che il progetto è per lo meno interessante, per i privilegi che assicura alle Comunità ed Istituti religiosi nella Palestina. Mi rispose che gli israeliani, se prenderanno tali impegni, lo faranno col fermo proposito di non osservarli.

In conclusione, e senza ripetere ancora quanto ebbi a scrivere in precedenti rapporti, la Santa Sede continua ad insistere sul piano di internazionalizzazione quale deriva dalla nota decisione dell'Assemblea delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1949. Salvo imprevisti voltafaccia, è opinione della Segreteria di Stato che, grazie all'atteggiamento degli Stati arabi, dei loro aderenti orientali e dei consueti Stati dell'America latina, non sarà possibile raggiungere i due terzi dei voti necessari ad annullare la risoluzione già approvata. E tutto ciò, dato che in Assemblea si arrivi a porre la questione,

2 Non pubblicato.

3 Vedi serie undicesima, vol. III, DD. 513 e 515.

e non la si rimandi. Senza contare che il consenso dei due Stati occupanti necessario alla riuscita del progetto, non è ancora assicurato, checché se ne dica.

Sull'atteggiamento della Francia, mons. Tardini non è stato esplicito: mi disse solo che, a sua notizia, v'era ancora dell'incertezza in seno al Governo. Il ministro Schuman si allineerebbe volentieri, anche questa volta, colla tesi della Santa Sede. Altri membri del Gabinetto propenderebbero invece per la proposta svedo-olandese, con qualche modifica opportuna per gli interessi francesi. Ho notato, in ogni modo, che il mio interlocutore non ha compreso la Francia nel novero degli Stati che assicurerebbero alla tesi dell'internazionalizzazione completa del territorio di Gerusalemme il terzo del voti necessario a mantenerla in vigore.

Per finire, mi ripeté di nuovo che le soluzioni intermedie, come quella ora pro-spettata, non servono e che, se prevalessero, l'avvenire lo dimostrerà, purtroppo. La Santa Sede non vuole quindi avervi parte alcuna di responsabilità; e, a tal proposito, protestò contro le voci artificialmente diffuse (a suo parere, dagli agenti israeliani) che la Santa Sede non sarebbe stata lontana dall'accettare una soluzione, qual'è quella ora proposta di accomodamento e di ripiego.

Non potendosi per ora far altro di buono, conchiuse mons. Tardini, meglio non pregiudicare la situazione ed attendere.

37 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

38

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2105/1073. Ankara, 25 novembre 1950 (perv. il 30).

Mercoledì 22 corrente sono stato ricevuto dal ministro degli affari esteri.

Fuat Köprülü ha tenuto innanzi tutto a confermarmi la sua viva soddisfazione per i lavori del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. In particolare si è detto lieto dell'appoggio avuto nella questione dei rifugiati turchi dalla Bulgaria. «La si-soluzione adottata è stata eccellente — mi ha detto —. È questo un risultato prezioso per la Turchia, che ha avuto la solidarietà degli altri paesi del Consiglio d'Europa, ma è stato altresì utile per quest'ultimo, perchè ha mostrato di poter, quando occorra, dare il necessario appoggio ai singoli suoi membri».

Il ministro Köprülü, accennandomi ai contatti avuti con V.E., mi ha detto di essere stato felice di constatare che le sue idee coincidono con quelle di V.E. e che i due paesi perseguono gli stessi obiettivi di pace sul medesimo piano concreto. In particolare la Turchia intende dare pieno appoggio alla causa dell'unità europea. Risponde al suo evidente interesse la formazione di un esercito europeo. Köprülü mi ha confidenzialmente riferito che Schuman, prima di fare le sue dichiarazioni a Strasburgo sull'esercito europeo, lo ha presentito al riguardo, analogamente a quanto ha fatto con gli altri membri del Comitato dei ministri. Fuat Köprülü ha risposto che il suo paese è pienamente favorevole alla costituzione dell'esercito europeo. Da quanto il ministro mi ha dichiarato, ho tratto l'impressione che la Turchia, dopo aver tentato invano le vie dell'intesa regionale mediterranea e dell'adesione al Patto atlantico, vedrebbe nella costituzione dell'esercito europeo una altra possibilità di inserirsi nel sistema della sicurezza continentale inquadrato nella garanzia atlantica. È questo uno dei motivi per cui questo paese sta accentuando il suo interessamento, finora alquanto teorico, a favore dell'unità europea. I contatti avuti a Roma e le favorevoli impressioni riportate sulle possibilità che la Turchia può trarre da una azione comune hanno senza dubbio influito su tale orientamento. Questo paese soffre di un «complesso di isolamento», in parte in conseguenza della sua situazione geografica, in parte per il distacco dal resto dell'Europa accentuatosi durante la guerra. Di qui il nervosismo della stampa e la preoccupazione ricorrente nell'opinione pubblica di non poter contare che sulle proprie forze in caso di crisi. Ho motivo di ritenere, e questa mia impressione è condivisa in vari ambienti diplomatici, che la Turchia intenda ovviare a tale pericolo moltiplicando i suoi contatti con i paesi del continente, per fare con essi, se possibile, una unità sola. In questa politica di avvicinamento all'Europa si fa pieno assegnamento sulla stretta collaborazione con l'Italia, il paese più vicino alla Turchia.

L'essenziale, mi ha detto Köprülü, è di non perdere tempo.

Le remore e le condizioni che la Francia oppone al riarmo tedesco sono motivo per la Turchia di profondo disappunto. In questi ambienti, così misurati e controllati, non si nasconde un profondo risentimento verso la Francia. La freddezza delle parole del presidente Celal Bayar nei suoi riguardi era già stata universalmente notata, sopratutto in confronto al calore delle espressioni per l'altra alleata della Turchia, l'Inghilterra. Nella conversazione avuta con me, Köprülü è stato a questo riguardo assai esplicito. Mi ha detto di aver dichiarato nettamente a Schuman che senza il concorso della Germania la difesa del continente europeo è impossibile. Sarebbe il suicidio. Nell'eventualità di una guerra l'Europa crollerebbe con tutti i suoi valori morali e materiali. Ogni ritardo giova unicamente alla Russia. È da tener presente che quando la Turchia insiste sulla necessità di un esercito europeo, intende altresì riferirsi alla necessità di sviluppare tutte le risorse che alimentano un forte potenziale militare, e in principal modo a una vasta organizzazione industriale degli armamenti alla quale la Turchia potrebbe ricorrere per le sue esigenze. Anche questa prospettiva apre delle possibilità di una larga collaborazione fra i nostri due paesi.

Ho chiesto a Köprülü se erano incominciate le intese fra gli Stati Maggiori greco e turco. Il ministro mi ha risposto che i contatti non ancora sono stati avviati, ma che cominceranno immediatamente, allo scopo di esaminare insieme i comuni problemi della difesa onde essere preparati a discuterli con gli Stati Maggiori del Patto atlantico. Il ministro si rende conto dell'interesse italiano nella impostazione e nella soluzione di tali problemi e mi ha fatto comprendere che la Turchia fa assegnamento sullo spirito di comprensione e di collaborazione del nostro Stato Maggiore e dei suoi rappresentati nell'organizzazione del Patto atlantico quando vi saranno discussi tali problemi. Per mia parte gradirei ricevere a suo tempo le opportune informazioni per esercitare nei miei contatti qui una azione di fiancheggiamento e di chiarimento.

Messo sull'avviso da quanto qualche rappresentante dei paesi arabi mi aveva vagamente accennato, ho chiesto al ministro Köprülü quali fossero le vedute della Turchia sulla situazione del Medio Oriente. Köprülü, premettendo di parlarmi a titolo strettamente confidenziale, mi ha risposto che effettivamente la Turchia sta svolgendo una politica di collegamento tra i paesi del Medio Oriente per giungere a una stabilizzazione della situazione in quel vasto e delicato settore. Lo scopo di tale politica è di opporre un argine alla penetrazione russa. Köprülü mi ha dichiarato che intenderebbe giungere ad un allargamento del patto di Saadabad, che ha avuto fino ad oggi una portata più teorica che pratica. Il ministro non si nasconde le difficoltà da superare. V'è sopratutto lo Stato d'Israele inseritosi nel cuore della zona araba, contro il quale i risentimenti degli arabi non disarmano. La Turchia ha vivo interesse a che si giunga ad una distensione. Ma non ho l'impressione che i suoi sforzi abbiano raggiunto alcun risultato. Il ministro non mi ha celato il suo disappunto sfogandosi sul-l'inesperienza di questi giovani Stati malati di chauvinisme, divisi da rivalità dinastiche, indeboliti dal persistere di un ordinamento feudale contrapposto alla miseria delle classi popolari. Questo divario di livelli economici tra una esigua minoranza troppo ricca e una schiacciante maggioranza troppo povera crea il terreno propizio al diffondersi del bolscevismo. Disgraziatamente, ha osservato Köprülü, ad accrescere il disordine in questo delicato settore intervengono i contrasti di interessi e le rivalità delle grandi potenze, che non si rendono ancora conto che il giuoco delle influenze è suranné, che la guerra ha segnato una svolta della storia, che il colonialismo è finito e che il volervi insistere non porta ad altro che a spargimento di sangue, a un indebolimento militare e allo sperpero di risorse finanziarie. È stato anche questo un velato sfogo contro la Francia.

Tutto lascia ritenere, anche da indiscrezioni fattemi da altra parte, che, per i motivi ora detti, a questa politica di consolidamento della situazione nel Medio Oriente sia tenuta estranea la Francia, mentre è visibile l'attivo interessamento del-l'Inghilterra. Su questo punto ho cercato di sondare il ministro. Köprülü mi ha risposto che effettivamente l'Inghilterra sta accentuando la sua azione politica nel Medio Oriente. Ma non ha aggiunto precisazioni. È risaputo d'altronde che i contatti di sir Noel Charles con questo Ministero degli esteri sono diventati assai frequenti dal ritorno di Fuat Köprülü da Roma. Sul lavorio della diplomazia britannica in appoggio alla politica turca nel Medio Oriente riferisco con rapporto separato1. L'intimità del resto delle relazioni tra la Turchia e la Gran Bretagna, è stata messa in questi giorni in particolare rilievo dall'invito di Celal Bayar a sir Noel Charles di accompagnarlo nel viaggio che il presidente ha fatto a Brussa.

Assai significativo, su questa intimità dei rapporti anglo-turchi, è stato un ac cenno fattomi da Fuat Köprülü al termine del nostro colloquio. Riferendosi alla votazione di Strasburgo a favore di una unione europea anche senza l'Inghilterra, il ministro mi ha dichiarato che una Europa senza la Gran Bretagna è inconcepibile. Gli ho fatto rilevare che uno dei primi patrocinatori dell'unità europea era stato Churchill e che l'iniziativa di Bidault e di Reynaud aveva verosimilmente il carattere di una pressione sull'opinione pubblica inglese. Ne ha convenuto, ma è evidente che per la Turchia, nella situazione attuale dell'Europa, la carta più sicura è per il momento rappresentata dall'alleanza britannica.

38 1 Vedi D. 39.

39

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 2109/1075. Ankara, 25 novembre 1950 (perv. il 30).

Ho riferito nel mio rapporto n. 2105/10731 in data odierna sul mio colloquio con Fuat Köprülü, quanto questi mi ha accennato sugli obiettivi della politica turca per consolidare la situazione del Medio Oriente. Ho anche messo in rilievo come questa politica si svolga d'accordo con l'Inghilterra, anzi nel quadro di una vasta azione che quest'ultima viene svolgendo per imbastire una prima organizzazione della sicurezza nel Mediterraneo orientale.

Secondo quanto si afferma negli ambienti arabi, si sarebbe ritornati tra Inghilterra e America a una più precisa ripartizione degli obiettivi strategici, in base alla quale l'Inghilterra si sarebbe assunto l'assetto difensivo del Medio Oriente.

Le alleanze che legano la Gran Bretagna alla Turchia, all'Irak e alla Giordania, le basi ch'essa possiede nel Mediterraneo orientale, l'interessamento che l'Australia e la Nuova Zelanda e il Sud Africa hanno di recente manifestato per un rafforzamento delle posizioni britanniche in questo settore, sono tutti elementi che avrebbero influito sulla determinazione americana di affidare all'Inghilterra una posizione preminente nel Mediterraneo orientale. Vi avrebbe sopratutto contribuito la necessità per gli Stati Uniti, messa chiaramente in evidenza dal noto articolo del generale Bradley, di concentrare le sue forze nei settori di preminente importanza per la sicurezza degli Stati Uniti.

Mi viene altresì riferito che nelle intese corse a tal fine tra i due paesi sarebbero state definite le relative sfere di sfruttamento petrolifero. In conseguenza di tale accordo, la Standard si sarebbe ritirata dalle zone limitrofe alla Libia orientale, dove aveva iniziato dei lavori di prospezione, e avrebbe liquidato sul posto tutto il suo materiale.

Ad accentuare ed affrettare questa politica di interessamento nel Medio Oriente, avrebbe contribuito la ripresa della pressione sovietica in questo settore, a cominciare dall'Iran, il cui accordo commerciale con l'U.R.S.S. è considerato l'inizio di uno slittamento della Persia verso una politica di neutralità: ma non è neppure da escludersi che l'azione sovietica sia stata a sua volta determinata dai primi segni di un maggiore interessamento delle potenze anglosassoni nel Medio Oriente, rivelatosi attraverso una serie di sondaggi, di indagini, di surveys compiuti da militari, agenti dell'Intelligence Service e personalità politiche britanniche e di altri paesi del Commonwealth. Alcuni risultati, emersi da questi sopralluoghi, sono già trapelati.

Dagli studi del genere sarebbe sorta la convinzione che sia difficile contare militarmente sull'Iran, e che occorra prevedere invece una guerra mobile appoggiata alle tradizionali basi di influenza britannica di cui l'Irak costituirebbe uno dei perni principali.

Lo scopo dell'azione diplomatica in corso sarebbe duplice: politico e strategico. Dal punto di vista politico si tende a legare con un accordo, di cui si è ancora ben lontani dal definire il contenuto, il mondo arabo dall'Iran fino all'Afghanistan. Qualche diplomatico arabo già parla di un patto del Mediterraneo orientale. Riterrei che, più che di precise obbligazioni, si tratti di creare una atmosfera e un orientamento comuni che assicurino la necessaria tranquillità per l'attuazione di piani militari.

Secondo quanto il segretario generale Akdur mi ha accennato e il ministro degli esteri mi ha precisato si tratta di allargare il Patto di Saadabad. Un accenno in tal senso era già contenuto nel discorso del presidente Celal Bayar alla inaugurazione della nuova sessione parlamentare. So in modo positivo che delle avances in tal senso sono già state fatte a questo ambasciatore dell'Iran, Said.

Questi ha desiderato attendere il ritorno da Roma del ministro Fuat Köprülü per ottenere delle precisazioni sulla portata degli accordi che s'intenderebbero stipulare. Ma è stato assai preciso su un punto e cioè che l'Iran non aderirà ad alcun patto che abbia una portata più impegnativa di quella di Saadabad che, come è noto, si limita alla garanzia delle frontiere comuni. Si assiste così a un vero rovesciamento della situazione; l'Iran, che fino a poco tempo fa insisteva per stringersi più intimamente con la Turchia, oggi recede da impegni troppo vincolativi e preferisce attenersi a una linea che da taluni viene senz'altro definita di neutralità. La Turchia a sua volta, che fino a ieri, in mancanza di una precisa garanzia da parte delle potenze atlantiche, si era nettamente rifiutata di vincolarsi con i suoi deboli vicini, prende l'iniziativa di accordi che a taluno dei suoi vicini sembrano fin troppo impegnativi. Se ne dovrebbe dedurre che la Turchia, in mancanza della garanzia atlantica, abbia ottenuto dalla sua alleata l'Inghilterra delle assicurazioni alquanto precise.

D'altro canto è l'evidenza stessa che se l'Inghilterra è disposta ad assumersi la responsabilità della difesa del Medio Oriente, deve pur disporre di forze adeguate a tale compito. Queste forze, molto probabilmente, saranno, almeno in parte, fornite dal-l'Australia, dalla Nuova Zelanda e sopratutto dal Sud Africa, come avvenne nel corso della prima guerra mondiale. È anzi probabile che il teatro di eventuali operazioni in questo settore sia il medesimo di allora. La stampa mondiale ha riferito la notizia che il fronte di difesa imperiale imperniato sulla base del Kenia è stato spostato verso il nord. Sembra che il nuovo fronte debba estendersi all'incirca dall'Anatolia al Golfo Persico ed abbia naturalmente come obiettivo di ostacolare una discesa dell'U.R.S.S. diretta ad impadronirsi dei vasti campi petroliferi di quella zona. La difesa non potrebbe perciò che essere organizzata lungo le linee di comunicazione che dalla Palestina, attraverso la Giordania e l'Irak, risalgono verso la Turchia. Guerra di deserto, probabilmente, in cui le forze imperiali britanniche hanno indubbiamente vecchia perizia ed esperienza. I capisaldi di questa organizzazione militare dovrebbero cioè essere per il momento gli Stati vincolati da alleanza con l'Inghilterra e le cui forze sono controllate dagli americani e dagli inglesi e cioè la Turchia, l'Irak e la Giordania.

Mi viene riferito che uno degli obiettivi principali dell'Inghilterra, nell'azione che viene svolgendo, sia di procurarsi delle sicure basi litoranee. A tal fine essa si sarebbe rivolta al Libano e alla Siria. La richiesta al Libano sarebbe stata avanzata durante la visita del presidente dei ministri libanese a Londra e quella alla Siria durante la recente visita del presidente del Consiglio siriano Nazim El Kudsi a Bagdad. Nel corso di quest'ultima sarebbe stata tra l'altro considerata la possibilità di una comune difesa dei due paesi come del resto appare verosimile dalla presenza a Bagdad del ministro della difesa siriano. Alla domanda irakena se la Siria sarebbe stata disposta a mettere delle basi a disposizione dell'Inghilterra, la Siria si sarebbe riservata di rispondere. Non sono in grado di valutare l'esattezza di tutte queste informazioni, che riferisco a puro titolo indicativo.

Ciò che non mi sembra dubbio è che la situazione nel Medio Oriente stia passando ad una nuova fase di maggiore dinamismo. Per ora siamo appena agli inizi di una evoluzione di cui non è possibile prevedere gli sviluppi. La difficoltà maggiore, in questa azione politica di coordinamento e di collegamento, è sempre costituita dal conflitto, tuttora aperto, tra i paesi arabi e lo Stato d'Israele. Mi risulta che la Turchia stia esercitando le più insistenti pressioni perché si venga a un componimento tra gli uni e l'altro, ma gli Stati arabi non sembrano disposti a demordere.

Comunque, nulla è per ora definito. Troppi elementi contrastanti agiscono in questo vasto mondo del Medio Oriente, ed ostacolano ogni tentativo di stabilizzazione. Ho riferito, nel mio rapporto sul colloquio con Fuat Köprülü, sulle difficoltà da lui accennatemi specialmente nei riguardi della situazione interna dei singoli Stati. La Turchia non vede senza preoccupazione che la politica britannica si orienta, per un indirizzo ormai tradizionale, verso i clan che detengono tuttora il potere, mentre pericolosi fermenti nazionalisti e sociali agitano le masse, sempre più insofferenti del regime dispotico dei pascià e dei bey e delle loro consorterie. La funzione della Turchia è di essere un po' il catalizzatore in questo processo di cristallizzazione, grazie alla sua qualità di Stato musulmano, ai suoi buoni rapporti con tutti i paesi confinanti, ma sopratutto per il suo prestigio di prima potenza militare del Medio Oriente.

Come ho accennato nel rapporto sul colloquio con Köprülü la Francia è tenuta all'infuori di questi lavori diplomatici. Ne ho avuto la conferma nei miei contatti con questo ambasciatore di Francia. Ora l'influenza che la Francia tuttora esercita per lo meno sul Libano e sulla Siria è certamente notevole. Sono tutti questi elementi che non consentono ancora di prevedere chiaramente come la situazione evolverà. Ho ritenuto comunque opportuno segnalarla fin d'ora nei suoi chiaroscuri salvo ad apportarvi quelle rettifiche o quelle conferme che risulteranno dallo sviluppo degli avvenimenti.

39 1 Vedi D. 38.

40

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1774/788. Oslo, 25 novembre 1950 (perv. il 1° dicembre).

L'atteggiamento preso a Strasburgo dai rappresentanti norvegesi — di cui V.E. è già a conoscenza — è stato qui commentato con favore sia in seno al partito socialista che nei partiti di opposizione.

«Gli scandinavi non sono contro l'idea federalistica in sé e per sé, né si oppongono alla collaborazione europea. Vi sono però ragioni storiche e geografiche per cui essi non possono accettare oggi la tesi federalistica. Né possono permettere che ci si illuda su di una idea, come quella degli Stati Uniti di Europa, che può essere vista solamente se proiettata in un futuro molto lontano. Gli scandinavi desiderano lavorare per una maggiore collaborazione europea su di un piano pratico, desiderano che di essa sia partecipe anche l'Inghilterra e pensano che, se occorre proprio guardar lontano, meglio allora guardare non ad una semplice unione europea, ma ad una vasta unione atlantica». Una simile tesi, che qui è sembrato un lieve passo avanti di fronte a quella totalmente negativa anteriore, trova qui molti consensi.

Essa è stata confermata del resto dal ministro degli esteri in una conferenza pubblica tenuta qui sull'argomento, il 24 corrente. Il signor Lange ha detto di essere favorevole ad una collaborazione europea «funzionale» e non costituzionale o federalistica, ed ha ampiamente svolto tale suo punto di vista, tanto più importante — egli ha aggiunto — in quanto il problema principale che si pone oggi all'Europa è quello di trovare la migliore maniera per sviluppare una armonica collaborazione non solo fra gli Stati del continente ma anche fra questi e gli Stati Uniti d'America.

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. 9947/216. Roma, 27 novembre 1950, ore 13,50.

Con riferimento mia lettera personale 494 del 16 novembre1 le comunico che Brusasca il quale pranzò il 24 da Bebler mi telegrafa2:

«Non abbiamo parlato nostri problemi eccetto quello deportati Gorizia. Ho illustrato Bebler assoluta necessità chiudere questa triste pagina che costituisce sempre grave ostacolo riconciliazione popolazioni frontiere. Bebler che conosce bene questione mi ha promesso suo interessamento Belgrado».

Le raccomando caldamente la cosa; una reale prova di buon volere jugoslava è necessaria.

Brusasca aggiunge anche che Bebler alla fine del pranzo si associò cordialmente al suo voto di feconda collaborazione fra i due paesi.

2 T. 13825/462 del 25 novembre da New York, qui parzialmente ritrasmesso.

41 1 Non rinvenuto.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. URGENTE 1248/044. Roma, 27 novembre 1950.

Sembra venuto il momento di riconsiderare con la massima attenzione la possibilità di far entrare il nostro paese nell'O.N.U. Il deadlock creato dall'atteggiamento russo era tanto più pericoloso in quanto, con l'andar del tempo, gli Stati Uniti si sentivano sempre meno proclivi, non solo a barattare l'ingresso dell'Italia contro quello di tanti molesti satelliti, ma anche più semplicemente a sottostare ad uno stato di cose che portasse all'ingresso di nuovi membri, automatici votatori, rumorosi e irresponsabili ostruzionisti.

È chiaro che in una situazione simile una via di uscita si può presentare soltanto se un nuovo grosso elemento entra in giuoco. E questo sembra appunto essere rappresentato dall'ingresso della Cina comunista, un fatto che non può essere valutato soltanto dal punto di vista del disturbo ed imbarazzo che esso porterà nella ristretta vita di Lake Success, ma che provoca invece ripercussioni politiche di ben più ampio respiro. Inoltre, volenti o nolenti gli Stati Uniti, l'ingresso della Cina comunista come membro permanente del Consiglio di sicurezza sembra essere un fatto inevitabile, a meno che non si voglia prospettarci ipotesi ben più gravi. Si presenta dunque, a mio parere, una possibilità unica, che ad ogni costo occorre non farci sfuggire per ottenere l'entrata dell'Italia in pari tempo. Sia che questa avvenga in occasione di un generale scambio di concessioni, per cui, di fronte al fatto nuovo e formidabile della apparizione della Cina comunista, le porte si spalanchino in pieno e tutti quelli che ne erano rimasti fuori siano ammessi insieme a varcare la soglia dell'O.N.U. sia, come forse è più probabile, che l'ingresso della Cina comunista porti ad un accordo più ristretto, per cui sarebbero lasciati fuori i satelliti minori, meno utili e più ingombranti, e verrebbe ammessa con la Cina comunista anche l'Italia, eventualmente l'Austria.

Comunque, è chiaro che è nostro dovere svolgere una azione energica in questo senso. Prego V.E. di volersi recare da Acheson a mio nome, e fargli presente quale importanza noi attribuiamo alla cosa. Gli dica che il Governo e il popolo italiano mai comprenderebbero che gli Stati Uniti manchino questa occasione per ottenere la simultanea riparazione di un grave torto, che abbiamo subito e profondamente sentito1 .

Le sarà risposto, evidentemente, che per il momento l'America non pensa ad ammettere la Cina. Le sarà addirittura rammentato che, sin dall'aprile scorso, il Governo americano aveva dichiarato che, pur essendovi contrario, esso non avrebbe opposto il proprio veto all'ingresso della Cina qualora una maggioranza dei membri del Consiglio di sicurezza si fosse pronunciata per l'ammissione. Ma ella vorrà far intendere che queste sono ragioni formali, e che anche quando gli Stati Uniti si astengono dal voto, la loro presenza e la loro volontà influiscono profondamente sulle decisioni prese in qualsiasi corpo.

È inutile che io aggiunga l'opportunità di far capire al suo interlocutore che la presenza dell'Italia all'O.N.U., cioè di un paese del quale l'America può completamente fidarsi per la lealtà dimostratale in tante occasioni, non mancherebbe di riuscire molto utile al suo Governo.

Le ricordo infine la mia conversazione con Trigve Lie2 di cui ella tutto seppe a suo tempo. Comunque Mascia può riferirle — come ella può pregarlo da parte mia di agire su Lie in relazione alla mia conversazione col segretario generale3 .

42 1 Sforza inviò questa prima parte del presente documento a Gallarati Scotti, con la ovvia sostituzione nell'ultima frase del nome di Acheson con quello di Bevin, con il Telespr. urgente 1247/064, pari data.

43

IL RAPPRESENTANTE A TRIPOLI, GAJA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 13938/225. Tripoli, 28 novembre 1950, ore 18,45 (perv. ore 22,30).

Blackley mi ha dato visione stamane di suo telegramma inviato ieri Foreign Office e Bengasi, nel quale egli comunica mufti gli avrebbe espresso intenzione Assemblea nazionale libica procedere seduta 2 dicembre p.v. proclamazione senusso a re della Libia. Motivo tale mossa sarebbe, secondo mufti, necessità prevenire manovre Azzam pascià e Stati arabi nonché opportunità mettere Pelt dinanzi fatto compiuto.

Blackley avrebbe risposto mufti che misura era prematura e che comunque sa rebbe stato conveniente, ad evitare complicazioni politiche e costituzionali, che As semblea si limitasse «designare» senusso a sovrano futuro Stato. Mufti si sarebbe tuttavia dimostrato irremovibile, facendo intendere che non poteva sottrarsi pressione deputati Cirenaica. Dispaccio Blackley concludeva facendo presente che pertanto sembrava inevitabile che sabato corona libica fosse offerta senusso.

Amministratore capo mi ha aggiunto verbalmente che è prevista per 2 dicembre approvazione breve risoluzione relativa:

1) struttura federale futuro Stato;

2) offerta corona a senusso;

3) riconoscimento bandiera nazionale libica (rossa nera verde).

Blackley ha concluso dicendo che aveva desiderato farmi comunicazione per evitare che decisione Assemblea potesse costituire per noi sorpresa e per conoscere eventuale commento Governo italiano.

Ho risposto che non avrei mancato di informare Roma al riguardo1 .

3 Per le risposte da Washington e da Londra vedi rispettivamente i DD. 59 e 62. 43 1 Per la risposta vedi D. 47.

42 2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 438.

44

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 12425/7100. Washington, 28 novembre 1950 (perv. il 4 dicembre).

Riferimento: mio telegramma n. 886 del 18 corr.1 .

So che il Comitato militare si riunirà a Londra il 5 dicembre, che la riunione mista del Comitato medesimo e del Consiglio dei supplenti avrà luogo due giorni dopo e che si spera di convocare il Comitato di difesa la settimana successiva.

Il Dipartimento di Stato si mostra relativamente ottimista sull'esito di questi incontri. Il suo ottimismo è basato principalmente sulla probabilità che venga accolta la recente proposta di Spofford.

Secondo quanto ci è stato detto qui, la proposta sarebbe basata sul seguente principio: poiché la fase preliminare del riarmo tedesco (reclutamento, addestramento iniziale, raggruppamento in piccole unità ecc.) durerà almeno otto-dieci mesi, è bene iniziarla subito; al termine di essa, si vedrà se le unità tedesche dovranno essere inquadrate direttamente nelle forze «atlantiche» o se, nel frattempo, il progetto francese di costituire un esercito europeo si sarà rivelato realizzabile. La Francia, pur non avendo ancora approvato la proposta sopradescritta, si proporrebbe di convocare una conferenza dei paesi europei, intesa ad esplorare ulteriormente la possibilità di attuare, con opportuni emendamenti, il progetto Pleven.

Su quanto precede, V.E. è certamente informata, più esattamente e dettagliatamente, da Londra. Per parte mia, desidero sottolineare taluni aspetti delle intenzioni americane, che mi sembrano presentare molto interesse e, forse, qualche pericolo.

Il Dipartimento di Stato, sia pure con tutte le riserve imposte dall'impossibilità di fare previsioni sull'esito delle imminenti discussioni di Londra, ha l'impressione che non appena fosse raggiunto un accordo sui principi ispiratori della proposta Spofford, e prima di passare allo studio dei problemi pratici del riarmo tedesco, converrebbe prendere contatto col Governo di Bonn. Infatti, sopratutto in vista del risultato delle recenti elezioni in Germania (il quale è qui giudicato come un elemento fortemente perturbatore), il Dipartimento di Stato riterrebbe assai inopportuno porre la Germania occidentale di fronte a progetti concreti, ch'essa potrebbe respingere, e ritiene preferibile farla partecipare alle discussioni al più presto possibile.

Questi propositi americani mi fanno pensare che sarà sollevata assai presto la questione della procedura da seguire per trattare col Governo di Bonn. Il Dipartimento di Stato esclude che la determinazione della procedura e, a fortiori, le trattative rientrino nella competenza del Comitato militare o di quello di difesa. Ciò mi sembra abbastanza logico, poiché il problema è prevalentemente politico. Senonché, da qualche indiscrezione, risulterebbe che lo stesso Dipartimento potrebbe essere favorevole a negoziare con la Germania per il tramite dei tre Alti commissa

ri, cioè attraverso accordi fra le tre Potenze occupanti; e questo, a mio avviso, sarebbe pericoloso.

Il problema del riarmo tedesco è un problema che riguarda tutto il mondo occidentale e, in particolare, i paesi europei e l'Unione atlantica. Come tale, esso è stato trattato finora da tutti i membri del Patto atlantico, con la sola eccezione delle infruttuose trattative anglo-franco-americane nell'imminenza dell'ultima sessione del Consiglio nord-atlantico. Nella discussione di esso l'Italia ha avuto, per opera di V.E. e del ministro Pacciardi, una parte di primo piano. Riportarlo nell'ambito dei Tre, non sarebbe corretto né politicamente opportuno, tanto più che la sua soluzione dev'essere cercata nel quadro di una «forza integrata», atlantica o europea, sulle cui creazione tutti hanno il diritto di pronunciarsi fin dal principio.

Mi sembra, ora, prematuro sollevare ufficialmente la questione. Ho ritenuto però necessario prospettarla a V.E., affinché, se il mio timore le sembra giustificato, richiami l'attenzione del supplente italiano sulla necessità di chiarire, a suo tempo, a Londra la procedura delle trattative fra il Governo di Bonn e paesi del Patto atlantico2 .

44 1 Non pubblicato.

45

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 10024/547. Roma, 29 novembre 1950, ore 20.

Mio telegramma in data odierna n. 5461 .

Rossi Longhi mi segnala che Alphand, evidentemente su istruzioni ricevute, ha assunto atteggiamento più rigido. Proposta Spofford di compromesso sembra respinta in alto mare.

Ciò ha indotto Spofford richiedere presa posizione sostituti su questione fondo e cioè se fosse preferibile inquadramento forze tedesche direttamente in forza integrata ovvero tramite esercito europeo.

Risposte sono state nella sostanza unanimemente favorevoli prima alternativa. Sostituti britannico olandese e norvegese dichiarato inoltre che rispettivi Governi sono recisamente contrari ad esercito europeo e di non essere disposti partecipare conferenza prevista da suddetta proposta Spofford.

Olandese e norvegese spiegato loro atteggiamento affermando che non partecipazione britannica ad esercito europeo non assicurava necessaria proporzione tra forze tedesche ed altre forze che avrebbero dovuto costituire esercito europeo.

Ella sa che abbiamo fatto molto per riavvicinare punti di vista francese ed americano. Proposta Spofford, sebbene macchinosa e non convincente, rappresenta ultimo tentativo di accordo, cioè ultima possibilità per Governo francese di vedere realizzata, almeno in parte, sua tesi. Se si ritorna alla posizione originaria americana, appoggiata da tutti, e osteggiata soltanto dalla Francia, si va incontro ad un contrasto grave, che non si vede come possa sanarsi, e ciò in un momento in cui la situazione internazionale ispira le più vive e giustificate apprensioni.

Vada da Schuman e gli rappresenti questo stato di cose, e gli dica quanto sarebbe necessario per quelle ragioni di superiore interesse europeo, di cui egli ha così lucida coscienza, impartire istruzioni ad Alphand per venerdì prossimo di aderire alla proposta Spofford. Gli dica, citandomi fra virgolette, che se oso fargli questa raccomandazione è perché son convinto che in ultima analisi gioverà Francia2 .

44 2 Il documento reca la seguente annotazione di Sforza: «Telespr. a R. Longhi accentuando ciò che detto a p. 3». Il relativo telespresso di istruzioni per Rossi Longhi non è stato rinvenuto.

45 1 Ritrasmetteva il T. s.n.d. 13783/27 del 24 novembre con il quale Rossi Longhi aveva riferito quanto qui riassunto.

46

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 165/115. Londra, 29 novembre 19501 .

Da ultimo mio telegramma n. 30 del 28 corrente2 .

Con i miei precedenti telegrammi ho di volta in volta riferito sui dibattiti avvenuti nel Consiglio dei sostituti in merito al problema della collaborazione tedesca alla difesa dell'Europa occidentale. Sembrami tuttavia opportuno dare uno sguardo generale sull'insieme della discussione in modo da rilevarne l'evoluzione.

Compito dei sostituti era quello di cercare a Londra una possibile via d'uscita dall'impasse nella quale ci si era venuti a trovare a Washington, in modo da poter nuovamente indirizzare le trattative sulla via di un compromesso costruttivo. Si trattava, in sostanza, di avvicinare due concezioni tanto diverse da apparire quasi irriconciliabili.

Le differenze delle due concezioni — l'americana e la francese — erano palesi e sostanziali: diretta incorporazione dei tedeschi nella forza integrata da un lato, e tramite l'esercito europeo dall'altro; divisioni da una parte, e battaglioni dall'altra come misura massima delle unità tedesche; accentramento della direzione e della

2 Rossi Longhi aveva riferito sull'argomento oggetto del presente documento con i seguenti telegrammi: T. segreto 13062/7 dell'8 novembre, T. segreto 13299/8 del 13 novembre, T. s.n.d. 13398/14 del 15 novembre, T. s.n.d. 13479/16 del 17 novembre, T. s.n.d. 13588/20 del 20 novembre, T. s.n.d. 13783/27 del 24 novembre e T. s.n.d. 13959/30 del 28 novembre.

responsabilità militare nelle mani del Comandante supremo, lasciando la responsabilità politica ai singoli Governi (tesi americana) e creazione di un ministro della difesa europea responsabile direttamente verso un'Assemblea politica esclusivamente europea (tesi francese).

I sostituti pertanto, sotto l'abile presidenza di Spofford, si sono adoperati innanzi tutto, più che a soppesare differenze già fin troppo evidenti, a trovare quali fossero i punti di contatto dei due piani per avere una base da allargare poi fino a giungere ad una soddisfacente soluzione di partenza che consentisse il raggiungimento del comune accordo.

Anche a Londra come a Washington l'inciampo nel procedere è provenuto dal fatto che gli scopi da raggiungere sono antitetici: e cioè conferire alle forze tedesche un massimo di efficienza e di aggressività in funzione anti-sovietica, pur mantenendole nel contempo imbrigliate, sottomesse e malleabili, nei riguardi dell'Europa occidentale. In altri termini discriminare nei confronti dei tedeschi senza averne l'aria. Si spera, in una parola, che i tedeschi della Germania occidentale siano docili e remissivi verso l'Ovest e si mostrino, in caso di attacco sovietico, combattivi verso l'Est.

Questi desideri contrastanti hanno influenzato in modo notevole, anche se mai apertamente ammessi, le discussioni. Ed è da notare che l'assurdità di tale situazione si è ancora aggravata per l'atteggiamento degli inglesi, i quali desiderano che l'Europa occidentale sia militarmente unita e compatta nella difesa del territorio, ma divisa nelle istituzioni politiche.

Altra difficoltà è che si sta discutendo dei modi per controllare il riarmo della Germania, senza conoscere esattamente fino a che punto queste limitazioni potranno venire accettate da coloro che sono chiamati a prestare la loro collaborazione militare.

In siffatta situazione gli americani si sono mostrati senza alcun dubbio i più realisti, forse anche perché essi per la loro posizione sono in grado di considerare più obiettivamente i problemi sovraccennati.

Per conto mio, tenendo presenti le indicazioni di cui al telegramma di V.E. n. 8 dell'11 corrente3, ho svolto un'azione diretta ad appoggiare sostanzialmente il punto di vista americano, cercando peraltro di non mostrarmi troppo critico della tesi francese. Ho creduto tuttavia dovere mettere in rilievo come essa ci lasciasse molto perplessi dato che il piano francese per premunirsi contro un pericolo futuro ed ipotetico, comportava decisioni e sovrastrutture di carattere politico, che andavano troppo lontano per poter essere discusse con quell'urgenza che il pericolo attuale e reale che sovrastava, e contro cui l'Alleanza atlantica era diretta, imponeva.

Le proposte francesi (Documento NATO D.D./174, già inviato)4 .

Occorre innanzitutto rilevare che le proposte francesi, quali esposte dal sostituto francese, sono una versione mitigata del piano Pleven originale e ciò, evidentemente, per venire in qualche modo incontro alle esigenze americane.

Infatti Alphand si è limitato a dichiarare che il contributo militare tedesco doveva effettuarsi, a giudizio del suo Governo, entro il quadro di un esercito europeo, con un bilancio comune amministrato da un Alto commissario europeo della

4 Non pubblicato.

difesa (non più dunque un ministro) nominato dai Governi europei partecipanti e responsabile verso un'Assemblea europea, che egli ha suggerito avrebbe potuto essere quella del piano Schuman (non più dunque quella di Strasburgo). Alphand ha anche aggiunto che la Francia era disposta ad accettare che le unità tedesche fossero costituite da «combat-teams» (in luogo dei soli battaglioni, come indicato dai francesi in un primo tempo).

Per quanto riguardava l'aspetto per così dire psicologico del piano, Alphand ha messo in rilievo che per impedire il risorgere del militarismo tedesco non bastava imporre proibizioni (e cioè divieto di ricostituire sotto qualsiasi forma dello Stato Maggiore tedesco nonché di costruire materiale da guerra pesante ed aerei), ma occorreva giungere ad accordi con la Germania basati su reciproca comprensione ed interesse. A giudizio del Governo francese, restrizioni e limitazioni sarebbero, con l'andar del tempo, necessariamente cadute, ciò che comporta la necessità di provvedere fin d'ora ad una maggiore unità europea. Alphand ha detto che secondo la concezione francese la Germania democratica doveva potere divenire una parte integrante e volenterosa di un'Europa occidentale economicamente sana, militarmente forte, politicamente unita. Si sarebbe infatti dovuto formare un singolo mercato per le materie prime essenziali comprendente la Francia, la Germania, il Benelux e l'Italia; creare un unico esercito «europeo» per contribuire con le altre forze atlantiche alla difesa della frontiera orientale d'Europa; istituire un'Assemblea nella quale i rappresentanti tedeschi si sarebbero venuti a trovare alla pari con gli altri.

Da notare che il progetto francese quale esposto dal sostituto francese continua a porre alla base, come presupposto e condizione per il riarmo tedesco, la firma del piano Schuman, annunciata da Alphand come imminente, e dà come scontata la non partecipazione inglese alla unità economica militare e politica d'Europa.

Successivamente Alphand ha fatto circolare, a titolo personale, un suo promemoria (che qui unisco)5 come contributo ad un maggior ravvicinamento dei punti di vista francese ed americano.

Il punto di vista americano.

Il punto di vista americano è stato chiarito da Spofford in un memorandum che qui si unisce (Documento NATO D.D./190) nel quale vengono esposti i seguenti concetti:

1) urgenza di organizzare la difesa collettiva dell'Europa e necessità che la Germania partecipi a tale difesa che deve essere portata il più possibile ad Est;

2) urgenza di giungere ad un accordo circa la partecipazione tedesca dato che più tempo passa e più il problema diventa argomento di discussione in Germania ai fini della politica interna;

3) le proposte francesi vanno «troppo lontano». Tutti i problemi che esse comportano non possono venire risolti con la rapidità imposta dalla situazione e quindi un immediato ed effettivo sforzo militare non può essere subordinato alla soluzione di tali problemi;

4) talune misure, sulle quali esiste un largo accordo di massima, possono e debbono essere attuate immediatamente, in modo da consentire l'inizio di una organizzazione militare e cioè reclutamento e produzione di materiale bellico in Germania, anche se sotto stretto ed efficiente controllo provvisorio;

5) tali misure di carattere contingente e provvisorio andranno progressivamente sostituite da quelle misure che dagli organi permanenti, sia militari che politici, saranno giudicate più adeguate;

6) per il momento si dovrà procedere alla registrazione, al reclutamento e all'addestramento delle forze tedesche a mezzo di Agenzie federali germaniche controllate dagli Alti commissari e dai comandanti militari alleati. Il controllo della produzione e dell'approvvigionamento di materiale bellico di maggiore importanza sarà esercitato dagli Alti commissari alleati e dal «Military Security Board» in collegamento con gli organi appropriati del N.A.T.O. La determinazione della misura della partecipazione tedesca alla forza integrata (compresa la fissazione della unità minima da inquadrare e che gli Stati Uniti ritengono che si dovrebbe trattare di unità «of minimum fully effective size») spetta al Comitato militare;

7) nel medesimo tempo le potenze europee si dovrebbero riunire, con la partecipazione di rappresentanti tedeschi, in una conferenza per formulare le proposte di creazione di Istituti atti a venire incontro alle proposte francesi.

A questo punto il sostituto olandese ha voluto complicare ancora le cose proponendo l'istituzione di un Alto commissario N.A.T.O. che dovrebbe controllare l'attività dell'Agenzia federale o delle Agenzie federali germaniche, cui sarà demandato di provvedere al reclutamento, all'addestramento nonché all'amministrazione delle truppe tedesche (Documento NATO D.D./191 qui allegato). Proposta questa che, dal-l'andamento della breve discussione di cui è stata fatta finora oggetto, è da ritenere finirà per essere lasciata cadere anche perché si anticipa che essa non mancherebbe di suscitare grandi difficoltà tedesche all'accettazione di un controllo N.A.T.O. e cioè da parte di un organismo che non ha veste per imporre il suo controllo e a cui i tedeschi sono estranei.

Il punto della situazione è stato fatto da Spofford, il quale ha messo in rilievo che vi sono due elementi da riconciliare:

a) la situazione militare che è urgente, e che egli non ha esitato a definire molto seria;

b) il piano francese che comporta decisioni di natura politica che vanno troppo lontano e che quindi implicherebbero non necessarie lunghe discussioni.

«Noi dobbiamo trovare una soluzione — ha detto Spofford — che non distrugga né l'una né l'altra delle due suddette esigenze. Noi non desideriamo di ostacolare, per dei motivi di urgenza militare, le aspirazioni ad una più intima associazione europea. Noi siamo favorevoli ad essa, ma non vogliamo ch'essa intralci, a sua volta, l'esecuzione dei piani di carattere strategico che tendono al rafforzamento della comunità atlantica».

In sostanza Spofford ha ribadito la necessità di mettere in atto le misure militari senza perdersi dietro aspirazioni che, allo stato attuale, rappresentano soltanto un «intralcio». L'organizzazione politica prevista dalla proposta francese (specialmente avversata da inglesi, norvegesi e olandesi) non è esclusa invece dagli americani che suggeriscono, sia pure con l'intento di sgombrare il terreno, che essa formi oggetto di una conferenza europea.

Malgrado che in un primo momento sembrasse che i francesi fossero disposti ad orientarsi verso il suggerito compromesso americano, essi hanno successivamente irrigidito il loro atteggiamento.

Si è così giunti alla seduta di ieri nel corso della quale Spofford ha provocato una netta presa di posizione da parte dei sostituti. Questi si sono espressi tutti inequivocabilmente contro il progetto francese nel suo insieme rilevando come esso comportasse, nella migliore ipotesi, grave ritardo nella formazione della forza integrata. Duramente contrari sono stati i sostituti britannico e norvegese i quali hanno dichiarato di non essere disposti a partecipare in nessun caso all'organizzazione prevista dal progetto francese e neppure a una eventuale conferenza che dovesse prenderlo in esame. Analogamente si è espresso il sostituto olandese affermando che la costituzione di una forza europea senza la partecipazione inglese non poteva essere presa in considerazione.

Inoltre i sostituti norvegese e olandese hanno svolto il concetto che mancando la partecipazione inglese non sarebbe possibile di formare un equilibrio in seno all'esercito europeo fra le forze germaniche e quelle degli altri Stati che vi partecipassero.

Le uniche dichiarazioni che, anche se contrarie, sono state più benevoli, almeno nella forma, verso il progetto francese, sono state la mia e quella del sostituto belga.

Per dare tempo ad Alphand di consultare personalmente il suo Governo la prossima riunione non avrà luogo che venerdì 1° dicembre.

45 2 Con T. s.n.d. 14107/488 del 1° dicembre Quaroni assicurò circa l'esecuzione del passo prescrittogli. L'ultimo capoverso del presente documento fu trasmesso a Rossi Longhi (T. s.n.d. 10023/21 del 29 novembre) che aveva chiesto istruzioni per rispondere alla domanda di Alphand se l'Italia sarebbe stata disposta a partecipare alla Conferenza proposta dagli U.S.A. (T. s.n.d. 13956/31 del 28 novembre). Sforza, infine, informò della questione Tarchiani con il T. 10042/435 del 30 novembre.

46 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

46 3 Vedi D. 17.

46 5 Gli allegati non si pubblicano.

47

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE A TRIPOLI, GAJA

T. S.N.D. 10043/157. Roma, 30 novembre 1950, ore 17.

Suo 2251 .

Ella potrà dire a Blackley che lo ringraziamo della comunicazione che consideriamo tuttavia tardiva come del resto tutte le precedenti. Nostro punto di vista avrebbe coinciso con quello di Blackley che considerava proclamazione senusso prematura, tanto più se si tiene conto atteggiamento di riserva assunto da Stati arabi. Per suo orientamento le confermo che, a nostro parere, sarebbe opportuno dare qualche soddisfazione a richieste, del resto legittime, avanzate da Azzam pa scià. Ciò per poter giungere senza scosse alla costituzione Stato libico e per evitare tempestivamente fermenti nazionalisti e xenofobi. Sintomatico a questo ri

guardo (e lo dica a Blackley) atteggiamento Pelt che ritarda suo ritorno Tripoli per lasciare responsabilità avvenimenti ad Amministrazione britannica. (Telegramma odierno n. 156)2 .

47 1 Vedi D. 43.

48

IL MINISTRO A GEDDA, TURCATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14065/77. Gedda, 30 novembre 1950 ore 19,30 (perv. ore 24).

Ho telegrafato Taiz quanto segue: «Bilad Saudia pubblica notizia invio Londra Washington Cairo ministri plenipotenziari yemeniti. Qualora notizia risponda verità prego vostra altezza reale voler farmi conoscere telegraficamente pensiero sua maestà iman in circa esecuzione articolo 3 trattato di amicizia italo-yemenita 4 settembre 1937, circa invio ministro yemenita Roma e apertura legazione d'Italia a Taiz».

Prego telegrafare eventuali istruzioni a riguardo1 .

49

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14077/975. Londra, 30 novembre 1950, ore 22 (perv. ore 7,30 del 1° dicembre). Mio 9711.

Riferendosi nota sovietica circa incontro ministri esteri Bevin2, dopo riepilogo motivi per cui proposta come è formulata non è accettabile, ha annunziato che Governi francese, britannico ed americano, dopo lunga approfondita consultazione, hanno convenuto opportunità riunire settimana prossima a Parigi propri esperti per studiare dettaglio risposta ed esaminare tutte possibilità incontro fruttuoso con Governo russo.

2 Vedi D. 5.

Annunzio costituisce punto saliente parte discorso Bevin dedicata rapporti con Russia circa la quale Eden, esprimendo assenso opposizione, ha suggerito che tre alleati occidentali sottopongano in risposta a nota russa unica agenda quale base conversazioni conferenza, che comprende:

1) trattato pace Austria;

2) creazione commissione quadripartita incaricata investigare attuale situazione forze armate Germania occidentale ed orientale;

3) ogni altro argomento urgente e importante per pace mondiale3 .

Passando poi argomento difesa Europa occidentale Bevin ha dichiarato che Governo inglese ritiene che essa può essere assicurata unicamente dalla più stretta collaborazione possibile fra tutti gli Stati Patto atlantico; per questo ha appoggiato pienamente proposta per formazione forza atlantica integrata. Circa partecipazione militare tedesca Bevin ha dichiarato che sono comprensibili preoccupazioni per rapido riarmo Germania, possibile rinascita mentalità nazista e riformarsi vecchio esercito tedesco con suo Stato Maggiore. Ad ovviare tale pericolo Governo inglese aveva concordato Stati Uniti che contributo tedesco dovesse assumere forza di unità inquadrato in forza atlantica integrata. Purtroppo tale proposta è stata respinta Governo francese.

Proposta francese esercito europeo e relativa organizzazione politica non può essere accettata giacché non farebbe che ritardare preparazione difesa Europa. Unità europea non è più possibile nell'ambito esclusivo Europa ma soltanto in più ampia comunità atlantica. Questa unione di dodici stati includenti due paesi Commonwealth (Gran Bretagna e Canada) dovrebbe svilupparsi in associazione duratura al di là del-l'immediato proposito difensivo.

Se tuttavia Governo francese ed altri Governi continente desiderano esaminare possibilità formazione esercito europeo come parte forza atlantica integrata, Governo inglese non si opporrà. Bevin ha rivolto caldo appello Francia non creare ostacoli e ritardi in attuale pericolosa situazione mondiale.

Eden si è dichiarato favorevole creazione esercito europeo soprattutto se esso porti a stretta collaborazione tra Francia e Germania. Tale esercito sarebbe forza permanente alla quale Stati membri darebbero contributo, che per alcuni sarebbe solo limitato: esso si affiancherebbe sotto comando unico a esercito atlantico di cui farebbero parte anche forse Stati Uniti e Canada, Gran Bretagna, concentrando sue forze soprattutto raggruppamento atlantico, potrebbe forse secondo Eden, fornire contributi esercito europeo.

47 2 Trasmetteva il T. segreto 13953/469 del 28 novembre da New York, a firma Confalonieri, relativo alla posizione di Pelt.

48 1 Con T. 10243/67 del 6 dicembre Guidotti comunicava l'approvazione per quanto telegrafato a Taiz. Per il seguito vedi D. 245.

49 1 Pari data, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito sul dibattito di politica estera ai Comuni, evidenziando come fosse stato «caratterizzato da sostanziale comunanza di vedute fra Governo e opposizione e da esplicite dichiarazioni governative su assoluta concordanza fra Gran Bretagna e Stati Uniti di fronte gravità situazione internazionale».

49 3 Per le risposte alleate alla nota russa vedi D. 118.

50

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14079/33. Londra, 30 novembre 1950, ore 22 (perv. ore 7,30 del 1° dicembre). Telegramma di V.E. 211 .

Ho messo al corrente Spofford istruzioni impartite da V.E. ad ambasciatore a Parigi circa atteggiamento francese in relazione riarmo tedesco.

Spofford espressomi sua viva soddisfazione per intervento V.E. inteso a fare uscire francesi da loro difficile posizione a preservare unità paesi alleati e mi ha chiesto trasmettere suoi ringraziamenti.

Avendo Spofford mostrato preoccupazione intransigente atteggiamento contrario assunto da olandesi che si rifiutano anche di accettare di partecipare a conferenza europea da lui suggerita, gli ho chiesto se non pensasse di far pervenire all'Aja tramite Van Zeeland quei consigli di atteggiamento più conciliativo che V.E. aveva già fat to pervenire a Parigi.

Spofford si è mostrato molto interessato a suggerimento circa cui mi ha detto avrebbe intrattenuto questa sera stessa sostituto belga.

Nel corso conversazione Spofford mi ha anticipato che farà domani in seduta Consiglio dichiarazione circa aggravarsi situazione internazionale seguito andamento operazioni militari Corea. Ha aggiunto che nelle attuali contingenze opinione pubblica americana diventa sempre più impaziente nei riflessi dell'Europa non riuscendo a comprendere come Stati europei rimangano in disaccordo ed incerti di fronte a sovrastante pericolo.

51

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 6282/4242. Londra, 30 novembre 19501 .

Il Lord Cancelliere che negli ultimi tempi ho veduto con frequenza e le cui conversazioni mi furono di utile orientamento nella comprensione della politica estera e interna del Governo inglese, ha desiderato che io fossi interprete presso V.E. del suo pensiero circa le ragioni dell'atteggiamento della Gran Bretagna in rapporto alle ultime riunioni del Consiglio d'Europa a Roma e a Strasburgo e alle posizioni prese di fronte alla tendenza federalista particolarmente accentuata dai francesi e dai parlamentari italiani.

51 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

Premesso che egli aveva assai apprezzato il modo e l'equilibrio di giudizio di

V.E. a questo proposito, ben lontano dal tono polemico di altri rappresentanti, Lord Jowitt riteneva utile una chiarificazione circa le sostanziali differenze tra l'impostazione che alla questione viene data dall'Europa continentale e quella datavi non solo dal Governo britannico ma — a suo parere — anche dalla grande maggioranza del-l'opinione pubblica inglese.

Cominciando la chiarificazione dall'esporre il proprio pensiero il Lord Cancelliere mi disse che nessuno più di lui — e V.E. lo sapeva — era stato ed era fautore convinto di una sempre più stretta collaborazione tra Europa occidentale e la Gran Bretagna, e che le condizioni generali del mondo indicavano sempre più la necessità di tale unione.

La cooperazione inglese con le nazioni europee al di là della Manica s'imponeva oggi come si era imposta e aveva trionfato nelle due altre guerre, ed era assolutamente fuori della realtà immaginare una specie di isolazionismo egoistico del Governo e del popolo inglese proprio in questo momento in cui tutto portava a una integrazione tra il Regno Unito e le nazioni affratellate nella comune difesa.

Ma l'equivoco cominciava là dove si chiedeva il segno della solidarietà britannica in una rinuncia a principi politici, a convinzioni, a tradizioni a cui la Gran Bretagna doveva la forza stessa della sua posizione nel mondo.

Chiedere alla Gran Bretagna di aderire alla ideologia federalista e impegnarla in una esperienza che implicava una adesione definitiva ad una nuova organizzazione del mondo europeo, proprio in uno dei momenti più critici e delicati della storia era, secondo lui, chiederle l'impossibile.

Lasciando da parte ogni discussione sul piano teorico e considerando la questione da un punto di vista di valutazione realistica dell'ora attuale, il Lord Cancelliere osservava che grazie alla separazione del Canale l'Inghilterra aveva potuto mantenere una saldezza dei sui istituti e delle sue libertà che — in fin dei conti — era tornata a vantaggio di tutti, mentre nell'Europa continentale le vicende degli ultimi decenni avevano creato situazioni politiche di ben diversa incertezza. Il comunismo, che in Inghilterra contava su poche forze la cui rappresentanza in Parlamento era stata eliminata nelle ultime elezioni, permaneva quale grossa minaccia sul continente e importanti erano le sue posizioni nelle nazioni europee anche se in Italia la saggezza del Governo era riuscita per il momento a contenerle e diminuirne il mordente. Creare una federazione europea (questo è in parole povere il pensiero di Lord Jowitt) proprio al momento in cui dopo la burrasca dell'ultimo decennio le nazioni continentali non danno ancora garanzia di avere trovato in loro stesse una stabilità sufficiente che lasci intravedere quale potrà essere il loro avvenire politico — è una esperienza di ottimismo, un atto di fede precorritore degli eventi che la prudenza inglese sconsiglia. Così il rinunciare da parte della Gran Bretagna a una frazione della propria sovranità nazionale per un pool con altre nazioni a struttura assai più mobile, significa firmare una cambiale in bianco che lascerebbe esitante qualsiasi Governo, anche quello conservatore se esso dovesse prossimamente succedere a quello laburista. Poiché, a parere di Lord Jowitt, su questo punto la massa del partito conservatore non è lontana, nella sostanza, dalla politica dell'attuale Governo.

Vi è un altro lato non abbastanza compreso a Strasburgo e che si frappone a una piena intesa tra l'Inghilterra e le altre nazioni partecipanti al Consiglio d'Europa: ed è la questione di metodo. L'Inghilterra in politica non si lascia commuovere da ideologie e non segue una linea logica; ama procedere passo passo sul terreno concreto con un suo certo empirismo sperimentale che può dare fastidio agli «europeisti».

L'importante per l'Inghilterra è che una organizzazione, un istituto, più che razionalmente stia praticamente in piedi e mostri di avere forze sufficienti per camminare sulla terra sia pure zoppicando.

Dove non veda un punto di partenza positivo, una indicazione che nasca dalla realtà nota, dai fatti più che dalle formule astratte, l'Inghilterra si ritrae più che in fretta, per istinto. E sarebbe un grave errore credere che, per pressioni, la si possa portare dove altre nazioni vorrebbero. Anzi le pressioni la irrigidiscono e la insospettiscono sempre più. Con questo la Gran Bretagna non dice che una federazione del-l'Europa continentale debba essere impossibile, non vuole anzi mettere bastoni nelle ruote a nessun nobile e serio progetto che si volesse eventualmente tentare di attuare. Ma essa non può partecipare a esperimenti in cui non ha fiducia. Ciò che non implica, peraltro, un ritraimento dalle sue posizioni attuali di sincera collaborazione europea. «Ogni crescente contributo alla difesa europea, alla vita comune d'Europa, lo daremo con convinzione; ma non si pretenda da noi ciò che non possiamo dare».

Con altro accento, beninteso, Lord Jowitt parlò della collaborazione nella comunità atlantica dove gli sembra che le nazioni stesse che si fanno paladine della tesi federalistica europea possano trovare una base per risolvere molti dei più urgenti problemi continentali. E ciò non perché nel Patto atlantico vi sia una prevalenza di «lingua inglese»; ma perché esso, anche politicamente, risponde a una più immediata necessità, a un imperativo categorico del momento storico attuale, a delle esigenze concrete di unione che trascendono la stessa Europa per riallacciare l'Europa a tutto l'Occidente e a più vasti interessi mondiali.

Non lo disse in termini precisi, ma mi parve che la ragione e la conclusione del discorso di Lord Jowitt fossero questi: perché dividerci su delle formule astratte, perché cercare a tutti i costi un comune denominatore che non potrà per ora essere trovato tra nazioni europee ed Inghilterra, su questa questione? Perché «bizantineggiare» mentre la tempesta avanza e sovrasta e non lavorare piuttosto sulle basi della realtà esistente, sulle concrete possibilità di oggi in una comunità, in una unione già in atto, dato che il tragico momento storico non lascia tempo di fare esperimenti né ai forti né soprattutto ai più deboli?

50 1 Vedi D. 45, nota 2.

52

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14189/273. Mosca, 1° dicembre 1950, ore 21,35 (perv. ore 24).

Mentre in questi ambienti diplomatici anche dei paesi satelliti seguonsi con preoccupazione avvenimenti Corea riconoscendo che mai situazione fu critica come oggi, da parte sovietica si mantiene finora massimo riserbo ed ostentasi assoluta calma. Comunicati su le operazioni militari sono più ottimisti ma laconici e solo ieri Lieraturnaia Gazzette nella periodica rassegna militare cominciava parlare sconfitta americana senza fare cenno intervento cinese. Stampa in generale riserva suoi spazi ad amplissimi resoconti discorsi sovietico e cinese Nazioni Unite. Conferenze propaganda accentuano alquanto aumento pericolo guerra senza tuttavia attribuirgli imminenza né gettano allarme.

Soviet appaiono evidentemente soddisfatti andamento conflitto Corea ma atteggiansi estranei seppure sostenitori calorosi diritti cinesi. È opinione mia e di altri ambasciatori occidentali che soviet pur rendendosi conto rischi situazione, da essi stessi favorita con appoggio dato cinesi, non si propongono e non prevedono generalizzazione conflitto. Quanto meno sino ad oggi non risultano elementi tali da far ritenere che soviet vogliano i cinesi agli estremi e provocare corrispondenti irrimediabili reazioni americane. Sembra invece che essi contino soprattutto su prudenza inglese e genericamente su impreparazione e divergenze mondo occidentale ampiamente rilevato loro stampa come da mio telegramma 2711 per bloccare eventuale iniziativa americana. Oggi ancora tutti i quotidiani sovietici pubblicano estratti discorso Bevin estrema cautela nella ricerca soluzione conflitto.

53

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 10128/440. Roma, 2 dicembre 1950, ore 22.

È nota a V.E. e a Governo americano posizione Governo italiano espressa ancor ieri da dichiarazioni presidente De Gasperi e mie a commento discorso Truman1. Siamo, molto più che non altri alleati europei, convinti che solo atteggiamento fermezza adottato da Stati Uniti può evitare ripetersi errori commessi da democrazie fra 1936 e 1939 e salvare pace. Governo compie ogni sforzo per convincere di ciò opinione pubblica italiana onde poter contare in ogni evenienza sul suo fiducioso appoggio. Ma a ciò sola nostra azione non basterebbe se paese finisse per avere sensazione che suoi destini potrebbero essere decisi al di fuori di esso. È una apparenza di nostro isolamento che nuoce qui alla causa comune. Non pongo affatto in modo perentorio questione mia possibile venuta costì per quanto convinto che essa potrebbe essere utile ma lascio a Governo americano suggerire modo che gli appare più conveniente per venire incontro crescente esigenza morale che non si deve ignorare se si vuol rafforzare posizione Governo italiano e feconda nostra collaborazione atlantica. Informi subito Acheson e telegrafi2 .

2 Con il T. segreto 14366/919 del 3 dicembre Tarchiani rispose:«Dichiarazioni presidente De Gasperi e V.E. sono state qui accolte con molto favore. Mi esprimerò nel senso indicato circa necessità evitare sensazione isolamento Italia. Eventualità viaggio V.E. mi appare peraltro superata da rinuncia Pleven, da conseguente carattere bilaterale imminenti conversazioni Washington e da prevista prossima riunione Consiglio nord-altlantico».

52 1 Del 28 novembre, non pubblicato.

53 1 In «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 49, p. 868.

54

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, ANDREOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Roma, 2 dicembre 1950.

Avrei voluto parlarle a lungo nelle scorse settimane della mia visita nella Venezia-Giulia, ma le sue gravi preoccupazioni, legate al difficilissimo momento, me lo hanno impedito. Non pretendo davvero dopo tre giorni di permanenza a Trieste di poterle fornire dati che ella non conosca già sulla situazione della città e delle zone adiacenti. Credo però mio dovere manifestarle l'apprensione più viva che il soggiorno a Trieste ha in me consolidato sui riflessi che le vicende delle due zone del cosi-detto «Territorio Libero» potranno avere nel futuro della vita politica italiana e dei rapporti con la nazione confinante.

Non parlo qui del fenomeno, pur preoccupante, della progressiva espansione dell'indipendentismo, radicato su complessi motivi anche economici e non certo combattuto dagli Alleati. Mi riferisco invece alla sensazione riscontrata negli am bienti più diversi circa uno sgretolamento della chiara affermazione tripartita della primavera del ‘481. Tutti avvertono il timore che la preoccupazione di non perdere la Jugoslavia vada ogni giorno di più inducendo gli Alleati ad una politica di accondiscendenza verso Tito ai danni dell'Italia, considerata — essi dicono — come più pronta ad addivenire a transazioni incassatrici.

E alla ovvia risposta che come confinante è meglio avere Tito che Stalin essi replicano che gli Alleati potrebbero però imporre a Tito un comportamento meno inumano almeno nella Zona B. Ed invero come si concilia la dichiarazione tripartita con la tolleranza più gelida di uno stato di fatto degno in pieno delle peggiori tradizioni naziste?

Ho voluto parlare di persona con elementi che vivono in Zona B (e l'ho fatto naturalmente nelle forme più riservate). Specialmente dai parroci ho avuto precise descrizioni di un regime di polizia e di affamamento tendenzioso che mi hanno profondamente colpito ed addolorato. Il tempo certamente non lavora per l'Italia in Zona B, e se lo stillicidio dell'esodo continuerà noi perderemo le maggioranze etniche in non pochi centri della Zona B, dove gli jugoslavi fanno costantemente affluire loro elementi con le più varie mansioni, burocratiche ed economiche.

Che fare?

Da un punto di vista assistenziale il presidente ha disposto una intensificazione ed un coordinamento degli aiuti, aggiungendo anche sensibili forniture di medicinali. Ulteriori misure speriamo di poter prendere nei prossimi mesi. Ma il problema non è tanto materiale quanto psicologico e politico.

La convinzione che la Zona B possa essere sacrificata sull'ara del Patto atlantico si fa strada e corrode il sentimento nazionale. Noi sappiamo che non è vero ma dobbiamo dirlo e ripeterlo, e se possibile dobbiamo evitare gli elogi e i complimenti

a Tito fatti da Truman (che parla di baluardo di civiltà!) e dai parlamentari inglesi troppo frequentemente ospiti della Jugoslavia.

Anche l'aiuto di grano alla Jugoslavia è un altro grave colpo se non sarà accompagnato dall'accettazione della richiesta italiana (che doveva essere messa come condizione) di estendere l'aiuto alla Zona B, con quei controlli che l'Italia fin dai primi aiuti Unrra ha sempre avuto senza con questo perdere dignità o prestigio.

So bene come lei abbia sempre teso alla instaurazione di rapporti normali al confine orientale, ma dobbiamo riconosce che occorre una volontà bilaterale per raggiungere un minimo di accordo. Si potrebbe intanto studiare il modo di avere a Capodistria una sub-missione italiana così come c'è a Trieste per la Zona A. Questo sarebbe visto dagli italiani come un atto di presenza passibile di buoni sviluppi.

L'Italia fa per Trieste grandi sacrifici in ogni campo, ma purtroppo è proprio da Trieste che può scoccare la scintilla di una reazione contro la quale tutte le leggi antifasciste sarebbero vane. E poiché trattarsi di stati d'animo non mi pare inutile che, oltre a fare, si parli anche, per rincuorare quanti difendono con estremo pericolo i valori italiani al confine. E lei è più di tutti qualificato per dire questa parola.

Anche perché nello stato attuale io credo che sarebbe illusorio pensare ad una intesa degli eserciti italiano e jugoslavo per compiti comuni. Vorrei sbagliare nella previsione ma credo che nella ipotesi deprecata di movimenti di truppa avremmo una sicura falla nello schieramento di difesa poiché la popolazione civile mai tollelererebbe rebus sic stantibus una alleanza di fatto con gli infoibatori di tanti italiani. Forse gli americani non farebbero male a considerare questo aspetto e noi dobbiamo non stancarci di riproporlo.

Proprio per arrivare ad un accordo con la Jugoslavia le cui linee giuste gli americani sono in grado di imporre2 .

54 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

55

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14415/280. Mosca, 4 dicembre 1950, part. ore 0,31 del 5 (perv. ore 7,30).

Sono stato convocato oggi da Bogomolov, il quale, in risposta al nostro promemoria circa riparazioni1, mi ha consegnato un altro promemoria, col quale i sovietici insistono sul pagamento di produzione industriale corrente già in ritardo di 14 mesi. Dopo di ciò promemoria esprime consenso riaprire a Mosca conversazioni per la questione delle riparazioni italiane nel suo insieme, quindi inclusa anche la questione dei beni italiani. Per parte russa tali trattative vengono condotte dallo stesso Bogomo

lov. Ho risposto che mio mandato era strettamente limitato a trattare la questione della valutazione beni, ma che comunque avrei riferito. Bogomolov mi ha replicato che essendo i vari elementi dell'obbligazione inseparabili, non si poteva trattarne uno solo senza logicamente considerare anche l'altro. Effettivamente non sarà facile fissare valore attività senza indicare automaticamente anche la differenza da pagarsi in produzione corrente, salvo ad opporre in merito eventuali eccezioni, desunte da trattato di pace, in sede separata.

Promemoria sovietico, corredato da mie osservazioni, viene trasmesso con prossimo corriere2 .

54 2 Sforza rispose con L. personale 1/5471 del 6 dicembre, non pubblicata. 55 1 Vedi D. 33.

56

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. S.N.D. 10214/23. Roma, 5 dicembre 1950, ore 22.

Suo 381 .

Ogni ragionevole soluzione accettabile da maggioranza che permette superare attuale difficoltà per partecipazione tedesca forza integrata non può non trovarci d'accordo. Quale soluzione alternativa che potrebbe riuscire più accettabile ai tedeschi si potrebbe proporre che poteri Alto commissario fossero investiti nella stessa persona Comandante supremo.

Comunque qualora prevalesse in una forma o nell'altra idea far dipendere Alto commissario N.A.T.O. da ristretto Consiglio ministri suoi poteri dovrebbero essere strettamente limitati a funzioni controllo Agenzia federale tedesca.

È tuttavia da considerare se allargamento Consiglio ministri a tutti i membri Pat to atlantico non possa facilitare, sia pure per ragioni di carattere formale, sua accettazione da parte tedesca.

56 1 Del 4 dicembre, non pubblicato.

55 2 Vedi D. 57.

57

L' AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14462/283. Mosca, 5 dicembre 1950, ore 14,36 (perv. ore 18,15).

Riferimento telegramma di questa ambasciata n. 2801 .

Considerata bene, la risposta sovietica mi pare dettata essenzialmente dalla preoccupazione di non compromettere preventivamente la posizione dell'U.R.S.S. nel senso di ammettere che con la valutazione dei beni si possa esaurire l'intero debito italiano delle riparazioni. Si vuole cioè chiarire che una differenza dovrà rimanere pagabile con la produzione corrente. Stando così le cose suggerirei di formulare una risposta di questo genere: «il Governo d'Italia in risposta ecc. accetta di riprendere le conversazioni per la determinazione delle riparazioni dovute all'U.R.S.S. ossia per concordare il valore delle attività italiane in Bulgaria, Ungheria e Romania, e la conseguente differenza, che rimanesse eventualmente, doversi in produzione industriale corrente a termini del trattato di pace». Una tale formula non pregiudicherebbe le posizioni né sovietiche né nostre e nemmeno la nostra possibilità di fare in seguito valere altre eccezioni nell'ambito del trattato di pace prima di fornire la corrente produzione2 .

58

IL RAPPRESENTANTE A TRIPOLI, GAJA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14497/238. Tripoli, 5 dicembre 1950, ore 21,10 (perv. ore 7 del 6).

Decisioni Assemblea nazionale di cui al telegramma n. 231 del 2 corrente1 sono state accolte da popolazione locale con assoluta apatia.

B.A.T., nell'intento di mostrare esistenza consenso popolare che non trovava spontanea manifestazione, ha provveduto dichiarare festiva giornata odierna (genetliaco senusso). Erano previste alcune dimostrazioni giubilo per designazione sovrano nonché di gratitudine U.S.A. per estensione Libia punto 4° Truman. Dimostrazioni non hanno potuto avere corso non solo per indifferenza generale popolazione, ma per oppo

sizione gruppo non numeroso ma deciso di elementi unitari che hanno violentemente attaccato mufti, hanno lacerato o fatto ammainare alcune bandiere federali e si sono trattenuti vociando dinanzi sede B.A.T. Non sono mancate grida comunisteggianti.

Riassumendo elementi attuale situazione:

1) proclamazione senusso è avvenuta tra generale indifferenza popolazione Tripolitania che non può avere alcuna simpatia per supremazia cirenaica;

2) tutti partiti dichiarato tuttavia, salvo forse Kutla, accettare ormai senusso come simbolo unità nazionale;

3) sotto pressione delegati pakistano ed egiziano elementi Congresso, che, secondo dichiarazioni stesso Mizran, si trovano grave crisi, cercano svolgere attività senso anti-federalistico. Ciò, secondo quanto affermatomi da Kamel Selim Bey, dovrebbe servire base per azione Consiglio Nazioni Unite tendente ottenere che costituzione preparata da Assemblea nazionale non entri in vigore se non dietro approvazione Parlamento elettivo e proporzionale, condizione che dovrebbe portare a proclamazione Stato unitario;

4) è convinzione generale che decisioni Assemblea nazionale rispondano, anziché a gioco forze locali, ad intesa tra grandi potenze.

Rilevo che ciò che è veramente in discussione oggi è questione struttura unitaria

o federale del futuro Stato. Dottrina federale è impersonata da Assemblea nazionale mentre sostenitori unità e il Congresso rappresentano politica egiziana, elementi di cui venuta Boshir Saadawi Tripoli potrebbe aumentare attività e possibilità.

Per difesa nostri interessi sembra più conveniente, almeno in questa fase, struttura federale (che è poi l'unica di fatto attuabile, salvo rovesciamento dei rapporti politici esistenti fra potenze interessate); esistenza illusioni in senso unitario aumenta comunque importanza nostra adesione ad una od altra tesi. D'altronde, carattere decisivo nostro intervento, specialmente in Consiglio O.N.U., facendoci arbitri fra due parti in contrasto, rende specialmente delicata, dal punto di vista locale, nostra posizione.

57 1 Vedi D. 55. 2 Con T. 10839/201 del 24 dicembre Zoppi approvò questa formula. 58 1 Le decisioni in questione riguardavano l'elezione del mufti a proprio presidente e la proclamazione della Libia come Stato sovrano indipendente, a struttura federale, sotto la monarchia di re Idris.

59

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 12640/7215. Washington, 5 dicembre 19501 .

Riferimento: Telespresso urgente di codesto Ministero n. 1248/044 del 27 no vembre u.s.2 .

Ho richiamato ancora una volta l'attenzione del Dipartimento di Stato sulla ingiustamente mancata ammissione dell'Italia fra le Nazioni Unite e sulla necessità

che, qualora un compromesso fosse trovato per la sostituzione della Cina nazionalista con quella comunista, le potenze occidentali approfittassero dell'occasione per ottenere l'inclusione dell'Italia.

Ciò, naturalmente, ha per ora un carattere molto teorico a causa della situazione in Estremo Oriente. Tuttavia il Dipartimento di Stato ha assicurato che la questione è tenuta presente, in senso a noi favorevole, per il caso che l'eventualità sopraindicata si verifichi.

59 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 42.

60

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO

T. S.N.D. 10242/76. Roma, 6 dicembre 1950, ore 22,30.

Ambasciatore del Canada mi ha rimesso un memorandum di Pearson sulla situazione chiedendo mio avviso.

Gli ho subito risposto che condividevo pienamente la sua formula centrale: «situazione in Corea deve essere considerata sotto un punto di vista di strategia globale e del presente rapporto di forze armate fra mondo sovietico e mondo democratico». Condividevo anche quando mi comunicava circa

1) fare il possibile per evitare guerra anche perché se Cina e U.R.S.S. precipitassero una guerra noi dovremmo provare che ci fu imposta;

2) quindi lasciar aperta porta negoziati con Cina sino all'ultimo momento e astenersi dal far dichiarare Cina aggressore dall'O.N.U.;

3) cercare di creare una zona demilitarizzata considerando anche la questione di Formosa e dell'ingresso Cina all'O.N.U.

Circa punto terzo ho aggiunto che credevo che l'attuale impostazione della questione Formosa era diminuita d'importanza per America. Circa ingresso O.N.U. ho aggiunto che anche nell'interesse generale stimavo desiderabile che l'eventuale ingresso Cina dovrebbe farsi insieme con l'Italia. Ciò avrebbe conservato equilibrio nell'Assemblea e avrebbe tolto aspetto di concessione strappata1 .

60 1 Per il seguito vedi D. 74.

61

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, E AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. S.N.D. 10250/446 (Washington) 25 (Londra). Roma, 7 dicembre 1950, ore 13.

(Solo per Londra) È stato telegrafato ambasciata Washington quanto segue: (Per tutti) Si è conclusa prima fase previste conversazioni con missione

M.D.A.P. circa programmi produzione per potenziamento nostre forze armate.

Abbiamo fornito informazioni molto dettagliate circa impiego a tale scopo fondi ordinari e straordinari bilancio militare e sono state determinate deficienze tra nostre disponibilità attuali e previste, ivi compresa assistenza americana end items, e fabbisogni in base piano medio termine.

Americani si sono dichiarati soddisfatti risultati concreti conversazioni e Jacobs, che è partito stamane per breve visita Washington, discuterà costà, sulla base dati da noi forniti, forma e misura assistenza americana.

Conversazioni con Jacobs di cui sopra non (dico non) hanno riguardato produzione per trasferimenti altri paesi.

V.E. potrà prendere visione dati forniti a Jacobs presso generale Lovera cui Ministero difesa li ha inviati direttamente.

(Solo per Washington) Con telegramma successivo1 che prego comunicare anche a Malagodi perché possa tenerne conto nei suoi contatti costà, vengono forniti ulteriori dettagli (riguardanti anche commesse) circa aspetti economico-finanziari.

62

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14577/991. Londra, 7 dicembre 1950, ore 17,35 (perv. ore 23,30).

Telespresso urgente V.E. 064 del 27 novembre1 .

Tenuto conto urgenza questione e difficoltà vedere subito Bevin che proprio in questi giorni ha persino dovuto, in relazione pressanti impegni e sviluppi situazione internazionale, rinunziare a prevista (e pur brevissima) visita in Germania, ho ritenuto opportuno sollevare intanto questione nostra ammissione O.N.U. con sottosegretario permanente, in attesa poterne intrattenere segretario di Stato.

62 1 Vedi D. 42, nota 1.

Strang, rendendosi pienamente conto fondatezza nostra aspirazione che del resto era sempre stata condivisa da Governo britannico, mi ha assicurato che essa verrà particolarmente tenuta presente ove sviluppi situazione Lake Success offrissero possibilità quel compromesso prospettato in comunicazione V.E. Egli mi ha confermato che Governo britannico continua a considerare auspicabile, a tutti gli effetti, insediamento rappresentante Pechino in Consiglio di sicurezza; ma non mi ha nascosto impressione che evoluzione situazione sembra, almeno per il momento, affievolire tale possibilità anziché rafforzarla.

61 1 Vedi D. 64.

63

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 12740/7265. Washington, 7 dicembre 1950 (perv. il 10).

A seguito del mio telegramma n. 9341 ho l'onore di riferire sul lungo e cordialissimo colloquio che ho avuto con Lovett, al Pentagono.

Il sottosegretario usciva da una conferenza con Marshall, che ha preso parte a quasi tutte le conversazioni Truman-Attlee e si preparava a tornare alla Casa Bianca.

Ho espresso a Lovett, col quale ho lunga consuetudine amichevole dal tempo in cui era sottosegretario di Stato, la solidarietà del Governo e della grande maggioranza del popolo italiano in questo momento di prova. Gli ho detto che l'Italia reagiva nel miglior modo nelle attuali difficoltà: avevo notizia non ufficiale, ma certo attendibile, che un nuovo Consiglio [supremo] di difesa al Quirinale aveva deciso d'impegnare altri ingenti fondi (si parlava di 200 miliardi, oltre quelli già stanziati) per assicurare la difesa nostra e nel comune interesse delle nazioni atlantiche.

Lovett si è molto compiaciuto di questo spirito e di questo particolare annuncio.

Mi ha detto che in Corea gli Stati Uniti avevano certo incontrato un grosso insuccesso, con notevole perdita di uomini e di materiali, ma che non tutto questo male veniva per nuocere.

Dopo lo scacco di Corea, comunque finisca, (si spera con una o due teste di ponte per logorare l'avversario) gli Stati Uniti (nella loro opinione pubblica e nei loro organi dirigenti) sono fermamente decisi a fronteggiare il pericolo che ora vedono molto più chiaro e vicino che non nel passato. L'armamento loro e degli Stati amici sarà affrettato e accresciuto. (Ha aggiunto che l'embargo sul petrolio e la benzina per la Cina e gli altri provvedimenti in senso restrittivo creeranno serie difficoltà ai cinesi che dovranno attingere molti elementi indispensabili per la guerra e per la vita dalla Russia, indebolendo le possibilità in rifornimenti essenziali di questa in Europa).

Le conversazioni con Attlee non hanno fatto che confermare il concetto che l'Europa è il centro della difesa mondiale, è l'elemento vitale da salvare, mantenere, mettere a riparo, come elemento di conservazione e come elemento di ripresa dopo un eventuale cataclisma.

Gli ho allora detto che mi rendevo conto perfettamente della calma e dello stoicismo americano di fronte alla disavventura coreana, e della valutazione realistica che il Governo dava di essa, non rifuggendo da nessuna soluzione, anche l'evacuazione totale se dovesse apparire conveniente rispetto a più sostanziali interessi.

In Europa, ed anche in Italia, lontane dalla Corea e dagli Stati Uniti, erano certo sotto una molto penosa ed imbarazzante impressione. Che avrebbero fatto, o avrebbero potuto fare gli Stati Uniti dopo questa sciagura materiale e di prestigio?

Secondo me il modo migliore e più celere per riparare a questa depressione momentanea, bene impressionare il popolo e incoraggiarlo, era quello di dimostrare che l'America non solo è intatta ma raddoppia le sue energie e le sue possibilità effettive, e decide e pratica un più rapido ed effettivo riarmo dell'Europa, e nel caso no stro dell'Italia.

Gli ho spiegato tutti i vantaggi di una intensificazione, ben inscenata, delle spedizioni d'armi e di mezzi in questo momento.

Lovett ha accettata subito l'idea, dicendo che la trovava eccellente. Ha dichiarato di non avere i dati sulle immediate disponibilità (specie in considerazione delle perdite di materiale in Corea) ma che avrebbe subito ricercate le opportune informazioni e proceduto, se favorevoli, alla proposta di mettere in pratica questo mio suggerimento, di cui mi era molto grato. Ha fatto, seduta stante, un appunto su tale soggetto.

Gli ho parlato allora anche della necessità di dare sempre più lavoro all'Italia, in modo da mettere le sue industrie in pieno rendimento e di soddisfare e placare così la classe operaia procurandole il massimo di attività e di guadagno.

Ha trovato giusto anche questo, per quanto riguarda il Pentagono. Naturalmente ci sono non difficoltà di principio ma lungaggini inevitabili per l'attuazione dell'idea in altro campo (organi del P.A.).

Lovett mi ha precisamente domandato se aumentando rapidamente gli armamenti incappavamo nelle strettoie del trattato di pace.

Ho risposto: 1) che rispettare, nella pratica, alla lettera il trattato, per amore della Russia, quando la Russia non rispetta più nulla al mondo, mi pareva ormai cosa inverosimile e superata dai fatti; 2) in ogni modo con la costituzione di una forza integrata europea, con comando internazionale e comandante supremo americano, era ormai ovvio che tutte le unità italiane organizzate ed armate al di sopra del trattato potevano essere attribuite a quella forza ed a quel comando, anche se permanevano in Italia a sua disposizione, per la difesa nostra o comune2 .

Lovett ha risposto che voleva appunto suggerirmi tale espediente, e che era lietissimo vi fossi arrivato prima da me.

Si è mostrato addoloratissimo del tempo perduto per la discussione di quasi quattro mesi sul riarmo tedesco. Trova i francesi inverosimili perché non vogliono

quel riarmo e ammettono una formazione di polizia, che è un vero e proprio esercito, e l'organizzazione di unità importanti che, sebbene temporaneamente disperse in divisioni, potranno automaticamente divenire divisioni di fatto in qualsiasi momento, per ragioni di unità, di efficienza, d'impulso psicologico in combattimento ecc.

Stima quindi che tutta la resistenza francese da questo punto è stata una vana, ma dannosissima, calamità.

Tra l'altro ho domandato a Lovett la sua opinione e del Pentagono sulla, almeno apparente, timidezza russa rinunciando ad approfittare in Europa di questo frangente di evidente depressione morale e militare.

Mi ha risposto che se tale timidezza permane, non può essere spiegata che per il timore delle rappresaglie con le bombe atomiche, dato che la Russia non ha ancora la possibilità di riparare o contraccambiare tali rappresaglie.

Ho ringraziato Lovett delle sue molto amichevoli disposizioni e gli ho ripetuto l'importanza d'intensificare le spedizioni e di assicurare il lavoro.

Mi ha detto che farà ogni sforzo in tal senso e mi rivedrà volentieri al mio ritorno per un nuovo scambio di informazioni e di idee.

63 1 Pari data, con il quale Tarchiani aveva sinteticamente anticipato le informazioni contenute nel presente documento.

63 2 A margine di questo punto 2) De Gasperi aveva annotato: «no, perché le forze integrate sono, politicamente, forze italiane».

64

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHIGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 10281/448. Roma, 8 dicembre 1950, ore 12,30.

Mio telegramma n. 4461 .

Nella giornata di ieri ministro Pella ha avuto lunga conversazione con Dayton mentre contemporaneamente sottosegretario Malvestiti ha visto ambasciatore Jacobs. Questo ultimo giungerà ora a Washington dove si tratterrà per una decina di giorni per contatti con Autorità americane preposte riarmo.

Dayton ha assicurato collaborazione missione E.C.A. per risoluzione problema del riarmo e commesse nelle prevedibili sue incidenze economiche e finanziare. Allo scopo, per precisare in linea di massima termini e limiti nostre destinazioni di fondi, ha suggerito che i 150 miliardi di lire suppletive previsti per tre anni siano viceversa impiegati in diciotto mesi. In altre parole nel periodo 1° gennaio 1951-30 giugno 1952 somma globale sarà suddivisa in due esercizi ciascuno per 75 miliardi.

Circa commesse egli ha posto in rilievo necessità che tale problema sia del tutto disgiunto da quello del riarmo italiano. Ha previsto per tale settore una destinazione massima di 300 milioni di dollari ossia 200 miliardi di lire date difficoltà, a suo modo di vedere, di procedere a commesse in taluni settori e particolarmente in quello del naviglio silurante.

Si avrebbe così in totale tra riarmo e commesse, per quanto concerne il mercato interno, una somma di 350 miliardi di lire da progressivamente impiegarsi fino al 30 giugno 1952.

Ministro Pella si è dichiarato pronto ad esaminare proposta ed ha disposto perché siano forniti ad Autorità americane di Roma, con grande urgenza, dati relativi a nostre necessità in materie prime, beni di consumo o dollari liberi atti ad acquistarli. Egli ha infatti ripetuto a Dayton assoluta necessità per l'Italia di vedersi assicurati da America tali quantitativi per poter dar corso senz'altro a contratti senza temere ripercussioni inflazionistiche all'interno.

Ad ambasciatore Jacobs onorevole Malvestiti ha ripetuto stessa argomentazione. A lui è stato inoltre comunicato come, nel corso ultima riunione della Commissione suprema di difesa, ministro della difesa abbia proposto di accelerare in due anni anziché in quattro il programma suppletivo per riarmo italiano che egli considera di 200 miliardi. La risoluzione di tale problema sarebbe naturalmente facilitata da un concorso americano che consentisse di superare le difficoltà di ordine economico e monetario relative all'attuazione del problema.

In riassunto, mentre Dayton ha suggerito, come si è sopra detto, impiego di 75 miliardi fino a 30 giugno 1951 ed altri 75 miliardi nel 51-52 (compresi naturalmente i 50 miliardi già approvati da Consiglio ministri) ministro difesa penserebbe necessario accrescere tale cifra di altri 75 miliardi per un totale di 150 miliardi nel 1950-1951 e per un totale di 100 miliardi nel 1951-1952.

Entrambi progetti rappresentano soltanto proposte che potranno alternativamente realizzarsi se e in quanto si concordino condizioni necessarie ed in particolare aiuto adeguato per mantenimento stabilità monetaria.

64 1 Vedi D. 61.

65

IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14673/943-944. Washington, 9 dicembre 1950, ore 22,23 (perv. ore 7,30 del 10).

Missione O.E.C.E.1. Prego comunicare anche ministro Pella.

«Policy Group» ha avuto tre lunghe riunioni con Bissell, Thorp, Gordon, consigliere economico Harriman. Punto di partenza americano è conciliare mantenimento economie «sane» con necessità rapido e marcatissimo aumento nelle spese di difesa, quali che siano i sacrifici corrispondenti, nei prossimi diciotto-ventiquattro mesi, seguito da moderata discesa e stabilizzazione su plateau molto più elevato del presente per un periodo indefinito di tensione. Loro organizzazione interna e idee circa organizzazione internazionale materie prime sono ancora in formazione: discussioni con missio

ne debbono servire facilitarne cristallizzazione soddisfacente. A grandi linee essi pensano si debba costituire al più presto un «organismo globale» unico di ripartizione, comprendente trenta-quaranta paesi membri ma diretto da un Comitato esecutivo di sette-otto paesi al massimo ed articolato in Comitati per materia composti ciascuno maggiori produttori e consumatori. O.E.C.E. dovrebbe fungere da «organismo regionale», con piena partecipazione americana e canadese, per allocazione delle materie prime intraeuropee come carbone e delle importazioni di merci come cotone e zolfo provenienti principalmente da produttori «atlantici», nonché forse per sub-allocazione regionale altre materie prime. N.A.T.O. fungerebbe organo apprezzamento specifiche necessità per la difesa (praticamente secondo recenti istruzioni V.E. a Rossi Longhi). Ottenendo costituzione organo globale, O.E.C.E. dovrebbe definire e raccogliere le «giustificazioni» che saranno comunque indispensabili per praticare allocazioni, e cioè livelli e natura consumi, stocks, misure interne controllo, limitazione e sostituzione, eccetera.

Da parte europea, riservando osservazioni dettagliate dopo riunione missione domani, abbiamo sollevato immediatamente questione fondamentale (già sollevata dal ministro Pella in ultimo Consiglio O.E.C.E.) relativa relazione tra allocazioni materie prime, che avranno influenza determinante su equilibrio interno e bilancia pagamenti, e politica economica, commerciale e finanziaria, nonché parallelamente relazione fra divisato «organismo globale» e organi politica generale come O.E.C.E. e N.A.T.O. Marjolin ha sottolineato come tali problemi debbano essere visti nel quadro atlantico a cui corrisponde associazione Stati Uniti e Canada con O.E.C.E. e

N.A.T.O. Hall Patch ha attirato attenzione su stretta connessione fra problema materie prime e pericolo inflazione in singoli paesi che debbono quindi sottomettersi disciplina comune. Da parte mia ho rilevato come ripartizione debba basarsi su una strategia economica comune, elaborata da un organo «regionale» tecnicamente adeguato, la quale assicuri che sia mantenuto equilibrio tra potenzialità economica di ciascun paese, e cioè esigenze civili essenziali che condizionano anche sua capacità difesa, e entità, ritmo e durata dello sforzo di difesa quali saranno dettati da valutazione comune della situazione politico-militare. Senza ciò allocazioni risulterebbero non eque e sistema si incepperebbe con pericolose conseguenze anche politiche.

Da parte americana si è riconosciuto tutto peso nostri argomenti, facendo peraltro notare che Stati Uniti riluttano tradizionalmente a subordinare propria politica a consultazioni e decisioni internazionali ed hanno d'altra parte responsabilità anche verso America latina ed Estremo Oriente. Comunque necessità concreta armonizzazione di politiche appare indiscutibile, e si impone quindi ricerca formula per assicurare cooperazione per «organismo globale» materie prime e «organismo regionale» politica economica.

Conformemente precisa richiesta di Bissell, prego considerare quanto sopra come segreto anche nei confronti americani costì. Conversazioni continueranno lunedì2. Sono previsti incontri con ministri commercio, agricoltura, mobilitazione industriale e Harriman. In relazione a tutto ciò su mia proposta, Hall Patch ha pregato ambasciatore francese di insistere perché membro francese missione, non partito, ci raggiunga al piu presto3 .

3 Per la risposta vedi D. 71.

65 1 Vedi D. 30.

65 2 Vedi D. 68.

66

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 193/137. Londra, 9 dicembre 19501 .

Riferimento: Da ultimo mio telegramma n. 44 dell'8 corrente2 .

Come ho riferito con il telespresso n. 165/115 del 29 novembre scorso3 e con successive comunicazioni telegrafiche4, la pretesa del Governo francese di assicurarsi al tempo stesso la collaborazione militare germanica alla difesa dell'Europa e le maggiori garanzie contro il pericolo di una risorta potenza militare tedesca ha costituito il più grave intralcio allo svolgimento dei lavori del Consiglio dei sostituti.

Successivamente, in seguito all'aggravarsi della situazione in Corea, i segni di impazienza per l'atteggiamento francese si sono sempre più accentuati, specialmente da parte americana e Spofford non si è curato di misurare troppo le parole per esprimere tale stato d'animo del suo Governo. La richiesta di Spofford perché sottoponessi a V.E. la possibilità di un suo personale intervento presso il Governo francese, venne appunto nel momento in cui la preoccupazione del sostituto americano di fronte all'irrigidimento francese era divenuta più viva5 .

Da parte loro anche gli inglesi si sono fatti sempre più pressanti e vivissime insistenze sono state esercitate su Pleven e Schuman durante il loro recente breve soggiorno a Londra per indurre il Governo francese a considerare con spirito più realistico la situazione e a desistere finalmente da posizioni che non facevano che complicare e ritardare inutilmente il raggiungimento di un accordo.

A parte ogni altra considerazione e movente di carattere generale che potesse muovere tanto gli inglesi quanto altri paesi d'Europa, può dirsi che sia stata intesa da tutti l'assurdità di voler subordinare l'urgente necessità di provvedere alla difesa del-l'Europa occidentale all'accordo su un progetto che come quello francese sollevava problemi tanto complessi e che, urtandosi alla resistenza generale, avrebbe portato unicamente a interminabili e praticamente sterili discussioni.

In altri termini non poteva non sembrare assurda la pretesa francese di voler far dipendere la difesa contro un pericolo gravissimo e imminente dalla adozione di precauzioni dirette contro un pericolo futuro o ipotetico per quanto l'ipotesi potesse sembrare fondata.

È stato così che i francesi, attraverso ripetute, movimentate riunioni del Gabinetto, di cui Alphand (che ha fatto ininterrottamente la spola fra Londra e Parigi) ha portato qui l'eco, sono venuti gradualmente ripiegando dalle loro posizioni consentendo in un primo tempo al rinvio dell'esame del loro progetto di costituzione di un

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 46.

4 TT. s.n.d. 14215/35, 14341/36 e 14548/39 rispettivamente del 1°, 2 e 6 dicembre, non pubblicati.

5 Vedi D. 45.

esercito europeo, abbandonando successivamente la posizione secondo cui condizione preliminare al riarmo tedesco doveva essere la firma del Patto Schuman e accettando infine un cosidetto periodo di transizione durante il quale unità tedesche di 6 mila uomini ciascuna potranno essere costituite e addestrate. Circa l'impiego e l'eventuale inquadramento delle medesime in unità maggiori (non meglio precisate e che quindi potrebbero essere anche tedesche) ogni decisione è stata rinviata al momento in cui tale problema dovrà essere risolto con l'intesa peraltro che la decisione verrà allora presa tenendo conto della situazione politico-militare del momento e del parere del Comando supremo.

Tuttavia all'ultimo momento, in sede di approvazione formale della risoluzione dei sostituti (documento 196 finale), Alphand ha fatto inattesamente una dichiarazione nel senso che il Governo francese subordinava la sua accettazione del compromesso raggiunto alla precisa condizione che le unità tedesche dovessero, fino dalla loro costituzione iniziale, e fino a quando non si fosse giunti a differenti intese, essere appoggiate ciascuna ad una divisione alleata dislocata in Germania.

Evidentemente i francesi cederanno ancora una volta, ma ancora una volta il loro atteggiamento sarà motivo di amaro risentimento specialmente da parte americana ed inglese. Come ho infatti segnalato a V.E., giudizi particolarmente crudi mi sono stati espressi circa una posizione giudicata assolutamente inconcepibile in presenza di una situazione quale l'attuale, e che inoltre avrebbe avuto le peggiori ripercussioni sull'opinione pubblica e sul Governo tedeschi. Lo stesso Spofford non mi ha nascosto al riguardo la sua maggiore perplessità. In effetti ora che l'intesa fra gli Stati membri della

N.A.T.O.- può considerarsi praticamente raggiunta, ci si rende meglio conto che tale intesa risolve soltanto uno degli aspetti del problema e che l'ottenimento del consenso tedesco che ne costituisce l'altro aspetto, si presenta come il più difficile. Le notizie che provengono dalla Germania mostrano infatti che l'ombra tedesca, che si è proiettata tutto il tempo sui lavori di Londra, sta prendendo una consistenza che va forse anche oltre le più sfavorevoli confessate previsioni. La domanda rivolta da Alphand a Spofford per conoscere che cosa ci si proponesse fare qualora la Germania si fosse rifiutata di dare la sua collaborazione alle condizioni previste è rimasta naturalmente senza risposta.

66 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

67

T. SEGRETO 10397/C. Roma, 11 dicembre 1950, part. ore 1 del 12.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

Nella ipotesi che crisi attuale risolvasi ingresso Cina O.N.U. occorre ella faccia presente codesto Governo suprema necessità che Italia entri contemporaneamente. Data intima amicizia fra nostri due paesi le sarà facile far sentire che tale decisione non solo riparerebbe intollerabile ingiustizia ma assicurerebbe maggior equilibrio nel seno O.N.U. anche interesse America latina.

Per parte mia ho fondate ragioni di credere che un tal passo Repubbliche latino-americane favore Repubblica italiana avrebbe vantaggio accrescere prestigio America latina nell'O.N.U. mentre sarebbe pel Governo di Washington la più gradita delle pressioni1 .

68

IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14733/947-948. Washington, 11 dicembre 1950, ore 21,37 (perv. ore 8 del 12).

Missione O.E.C.E1. Prego informare anche ministro Pella, e tenere presente insistente richiesta Thorp considerare quanto comunicato alla nostra missione come esclusivamente riservato a questa a Washington. Discussione continuata tutto oggi con Bissell e Thorp, che hanno precisato comunicazioni precedenti. Partendo da premessa che siamo ormai in fase mobilitazione economica totale, Truman e Attlee hanno domandato alla Francia di associarsi a loro nel proporre immediata costituzione di un organismo centrale di regolamento delle materie prime. Invito verrebbe rivolto a tutti i paesi O.E.C.E. e ad altri paesi Commonwealth, America latina, Asia sudorientale interessati. Tre paesi invitanti costituirebbero «Gruppo direttivo» del nuovo organismo: questo si varrebbe di comitati di settore, composti dei principali produttori e consumatori, utilizzando se possibile organismi speciali esistenti come «gruppo studio lana», ecc. Sua attività dovrebbe iniziarsi entro due o tre settimane anche se non avrà raccolto tutte adesioni desiderabili.

Da parte europea (compresi Hall Patch e Roll che apparivano effettivamente ignari tali novità) è stata svolta linea seguente: decisioni O.E.C.E. sono state dettate da visione urgenza e gravità del problema, che sono particolarmente sentite da vari paesi del continente europeo. Messo di fronte annullamento unilaterale sua decisione 2 dicembre, Consiglio O.E.C.E. domanderà senza dubbio: come si potranno far valere in nuovo organismo proposto considerazioni essenziali relative equilibrio generale e bilancia pagamenti singoli paesi? Chi tutelerà consumatori minori? Quali saranno compiti O.E.C.E. e parte economica N.A.T.O.? Quali saranno rapporti tra Consiglio

O.E.C.E. e Consiglio N.A.T.O., comprendenti tutti partecipanti, e nuovo «gruppo direttivo» con suoi Comitati ristretti?

Per raggiungere risultati pratici che tutti consideriamo indispensabili ma evitare ripercussioni negative, che toglierebbero efficacia e rapidità all'azione, compresa erronea impressione che paesi continentali, salvo Francia, sono «spinti fuori della

porta» in problemi decisivi anche per la loro capacità contribuire alla difesa, e che si è perduto interesse effettivo in reale cooperazione paesi europei fra loro e con Stati Uniti Inghilterra, bisogna che proposta sia articolata in modo tener conto ampio ed effettivo di tutto quanto sopra.

Abbiamo, ed in particolare io personalmente, chiarito a Thorp che nostre osservazioni sono ispirate unicamente da preoccupazione vivissima raggiungere al più presto risultati pratici nel campo materie prime senza distruggere strumenti azione economica coordinata e politica cooperazione europea che appaiono sempre più necessari anche in nuova fase.

Sotto profilo tecnico, è superfluo ricordare a V.E. che praticamente in tutte materie scarse finora sotto considerazione, nostro paese ha posizione di produttore minima e posizione di consumatore compartivamente molto modesta. Appare quindi di vitale interesse per noi poter far giocare in sede appropriata considerazione nostra posizione di insieme nel quadro economico militare e politico2 .

67 1 Si pubblicano solo le risposte da Montevideo, Rio de Janeiro e Santiago: vedi rispettivamente DD. 81, 109 e 89.

68 1 Vedi D. 65.

69

L'INCARICATO DEGLI AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14782/950. Washington, 12 dicembre 1950, ore 21,13 (perv. ore 7,30 del 13). Suo telegramma n. 4511 .

A Bruxelles Acheson si propone trattare sopratutto questione riarmo tedesco, con ferma intenzione risolverla in modo sostanzialmente conforme ad idee già manifestate da Governo americano in seno Consiglio supplenti e in termini tali da potere essere subito (dico subito) sottoposti a Governo tedesco con buone probabilità di successo.

Altri argomenti saranno soltanto quelli segnalati da Rossi Longhi.

Circa situazione internazionale generale, con particolare riguardo Estremo Oriente, atteggiamento americano coinciderà con quello già manifestato in incontro Truman-Attlee e da Acheson ad ambasciatore Tarchiani.

In sostanza:

1) priorità difesa Europa è indiscussa;

2) al fine assicurare tale difesa nel più breve tempo possibile, Stati Uniti premeranno fortemente affinché economia comunità atlantica passi da piede di pace a piede di guerra creando rapidamente apparato militare adeguato a pericoli incogniti;

3) Stati Uniti non (dico non) giudicano utile trattative con autorità Cina comunista che abbiano oggetto più vasto di semplice armistizio in Corea;

4) tuttavia Stati Uniti, appunto per esigenza difesa europea, non (dico non) intendono impegnarsi in operazioni vasta portata in Estremo Oriente, cosicché in tale area non (dico non) andranno al di là di quanto O.N.U. autorizzano.

Se raccoglierò altri argomenti telegraferò domani.

68 2 Per la risposta vedi D. 71.

69 1 Dell'11 dicembre, con il quale Sforza aveva comunicato: «Dovrò probabilmente partire venerdì per la Conferenza atlantica. Prego V.S. fare il possibile per informarmi dei punti di vista o proposte con cui Acheson verrebbe Bruxelles».

70

IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14802/957-958. Washington, 12 dicembre 1950, ore 23,31 (perv. ore 14,15 del 13).

Mi riferisco miei telegrammi relativi missione O.E.C.E.1. In vista possibilità Consiglio O.E.C.E. breve scadenza e prossima riunione Bruxelles ove Acheson domanderà molto maggiore contributo europeo a sforzi difesa, ritengo dover sottoporre V.E. considerazioni seguenti relative questione materie prime e sue implicazioni sulla struttura economica dell'Alleanza e nostro posto nella medesima:

1) maggioranza dirigenti americani parte da assunzione che siamo ormai nella «fase quasi incruenta» della terza guerra mondiale ed in conseguenza affronta i problemi economici come problemi vera e propria mobilitazione economica con accento su allocazioni e volume produzione militare. Symington ci ha enunciato seguenti priorità per allocazioni: produzione bellica americana ed alleati; bisogni civili minimi per assicurare suddetta produzione; stockpile americano materiali strategici; «bisogni residui»;

2) pari tempo americani si trovano di fronte loro economia interna cui domanda è eccitata da situazione, anche nel campo puramente civile, e che è tradizionalmente insofferente sottoporsi restrizioni derivanti da consultazioni e decisioni internazionali. Sola eccezione è costituita da «Combined Boards» con Inghilterra durante guerra passata;

3) confrontati da problema distribuzione materie prime, essi sono passati bruscamente da fase scetticismo a presente persuasione urgente necessità coordinamento che per ragioni sopraindicate alcuni di loro tendono mantenere loro mani, impiantandolo a Washington in organismo diretto sostanzialmente da loro, con partecipazione inglese e francese in «Comitato direttivo»;

4) Attlee ha evidentemente considerato opportuno assecondare questa tendenza per preoccupazioni di «agganciare» comunque americani e per speranza posizione privilegiata inglese in nuovo organismo. Non bisogna sottovalutare, tanto in

americani quanto in inglesi, scetticismo circa effettiva volontà e capacità nazioni continentali partecipare allo sforzo di difesa, che determina qui anche inconsciamente atteggiamenti unilateralistici;

5) decisione anglo-americana circa materie prime è stata presa affrettatamente, sotto influenza fattori suddetti senza considerare sufficientemente anche se pericolo guerra appare più grave e prossimo, problema rimane quello assicurare presso tutti alleati migliore volontà ed economie sufficientemente equilibrate e progressive per sforzo difesa ingente e molto prolungato;

6) questione che effettivamente si pone a proposito materie prime non è quindi «questione di campanile» fra O.E.C.E., N.A.T.O. e proposto nuovo «organismo globale», ma questione fondamentale circa necessità «Consiglio politico economico» assieme relativo «Stato maggiore» tecnico, responsabili problemi economici del gruppo di nazioni O.E.C.E. N.A.T.O. nella fase presente. Tale questione, finora sostanzialmente evasa nella discussione circa attribuzioni economiche Parigi Londra, si pone oggi in modo tale che suo ulteriore rinvio minaccerebbe gravemente in particolare interessi nostri ed altre nazioni continentali;

7) come riferisco in altro telegramma odierno2, risultato netta presa posizione da parte missione sembra indicare possibilità porre chiaramente questione a livello politico più elevato, e cioè riunione ministri economici O.E.C.E. e N.A.T.O., che dovrebbe essere provocata tale fine, forse approfittando prossimo arrivo invito americano per nuovo organismo materie prime;

8) quanto a formula da proporre, mentre mi riservo sottoporre V.E. ulteriori considerazioni, continuo ritenere che si vogliono evitare ripercussioni politiche pericolose in Europa, utilizzare lavoro ultimi tre anni ed assicurare necessario equilibrio fra tendenze americane, inglesi e continentali, conviene prevedere sviluppo attribuzioni Comitato O.E.C.E. N.A.T.O. a Parigi, con necessari Sottocomitati. Nuovo organismo allocazioni dovrebbe servirsi per tutta parte generale suo lavoro del Comitato

O.E.C.E. N.A.T.O. ed essere guidato sue conclusioni sotto profilo necessità economiche complessive per difesa e civili.

Formula suddetta corrisponde anche pensiero E.C.A. ed apparentemente non incontra qui eccessive resistenze. Principali difficoltà vengono da elementi inglesi desiderosi istituire Washington, se non possono Londra, sistema che mascheri sostanziale bilateralismo.

70 1 Vedi DD. 65 e 68.

70 2 T. segreto 14794/956, non pubblicato.

71

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E. A WASHINGTON, MALAGODI

T. S.N.D. 10440/454. Roma, 13 dicembre 1950, ore 15.

A telegrammi di V.E. nn. 943, 944, 947, 9481 .

Informazioni raccolte Parigi confermano che da parte americana e britannica Francia è stata sollecitata dare sua adesione a formazione nuovo organismo per regolamento delle materie prime. Governo francese sembra perplesso anche per costituzione «Gruppo direttivo» che dovrebbe dirigere praticamente nuova organizzazione.

Da parte nostra è evidente che preferiremmo altra impostazione del problema e cioè una partecipazione di tutti i paesi a parità condizioni e diritti perché altrimenti, come giustamente è stato fatto costà presente dalla speciale delegazione dell'O.E.C.E., sorgerebbero molti inconvenienti e dubbi circa equilibrio generale singoli paesi e tutela consumatori minori.

Appare quindi opportuno assumere atteggiamento inteso ottenere almeno nostra inclusione nei proposti organi direttivi. In via subordinata infine — e secondo quanto fa conoscere anche Cattani — si potrebbe pensare a porre come condizione della nostra adesione la inclusione nel Gruppo direttivo, a titolo permanente, di un rappresentante del Consiglio dell'O.E.C.E. In questo senso sembrano orientarsi anche francesi.

Informo infine che a Parigi nostra rappresentanza presso O.E.C.E. si sta anche essa adoperando perché Filippi o altro rappresentante francese nell'O.E.C.E. raggiunga immediatamente Washington.

72

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO

T. S.N.D. URGENTISSIMO Roma, 13 dicembre 1950, ore 21. PRECEDENZA ASSOLUTA 10469/132.

Ci interesserebbe conoscere se posizione attribuita dalla stampa ad Adenauer circa riarmo (cioè che Governo federale non, dico non, approva progetto sostituti1 chiedendo tra l'altro piena parità diritti e comando tedesco) risponda pensiero cancelliere. Sarebbe anche utile poter accertare se tale posizione risponda esclusivamente a preoccupazioni di politica interna, o se sia ispirata anche a desiderio di procrastinare

inizio riarmo, mettendo avanti nuove esigenze, in considerazione preoccupazioni politica generale prospettate nell'ultima parte del suo telespresso urgente 0502 ed in attesa che effettivo arrivo in Europa nuovi contingenti americani permetta di assicurare un minimo di difesa contro eventuali reazioni sovietiche.

Per sua risposta3 si ricordi che parto per Bruxelles sabato alle 13.

71 1 Vedi DD. 65 e 68. 72 1 Vedi D. 66.

73

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14820-14817/127-128. Ottawa, 13 dicembre 1950, ore 17,13 (perv. ore 18,30).

Subito dopo partenza Attlee ieri pomeriggio, primo ministro ha ricevuto on. Brusasca da me accompagnato. In dettagliato ed assai cordiale colloquio St. Laurent ci ha riassunto, a titolo confidenziale e personale, punti più importanti conversazioni avute con Attlee e maresciallo Slim di cui ad altro mio telegramma.

Ha poi pregato on. Brusasca di recare a V.E. seguente suo messaggio. Dopo esito dei colloqui di Attlee a Washington e delle approfondite conversazioni qui seguite egli St. Laurent ritiene che si possa ora ragionevolmente confidare che la crisi coreana verrà superata senza compromettere la pace mondiale.

Lo ha inoltre pregato di recare al nostro presidente del Consiglio espressione sua amichevole simpatia.

Riassumo quanto dettoci da primo ministro in colloquio ieri circa situazione in Corea e trattative con Cina comunista:

1) giusta ampia pacata relazione fatta qui da maresciallo Slim in base suoi approfonditi contatti con sfere militari Washington, truppe O.N.U. sarebbero in grado mantenere anche a lungo linea difensiva in Corea. Vi era quindi ora modo di trattare con la Cina comunista in atmosfera ben [meno] preoccupante;

2) dirigenti americani si sono convinti gravissime conseguenze ricorrere bomba atomica una seconda volta contro una nazione asiatica, ciò che farebbe giuoco sovietici, polarizzando odio delle xenofobe masse asiatiche contro occidentali. Impegno Truman consultare previamente Attlee in materia ogni eventuale uso bomba atomica si estende anche a lui St. Laurent;

3) come Inghilterra anche Canada vuole dubitare che nazione di antica e caratteristica civiltà quale Cina possa ridursi a far parte della legione di satelliti proni agli ordini di Mosca. Occorrerebbe quindi tentare di dimostrare al popolo cinese che la via di Mosca non è affatto l'unica che gli rimane aperta;

3 Vedi D. 86.

4) come è noto americani permangono contrari ad ingresso Cina comunista all'O.N.U. Peraltro Stati Uniti confermano che non porranno veto se tale fosse volontà maggioranza. Canada per conto suo è disposto ammissione Cina alle Nazioni Unite e riconoscimento (punto 7 del noto memorandum canadese rimesso a Roma e altre capitali Atlantico);

5) tale linea di condotta, a quanto ha aggiunto in via confidenzialissima il primo ministro, gli consentirebbe contemporanea istituzione di una rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede cui egli non aveva potuto sino ad ora procedere per l'ostilità di questa opinione pubblica [in gran parte] protestante. Peraltro quest'ultima dovrà rendersi conto della necessità di placare con tale gesto i cattolici e la provincia di Quebec nettamente contrari a rapporti con Cina comunista;

6) primo ministro ha infine detto di non ritenere che questione Cina comunista possa essere decisa durante attuale Assemblea. Varie altre questioni prima fra tutte quella di un armistizio in Corea dovevano essere prima risolte. In caso favorevole evoluzione situazione si sarebbe forse potuto convocare speciale Assemblea fra qualche mese verso primavera.

72 2 Non rinvenuto.

74

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14843/130. Ottawa, 13 dicembre 1950, part. ore 2,25 del 14 (perv. ore 7).

Mio telegramma n. 1281 (punto 4).

Ho subito colto occasione dichiarazione St. Laurent circa direttive canadesi nei confronti della Cina comunista per esporre quanto detto da V.E. a Desy circa interesse generale contemporaneo ingresso O.N.U. dell'Italia (suo n. 76)2. Ho anche attirato l'attenzione primo ministro su intervista V.E. evidenziata dal giornale Ensign.

Primo ministro mi è sembrato perplesso probabilmente nel pensiero che tale questione potesse complicare negoziati colla Cina e coinvolgere tutta la questione Stati che dalle due parti si vogliono fare entrare all'O.N.U.

Ho insistito in ogni modo possibile facendo rilevare grande vantaggio di togliere specialmente agli occhi dell'opinione pubblica americana l'aspetto di vittoria completa ottenuta dai comunisti sul mondo occidentale.

St. Laurent pur mantenendosi cauto prende man mano maggior interesse alla cosa quasi ne realizzasse degli altri vantaggi. Dopo aver osservato che Canada non aveva voce in capitolo, non partecipando Consiglio sicurezza, ha consigliato che ci rivolgessimo ai Tre Grandi e che conveniva interessare anche maggiore numero pos

2 Vedi D. 60.

sibile membri temporanei Consiglio. Circa opinione pubblica americana ha richiamato anche interesse degli italo-americani alle nostre elezioni del 1948 comunque nel-l'ipotesi favorevole sarebbero trascorsi probabilmente vari mesi prima che Cina potesse essere ammessa O.N.U. (mio telegramma 128 punto 6).

Dopo colloquio risollevato questione con questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri in una conversazione che ho avuto con lui assieme al nostro sottosegretario. Un appunto circa risposta di V.E. a Desy gli era stato rimesso dagli uffici ieri mattina ma Heney si è mantenuto molto sulle generali affermando che la nostra richiesta doveva ancora essere esaminata. Ho tuttavia insistito anche con lui.

Per continuare mia azione mi sarebbe molto utile conoscere risposta altri Stati amici probabilmente da noi interessati come anche se V.E. ritenga porre la questione sul tappeto in occasione riunione del Consiglio atlantico a Bruxelles3 .

74 1 Vedi D. 73.

75

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14866/131.

Ottawa, 13 dicembre 1950, part. ore 11,02 del 14 (perv. ore 13,50). Mio n. 1281 .

Nel colloquio, primo ministro ha rilevato ripetutamente sua soddisfazione per decisione ribadita in conversazione Attlee concentrare massima disponibilità uomini materiali per difesa Europa.

A tale riguardo alta personalita; militare canadese (amica dai tempi della guerra del generale Marshall col quale ha frequenti contatti) mi ha confidato resipiscenza vari dirigenti americani circa Corea e concessioni fatte Attlee sarebbero prevalentemente dovute energico atteggiamento segretario difesa Stati Uniti. Marshall si sarebbe opposto invio Corea (settore da lui ritenuto dispendio inutile) rinforzi chiesti da Mac Arthur cui operato egli disapprovava. Avrebbe inoltre minacciato dimissioni immediate qualora non si riservassero tutti i mezzi per l'Europa che egli Marshall considera che sia settore decisivo da tenersi ad ogni costo. Governo americano non potrebbe attualmente correre rischio reazione opinione pubblica americana ove Mar shall si dimettesse.

Circa consolidamento difesa Europa questi dirigenti politici militari mostrano di porre molte speranze in riunione Bruxelles. Questo sottosegretario di Stato per gli affari esteri che parte per capitale Belgio mi ha detto che generale Eisenhower verrebbe nominato comandante atlantico entro il 27 corrente.

74 3 Con T. 10522/77 del 15 dicembre Sforza rispondeva in senso negativo. 75 1 Vedi D. 73.

76

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1662/713. Amman, 13 dicembre 1950 (perv. il 16). Riferimento: Mio n. 1594/674 del 29 nov. c.a.1 .

Re Abdallah mi ha parlato delle sue conversazioni con el-Qudsi.

Confermata la decisione di scambiare rappresentanti diplomatici con la Siria. La data non è ancora fissata.

Approvata — in linea di massima — la proposta di una riunione di capi di Stato arabi. Il re ha insistito perché sia scelta Gerusalemme come sede, in considerazione del suo carattere di città sacra per l'Islam. Infatti il suo nome in arabo è el-Quds, cioè Città Sacra.

Abdallah è stato con me un po' riservato e scettico sulle proposte siriane relative al rafforzamento del Patto di sicurezza collettivo ed alla creazione di un patto che leghi maggiormente i paesi arabi. Egli ha insistito invece con me sempre sul punto di vista che bisogna prima di ogni altra cosa addivenire alla costituzione della «Grande Siria», e poi pensare all'unità araba ed ai patti di sicurezza.

Devo segnalare che oggi in Amman nei circoli vicini al re si dice che questo progetto sembra più realizzabile per i seguenti motivi:

1) necessità sempre più viva per l'Inghilterra di creare un grosso Stato che faccia da contrappeso all'Egitto e che sia ad essa più devoto;

2) un certo cambiamento nell'opinione pubblica egiziana che non sarebbe più così ostile come nel passato. A conferma di ciò si citano alcuni giornali cairini i quali scrivono che la politica araba dovrebbe seguire più da vicino l'«asse Cairo-Amman-Baghdad», e naturalmente questi articoli sono messi qui in gran rilievo;

3) a questa legazione d'Egitto si dice poi che al Cairo non si dovrebbe essere contrari alla «Grande Siria», perché, se è vero che essa potrebbe rappresentare un aumento dell'influenza britannica a Damasco, d'altra parte si rileva che più uno Stato è grande e più facilmente potrebbe liberarsi dai trattati ineguali. E a conferma di ciò si pone in evidenza l'eco che ha già avuto in Giordania e in Iraq l'atteggiamento cairino nei riguardi del Trattato del 1936.

Il re ha portato il discorso sull'atteggiamento della Persia. «Se avessi 4 mila km di confine con l'U.R.S.S. — ha detto — anche io adotterei la stessa politica dello scià. Londra e Washington sono così lontane da Teheran, che il loro aiuto arriverebbe senza dubbio con enorme ritardo per impedire un'invasione sovietica».

Abdallah si è inoltre diffuso a parlare della crisi coreana. Come tutti gli arabi passa facilmente dall'entusiasmo alla più completa sfiducia, e quindi egli vede ora le cose con il più nero pessimismo.

«Gli arabi dovrebbero essere lasciati liberi di scegliere da essi stessi il loro destino — ha aggiunto —. Non siamo armati sufficientemente per opporci ad una aggressione, e dovremmo perciò cercare di rimaner fuori da un eventuale conflitto».

Tali frasi hanno avuto una strana risonanza in me abituato fino a poche settimane fa a discorsi un po' bellicosi del re. Si vede che anche sull'animo di Abdallah incomincia ad avere una certa presa l'«offensiva di neutralità» fatta da Mosca nel V.O., specialmente ora che con gli attuali rovesci militari americani è un po' scossa fra gli arabi quella fiducia nella netta superiorità statunitense nei confronti dei russi.

Il re mi ha infine detto che allorquando il gen. Robertson venne in Amman (mio

n. 1464/610 del 23 ott. c.a.)2, si parlò dell'eventualità di un futuro conflitto, e che il generale britannico gli aveva detto che forse il futuro campo di battaglia poteva essere limitato alla regione che va dal Mar Caspio all'Afghanistan, e che quindi potrebbero rimanerne fuori quei paesi arabi lontani da tale zona.

È vero quanto mi ha detto il re, oppure è soltanto l'espressione del suo desiderio di tirarsi abilmente indietro da un eventuale conflitto mondiale?

In quest'ultima ipotesi, ciò potrebbe essere un altro indizio della maturità degli arabi — sotto la pressione degli avvenimenti coreani e la paura di una guerra — a spingere la creazione di quel «terzo blocco» di cui da tempo si va parlando, e che — nella loro fertile fantasia, ma non nella realtà — si vorrebbe poter sganciarsi sia dai sovietici che dagli anglo-americani.

Il recente discorso di Azzam pascià a Washington — che la stampa giordanica ha pubblicato con grande evidenza tipografica e con drastico titolo: «Si precisano i sentimenti dell'Oriente nei riguardi dei due blocchi» — è un ennesimo chiaro segno dei nuovi tempi!

76 1 Non rinvenuto.

77

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1670/718. Amman, 13 dicembre 1950 (perv. il 16). Mio n. 1488/618 del 7 nov. c.a.1 .

Mgr. Assaf è ritornato pochi giorni fa da Roma ed ha portato con sé il messaggio verbale del Pontefice per il re Abdallah, in risposta a quello inviato dal re a Sua Santità nello scorso novembre tramite lo stesso monsignore (v. mio telespresso su citato).

La risposta del Pontefice è molto cordiale e vale la pena di trascrivere il testo datomi dal predetto prelato:

«Presentate a S.M. il re Abdallah i miei sinceri ringraziamenti e la mia gratitudine. Ditegli che noi apprezziamo i suoi atti e lodiamo le sue qualità, augurando a lui

ed al suo popolo ogni successo. Benediciamo il suo paese con tutte le benedizioni celesti. Noi conosciamo le sue nobili doti, e siamo lieti di sentire da voi gli elogi circa la sua persona e la sua opera».

Mgr. Assaf mi ha detto anche che a Roma ha parlato lungamente con i monsignori Tardini e Montini della situazione della Giordania. Ha trovato la Segreteria di Stato

— come al solito — perfettamente al corrente e sopratutto molto bene informata della grande differenza in materia di libertà di religione che si gode in Giordania nei confronti di Israele. Anche Mgr. Hakim, di Giaffa, lo ha appoggiato nel sottolineare alla Santa Sede la triste condizione dei cattolici e dei cristiani in generale nello Repubblica sionista.

Mgr. Assaf ha parlato a Roma naturalmente anche della questione di Gerusalemme. Inutile dire che in Vaticano gli hanno detto chiaro e tondo che la Santa Sede non ha cambiato di un millesimo dalla sua ben nota posizione: internazionalizzazione integrale e nessun compromesso.

Durante i suoi colloqui si sarebbe anche accennato, vagamente però, all'eventualità di stabilire dei rapporti diplomatici con la Giordania. Soprattutto Roch — incaricato di affari giordanico presso il nostro Governo — avrebbe insistito con lui per sostenere l'urgente necessità di stabilire tali relazioni.

Giunto in Amman, Mgr. Assaf ha visto naturalmente il re, al quale ha portato il messaggio verbale del Pontefice e gli ha riferito sull'esito dei suoi colloqui. Abdallah ne sarebbe rimasto soddisfatto, specie per l'idea di avere dei rapporti diplomatici con il Vaticano, e avrebbe invitato il monsignore a parlare della cosa col primo ministro, per metterla su basi concrete.

Mgr. Assaf mi ha anche detto che fra giorni ne intratterrà l'anzidetto primo ministro, ma teme che il Vaticano possa rinviare ogni decisione in merito, finché non sia risolta la questione dei Luoghi Santi. Mi ha promesso, comunque, che mi terrà al corrente dei suoi colloqui su tale argomento.

Infine Mgr. Assaf ha aggiunto che egli vorrebbe anche esaminare con Samir pascià la possibilità di risolvere la questione dei Luoghi Santi mediante un accordo della Giordania, se non col Vaticano, per lo meno con l'O.N.U. o con le principali potenze cattoliche, le quali farebbero da garanti non solo per la libertà di accesso ai Luoghi Santi, ma anche per la neutralizzazione della zona di Gerusalemme.

Devo segnalare però che su tale accordo il prelato in parola non aveva idee molto precise, e che ho notato trattarsi, per il momento, più di un suo desiderio che di un piano concreto. Infatti un progetto del genere è reso più difficile oggi dal fatto che Gerusalemme è divisa fra giordanici ed ebrei, e che fra di essi esiste ancora, in linea di stretto diritto, lo stato di guerra (armistizio).

Dal colloquio in parola se ne deducono tre cose:

1) il testo del messaggio del Pontefice è un documento di chiaro apprezzamento dell'attività del re, e nello stesso tempo esso sottolinea che in Vaticano si segue con una certa benevolenza l'azione del Governo giordanico;

2) nuova conferma del vivo interesse del re e del Governo di allacciare relazioni diplomatiche con la Santa Sede, ciò che del resto vado segnalando fin dall'ottobre dello scorso anno (v. mio n. 321/140 del 10 ottobre '49)2;

3) tentativi sempre più chiari e precisi per cercare di risolvere la questione dei Luoghi Santi mediante accordi e non in seguito ad una decisione dell'O.N.U.

È questo un punto che va da noi attentamente seguito (come suggerito con mio

n. 1612/685 del 5 corrente)2, per non correre il rischio di essere estromessi dall'attivissima Francia, la quale in questa questione fa un po' il doppio gioco, e mira unicamente a trovare essa la soluzione dei Luoghi Santi, per assicurarsi nel regolamento relativo la parte del leone.

È bene ricordare che il 9 dicembre '49 l'O.N.U. adottò la decisione dell'internazionalizzazione, e, dopo neppure 15 giorni, la «cattolicissima» Francia presentò quel famoso «piano Garreau» per un piccolo corpus separatum, che è stato il colpo di grazia della già nata morta internazionalizzazione3 .

76 2 Non pubblicato. 77 1 Vedi D. 9.

77 2 Non pubblicato.

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 10505/576. Roma, 14 dicembre 1950, ore 21.

Relazione notizie apparse stampa francese prego V.E. indicarmi quali sarebbero, secondo sue informazioni, proposte intermedie che Schuman potrebbe presentare Bruxelles e quale autentica influenza possa avere costì timore che un mero annunzio di riarmo tedesco scateni un'azione sovietica.

Gradirò risposte prima di sabato mattina alle 9, ora in cui si riunirà Consiglio dei ministri dopo il quale partirò subito per Bruxelles via Basilea1 .

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATA A LONDRA E ALLE LEGAZIONI AD OSLO, STOCCOLMA E VIENNA

T. S.N.D. 10507/C. Roma, 14 dicembre 1950, ore 21.

Prego telegrafarmi cosa si pensi in codesti circoli circa attendibilità impressioni raccolte da taluni settori stampa europea relative una più o meno immediata azione sovietica in caso di un mero annunzio di riarmo tedesco.

Gradirò risposta prima di sabato mattina alle 9, ora in cui si riunirà Consiglio dei ministri dopo il quale partirò subito per Bruxelles1 .

77 3 Per i commenti di Soragna su quanto segnalato nel presente documento vedi D. 160. 78 1 Per la risposta vedi D. 84.

80

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14874/1003. Londra, 14 dicembre 1950, ore 14,15 (perv. ore 19).

Ho avuto occasionale incontro con Bevin, cui ha seguito iersera colloquio con sottosegretario permanente Foreign Office onde chiarire alcuni punti in attesa che segretario di Stato ritorni sull'argomento con me, come ne ha manifestato intenzione.

Segretario di Stato mi ha detto che, in seguito recenti prese di posizione egiziane, e successive conversazioni, si è resto assolutamente necessario completo riesame distribuzione basi difensive occidentali in Medio Oriente e Nord Africa. Tenuto conto sviluppi non certo favorevoli situazione internazionale generale e particolare delicatezza settore mediterraneo, tale questione è di fondamentale importanza nell'interesse tutta comunità atlantica.

Come è noto, sino a poco tempo fa si intendeva, per quanto riguarda Libia, limitarsi a costituzione basi in Cirenaica. Ma ora tale criterio risulta insufficiente ed occorre estendere basi anche a Tripolitania. Segretario di Stato desiderava attirare mia attenzione su tale problema, sottolineando come ciò rendesse sempre più auspicabile e necessaria quella stretta collaborazione anglo-italiana che costituisce fattore basilare per assicurare tranquillità nel territorio.

Per parte mia, dopo aver premesso che era ben nota posizione Governo italiano circa basi interessanti comune difesa occidentale, ho fatto presente che, conoscendo pensiero V.E., non dubitavo nostra intenzione dare leale collaborazione per assicurare quell'ordinato sviluppo Tripolitania che si rendeva tanto più necessario alla nuova situazione. Occorreva però, perché tale collaborazione potesse dare suoi frutti, che da parte britannica si tenesse massimo conto seguenti fattori:

1) interessi economici italiani;

2) situazione nostra collettività, indispensabile sviluppo territorio;

3) posizione morale nostro paese in Tripolitania dove, specie in questa fase rafforzamento legami fra membri comunità atlantica, non era pensabile che potessimo rimanere soltanto come residui tollerati di un passato.

Non escludo che Bevin si intrattenga in argomento con V.E. in occasione imminente riunione Bruxelles.

79 1 Per le risposte da Londra, Oslo e Vienna vedi rispettivamente i DD. 88, 85 e 87. Migone rispose da Stoccolma con il T. s.n.d. 14960/88 del 15 dicembre, non pubblicato.

81

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 14913/50.

Montevideo, 14 dicembre 1950, ore 22,14 (perv. ore 9 del 15). Seguito mio 481 .

Mi viene comunicato che questo presidente della Repubblica, concordando nel considerare come inspiegabile che Italia sia stata sino ad ora esclusa O.N.U., ha deciso con questo ministro esteri dare istruzioni immediate delegazione uruguayana Assemblea O.N.U. nel senso di favorire nell'eventualità considerata ammissione Italia O.N.U.

82

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 14911/37. Teheran, 14 dicembre 1950, ore 19,30 (perv. ore 8 del 15).

Stamane abbiamo qui prima riunione ufficiale per ripresentare trattato persiano commercio e iniziare negoziati accordo commerciale e pagamenti. Presenti questo ministro affari esteri e economia nazionale che hanno pronunziato discorso molto amichevole. Questo ministro degli affari esteri è d'accordo nel fare procedere due negoziati insieme. Prego trasmettere corriere aereo osservazioni nostra Amministrazione interessata circa progetto trattato di commercio come concordammo prima mia partenza Roma1. Prego anche telegrafare decisioni circa piano scambi di cui al mio telegramma 352 .

81 1 Del 13 dicembre, con il quale Tacoli aveva risposto al D. 67 assicurando circa l'appoggio uruguayano alla tesi ivi formulata. 82 1 Per la risposta vedi D. 105. 2 Del 9 dicembre, non pubblicato.

83

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 2602/670. Teheran, 14 dicembre 1950 (perv. il 17).

Lo scià, nell'udienza privata concessami, ha preso lo spunto da un mio accenno alla possibile assistenza tecnica italiana per parlarmi della questione. Egli ha ricordato anzitutto la nostra collaborazione nella costruzione della ferrovia trans-iraniana, che è oggi davvero l'arteria vitale di questo paese. Per il programma di lavori pubblici del Piano settennale sono necessari tecnici; e particolarmente, ha precisato lo scià, l'assistenza italiana potrebbe concretarsi con l'invio di ingegneri civili (specializzati in edilizia) ed architetti. Sarebbe possibile anche l'impiego di tecnici agricoli per lo studio delle possibilità dello sviluppo di alcune colture (e qui abbiamo accennato alla coltura del cotone, che è ora una delle speranze dell'economia di questo paese).

Il sovrano, poi, si è riferito esplicitamente alla conversazione da lui avuta con

V.E.1 e mi ha detto che occorrerà considerare anche, a situazione internazionale chiarita, il problema di una possibile emigrazione italiana qui. Gli ho accennato, da parte mia, alla possibilità di costituire in alcune zone particolarmente adatte, dal punto di vista agricolo, qualche «fattoria modello» tenuta da nostri agricoltori con mezzi tecnici e metodi moderni, in modo da diventare centri di propaganda per il progresso dell'agricoltura del paese. Il sovrano si è interessato molto a questa idea.

Egli, portando poi la conversazione nel campo politico, mi ha chiesto dettagliate notizie sullo stato attuale dei rapporti tra l'Italia e la Jugoslavia e, successivamente, su quanto risulti in Italia della consistenza effettiva degli aiuti anglo-americani a Tito in relazione alla situazione della Jugoslavia. Il sovrano ha accennato al fatto che gli aiuti che Washington e Londra concedono o stanno per concedere alla Jugoslavia dovrebbero essere considerati come una prova che la situazione interna di Tito è molto forte e che di conseguenza il Partito comunista stalinista jugoslavo non ha alcuna pratica possibilità di indebolire la posizione di Tito. (E questa è una ovvia allusione alle difficoltà, che si oppongono da parte di alcuni ambienti americani agli aiuti all'Iran, affermandosi che questo Governo è, all'interno, debole).

Lo scià ha quindi accennato alla gravità della situazione mondiale, e, riferendosi alle dichiarazioni di Dorothy Thompson (di cui al mio telegramma n. 34 del 7/12/1950)2 , mi ha detto in tono molto deciso che nessun equivoco e nessun dubbio deve esserci nel-l'opinione pubblica mondiale circa l'atteggiamento delle Persia nel caso di un nuovo tentativo di occupazione straniera. Egli, soldato e figlio di un grande soldato, si batterà con tutte le sue forze contro qualsiasi invasore. La Persia, se anche sia destinata a cadere, cadrà combattendo, perché questo è l'unico modo per una nazione di conservarsi almeno

il diritto a risorgere. Queste dichiarazioni sono state pronunziate dal sovrano con grande fermezza a decisione. Egli ha concluso dicendomi che, nonostante tutto, la sua massima e sincera speranza è che la pace sia conservata. «Ancora dieci anni di pacifica ricostruzione dell'Iran; ed il mio paese cambierà il suo volto».

Conclusa così l'udienza, il sovrano nel congedarmi ha rievocato il suo soggiorno in Italia ed ha accennato al suo desiderio che le circostanze gli permettano di ritornare per un soggiorno tra noi, aggiungendo che particolarmente vorrebbe visitare Palermo, dove non poté recarsi due anni fa.

83 1 Di tale conversazione Sforza aveva riferito a Rossi Longhi con L. 1261 segr. pol. del 21 agosto 1948, non pubblicata. 2 Non pubblicato.

84

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14932/508. Parigi, 15 dicembre 1950, ore 14,28 (perv. ore 16,30). Suo 5761.

Fino a ieri sera eventualità proposte francesi Bruxelles non era uscita da stadio discussione a livello ministri in base posizioni già note.

Tendenza generale è trovare formula che permetta evitare che decisioni concrete riarmo tedesco vengano prese in forma definitiva prima inizio conversazioni a quattro.

Circa possibilità che annunzio riarmo tedesco possa scatenare azione russa punto di vista qui prevalente è seguente: noi siamo fin qui partiti da premessa che Russia, per sua azione espansiva, era disposta fare uso tutti mezzi a sua disposizione purché non si rischiasse provocare guerra. Azione iniziale contro Corea sud non modificava questa premessa perché si poteva ragionevolmente supporre che Russia non prevedesse che ci sarebbe stata reazione americana.

Intervento cinese, Stati Uniti essendo impegnati a fondo in Corea, obbliga rivedere questa premessa per lo meno nel senso che russi cinesi non si lasciano spaventare da potenziale americano e considerano solo estrema limitazione sue forza attuali.

Da parte cinese era stato dato avvertimento concernente 38° parallelo: lo si è considerato semplice bluff e non lo era. C'è stato avvertimento russo circa riarmo Germania (nota sovietica e dichiarazione Praga): non possiamo non tenerne conto.

Se produzione americana od europea fosse in condizioni fornire materiale necessario perché fra qualche mese un certo numero divisioni tedesche fosse in piena efficienza bellica, varrebbe la pena correre questo rischio: ma sappiamo che migliore ipotesi materiale americano potrà cominciare affluire solo verso fine ‘51: prendiamo quindi rischio puramente gratuito e questo in un momento in cui forze atlantiche presenti o immediatamente impiegabili Europa sono praticamente nulle. Tutto questo è basato su presunzione inferiorità e timori atomici russi ossia su argomento di cui in

realtà nessuno ha informazioni precise. Francia è convinta che bisogna riarmare Germania, che attuali limitazioni riserve sono destinate scomparire ma è ugualmente convinta che è ragionevole non por mano riarmo tedesco che quando altre forze atlantiche europee ed americane abbiano una certa consistenza. Per questo è d'avviso conviene far tentativo parlare con russi in condizioni che non precludano a priori accordo. Non si ritiene probabile intesa vera: non è escluso si possa guadagnare tempo e superare così attuale momento massima disparità forze.

V.E. comprende facilmente come in un caso di questo genere non sia facile stabilire fino a che punto si crede a questa teoria e fino a che punto essa fa comodo. Non escludo, anzi son certo, che essa è stata tirata fuori da qualcuno come comodo argomento per proprie tesi; è certo però che essa ha presa e che timore reazione immediata russa pesa effettivamente e realmente su tutto pensiero politico francese: essa pesa più su Governo ambienti politici che su opinione pubblica ma oggi essa è qui una realtà. Tanto più che trattasi ragionamento che non manca di una certa logica e a cui non si possono contrapporre informazioni precise o fatti ma solo impressioni o sensazioni. Particolare peso ha qui argomento, che corrisponde a realtà effettiva, che, dato stato produzione americana, riarmo tedesco è destinato per lungo tempo restare sulla carta.

84 1 Vedi D. 78.

85

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14935/104. Oslo, 15 dicembre 1950, ore 15,10 (perv. ore 17,20).

Notizie di cui al telegramma di V.E. 10507/C. 1 non sono state qui raccolte.

Problema possibile reazione sovietica non è stato mai qui trascurato. Pur valutando adeguatamente gravità situazione, qui si pensa tuttavia che politica sovietica non abbia ancora raggiunto stadio che possa far giudicare probabile una reazione a riarmo tedesco tale condurre ineluttabilmente ad un conflitto armato in Europa. Anche per questo Governo norvegese è d'avviso che dopo tanto tempo perso vantaggi di una decisa manifesta intesa dei paesi atlantici non possano, ormai, che avere precedenza su qualsiasi altra considerazione.

85 1 Vedi D. 79.

86

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14939/202-203. Bad Godesberg, 15 dicembre 1950, ore 14,30 (perv. ore 18,15). Suo telegramma 1321 .

Presa posizione Adenauer su piano Spofford avutasi iersera in riunione al Petersberg con alti commissari. Dittmann mi ha detto che cancelliere federale dichiarato inaccettabilità piano stesso e insistito su piena parità diritti. Questa va interpretata nel senso che sarà accettato principio unità base brigata se anche altri paesi la applicheranno e analogamente per quanto riguarda i comandanti in capo. Adenauer pregato anzi — testualmente Dittmann mi ha detto — scongiurato alti commissari intervenire presso rispettivi Governi per accoglimento queste richieste. Sua intransigenza ispirata solamente da considerazioni politica interna, da sua convinzione cioè che riarmo tedeschi non sarebbe altrimenti accettato da Parlamento e da opinione pubblica.

Mi è stato confermato stato depressione massa popolazione oggetto ultima parte mio telespresso urgente 0502, ma Adenauer non crede ad alcuna reazione sovietica immediata, e una tale eventualità non ha quindi influenzato suo atteggiamento.

Circa stessa eventualità generale Hays mi ha detto che le cose vanno troppo bene per i russi per pensare essi vogliano ricorrere ad azioni di forza. Adenauer continua tuttavia insistere su richiesta ripetutamente formulata circa affluenza Europa nuovi contingenti anglo-americani. Su questo punto da conversazioni avute presso Alta Commissione americana ricevuto impressione che trattisi questione già decisa ma, Stato maggiore, aggiunto, occorre trovare formula sua attuazione.

Nella riunione di ieri al Petersberg alti commissari hanno già notificato ad Adenauer decisione iniziare conversazioni per trattato sicurezza subito dopo la revisione Statuto occupazione. Occorreranno parecchi mesi conversazioni per giungere conclusione, ma quanto precede è tuttavia indice convinzione che si è fatta ormai strada che convenga evitare come accaduto in passato esautoramento benefiche ripercussioni concessioni su opinione pubblica attraverso lunghi periodi attesa.

86 1 Vedi D. 72. 2 Non rinvenuto.

87

IL MINISTRO A VIENNA, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 14948/258-259. Vienna, 15 dicembre 1950, ore 19 (perv. ore 22,30).

Telegramma di V.E. n. 10507/C. 1 .

Qui si considera che questione riarmo germanico può effettivamente determinare reazioni sovietiche fino a estreme conseguenze perché è lì che si sono sempre accentrate e tuttora si accentrano preoccupazioni reali russe e vero e proprio problema sicurezza quello Stato e sua orbita.

Se riarmo germanico è chiave di volta per difesa Europa occidentale e ci si rende conto che molte situazioni attuali sono frutto tanto in Germania quanto in Austria di gravi e ormai irreparabili errori commessi in guerra e nell'immediato dopo guerra, punto essenziale sembra inverosimilmente che, malgrado più recenti esperienze, si continui anche in Germania con idee e metodi impari ad una del resto difficilissima situazione, accompagnata da permanente mania pubblicitaria di programmi, propositi, intenzioni e realizzazioni anche nei settori più delicati e riservati in materia industria militare e diplomatica, accentuandosi così perfino loro effetto quasi provocatorio di fronte a Mosca che invece accuratamente si tace.

Citansi al singolo titolo sia pure esclusivamente esemplificativo pubbliche cifre produzione acciaio e ghisa della Germania con accordata elevazione del plafond in vista appunto riarmo; pubblici discussi limiti ed impiego forze tedesche che potrebbero essere invece predisposte ad esempio con sistema noto del generale Seewelt dopo [...]2 e copertura forze di polizia; articoli recenti Lippmann che connettono politicamente riarmo germanico a liberazione Germania orientale; in realtà è tutto metodo trattazione che anche in caso Germania lascia perplessi ed inquieti ben impostato strategicamente pessimamente eseguito tatticamente.

Gruber col quale ho avuto occasione di parlare ancora ieri vitale grave problema mi ha detto che egli si è fatto discreto eco di alcune di queste osservazioni e preoccupazioni a Washington e più recentemente giorni addietro a Parigi senza peraltro trovare ascoltatori apparentemente molto recettivi e consenzienti e comunque senza risultati apprezzabili. Egli mi ha detto che V.E. con ben altra autorità e personale e per il paese che rappresenta potrebbe portare seno al Consiglio atlantico eco di queste osservazioni e preoccupazioni ed il suggerimento di una più realistica condotta di un affare a cui si lega forse problema stesso pace o guerra.

Naturalmente posizione così esposta di Vienna acuisce tensione e sensibilità questi circoli ma ordine di idee sopraindicato è più o meno comune a tutti gli uomini responsabili.

Per quanto è dato vedere da qui questione riarmo tedesco è tale da determinare infatti crisi veramente più seria del dopo guerra anche se, per ragioni magari tattiche, ciò potrà non avvenire immediatamente, dato che in ogni caso attuazione detto riarmo richiederà un periodo di tempo più o meno lungo perché medesimo spieghi tutte sue implicite conseguenze e divenga fattore positivo determinante. Ad ogni modo non si vede perché si debba procedere con dichiarazioni pubbliche e formali e non con quelle astute e caute che grave situazione comporterebbe nell'interesse di tutti.

87 1 Vedi D. 79. 2 Parole mancanti.

88

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. PER TELEFONO 14950/1006. Londra, 15 dicembre 1950, ore 22.

Telegramma di V.E. 10507/C. 1 .

Ho parlato oggi con sottosegretario permanente Foreign Office il quale mi ha fatto presente che: 1) da parte anglo-americani è stato sin dal primo momento considerato con massima attenzione netta presa di posizione assunta dall'U.R.S.S. in occasione risoluzione Praga, su eventualità riarmo Germania occidentale; 2) quando Cina, intervenendo in Corea, ha attuato quella minaccia che aveva espresso prima che forze Nazioni Unite varcassero 38° parallelo, Stati Uniti ed Inghilterra hanno avuto piena coscienza che minaccia sovietica su Germania poteva essere anche più grave e pericolosa di quanto l'avessero sino allora creduto; 3) tuttavia, dopo maturo esame, si è concluso che immissione Germania occidentale nel sistema difesa atlantica e forza integrata costituisce necessità indilazionabile; 4) tale decisione è fondata non solo sulla necessità del contributo tedesco per la costituzione di una difesa occidentale suscettibile di assolvere funzione vitale demandatagli, ma anche su convinzione che — ove Russia si sentisse pronta ad entrare direttamente in azione — lo farebbe in ogni caso: partecipazione tedesca a difesa atlantico sarebbe cioè una semplice strategia che U.R.S.S. non mancherebbe di sostituire con un'altra qualsiasi ipotesi che da parte occidentale si rinunziasse a riarmo tedesco; 5) tutto ciò però non significa che non si sia molto preoccupati per atteggiamento russo.

In conclusione, mi ha detto Strang, Bevin parte per riunione Bruxelles pienamente cosciente del pericolo, ma fermamente convinto che minaccia sovietica non (dico non) debba far deflettere potenze atlantiche da decisione inserimento Germania in difesa occidentale.

88 1 Vedi D. 79.

89

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, BERIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15015/67. Santiago, 16 dicembre 1950, ore 14,50 (perv. ore 24).

Telegramma di V.E. 10397/C. 1 .

Con telespresso 20024 partito ieri2 ho informato circa colloquio avuto 11 corrente con questo ministro degli affari esteri.

Stamane signor Walker è tornato con me sull'argomento in relazione informazione stampa concernente inizio lavori Commissione O.N.U. sette membri che studiano problema ingresso Cina comunista. In massima egli non ritiene che problema sia di prossima soluzione tenuto conto anche atteggiamento più fermo che Governo degli Stati Uniti gli sembra aver assunto in questi ultimissimi giorni circa problema Corea.

Comunque mi ha confermato che suo Governo intende partecipare incondizionatamente ad ogni iniziativa in favore ingresso Italia e mi ha assicurato che invia opportune istruzioni delegazione Cile O.N.U.

90

IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 15022/970. Washington, 16 dicembre 1950, ore 21,01 (perv. ore 8 del 17).

Sono informato da fonte sicura che a Bruxelles Acheson e Bevin, con appoggio Schuman, cercheranno di fare accettare senz'altro creazione «nuovo organismo globale» per le materie prime scarse. Manovra ha molte probabilità riuscita in quanto maggioranza altri ministri presenti Bruxelles non è corrente complesse discussioni in corso, su cui ho riferito miei telegrammi a V.E.1, e potrà lasciarsi impressionare da argomentazioni relative «urgenza», «carattere globale» ecc.

Mi risulta anche che inglesi intendono «rassicurarci» al riguardo.

Ritengo quindi doveroso prospettare V.E. e ministro Pella urgente necessità far presente Bruxelles considerazioni svolte miei suddetti telegrammi in modo da ottenere che questione non (dico non) sia decisa Bruxelles ma possa far oggetto ulteriori discussioni e messa a punto corrispondente posizione presa qui da missione O.E.C.E. e nostri interessi fondamentali in materia su cui permettomi riassumere come segue mio avviso:

2 Non rinvenuto.

1) organismo incaricato assegnazioni deve seguire nei fatti, non solo a parole, direttive organismo incaricato coordinare politica economica generale gruppo e valutare necessità complessive ciascun paese in funzione di sforzo difesa e resto vita economica;

2) è necessario non accrescere per insufficiente definizione compiti rispettivi

O.E.C.E. e N.A.T.O.;

3) è necessario evitare che sconfessione recentissima decisione presa Consiglio ministri O.E.C.E. da parte del Consiglio ministri N.A.T.O. crei ripercussioni politiche gravi suscettibili paralizzare di fatto ulteriore attività O.E.C.E. senza che essa sia sostituita tanto in suo ruolo d'insieme più che mai necessario, quanto in compiti relativi materie prime: tale ripercussione tanto più grande perché malgrado buone parole mi si conferma intenzione concentrare direzione nuovo organismo in gruppo anglo-franco-americano.

Invio direttamente presente telegramma Cattani perché riferisca V.E. circa evoluzione questione Parigi2 .

89 1 Vedi D. 67.

90 1 Vedi DD. 65, 68 e 70.

91

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, ANDREOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. 200.6888. Roma, 16 dicembre 1950.

Credo che l'on. Presidente le abbia già fatto cenno degli argomenti che si trovano riassunti in questo appunto, che ad ogni buon fine le trasmetto.

ALLEGATO

IL CAPO DELL'UFFICIO PER LE ZONE DI CONFINE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, INNOCENTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

APPUNTO RISERVATISSIMO. Roma, 20 novembre 1950.

Azione politica del Governo Militare Alleato a Trieste

Nel corso delle mie periodiche visite a Trieste, e seguendone attentamente la situa zione anche da Roma, mi sono in questi ultimi tempi formato la convinzione che il pro blema triestino, nei suoi aspetti internazionali e per conseguenza anche interni, ha subito un'evoluzione

per noi gravida di pericoli, che non soltanto nella mia qualità di Capo dell'Ufficio Zone di Confine ma con animo di italiano sento il dovere di esporre senza indugio a V.E.

L'evoluzione cui accenno è determinata, e si va ogni giorno accentuando, da un innegabile mutamento di rotta nell'azione politica del Governo Militare Alleato.

Questa, che aveva raggiunto l'apice a noi favorevole, se così può dirsi, con la Dichiarazione tripartita del marzo 19481; dopo un periodo di stasi nella posizione allora determinatasi e consolidatasi con le elezioni amministrative del 19492, è venuta gradualmente mutandosi dopo lo scisma titino: dapprima, seguendo una linea di maggior tolleranza nei confronti del-l'invadenza slava; in un secondo periodo, che ha avuto la sua più evidente espressione nell'epoca delle elezioni in Zona B (aprile 1950)3, manifestando una sempre più aperta indifferenza nei confronti della persecuzione slava ai danni di quelle nostre popolazioni; ora, infine, instaurando una politica nuova, che non ha precisi riferimenti a quella del passato (dico 1945-47) pur riprendendone alcuni motivi, e al cui proposito il meno che si possa dire è che non tiene assolutamente più conto dei nostri interessi, mentre continua ad attingere alla finanza italiana4 i mezzi necessari per una amministrazione relativamente largheggiante della quale il G.M.A. tende ad attribuirsi l'esclusivo merito di fronte alla popolazione.

Primo segno di tale nuova politica è il fatto, finora non smentito, che il generale Airey, dopo il marzo ultimo scorso, non ha più presentato la sua consueta relazione all'O.N.U. sul-l'amministrazione della Zona. In detta relazione, come è noto, era divenuta di prammatica l'affermazione che il T.L.T. doveva ritornare all'Italia.

Tale significativa omissione — mentre indica l'attuale cura degli anglo-americani di non far nulla che possa tornare sgradito alla Jugoslavia — posta in relazione con i fatti che ora passerò ad enumerare e che, d'altra parte, non dimostrano nemmeno la volontà di costituire il Territorio Libero così come era previsto dal trattato di pace, denuncia fin troppo chiaramente la intenzione di lasciare la Zona B al suo destino e di preparare il terreno per la costituzione della Zona A in un'entità autonoma strettamente legata agli interessi politici ed economici delle due potenze occupanti.

1) Il G.M.A., dimenticando di essere soltanto un Comando militare di occupazione, ai sensi dell'art. 1 dell'Annesso VIII del trattato, e di non avere, perciò, altri poteri all'infuori di quelli previsti per simili casi dal diritto internazionale (Convenzioni dell'Aja del 1907), si è arbitrariamente costruito una teoria della propria sovranità, in base alla quale si considera come Governo provvisorio di un inesistente T.L.T. limitato alla sola Zona A e quindi in netta violazione delle norme dello stesso trattato di pace.

Ne consegue, ad esempio, che nella questione della Cassazione, il G.M.A. sostiene di potere e dover creare una Cassazione autonoma come espressione del terzo potere dell'inesistente Stato triestino, giungendo fino al punto di impedire alla magistratura locale, interferendo illegittimamente, di dare esecuzione ad una decisione della Suprema Corte (caso Passolunghi-Salomon).

I. Questioni, Territorio Libero di Trieste b) elezioni. 3 Vedi serie undicesima, vol. IV, DD. 167, 181 e 189. 4 Nota del testo: «Circa nove miliardi annui per integrazione di bilancio, oltre dodici miliardi

annui circa di introiti doganali, di imposte di fabbricazione ed imposta generale sull'entrata, su merci importate attraverso Trieste ma destinate al territorio della Repubblica».

Altra manifestazione, ad un tempo di intolleranza e di arbitrio, è quella — già nota a

V.E. — della «bandiera triestina», ormai non solo imposta alle navi colà iscritte che toccano porti jugoslavi o della Zona B, ma persino alle navi estere ormeggiate nel porto di Trieste, mentre d'altro canto il Municipio è stato rudemente obbligato ad ammainare il tricolore esposto nella ricorrenza del 3 novembre, pur nella insussistenza di disposizioni del G.M.A. che vietino di inalberare la bandiera nazionale.

2) Il G.M.A. ha ripreso in pieno la sua politica di protezione degli interessi (leggi: pretese) degli slavi, che si concreta nei seguenti punti:

a) disposizioni o tolleranze favorevoli all'introduzione del bilinguismo;

b) tentativi, difficoltosamente e solo parzialmente impediti, di aumentare il numero delle scuole slovene, nonostante la diminuzione degli allievi iscritti;

c) tolleranza del funzionamento di una banca jugoslava (Export Bank) in seno alla missione jugoslava, e ciò in violazione alle disposizioni vigenti anche nella Zona A, che vietano la costituzione di nuove banche;

d) concessione, sembra sui fondi E.R.P., di un mutuo di 10 milioni alla Cassa rurale slovena di Duino-Aurisina, in contrasto colle assicurazioni più volte date, sia pure verbalmente, dal G.M.A. alla rappresentanza italiana secondo le quali non sarebbe stata mai consentita l'apertura di enti bancari sloveni nella zona;

e) apertura, nello stesso edificio del G.M.A., ed a cura dell'Ufficio informazioni alleato (il cui capo, signor Moffly, cittadino americano, a noi sempre favorevole, è stata recentemente trasferito a Vienna e sostituito da un noto filibustiere britannico pro-sloveno, marito di una croata), di un cosidetto «Auditorium», apparentemente da concedersi gratuitamente a tutti, ma in realtà ed intenzionalmente destinato ad accontentare gli slavi con la concessione di un locale pubblico da essi sempre preteso e mai ottenuto (giunsero a reclamare l'uso del Teatro Verdi!);

f) incoraggiamento a stampa indipendentista (non è esclusa qualche sovvenzione diretta), la cui connivenza con elementi autorevoli del G.M.A. gravitanti nell'orbita del consigliere politico inglese signor Sullivan, risulta evidente dall'identità delle tesi giuridiche e finanziarie sostenute da detta stampa con quelle affermate dal G.M.A.

3) Il G.M.A., che con gli accordi finanziari del 1948 aveva orientato la sua politica sul principio della progressiva reintegrazione dell'economia triestina in quella nazionale, è pervenuto a poco a poco, nella formulazione dei bilanci preventivi e consuntivi, a far apparire la Zona A come un'entità distinta che potrebbe essere già autosufficiente se non fosse ... asservita alle esigenze economiche italiane! In altri termini, si vuol far figurare tutte le spese sostenute extra bilancio di competenza come effettuate ad esclusivo beneficio dell'Italia: tipico il caso delle sovvenzioni5 per costruzioni navali da effettuarsi nei cantieri triestini, che il G.M.A. vorrebbe considerare come spese extra-bilancio della Zona, in ciò dimenticando di averle continuamente reclamate per poter dare occupazione alle maestranze locali.

Altra tendenza del G.M.A. è quella di assicurarsi una riserva propria di valuta estera, in modo da poter intrattenere rapporti commerciali diretti con gli altri paesi.

Ultima, in ordine di tempo ma non di importanza, la richiesta di poter disporre autonomamente ed a sua discrezione della quota riservata a Trieste sull'ammontare degli scambi previsti dagli accordi commerciali conclusi dall'Italia coi paesi esteri.

Per tutto quanto precede, e che non è se non la parte più evidente del nuovo indirizzo perseguito dagli anglo-americani a Trieste, sembrerebbe imporsi una revisione del nostro atteggiamento di fiducia nei loro confronti: a tale riguardo una occasione attuale si presenta a proposito della pretesa del G.M.A. di istituire nella zona una Corte di Cassazione. Tale pretesa investe la questione di principio relativa alla natura giuridica del G.M.A. il quale agisce come depositario di una propria sovranità mentre — come sopra si è accennato — non può essere considerato altro che come regime di occupazione.

Sarebbe, infine, illusorio pensare che la questione di Trieste possa essere oggi risolta mediante un accordo diretto con la Jugoslavia, il quale sarebbe quanto mai pericoloso: infatti, detto accordo non potrebbe divenire operante senza l'adesione della Russia, mancando la quale — come certamente mancherebbe — gli anglo-americani avrebbero buon giuoco per continuare a rimanere a Trieste, ridotta al rango di una Tangeri dell'Adriatico, mentre gli jugoslavi, ottenuto il più possibile dal deprecabile compromesso, continuerebbero anch'essi a rimanere dove sono.

90 2 Vedi D. 95.

91 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469. 2 Per i documenti pubblicati su questo argomento vedi serie decima, vol. II, Tavola Metodica,

91 5 Nota del testo: «3 miliardi e 196 milioni».

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15034/303. Mosca, 17 dicembre 1950, ore 8,01 (perv. ore 18).

Stamane la stampa sovietica pubblica nuova nota circa il riarmo tedesco1. Essa è piuttosto dura e larvatamente minacciosa in alcuni punti.

Anzitutto mi riferisco al punto centrale in cui si afferma che si sta preparando con la Germania occidentale una vera alleanza militare, il che costituisce una seria minaccia alla pace, e si aggiunge che il seguire un tale cammino significa dimenticare la lezione del recente passato e la storia del militarismo tedesco, nonché la ricostituzione di tale militarismo alla quale l'U.R.S.S. e gli altri popoli dell'Europa vittime dell'aggressione germanica non possono adattarsi. Inoltre, mi riferisco alla conclusione, la quale, pur non contendendo una denunzia formale del trattato di alleanza, afferma che l'Inghilterra e la Francia ne scalzano le fondamenta ed il significato e già sono sulla strada della violazione e dello scalzamento del trattato stesso rigettando su di loro tutta la responsabilità della situazione che si è creata. Ciò sembrerebbe significare che il trattato, pur formalmente non denunziato, è considerato oramai inefficiente e la Russia considera già le conseguenze della nuova situazione che

si è creata con la violazione. Tali note fanno parte della dura politica di intimidazione e del tentativo di separare gli Alleati oggi svolto dai russi profittando dei successi in Corea e delle incertezze che ritengono di rilevare nel campo occidentale. Al ri guardo oggi ancora i quotidiani sovietici danno largo rilievo ad una dichiarazione di critica sulla politica degli U.S.A. dell'ex ambasciatore Kennedy a tendenza nettamente isolazionista. La stampa continua nello stesso tono per il resto. Tuttavia è riservata ampia attenzione alle elezioni ed in una riunione dei segretari di partito di Mosca, del 14 corrente, si sono trattati unicamente argomenti organizzativi interni senza riferimento alla politica estera. Per quanto concerne il comunicato militare esso parla sempre di offensiva e di avanzata, nonché di azione di partigiani nelle retrovie senza peraltro precisare le località.

92 1 Del 15 dicembre, diretta ai Governi di Francia e di Gran Bretagna, edita in «Relazioni Internazionali», a. XIV (1950), n. 51, p. 904.

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IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15043/974-975. Washington, 17 dicembre 1950, ore 14,06 (perv. ore 1,30 del 18).

«Per ministro Magistrati. Riferimento lettera Ferrari Aggradi 9585 del 13 corrente1 pregoti ringraziarlo e comunicargli: base nuove istruzioni da me stesso sollecitate limitomi, come d'altronde previsto, sondaggi informal circa concetti impostazione economica, anche in relazione evolversi problemi scarsità approvvigionamenti di cui ho segnalato rilevanza. Atmosfera qui ha subito ultimi dieci giorni profondo inasprimento che ripercuotesi indirettamente nostri problemi. Quota reddito nazionale americano destinata difesa è già 20 per cento e salirà. Ritengo dover segnalare prime considerazioni seguenti:

1) risultami praticamente certo che per 1951-1952 aiuti economici verranno unificati anche legislativamente sotto designazione comune di «aiuti economici per la difesa» e che necessità civili verranno apprezzate in funzione programmi difesa, tanto in esame generale quanto in allocazione rifornimenti. Anche prima terzo rapporto dovremo presentare quindi programma comprensivo tutte necessità civili e difesa. E.C.A. presenterà Congresso cifre relative ciascun paese probabilmente corso febbraio: pur trattandosi cifre «illustrative» amici mi segnalano tutta importanza poterle confrontare preventivamente con proclami paesi stessi che quindi dovrebbero essere pronti seconda metà gennaio;

2) data tale impostazione bisogna necessariamente tenere conto non solo nostro programma difesa ma anche analoghe ripercussioni economiche (non finanziarie) di nostra maggiore produzione per conto terzi;

3) indispensabile presentare pari tempo adeguate misure legislative od amministrative, nonché dimostrazione stiamo impiantando efficace organizzazione esecutiva e non solo «comitati», nel campo produzione difesa e in campo prodotti scarsi, anche semilavorati e finiti. In questo ultimo campo disposizioni sintetizzate interessante nota rimessami non (dico non) sembrano coprire punti ormai essenziali per giustificare e ottenere trimestralmente erogazione aiuti finanziari e allocazioni, e cioè:

a) rivelazione tempestiva dettagliata stocks e consumi;

b) previsione periodi successivi con motivazione dettagliata usi finali;

c) controlli su effettivo impiego per usi finali programmati;

d) possibilità imporre riduzione nostri consumi per equilibrarli con Alleati in prodotti essenziali scarsi come zinco, zolfo. Pregoti rivedere altri miei telegrammi stesso argomento;

4) anche ottenendo sufficiente riconoscimento che in nostro caso eccezionale lo sforzo difesa richiede maggiori consumi globali, è politicamente indispensabile dimostrare coi fatti adeguati sacrifici classi abbienti, sia terreno fiscale sia limitazione consumi;

5) sto lavorando aspetti mano d'opera che ritengo debbano costituire parte integrante nostra presentazione: sarebbe bene ottenere accordo definitivo nostri ministri su progetto preparazione emigranti qualificati predisposto per Parigi: non dispero poterne proporre successivo allargamento;

6) tieni presente che non (dico non) ritengo sarà possibile ottenere su nostro programma anche perfettamente completato più che un accordo di massima sulla impostazione e su alcuni ordini di grandezza, subordinato a giudizio ulteriore organi internazionali difesa (N.A.T.O.) e economici (O.E.C.E. e O.E.C.E.-N.A.T.O.). Ci è stata prospettata molto confidenzialmente ma precisamente da amici E.C.A. loro intenzione ottenere raccomandazione da O.E.C.E. circa divisione aiuto, mentre ripartizione sforzo militare in senso tecnico sarà oggetto deliberazione N.A.T.O. Da tutto quanto mi è stato detto ho motivo ritenere che sarebbe disastroso per ottenimento inscindibili aiuti civili e militari, tenuto conto proprio nostro caso eccezionale, se a causa di ciò ritardassimo non solo presentazione nostro programma adeguato a Governo americano ed organi internazionali, ma anche sua presentazione in quanto necessario a nostro Parlamento e sua messa in marcia effettiva».

Spero essere Roma 23 dicembre e riferire compiutamente. Prego comunicare questo telegramma anche a ministro Pella.

93 1 Non rinvenuto.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 15045/1731 . Bruxelles, 17 dicembre 1950, part. ore 3,50 del 18 (perv. ore 6,45).

Da Gallarati Scotti e da altre fonti ho avuto conferma che il fatto che viene considerato più tranquillante dagli inglesi e americani è che in Russia non vi è traccia di cresciuta protezione anti-aerea. Si osserva che là si deve ben sapere che in caso di aggressione sovietica gli Stati Uniti non avrebbero gli scrupoli che sentono di fronte ai popoli asiatici.

Nostre riunioni cominciano domani pomeriggio. Ho già convegno per domattina con Van Zeeland con cui vorrei intendermi per una linea di condotta in cui i fatti contino più delle frasi2 .

95

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 15079/513-514. Parigi, 18 dicembre 1950, ore 20,50 (perv. ore 24).

A seguito telegramma ambasciata Washington1 ho telegrafato oggi al ministro Sforza a Bruxelles quanto segue:

«Evoluzione idee inglesi e americane per questione riparto materie prime è trapelata nelle sue linee generali in ambienti O.E.C.E. e vi ha destato preoccupazioni identiche quelle manifestate all'E.V. da Malagodi. Ripercussioni negative si sono già verificate in sede riparto carbone discusso giorni fa e che ha risentito incertezza generale su compiti futuri. Apprensioni maggiori sono nutrite naturalmente dai paesi minori ma stessi rappresentanti francese ed inglese qui le condividono e soprattutto il primo che non si illude sul significato e portata eventuale partecipazione francese a nuovo Comitato direttivo.

Condivido pienamente argomentazione esposta da Malagodi sia per quanto riguarda pericoli per gli interessi del gruppo paesi O.E.C.E. che per quelli specifici italiani insiti nella proposta anglo-americana. Se essa fosse integralmente accettata non credo si potrebbero evitare queste conseguenze:

2 Vedi D. 102.

1) paralisi immediata delle funzioni coordinamento economico dell'O.E.C.E. e cioè della sua ragione di essere: se non c'è controllo della ripartizione materie prime all'O.E.C.E., almeno come gruppo regionale dell'organismo globale con funzioni riconosciute da U.S.A., manca leva e garanzia di equità in questo campo fondamentale che [ostacolerebbe] mantenimento liberazione scambi e progresso verso integrazione economica. A breve scadenza è da prevedere che prima più debolmente e poi particolareggiatamente ritorneranno restrizioni quantitative e bilateralismo scambi. È quindi in forse stessa ripartizione. Più di tutti ne soffriremmo noi che abbiamo nella regione in gran parte basi su prodotti non essenziali e che attraverso liberazione abbiamo allargato nostri traffici;

2) inevitabile ritorno al bilateralismo tanto tra paesi europei quanto nei rapporti paesi del gruppo e Stati Uniti America: tralascio fare commenti sul primo aspetto poiché sono ancora freschi ricordi inconvenienti relativi; sul secondo aspetto Inghilterra può forse illudersi avvantaggiarsene per una pretesa parità ma tutti gli altri non possono che indebolirsi né avere illusioni al riguardo;

3) è evidente che di integrazione economica europea e di piani sarebbe difficile parlare più oltre. Si può giustamente osservare che in questo campo non si è progredito sino ad ora abbastanza rapidamente ma si commetterebbe specialmente da parte americana errore nel sottovalutare grado maturazione accordo tali idee sono già giunte. Ritorno indietro significa abbandonare forse per sempre una possibilità concreta;

4) disarticolazione funzioni coordinamento economico O.E.C.E. significa in ultima analisi compromettere gravemente possibilità economica di uno sforzo coordinato di difesa e appesantimento peso di ciascuno.

Circa Comitato per ogni singola materia prima da fare funzionare a Washington con partecipazione principali produttori e consumatori faccio presente che noi non siamo principali né come produttori né come consumatori in nessuna materia salvo zolfo e che quindi non avremmo nessuna voce in capitolo pur dipendendo interamente da importazioni. Circa rassicurazioni britanniche cui fa cenno Malagodi osservo che le ritengo di ben scarso ed effimero valore: esse ci verranno offerte solo perché è nota presa posizione Governo italiano per bocca ministro Pella nell'ultimo Consiglio O.E.C.E.; è anche noto che verso noi si orientano speranze piccoli paesi dei cui interessi ci siamo fatti portavoce: eliminando nostre osservazioni dopo aver tacitato quelle francesi inglesi ritengo nessun altro vorrà insistere. Inclino credere che ministro Stikker ancorché presidente del Consiglio O.E.C.E. sarà egualmente rassicurato da inglesi. Ho l'impressione che americani non valutino ponderatamente conseguenze inevitabili loro proposte e ciò non sorprende data loro capacità sterzare bruscamente e riprendersi poi alla luce esperienza: fatto è però che, almeno in campo economico, Europa non è cosi duttile.

Mi rendo conto che non sia possibile rigetto finché non muti profondamente orientamento attuale americano. Tuttavia argomentazioni esposte da Malagodi sono così fondate per protezione sia nostri interessi legittimi che di quelli di tutti medi e piccoli paesi che non può [evitarsi] ricercare soluzione che ne tenga conto e che permetta ognuno compiere propria parte con sacrificio equo.

Una controproposta italiana potrebbe a mio avviso imperniarsi su questi punti:

1) riconferma compiti O.E.C.E. coordinamento politico economico del gruppo e riconoscimento che problemi distribuzione materie prime sono intimamente connessi integrazione europea obiettivo fondamentale O.E.C.E.;

2) che spetti O.E.C.E. nella sua funzione di organismo regionale economico valutare fabbisogno suoi membri;

3) per assicurare coordinamento tale valutazione con valutazione organismo globale un membro designato da Consiglio O.E.C.E. sia chiamato far parte gruppo direttivo nuovo organismo e un membro a turno scelto da Consiglio rappresenti gruppo O.E.C.E. in ogni Comitato per prodotti che si costituirà a Washington».

Pregarsi comunicare quanto precede anche ministro Pella.

94 1 Autografo.

95 1 Vedi D. 90.

96

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 15086/174. Bruxelles, 18 dicembre 1950, part. ore 2,50 del 19 (perv. ore 7,30).

Stamane si è riunito Comitato difesa e stasera Consiglio atlantico assieme ministri difesa. Separatamente e congiuntamente sono stati approvati, si può dire quasi senza discussione e certamente senza discussioni di fondo, i rapporti preparati dai sostituti e da Comitato militare sulle due questioni fondamentali: partecipazione tedesca e costituzione della forza integrata. Il fatto fondamentale che progetto per riarmo tedesco, così come è formulato, potrà difficilmente riuscire accettabile a Governo federale, è stato appena sfiorato.

È stato convenuto unicamente, su proposta belga, che le tre potenze occupanti nel trattare con la Germania non (dico non) si dipartano dai principi concordati nella formula approvata dai sostituti senza approvazione dei dodici ministri affari esteri.

Poiché tale progetto è assai lontano dalla nostra dichiarazione ministeriale, tu bene intendi che il reale inizio riarmo tedesco potrebbe lasciare aperta la strada a un rinvio.

Per quanto riguarda costituzione forza integrata dibattito si è concentrato unicamente su nomina comandante. Acheson ha fatto chiaramente capire che avrebbe gradito una designazione stasera stessa in modo poter avere domani mattina, e comunicarla Consiglio, nomina generale Eisenhower da parte presidente U.S.A. Ciò che abbiamo fatto. Ho dichiarato per parte mia che questa nomina avrebbe incontrato approvazione popolo italiano. Domani ultima seduta. Ho agito e agirò perché comunicato finale (espressamente non ne abbiamo fatto uno stasera) lasci aperta una porta a contatti con la Russia mediante una allusione alle conversazioni a quattro. In questo senso è bene che riarmo sia stato dichiarato oggi perché se la discussione a quattro fallisse esso non si decideva mai più; ciò che Acheson mi ha descritto come disastro intollerabile. Quello che dobbiamo constatare è che nessuno ha formulato oggi la menoma obiezione né morale né militare. Se domani qualcuno alludesse a possibile revisione decisioni prese in vista Conferenza dei quattro io potrei associarmi, ma non credo ciò accadrà. Lo giudico dal tono della amichevole ma fermissima conversazione che Acheson ha avuto stasera meco a pranzo.

Ti avverto Acheson ci ha raccomandato il più assoluto segreto su tutto, ma principalmente su nomina Eisenhower osservando che sua divulgazione prima di decisione sarebbe atto di grandissima scortesia verso presidente U.S.A.

Conto partire domani sera se avrò domani incontro con Bevin da lui richiestomi per parlarmi di Eritrea e Tripolitania.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

L. 90/1877. Roma, 18 dicembre 1950.

Con riferimento anche alla mia 3/5411 del 2 dicembre, penso possa essere utile per noi e per te cercare di fare il punto sulla questione libica con speciale riferimento al mondo arabo in genere e a quello egiziano in particolare.

La nostra e ancor più la tua posizione è, in questa questione, delicata.

La linea direttrice della nostra politica nel problema libico ha avuto e ha molti punti di contatto con quella dei paesi arabi e sopratutto della Lega araba e da questa linea non intendiamo in massima dipartici.

Ma molti problemi contingenti (nostri interessi economici, situazione di fatto, ecc.) ci costringono a non spingere, almeno in questa fase, la nostra politica verso posizioni troppo palesemente contrastanti con gli interessi delle altre potenze occidentali e particolarmente di quelle che ancora occupano il territorio libico e possono manovrare a leur gré i nostri interessi.

Teoricamente noi vorremmo una Libia indipendente, unita e prospera che possa seguire una politica di amicizia e di stretti legami economici con l'Italia, politica alla quale quel paese potrebbe essere portato senza l'intervento di fattori e di pressioni esterne.

A questo obiettivo sembra mirare anche in linea di massima il mondo arabo, o almeno la parte più chiaroveggente di esso.

In pratica siamo stati costretti, tanto noi quanto gli arabi, a venire a molti compromessi con questi ideali.

Nota, che i primi a rinunziare a una linea di assoluta intransigenza sono stati gli arabi. Sono stati infatti essi che per primi si sono rassegnati alla soluzione senussita ben sapendo quali siano i rapporti tra Idris e l'Inghilterra.

Facemmo a suo tempo presente tanto ad Azzam pascià quanto agli egiziani i pericoli insiti in questa soluzione e ci fu risposto che non conveniva fare difficoltà su questo punto per non ritardare, oltre la data stabilita, l'indipendenza della Libia. Essi inoltre

— paladini della unità — sostennero che solo la soluzione senussita consentiva alla Libia di rimanere unita, perché, non intendendo Idris in alcun modo rinunciare alla Cirenaica, ogni nostra soluzione avrebbe portato ad una frattura fra questa regione e le altre.

In queste condizioni, da parte nostra dovemmo così cominciare a considerare con preoccupazione la soluzione unitaria senussita e a favorire il mantenimento almeno alla Tripolitania di una certa autonomia e quindi una più effettiva indipendenza, onde consentirle maggiori contatti con noi.

Ciò che ci ha riavvicinato alla tesi anglo-francese della loose federation.

Quando l'anno passato si iniziarono a Tripoli i lavori del «Consiglio dell'O.N.U. per la Libia» la situazione politica tripolitana era la seguente: gli inglesi avevano raggruppato un certo numero di partiti in un'organizzazione unica detta il Congresso. Essa faceva capo a Boshir Saadawi, abile e infido politicante, che aveva preso soldi da tutti (noi gli pagavamo il fitto di casa) e che dopo i contatti avuti al Cairo con noi e gli affidamenti datici (vedi precedenti nei tuoi atti) si mise a servire gli inglesi.

Lo stesso Pelt dichiarava che in Tripolitania non esisteva altro partito al di fuori del Congresso ed altro leader all'infuori di Boshir Saadawi.

Noi ci sforzavamo di riequilibrare la situazione mantenendo in vita ed incoraggiando altri partiti e movimenti e sarebbe stato logico che i rappresentanti dei paesi arabi (Kamil bey, delegato egiziano, e Abdur Rahim Khan, delegato pakistano) appoggiassero i nostri sforzi. Ma anche gli esponenti arabi si diedero invece a valorizzare Boshir Saadawi ed il Congresso benché contemporaneamente la Lega araba li attaccasse dal Cairo, ma — allora — senza grande successo.

La nostra politica di appoggio alle correnti più genuinamente indipendentiste risultò in conseguenza indebolita: essa mirava ad ottenere libere elezioni e rappresentanza proporzionale e non paritetica nella speranza di valorizzare la Tripolitania e di portare alla ribalta persone a noi più vicine di quelle che da anni si abbeveravano alle fontane della B.A.T.

Essi ci hanno chiesto, come ti ho scritto, di schierarci al loro fianco per una aperta battaglia, mentre non ci avevano aiutato quando si era ancora in tempo ad agire politicamente in loco. Non ci fu naturalmente possibile, per le ragioni su indicate, prendere un'aperta posizione di combattimento accanto agli arabi. A parte la delicatissima posizione in cui ci trovavamo per la questione dei beni italiani che erano contemporaneamente discussi all'O.N.U., non potevano compiere palese atto di ostilità verso il mondo occidentale nostro alleato.

Aggiungo che l'Egitto, che fra gli Stati arabi tende anche nella questione libica a prendere una posizione di punta e di guida, non persegue sempre fini ideali come si può pensare facciano la Lega ed Azzam. L'Egitto ha nei riguardi della Libia una politica sua, diretta, come è abbastanza naturale, a fini egoistici ed abbastanza concreti (basti pensare alle rivendicazioni territoriali sul confine cirenaico). L'Egitto non è quindi molto popolare in Libia e la sua politica è considerata da molti esponenti libici con preoccupazione.

Ma la politica dell'Egitto e quella della Lega spesso si confondono e non è sempre facile né opportuno per noi distinguere e discriminare.

Concludendo io penso che noi si debba restare fedeli alle premesse generali della nostra politica che corrispondono in sostanza a quelle del mondo arabo e in genere alle aspirazioni dei libici; ma mantenere nei problemi concreti una certa autonomia che ci consenta di svolgere, anche su questo terreno pratico, funzione di equilibrio e di mediazione fra i due gruppi.

Persone intelligenti e di larghe vedute come Azzam pascià hanno riconosciuto che l'Italia non può prendere una posizione di punta (vedi lettera di codesta ambasciata n. 3136 relativa alla conversazione tra Fracassi ed Azzam del 19 settembre)2 a favore di certe soluzioni, pure approvandole e propugnandole, quando lo può fare per vie più ... diplomatiche!

La politica che abbiamo seguito ha del resto dato i suoi frutti e spero che sia possibile continuare su questa strada anche nella fase delicata a cui andiamo incontro.

Come sai si è costituita ormai in Libia un'Assemblea nazionale. Essa non risponde certo ai principi che avevamo sempre propugnati. I membri sono stati designati e non eletti, le regioni sono rappresentate pariteticamente e infine le minoranze sono state escluse.

Se sin dall'inizio i delegati dei paesi arabi nel Consiglio dell'O.N.U. si fossero battuti con noi si sarebbe forse arrivati a migliori risultati per tutti.

Ma allora essi considerarono opportuno accettare la soluzione auspicata da Pelt e dalla B.A.T. sempre nel timore di ritardare e compromettere l'indipendenza e l'unità. Oggi vorrebbero gettare tutto per aria e contano sul voto di Confalonieri e del rappresentante delle minoranze (Marchino) nel Consiglio dell'O.N.U. per la Libia.

Al punto a cui sono arrivate le cose dobbiamo onestamente riconoscere che sconfessare un'Assemblea attorno a cui ci sono ormai cristallizzati molti interessi e tentare, nell'atmosfera turbata da questo gesto, le elezioni generali può essere estremamente pericoloso e può portare a reazioni ultranazionalistiche e xenofobe che nessuno di noi può auspicare: questo per tutti. Noi meno degli altri in quanto ci esporrebbe alle vendette della amministrazione locale sempre in grado — sin che rimane — di danneggiarci gravemente.

È quindi più saggio accettare per ora la situazione quale è e trarne il massimo partito per il futuro. Sono sicuro che non durerà e che il castello di carta eretto da Pelt si sfacerà. Oggi vi sono due sole cose che contano: la costituzione, e l'autonomia tripolitana. Se riusciremo a dare alla Libia una costituzione che non consenta l'instaurazione di regimi teocratici facilmente infeudabili, e se si riuscirà a dar vita ad una Tripolitania che possa in pratica divenire, con la forza della sua popolazione e della sua economia più progredita e di più moderni istituti, il centro di attrazione di tutta la Libia, avremo raggiunto il massimo risultato che si possa sperare da questa ibrida e complessa fase di evoluzione costituzionale, durante la quale ci siamo battuti in condizioni di evidente inferiorità.

97 1 Non rinvenuto.

97 2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 428.

98

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 18 dicembre 1950.

È venuto a vedermi l'ambasciatore di Grecia. Mi ha detto che gli accenni che prima del suo viaggio ad Atene mi aveva fatto a titolo personale su scambi di idee tra militari italiani e greci potrebbe ora ripetermeli a titolo meno personale. Naturalmente gli scambi di idee avrebbero carattere generale e varrebbero a metterci al corrente di quanto è stato detto ad Ankara fra militari greci e turchi, ed a farci conoscere il punto di vista greco — senza alcun impegno da parte nostra — sulle questioni che interessano la difesa del Mediterraneo orientale.

Mi ha poi parlato della situazione albanese lamentando l'attività inglese che tende a rovesciare l'attuale Governo comunista di Tirana per sostituirlo con un Governo titino che farebbe cadere l'Albania nelle braccia della Jugoslavia, mentre l'attuale regime albanese non è in condizione di nuocere ad alcuno ed almeno garantisce l'indipendenza di quel paese. Gli ho detto a questo punto che i patrioti albanesi sono preoccupati però dell'atteggiamento della Grecia che non la smette di rivendicare l'Epiro del Nord: mi ha risposto che la cosa non è attuale, che nessun Governo greco può abbandonare quella rivendicazione senza essere rovesciato, ma che vi sarà sempre modo di intendersi una volta che l'Albania fosse liberata anche attraverso diritti riconosciuti alla minoranza greca dell'Epiro.

Exindaris ha continuato lamentandosi della fiducia, secondo lui eccessiva, che gli inglesi hanno nell'attuale regime jugoslavo e nelle insistenze che fanno svolgere ad Atene anche attraverso gli americani per condurre a nozze Grecia e Jugoslavia. Secondo Exindaris, indipendentemente da qualsiasi regime, la Jugoslavia aspirerà a scendere all'Egeo, e la Grecia non può senza garanzie fidarsi di una presunta amicizia jugoslava: avrebbe detto tutto ciò a Mallet, aggiungendo che gli inglesi possono rischiare di perdere dei vecchi amici per la mania di cercarne di nuovi.

Gli ho dato le informazioni che avevamo sull'attività britannica in Albania: risulta infatti anche a noi che contrariamente all'avviso nostro e degli americani (e constato ora, anche dei greci) i servizi di informazione britannici continuano nei tentativi di mestare le acque in Albania. Ho aggiunto che indubbiamente esiste un parallelismo di situazioni italiano e greco nei confronti della Jugoslavia e che è quindi utile tenerci al corrente dei nostri rapporti rispettivi con quel paese e agire con una certa prudenza, come del resto fanno gli americani, pur senza scoraggiare Tito e cercando di aiutarlo ad appoggiarsi all'Occidente essendo ciò evidente interesse tanto greco quanto italiano.

99

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 13086/7461. Washington, 18 dicembre 1950 (perv. il 25).

Riferimento: Telespresso di questa ambasciata n. 12/124/6999 del 22 novembre u.s.1 .

Il Dipartimento di Stato ha comunicato oggi a questa ambasciata che, dopo un attento esame della questione, i Governi di Londra e di Washington hanno deciso, per le ragioni esposte nel rapporto di questa rappresentanza n. 11695/6721 del 6 novembre u.s.2, di autorizzare il Governo militare alleato di Trieste ad indire le elezioni amministrative nella Zona A del Territorio Libero, nel corso del 1951. Il Dipartimento di Stato ha inoltre informato che il generale Airey, prima di partire in congedo, aveva dato notizia della decisione al presidente della Zona.

Quest'ambasciata non ha mancato di ricordare al Dipartimento di Stato le ragioni per cui, a nostro modo di vedere, sarebbe stato invece più opportuno prorogare i poteri delle Amministrazioni in carica. Ci è stato risposto che, per venire in parte incontro alle nostre preoccupazioni, la decisione non era stata resa nota ufficialmente e la data delle elezioni stesse era stata lasciata nel vago.

Il Dipartimento di Stato, pur dichiarando di non essere al corrente di particolari, mostrava di ritenere che la questione delle elezioni amministrative nella Zona A del Territorio Libero di Triste avesse formato oggetto di discussioni tra codesto Ministero e il generale Airey, durante una recente visita di quest'ultimo a Roma.

100

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 15133/175. Bruxelles, 19 dicembre 1950, part. ore 2,40 del 20 (perv. ore 8).

Questo pomeriggio abbiamo concluso nostri lavori. Dal nostro comunicato, che ti sarà già noto, avrai visto modesti risultati Conferenza che non ha mai toccato i due problemi fondamentali che erano tuttavia nella coscienza di tutti: fragilità del progetto di riarmo di fronte ai rinati appetiti tedeschi, che nel settembre sarebbero stati di sposti ad accettare tutto, e possibili reazioni russe se e quando si dovesse veramente iniziare in concreto tale riarmo.

2 Vedi D. 8.

Sola eccezione un grave e quasi commosso intervento di Acheson che ha sottolineato tutta l'importanza nomina Wilson a coordinatore unico tutta economia Stati Uniti d'America. Ha aggiunto: «qualcosa di simile dovrebbe essere fatto anche per Europa. Misure prese o proposte sino ad ora (ivi compresa riforma ufficio atlantico produzione militare) sono totalmente inadeguate. Penso che Europa, accanto comandante supremo, dovrebbe nominare supremo coordinatore produzione militare, che non eserciterebbe naturalmente poteri dittatoriali nell'ambito azione ciascun Governo ma dovrebbe tuttavia coordinare piani economici diversi paesi atlantici e consigliare singoli Governi circa misure da prendere per assicurare tale coordinamento». Sono subito intervenuto1 per sostenere fortemente punto di vista Acheson mettendo tuttavia in evidenza essere prima di tutto necessario realizzare maggiormente organizzazione europea come solo mezzo per risolvere problema tedesco altrimenti destinato a divenire un pericolo per noi tutti.

Debbo confessarti che il grave monito di Acheson, a parte questo mio intervento, è stato accolto con le solite formule evasive che sono usate dalla gente che non ama guardare in faccia la realtà.

Una discussione molto vivace si è avuta alla fine sulle materie prime perché interessi materiali certo importantissimi rischiavano di essere compromessi.

Io stesso ho parlato a favore dello spinoso problema. Ma di ciò riferirò con altro promemoria2 .

99 1 Non pubblicato.

101

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 15135/176. Bruxelles, 19 dicembre 1950, part. ore 2,40 del 20 (perv. ore 8).

Alla fine sessione, come ti ho già accennato nel mio telegramma precedente1 , si è accesa viva discussione circa impegni assunti. Stikker ha sostenuto che piani formulati a Washington per costituzione di un organo tripartito incaricato di regolare produzione e distribuzione materie prime destano vivo allarme tra paesi minori, e soprattutto tra paesi consumatori, perché sono contrari a decisione presa in settembre u.s. da Consiglio dei ministri O.E.C.E., e non tengono sufficientemente conto necessità armonizzare su un piano unico esigenze produzioni militari con quelle civili. Tale compito può essere realizzato soltanto da stretta collaborazione O.E.C.E. con N.A.T.O. Ho subito appoggiato vigorosamente tale tesi, facendo osservare che

non si trattava di diffidenze verso grandi potenze, ma proprio del contrario; cioè della necessità di assicurare la più grande fiducia reciproca associando paesi produttori e consumatori in un'unica organizzazione. Bevin si è opposto alla proposta Stikker affermando impegno essere di dimensioni mondiali e non ristretto soltanto paesi

O.E.C.E. e N.A.T.O. Acheson ha precisato che nulla è stato deciso a Washington o altrove, e che tre potenze sono soltanto all'inizio di un necessario ed approfondito studio del problema. Ha osservato però che questo ha due aspetti distinti: produzione che interessa soltanto paesi produttori, distribuzione che interessa produttori e consumatori e che deve essere risolta con organi appositi, pienamente rappresentativi di tutti interessi, per ciascuna materia prima. Ulteriore studio questione è stato rinviato ai sostituti.

Tu vedi come sia chiaro che andiamo rapidamente verso un rigoroso controllo materie prime, controllo dal quale dipenderà letteralmente esistenza economica, e quindi sicurezza e tranquillità sociale di tutti paesi, ma in modo particolare di quelli che come il nostro, sono quasi esclusivamente consumatori. Se te ne parlo sino da ora è perche sono convinto che non si deve più perdere un giorno di tempo per:

1) fare un censimento completo ed esatto nostre scarse riserve materie prime;

2) stabilire preventivo esattissimo (e giustificato chilogrammo per chilogrammo) nostro fabbisogno nei prossimi sei o dodici mesi, sia per produzione militare che per produzione civile indispensabile.

Soltanto se potremo dimostrare coi fatti e cifre che abbiamo necessità vitale tali e tali materie prime potremo ottenere ciò che è indispensabile per la nostra macchina produttiva.

Penso che tu ed io dovremmo presentare in Consiglio dei ministri il problema ed indicare i mezzi per risolverlo. Ma di ciò a voce.

100 1 Ed. in Foreign Relations of the United States, 1950, vol. III, Western Europe, Washington, United States Government Printing Office, 1977, p. 598. 2 Vedi D. 101. 101 1 Vedi D. 100.

102

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 15134/177. Bruxelles, 19 dicembre 1950, part. ore 2,40 del 20 (perv. ore 8).

Terzo ed ultimo messaggio odierno. In seguito accordi presi meco ieri da Van Zeeland, questi si è impegnato oggi, in fine di seduta, a presentare fra pochi giorni un progetto di strumento che tutti dovremmo firmare per garantire la libera circolazione di tutta la mano d'opera fra i paesi atlantici allo scopo di intensificare ovunque produzione.

Parto stasera direttamente per Roma.

103

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTER, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, PIETROMARCHI, AD ATENE, ALESSANDRINI, E A BRUXELLES, DIANA

T. 10655/C. 1 . Roma, 20 dicembre 1950, ore 13,45.

Come certamente noto V.E., durante recente incontro Truman Attlee è stata in principio decisa creazione Consiglio superiore materie prime composto rappresentanti Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia .

Ciò appare in contrasto con ultime decisioni O.E.C.E. livello ministri, e desta gravi preoccupazioni circa adeguata tutela necessità civili paesi minori O.E.C.E. i quali tutti, salvo poche e limitate eccezioni, non dispongono misura rilevante materie prime chiave, ma sono tutti importatori e consumatori.

Governi americano e britannico ci hanno già dato assicurazioni preliminari che interessi nostri e altri paesi O.E.C.E. saranno contemplati e tutelati, ma ciò nonostante sarebbe opportuna azione solidale tutti altri paesi O.E.C.E. per ottenere almeno inclusione nel nuovo organismo triangolare di un rappresentante dell'O.E.C.E. come tale.

Pregola sentire in merito codesto Governo e telegrafarmi se e in quale misura concorderebbe per azione comune sia in sede O.E.C.E. che in via diplomatica a Washington, Londra e Parigi.

Telegrafato a tutte rappresentanze paesi minori O.E.C.E2 .

104

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15182/179. Bruxelles, 20 dicembre 1950, ore 21,30 (perv. ore 4,30 del 21).

Comunicato emanato ieri notte termine «riunione a tre» (prevalentemente dedicato a problema partecipazione tedesca a sforzo difensivo nazioni occidentali) ha confermato qui impressione di ponderatezza e di prudenza che era stata già sollevata da dichiarazione conclusiva Conferenza Consiglio atlantico. Prime opinioni qui registrate concordano nel ritenere che riunioni di Bruxelles sono riuscite, pur senza con

2 Vedi anche D. 112. Pietromarchi rispose con T. 15327/54 del 23 dicembre: «Proposta accolta vivo interesse rispondendo anche a preoccupazioni manifestate da ambienti parlamentari e di stampa». Alessandrini comunicò (T. 15259/159 del 22 dicembre) l'adesione del Governo greco all'iniziativa mentre per le osservazioni da parte del Governo belga vedi D. 133.

traddire a importanza e fermezza decisioni adattate, ad alleggerire alquanto atmosfera assai pesante degli ultimi giorni lasciando porte aperte sia per quanto riguarda le trattative da condurre col Governo [tedesco sia] prevista Conferenza a quattro e possibile intesa con U.R.S.S.

Decisioni di Bruxelles sembrano aver quindi rappresentato una via di mezzo tra impostazione americana — nella quale lo sforzo economico militare in vista di una guerra ritenuta assai probabile tende a prevalere sullo sforzo politico diplomatico — e impostazione europea, nella quale l'opportunità di evitare, ed in ogni caso la necessità di procrastinare, il conflitto tende a prevalere sulla preponderanza bellica pura e semplice. Questa diversità di vedute, che si è ovviamente manifestata [positiva] in quanto ha contribuito a fare adottare decisioni improntate a ponderazione, è qui apparsa opportuna in vista delle prossime trattative con tedeschi e con sovietici.

In dichiarazioni alla stampa e alla radio Van Zeeland, sviluppando concetti espressi nella sua dichiarazione alla Conferenza, ha annunciato imminenti decisioni del Governo belga perché «neanche un giorno vada perduto per la preparazione del paese». Facendo ipotesi di un rifiuto tedesco al riarmo europeo, Van Zeeland ha anche detto che questo non dovrebbe essere per gli americani un motivo per difendere Europa solo sui Pirenei. Ha lasciato prevedere la probabile nomina di un direttore economico superiore sul modello fornito dagli Stati Uniti d'America ed ha confermato che il Belgio non attenderà le commesse per intensificare la sua produzione di guerra. Ha infine ripetuto che il Patto atlantico non ha fatto cessare il Patto di Bruxelles ed ha dichiarato probabile la riunione della Conferenza a quattro.

103 1 Indirizzato anche alle legazioni a Berna, Copenaghen, Dublino, L'Aja, Lisbona, Lussemburgo, Oslo, Stoccolma e Vienna e alla rappresentanza a Bad Godesberg.

105

IL VICE DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, NOTARANGELI, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. 10730/32. Roma, 21 dicembre 1950, ore 22.

Vostro 371 .

Istruzioni per trattato commercio e navigazione partiranno prossimo corriere. Circa accordo commerciale nuove istruzioni, rese necessarie da mutate situazioni materia valutaria, verranno inviate quanto prima.

105 1 Vedi D. 82.

106

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15215/181. Bruxelles, 21 dicembre 1950, ore 21,20 (perv. ore 24).

Van Zeeland, che ho visto ieri sera, mi ha detto che risultati riunione Bruxelles rappresentavano un successo della diplomazia e del buon senso: nomina Eisenhower e costituzione esercito atlantico costituivano una realizzazione concreta mentre tutte le strade rimanevano aperte per conversazioni con Germania ed anche con i sovieti. Ma atmosfera rimaneva pesante perché conversazioni con Germania saranno assai difficili mentre come al solito è impossibile prevedere reazioni U.R.S.S. e nessun indizio se ne può trarre dalla stampa sovietica finora assai riservata. È perciò necessario procedere sollecitamente organizzazione esercito atlantico evitando lentezza verificatasi negli organismi militari del Patto di Bruxelles. Belgio metterà subito a disposizione dell'esercito integrato le tre divisioni attualmente in Germania e cercherà irrobustire sollecitamente le altre sue forze militari.

Ieri stesso è stato approvato dalla Camera aumento a 150 mila uomini del contingente per il 1951 mentre primo ministro in pubblica dichiarazione aveva illustrato necessità del servizio militare di due anni. Lo stesso Van Zeeland nonostante le sue molte occupazioni del momento aveva convocato nel pomeriggio i capigruppo dell'opposizione parlamentare ed esposto loro minutamente andamento dei lavori della recente Conferenza e le necessità della situazione attuale. Ex presidente del Senato Rolin che aveva partecipato alla riunione mi ha detto che [situazione] pur senza essere oggetto preoccupazione immediata richiedeva fermezza da parte di tutti (ciò nonostante gruppo socialista alla Camera ha poi votato contro aumento del contingente).

Circa formazione esercito atlantico ambasciatore dei Paesi Bassi mi ha detto Olanda metterà a disposizione due divisioni attualmente pronte in Olanda e che probabilmente rimarrebbero per il momento ancora stanziate in territorio olandese. Ambasciatore mi ha detto pure che ministro Stikker nella riunione delle potenze di Bruxelles aveva ripetuto sue preoccupazioni per questione materie prime sollecitando in proposito stretta collaborazione da parte delle altre potenze associate.

Ministro delle finanze presente alla conversazione ha espresso sincero apprezzamento per fermo atteggiamento Stikker del quale ha detto condividere preoccupazioni. Ha aggiunto che molto opportuna gli sembrava la proposta Van Zeeland per un finanziamento collettivo della produzione della armi e così pure la creazione del nuovo Ufficio centrale, ma che era assai dubbioso circa opportunità di concentrare la direzione dell'Ufficio nelle mani di una sola personalità munita di pieni poteri e autonoma, quasi in posizione analoga a quella riconosciuta al generale Eisenhower nel campo militare.

Van Zeeland farà probabilmente stasera una dichiarazione alla Camera.

107

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15216/182. Bruxelles, 21 dicembre 1950, ore 21,24 (perv. ore 24).

Van Zeeland mi ha incaricato di informare il ministro Sforza che egli si propone dare sollecita esecuzione alle proposte che gli ha esposto nel colloquio avuto con lui1, e di cui ha fatto cenno anche in sede di Conferenza, per il finanziamento collettivo della produzione delle armi. Preparerà quindi ancora prima di Natale un progetto concreto da presentare al Comitato dei sostituti tendente ad assicurare agli industriali assorbimento e sollecito pagamento di tutta la produzione, premi agli industriali più solleciti ed agli operai più meritevoli, e impiego e utilizzo della mano d'opera in alcuni paesi.

108

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15221/183. Bruxelles, 21 dicembre 1950, ore 21,25 (perv. ore 3,20 del 22).

Decima sessione Consiglio consultativo Patto Bruxelles, qui tenutasi ieri, ha praticamente preso atto della subordinazione dell'organizzazione militare dell'Unione Occidentale alla nuova struttura atlantica creata dal Consiglio delle dodici nazioni, subordinazione ormai implicita nella nomina del Comando superiore unificato.

Comunicato afferma che l'indispensabile riorganizzazione difensiva dell'Unione Occidentale non modifica in alcun modo gli impegni che le cinque nazioni hanno assunto col Trattato di Bruxelles e la loro collaborazione continuerà ad essere particolarmente intensa nel campo politico, sociale e culturale, ma tutto ciò non toglie che ultimi sviluppi della situazione internazionale e dell'organizzazione atlantica hanno in gran parte esautorato, specie sul terreno militare, l'importanza dell'Unione Occidentale.

Presso questo Ministero degli affari esteri non si nasconde del resto che fino ad ora l'Unione Occidentale, mentre non ha raggiunto nessun risultato nel campo della preparazione militare, ha funzionato assai male anche nel campo politico-diplomatico. Nessun organico coordinamento si è verificato tra le cancellerie delle cinque nazioni di fronte maggiore problema del momento, e anche l'assenza di Schuman dalla sessione tenutasi ieri a Bruxelles ha rafforzato il convincimento che la formula del Patto Bruxelles è in realtà superata dalla situazione che fronteggia oggi l'intero mondo occidentale.

107 1 Vedi D. 102.

109

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15225/317. Rio de Janeiro, 21 dicembre 1950, ore 21,15 (perv. ore 7,30 del 22).

Ho prospettato a voce e per iscritto segretario generale di questo Ministero affari esteri ambasciatore Freitas Valle quanto disposto con telegramma di V.E. 10397 circolare1 .

Egli ha tenuto confermare subito disposizioni favorevoli di questo Governo brasiliano, da lui stesso esposte in ultima Assemblea O.N.U. Ha però soggiunto che, come è noto, l'Assemblea si era aggiornata, e che Consiglio si riunirà solo in gennaio, mentre disposizioni Governo Washington non sembrano per il momento consentire ammissione Governo Pechino O.N.U.

Egli mi ha ad ogni modo pregato assicurare V.E. che avrebbe tenuto conto della comunicazione fattagli e che Governo brasiliano non avrebbe mancato come per il passato approfittare di ogni occasione per ripresentare opportunamente questione ammissione Italia O.N.U.

110

IL RAPPRESENTANTE DELLA DELEGAZIONE O.E.C.E., MALAGODI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15237/995-996. Washington, 21 dicembre 1950, ore 22,05 (perv. ore 12,30 del 22).

Prego comunicare anche ministro Pella.

1) Missione O.E.C.E.: materie prime. In riunione finale Bissell e Martin (Dipartimento Stato) ci hanno informato che malgrado resistenze manifestatesi Bruxelles Governo americano continua ritenere necessaria organizzazione globale con «Gruppo direttivo» ristretto e sosterrà tale punto di vista nel Consiglio dei sostituti, probabilmente già 4 gennaio. Essi hanno assicurato che «Gruppo direttivo» e relativo personale permanente non avrebbero carattere organo centrale politico economico della comunità nord-atlantica. Tale funzione sarebbe allocata O.E.C.E.-N.A.T.O. riorganizzati come più sotto riferisco, che eserciterebbero pertanto influenza decisiva in formulazione politiche generali su cui allocazioni dovrebbero basarsi. Hanno però persistito non riconoscere necessità collegamento formale e più ampia rappresentanza in nuova organizzazione. Da parte mia, con qualche appoggio Hall Patch e Marjolin, ho ripetuto che questo sarebbe grave

errore politico e organizzativo, in quanto provocherebbe sensazione che U.S.A. abbandonano collaborazione multilaterale a favore accordo ristretto con Inghilterra e renderebbe più difficile evitare gravi errori tecnici che prenderebbero colore politico. Ho ritenuto necessario ribadire tale posizione in modo molto netto e fermo perché questione investe nostra posizione nel quadro economico dell'Alleanza e per rafforzare nostro intervento in discussioni circa riorganizzazione O.E.C.E.-N.A.T.O.

Successivamente ho riveduto Bissell da solo e gli ho ancora una volta esposto importanza questione dal punto di vista italiano. Egli mi ha risposto che in seguito di scussioni giorni scorsi formula attualmente sotto considerazione in seno Governo americano prevede «Gruppo direttivo» composto Stati Uniti Inghilterra Francia e quattro paesi designati a rotazione rispettivamente da O.E.C.E., Organizzazione Stati americani, Commonwealth britannico ed Asia meridionale. Gli ho immediatamente osservato che preoccupazioni manifestate da vari paesi a Bruxelles e da noi qui potrebbero forse essere superate se:

a) «Gruppo direttivo» comprendesse permanentemente anche Italia e Germania;

b) «Gruppo direttivo» fosse circondato da un «Consiglio» a base più larga, comprendente almeno tutti i paesi media importanza economica, due o tre dei quali potrebbero alternarsi a «Gruppo direttivo»: «Consiglio» dovrebbe avere funzioni molto generali, lasciando a «Gruppo direttivo» maneggio quotidiano affari. Gli ho pure osservato che anche «Gruppo direttivo» più ristretto da loro previsto tenderebbe esorbitare materie prime e quindi collegamento con O.E.C.E.-N.A.T.O. dovrebbe essere ben precisato.

A titolo personale Bissell mi ha risposto che a suo avviso se Italia e altri paesi sostenessero chiaramente e fermamente quanto sopra in seno Consiglio dei sostituti si potrebbe probabilmente arrivare ad accordo. Condivido tale sensazione, pur non sottovalutando resistenza taluni elementi Dipartimento Stato e Foreign Office.

Anche ad Hall Patch ho sottolineato importanza politica accordo soddisfacente, senza entrare in particolari, ma prospettandogli quanto gioverebbe iniziativa od almeno comprensione inglese al riguardo.

Mi permetto prospettare necessità fissare settimana prossima direttive per necessaria preparazione Londra e Parigi. Utile farsi indicare da Parenti argomentazioni circa nostro posto in scala paesi industriali utilizzate per nostro posto Consiglio B.I.T.

2) Missione O.E.C.E.: riorganizzazione O.E.C.E.-N.A.T.O. Seguito discussione materie prime, Governo americano ha constatato necessità riorganizzare senza ritardo rapporti O.E.C.E. e N.A.T.O. campo economico scopo farne efficace organo centrale politica economica, evitando attuali duplicazioni e disperdimento energie. In organo centrale gli americani intendono collaborare con massima pienezza ed efficacia. Essi sperano poter intraprendere discussione prima metà gennaio e contano altri Governi partecipanti avanzino egualmente proposte. Missione ha prospettato opportunità incaricare Stikker, come presidente O.E.C.E. e membro Consiglio N.A.T.O. compiere rapido studio in consultazione tutti Governi interessati, Spofford, Katz e Marjolin, come base discussione. In linea massima idea sembra incontrare approvazione americani. Essa potrebbe promettere riprendere «di fianco» anche questione materie prime, se necessario. È probabile che soluzione su linee «Comitato O.E.C.E.-N.A.T.O.» risulti la più agevole. Anche qui permettomi prospettare necessità fissare direttive per preparazione Parigi e Londra.

3) Missione O.E.C.E.: prossima attività O.E.C.E. Si è riconosciuta con americani necessità O.E.C.E. affronti immediatamente:

a) allocazione materie prime intra-europee come carbone;

b) temporaneamente allocazione materie prime dipendenti Nord America, come cotone e zolfo;

c) coordinamento controlli interni paesi partecipanti;

d) idee politiche finanziarie;

e) come salvaguardare e possibilmente estendere liberalizzazione scambi, assicurare funzionamento Unione pagamenti, e proseguire integrazione malgrado ostacoli creati nuova situazione;

f) mano d'opera;

g) terzo rapporto che pone anch'esso nuovi problemi.

4) Missione O.E.C.E.: mano d'opera. Ho conferito lungamente West, che assumerà prossimamente funzioni «consulente del segretario di Stato per le questioni di emigrazione» in attuazione proposte riunione tripartita estate scorsa, prospettandogli problemi di cui mio 9831 .

109 1 Vedi D. 67.

111

L'AMBASCIATORE A CARACAS, VIDAU, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 09709/2737. Caracas, 21 dicembre 1950 (perv. il 27).

Nella giornata di ieri con il cerimoniale d'uso ho avuto l'onore di presentare le mie credenziali al presidente di questa Giunta di Governo, S.E. Germán Suárez Flamerich, con il quale, dopo la presentazione delle credenziali stesse, ho avuto un colloquio di circa un quarto d'ora.

Dopo generiche frasi relative ai sentimenti di reciproca simpatia e cordialità fra i nostri paesi, il dottor Flamerich mi ha parlato sinceramente del grande apprezzamento che gli italiani godono in questo paese e delle ulteriori possibilità che tale apporto rappresenta per lo sviluppo di Venezuela.

Egli ha insistito specialmente sul problema della terra, problema che oggi figura nel campo propagandistico come uno dei più importanti ma che purtroppo non è stato ancora seriamente affrontato da queste autorità.

Al proposito ho fatto presente al dr. Flamerich che siamo in grado di fornire dei magnifici agricoltori ai quali però bisogna creare delle condizioni di vita adeguate affinché rimangano nelle zone da colonizzare.

In altri rapporti che farò presente a V.E. illustrerò tale problema che a noi può interessare particolarmente ma che oggi si presenta, per varie ragioni, come uno dei più complessi e difficili.

Il dr. Flamerich, nel corso della conversazione, ha fatto presente la necessità che da parte di tutte le nazioni occidentali, anche sudameriacne, venga fatto ogni sforzo per la difesa dei principi democratici contro i gravi pericoli da cui oggi il mondo è minacciato.

Probabilmente tali dichiarazioni sono da collegarsi alla recente iniziativa nord-americana (di cui a separato rapporto)1, relativa ad una conferenza, detta dei cancellieri, di tutti i paesi americani per adottare vaste misure di collaborazione e di difesa contro il comunismo.

La presentazione delle credenziali, che come V.E. sa, è stata ritardata sia per l'eccidio del presidente Carlos Delgado Chalbaud sia per il mio trasferimento ad Haiti, regolarizza la mia condizione di ambasciatore d'Italia presso questo Governo facilitandomi dei contatti che fino ad oggi erano ostacolati dalla mancata presentazione delle credenziali stesse.

110 1 Del 19 dicembre, non pubblicato.

112

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON, ALLA LEGAZIONE A BERNA E ALLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA

T. SEGRETO URGENTE 10767/C. Roma, 22 dicembre 1950, ore 22.

Ho telegrafato Bruxelles, L'Aja, Lussemburgo, Copenaghen, Oslo, Stoccolma, Vienna, Atene, Ankara, Lisbona quanto segue:

(Per tutti) Mio telegramma n. 10655/C. del 20 corr.1 .

Come noto conferenza Bruxelles ha deciso far studiare da sostituti Londra proposta ufficio centrale materie prime franco-anglo-americano date opposizioni colà manifestatesi cui è resosi interprete Stikker tosto appoggiato da me2 .

Rendendoci conto tutti lati complesso problema, nostra idea sarebbe:

1) studio approfondito e dettagliato fabbisogni militari dovrebbe essere devoluto N.A.T.O. e fabbisogni generali a O.E.C.E. Conclusioni reciproche dovrebbero essere scambiate fra due organismi;

2) in organo centrale Washington potrebbero armonizzarsi suggerimenti rispettivi e pervenirsi anche a decisioni purché: a) O.E.C.E. vi fosse rappresentata quale portavoce di tutto il complesso europeo e quindi anche fabbisogni civili; b) ogni paese fosse previamente sentito per difesa e giustificazione suoi programmi;

112 1 Vedi D. 103. 2 Vedi D. 101.

c) singoli gruppi per materia (lana, stagno, ecc.) venissero sentiti e venissero indette conferenze apposite per materie prime ancora non considerate da gruppi specializzati.

Voglia sentire codesto Governo se ci appoggerebbe su tale linea condotta in prossime riunioni N.A.T.O. e telegrafare urgenza3 .

111 1 Non rinvenuto.

113

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15285/206-207. Bad Godesberg, 22 dicembre 1950, ore 21,40 (perv. ore 8 del 23).

Blankenhorn mi ha detto che lungo colloquio Adenauer-Alti commissari, svoltosi iersera, dato risultati considerati per ora molto soddisfacenti da cancelliere federale. Comunicato emesso successivamente divulgato dalla stampa contiene due punti che vanno interpretati in senso più largo dei termini in cui esso è redatto.

Tanto per quanto riguarda problema militare che per quello politico, già stata decisa costituzione due separate commissioni miste che aggiorneranno lavori primissimi giorni gennaio. Commissione militare composta per parte tedesca da deputato Blanc sul quale ho già riferito affiancato due consulenti militari gen. Speidel e Heusinger e riceverà mandato trattare problema sotto tutti i punti di vista, entità numerica, configurazione dell'unità, comandi, ecc.

Ricevuta impressione che note riserve Governo federale cadute di fronte concessioni promesse da Alleati e possibilità abbinamento unità secondo formula riferita a suo tempo da Rossi Longhi da Londra e che vi sia fermo proposito da ambo le parti accelerare i tempi.

Commissione politica studierà invece maniere procedere per tappe anzi per settori separati alla fine Statuto occupazione su basi contrattuali.

Prevedesi lavori dureranno circa un mese. Dopo ciò si addiverrà fase conclusiva invito formale alla Germania e presentazione progetto al Bundestag.

Ove tutto procederà secondo previsioni progetto a quanto pare potrebbe entrare fase esecutiva in febbraio incluso lo stesso inizio del reclutamento.

Adenauer confida che abbinamento di concessioni politiche alla questione militare e l'annunziato arrivo a breve scadenza di nuovi contingenti anglo-americani in Germania serva ad assicurargli la vittoria parlamentare.

112 3 Per la risposta da Parigi vedi D. 119. I telegrammi 15460/1008 e 15557/1014 del 28 e 30 dicembre da Washington, 15256/116 del 22 dicembre da Berna e 15320/210 del 23 dicembre da Bonn non si pubblicano mentre non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Londra. Le rappresentanze elencate nel primo capoverso del presente documento risposero, nell'ordine, con i DD. 133, 117, 135, 124, 116, 121, 130 e 129 ad eccezione di Vienna da cui non risulta alcuna risposta e di Ankara che rispose con il T. 15420/58 del 27 dicembre, non pubblicato. Sull'argomento vedi anche D. 114.

114

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON, ALLA LEGAZIONE A BERNA, E ALLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA

T. SEGRETO PRECEDENZA ASSOLUTA 10779/C. Roma, 23 dicembre 1950, ore 11,45.

Mio telegramma n. 10767/C. 1 .

Ho telegrafato Bruxelles, L'Aja, Lussemburgo, Copenaghen, Oslo, Stoccolma, Vienna, Atene, Ankara, Lisbona quanto segue:

(Per tutti) In seguito informazioni successivamente pervenute da nostri rappresentanti O.E.C.E. in missione Washington2, prego apportare suddetto telegramma seguenti modificazioni:

1) al punto 2 a) aggiungere: «Rappresentanza O.E.C.E. in organo centrale potrebbe concretarsi mediante partecipazione due grandi paesi quali Germania e Italia e due altri a rotazione di cui uno sempre appartenente Benelux che rappresentassero O.E.C.E. stessa»;

2) aggiungere in fine quale n. 3) seguente periodo: «Potrebbe anche considerarsi possibilità che organo centrale fosse assistito da un Consiglio a base più larga comprendente almeno tutti paesi media importanza economica, intendendosi che Consiglio avrebbe funzioni più generali lasciando direzione quotidiana affari a organo centrale che diverrebbe così gruppo direttivo, costituito come sopra è detto».

115

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15298/312. Mosca, 23 dicembre 1950, ore 16 (perv. ore 17).

Risposta Occidente su Germania non è pubblicata qui conformemente abitudine secondo cui atti diplomatici Occidente vengono resi noti solo attraverso commenti critici o in occasione pubblicazione replica sovietica. Isvestia oggi pubblica editoriale «Sotto la bandiera della lotta per la pace» ove sviluppa stesso concetto editoriale Pravda 20 corrente e ripete formula ormai usuale che azione bellicista americana esige dai popoli amanti pace una «intensificazione vigilanza».

2 Vedi D. 110.

Come conseguenza nomina Eisenhower comandante generale delle Forze europee Literaturnaja gazzeta lo attacca fortemente in un lungo articolo. Dichiarazione isolazionista Hoover viene oggi ripubblicata più largamente nel suo testo integrale riconfermandosi serio interesse che sovieti manifestano circa possibile ripiegamento politica americana e diminuzione suo interesse Europa. Viene ripubblicata integralmente dichiarazione Chu En-lai circa deliberazione O.N.U. su cessazione fuoco Corea. Benché negativa, dichiarazione sembra offrire spunto ulteriore discussione in quanto batte soprattutto su inaccettabile cessazione fuoco indipendentemente da effettivo inizio negoziazioni su Corea. Ammissione O.N.U. e restituzione Formosa vengono messe leggermente in secondo piano e ciò spiegherebbe dichiarazione Entezan secondo il quale risposta potrebbe considerarsi negativa ma non assolutamente definitiva.

114 1 Vedi D. 112.

116

IL MINISTRO AD OSLO, RULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15315/107. Oslo, 23 dicembre 1950, ore 17,55 (perv. ore 0,45 del 24).

Eseguite istruzioni di cui al telegramma di V.E. 107671 .

Governo norvegese ha saputo però oggi da Washington che Dipartimento di Stato, contrario accettazione rappresentanza O.E.C.E. come tale, sta contemplando allargamento organo centrale a sei componenti aggiungendo uno o due europei, ed uno ciascuno per Commonwealth e resto America, oltre che convocazione speciale conferenza materie prime.

Sempre secondo comunicazione da Washington si ritiene qui inoltre che problema non sarà maturo colà per esame più approfondito che fra circa due settimane.

Nostra proposta viene comunque trasmessa sostituto Norvegia Londra con raccomandazione tenerla in adeguato conto prossima riunione sostituti.

116 1 Vedi D. 112.

117

IL MINISTRO ALL'AJA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15318/79. L'Aja, 23 dicembre 1950, ore 19,28 (perv. ore 0,45 del 24).

Mi riferisco ai telegrammi di V.E. n. 10655/C. e 10767/C. 1 .

Segretario generale questo Ministero affari esteri mi ha testé fatto conoscere Allen Stikker, il quale dedica massima attenzione questione organizzazione ufficio centrale materie prime, ritiene dover attenere risultati conversazioni al riguardo condotte ora a Washington per conto O.E.C.E. da Marjolin e da Patch cui ritorno a Parigi è previsto per il 27 corr.

Segretario generale mi ha peraltro assicurato che viene subito messo allo studio sistema organizzazione secondo idea espressa da V.E., nonché questione rappresentanza O.E.C.E. in seno all'organismo centrale Washington.

Ritelegraferò2 .

118

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, THEODOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15326/1017. Londra, 23 dicembre 1950, ore 21,10 (perv. ore 7 del 24). Seguito mio 10141.

Stampa pubblica risposta britannica a nota sovietica del 3 novembre2. Trasmetto testo per corriere. I punti principali sono:

1) base proposta per riunione Consiglio quattro ministri esteri (e cioè smilitarizzazione Germania secondo accordi Potsdam e soluzione problema tedesco enunciata in comunicato di Praga) non può portare a regime sistemazione Germania;

2) grave tensione esistente deriva principalmente da atteggiamento generale adottato dopo guerra da U.R.S.S. e da conseguenti ultimi sviluppi internazionali;

3) discussione dovrebbe includere oltre questioni Germania e Austria anche principali problemi cui soluzione potrebbe permettere reale e duraturo miglioramento relazioni fra U.R.S.S. e tre potenze occidentali e eliminazione cause presente tensione;

4) Governo inglese è disposto designare rappresentante per esaminare con rappresentanti altre potenze interessate problemi suddetti al fine trovare base accettabile per riunione ministri esteri quattro potenze e per preparazione agenda.

Corrispondente diplomatico Times ritiene improbabile che questioni Estremo Oriente possano essere incluse agenda riunione data impossibilità trattarle senza Cina, in quanto Stati Uniti considererebbero discussioni con Governo Pechino come forma riconoscimento che essi non erano disposti concedere neppure prima conflitto Corea3 .

117 1 Vedi DD. 103 a 112. 2 T. segreto 15542/85 del 30 dicembre, non pubblicato. 118 1 Del 22 dicembre, con il quale Theodoli aveva riferito sui rapporti anglo-sovietici ed aveva preannunciato la pubblicazione della nota britannica di cui al presente documento. 2 Vedi D. 5. Le note di risposta francese e statunitense, di analogo tenore, non si pubblicano.

119

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15328/523. Parigi, 23 dicembre 1950, ore 21,38 (perv. ore 8 del 24).

Suoi 10767/C. e 10779/C. 1 .

Proposta includere direttorio anche Italia e Germania potrebbe essere possibile, fra qualche tempo per Germania, ma molto difficile per noi.

Circa punto 2/c. telegramma 10767 faccio presente che era questa impostazione prevista da O.E.C.E. e che ufficio centrale è stato proposto da americani in vista impossibilità pratica funzionamento gruppi di studio già costituiti o da costituire; essa ha quindi nessuna probabilità essere accettata.

Per quello che concerne Francia, pur riservandomi telegrafare, faccio presente che da una parte Francia è già stata soddisfatta essendo stata chiamata prendere parte gruppo direttivo. Dall'altra sua posizione è ancora assai poco sicura per cui dubito sia disposta appoggiare a fondo azione che potrebbe in ultima analisi mettere in forse sua inclusione gruppo direttivo.

Charpentier ha detto ripetutamente a Cattani che sono state date istruzioni a Bonnet insistere per inclusione gruppo direttivo altro membro designato da O.E.C.E. e, qualora si dovesse precisare su chi dovrebbe cadere scelta O.E.C.E., suggerire Italia.

Cattani stesso condivide però con me opportunità non farci troppe illusioni circa volontà e possibilità francesi sostenere tale punto.

118 3 Per la risposta sovietica alle note alleate vedi D. 136. 119 1 Vedi DD. 112 a 114.

120

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETISSIMO 15349/212-213. Bad Godesberg, 24 dicembre 1950, ore 17,40 (perv. ore 6,45 del 25).

Seguito telegramma n. 206 e 2071 .

Alta personalità americana confermatomi ieri proposito accelerare i tempi onde raggiungere accordo Governo federale prima iniziare conversazioni a quattro. Si ritiene probabile infatti che queste avranno luogo all'incirca fra un paio di mesi. Alleati si troveranno allora quasi certamente di fronte, oltre che nuova violenta protesta decisione armare tedeschi, anche pregiudiziale sovieti mantenimento statu quo. In altri termini si ritiene che, ora come a Bruxelles, ove non si proceda abbastanza rapidamente intera questione potrebbe venire ad essere completamente bloccata.

Mio interlocutore non mi ha tuttavia nascosto che, per quanto riguarda lavori Commissione militare mista tedesca-alleata, auspicata loro rapida conclusione potrebbe non essere facilitata da atteggiamento dei francesi che, avendo presidenza a turno Alta Commissione, non hanno per ora mostrato eccessiva fretta nel convocare novembre, come desiderato dagli americani, Commissione stessa, di modo che essa inizierà suoi lavori solo primi gennaio.

Altra incognita rappresentata dal fatto essere principio combat teams tuttora base discussioni, in quanto Alleati non sono ancora in grado assicurare tedeschi su facoltà comandante supremo forza integrata procedere eventualmente raggruppamento dette unità.

Nel caso serie difficoltà dovessero sorgere su questo ultimo punto non esclude che si cercherà aggirarle attraverso formula assegnazione determinati settori difesa esclusivamente a unità della stessa nazione.

Con riserva riferire ulteriormente credo per ora poter concludere che atteggiamento Governo federale di fronte pericolo vedere rinviare sine die ogni possibile integrazione anche militare Germania occidentale appare in questo momento molto più cedevole e che se pressioni americane riusciranno persuadere francesi urgenza raggiungere decisioni queste sarà possibile effettivamente ottenere entro periodo un mese previsto da Blankenhorn.

120 1 Vedi D. 113.

121

IL MINISTRO A STOCCOLMA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15356/93. Stoccolma, 24 dicembre 1950, ore 20,20 (perv. ore 8 del 25). Telegramma circolare 107671.

Secondo opinione svedese nuovo organismo materie prime dovrebbe avere carattere amministrativo ed interpretativo delle informazioni provenienti da N.A.T.O. ed O.E.C.E. Poiché tra le diverse organizzazioni internazionali una finisce sempre per prevalere, si spera qui che vengano comunque salvaguardate iniziativa e responsabilità centrale O.E.C.E. per conto paesi europei; e da quanto mi è dato comprendere non si mancherebbe in caso contrario di far sentire disappunto. La qualcosa non deve escludere comprensione per esigenze N.A.T.O.

Svezia concentra sull'O.E.C.E. propri interessi perché è il foro più adatto se non unico per un paese che non fa parte N.A.T.O. e segue politica di retroguardia; ma è anche da tener conto che esiste genuina fiducia per questa forma collaborazione cui risultati sono giudicati favorevolmente.

Con questa premessa ed in base elementi tuttora incompleti Governo svedese concorda con linea di V.E.

Avevo intrattenuto in argomento questo segretario generale Ministero degli affari esteri prima di poter prendere visione del telegramma di V.E. n. 107792 di cui attendo ripetizione parziale.

Appena in grado fornirò ulteriori precisazioni.

122

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 913/4997. Parigi, 24 dicembre 19501 .

Sono tornato con Schuman sull'argomento della collaborazione italo-francese in seno al Patto atlantico e gli ho accennato, per l'ennesima volta, alla mancanza di contatto organico fra i nostri due Governi.

Avevamo avuta una collaborazione completa nel processo formativo del Patto: e, da una parte e dall'altra, non avevamo avuto che da felicitarcene. Dopo le cose

2 Vedi D. 114. 122 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

erano andate francamente male. I francesi avevano presentato una serie di piani: di nessuno di questi ci era stata data conoscenza in tempo per prendere parte anche noi al loro processo formativo e far valere, eventualmente, il nostro punto di vista. Noi ci eravamo rivolti ogni tanto ai francesi per avere il loro appoggio su questo o su questo punto. Occasionalmente, intorno ad un tavolo di conferenza, nostri esperti ed anche nostri ministri, si erano concertati per una azione comune su di un determinato punto: ma tutto questo era riuscito sconnesso: e si erano avute anche delle sconcordanze di idee che si sarebbero potute benissimo evitare con un contatto sistematico.

Tutto questo non serviva a niente ai fini funzionali del Patto atlantico, e rischiava di essere, nel complesso, negativo, ai fini dei rapporti franco-italiani.

La nostra collaborazione iniziale aveva avuto uno scopo ben preciso: resistere alla tendenza inglese di spostare la difesa dell'Europa nel settore periferico: resistere alla tendenza inglese di fare del Patto atlantico una conversazione anglo-americana. Questo interesse comune, a mio parere, esisteva oggi non meno di prima (Schuman si mostrava più ottimista di me): la necessità di difenderci si estendeva ora sempre più ad un settore vitale per tutti e due, il settore economico.

Ai fini dei rapporti franco-italiani questo distacco poteva avere delle conseguenze deleterie: si andava diffondendo da noi l'impressione che la Francia, essendo stata ormai assunta nel Consiglio ristretto dei Tre, ci trattasse en quantité négligeable e si preoccupasse ben poco di avere il nostro appoggio. Sapevo che non era vero, ma nei rapporti fra due popoli sensitivi come lo sono i nostri le apparenze hanno non meno importanza che la sostanza.

Schuman mi ha ripetuto tutta l'importanza che la Francia ammetteva alla nostra collaborazione, ed al nostro appoggio: «Je m'en aperçois surtout lorqu'il me manque». Mi assicurava che una stretta collaborazione fra i due paesi nel settore atlantico era considerata necessaria non solo da lui, ma da tutto il Governo francese: riconosceva che molti degli inconvenienti da me segnalati erano esatti: sarebbe stato però errato da parte nostra farne delle illazioni. Non aveva bisogno di dirmi quante difficoltà ci fossero state, specie negli ultimi tempi, in seno al Governo francese: questo aveva dato all'azione francese un certo carattere di improvvisazione: molti dei piani francesi erano stati rifatti più volte, avevano avuta la loro forma definitiva in ventiquattro ore: in queste condizioni una consultazione preventiva era difficile: riconosceva gli inconvenienti, ammetteva che noi avessimo potuto darne delle interpretazioni non benevole: teneva ad assicurarmi che era il primo lui a dolersene. (Aggiungo per mio conto che molto di quello che lui mi ha detto è esatto).

Da parte mia, ho continuato dicendo che mi sembrava fosse giunto il momento di procedere, dalle due parti, ad un esame di insieme di tutti i problemi concernenti il Patto atlantico: sulle direttive generali, mi sembrava di poter dire che eravamo d'accordo: non c'era però nulla di male a constatarlo una volta di più. Era opportuno chiarire i rispettivi punti di vista anche sui vari aspetti concreti dei principali problemi: potevamo anche non essere d'accordo su tutto: questo era perfettamente compatibile con delle ottime relazioni: bastava saperlo: si sarebbe poi veduto quali concessioni ai punti di vista reciproci avremmo potuto farci. Era solo con un esame approfondito di tutta la materia che avremmo potuto coordinare fin dove era possibile, la nostra azione; ed era solo una azione concordata dei due Governi che poteva risultare veramente utile ai fini della politica generale e dei rapporti fra i due paesi.

Schuman mi ha detto che aveva più volte pensato a quanto gli avevo detto precedentemente ed era venuto alla conclusione che, data la complessità della materia che abbraccia tutta l'azione di Governo, sarebbe stato opportuno un incontro dei due presidenti del Consiglio. La materia che si sarebbe dovuto coprire era vastissima: politica generale, nella quale, a quanto gli sembrava, le posizioni dei due Governi erano assai vicine; orientamento nel Patto atlantico; questione delle materie prime; collaborazione della produzione ai fini del riarmo; esercito europeo; e non ne menzionava che alcuni. Per questo gli sembrava necessario che tutto questo fosse discusso direttamente dalle persone che hanno la responsabilità complessiva della politica dei due paesi.

Gli ho detto che non mi potevo aspettare risposta migliore al problema da me sollevato. Un incontro fra i due presidenti del Consiglio era però una cosa molto seria e doveva dare dei risultati positivi: per questo doveva, secondo me, essere preceduta da una preparazione diplomatica accurata: bisognava sapere prima, non solo di cosa si doveva parlare, ma anche approfondire i rispettivi punti di vista in modo che ai due presidenti non restasse che prendere una decisione d'insieme. L'incontro doveva essere l'incoronamento di una buona preparazione e non un semplice inizio di conversazioni. Al che Schuman si è dichiarato perfettamente d'accordo citando l'incontro di Cannes2 che, appunto per essere stato accuratamente preparato, aveva dato così buoni frutti nell'interesse dei due paesi.

Ho chiesto a Schuman se ed in quale misura, potevo informare V.E. di questa sua idea. Mi ha detto che, per quello che lo concerneva doveva ancora «travailler» in questo senso il presidente del Consiglio francese, ma che, con questa riserva, potevo informare V.E. di questa nostra conversazione.

È inutile che sottolinei a V.E. l'importanza di questa, chiamiamola così, proposta di Schuman.

Non mi è del tutto chiaro, perché sia stato lui a proporre che l'incontro abbia luogo a livello presidente del Consiglio. Può essere sia desiderio di Pleven di occuparsi maggiormente di politica estera. Può essere che Schuman si renda conto dell'errore fatto, sia pure in parte involontariamente, trascurando l'Italia e pensi di ripararlo proponendo un incontro al massimo livello possibile. È possibile anche — del resto le due supposizioni non si elidono — che Schuman abbia pensato che, data la complessità della materia, ed il limitato suo campo d'azione, fosse opportuno, ai fini pratici, fare intervenire personalmente il presidente del Consiglio.

Comunque, ai fini nostri, ed a quelli dei rapporti italo-francesi, ritengo che, data la situazione francese di oggi, un solo incontro dei due ministri degli esteri, non sarebbe sufficiente. La posizione di Schuman è tutt'altro che incontrastata: egli ha importanza in quanto, sebbene una sua sostituzione in caso di cambiamento di Governo non sia del tutto esclusa, egli rappresenta una continuità maggiore che non un presidente del Consiglio: ma non è comunque in grado di impegnare veramente il Governo francese, nel suo complesso.

Ma ai fini dei rapporti italo-francesi io vedo in questa formula di incontro un elemento di speciale importanza. Fin qui, per un complesso di ragioni, i rapporti italo-francesi sono stati, in larga misura, un monopolio dell'M.R.P. La Francia laica,

ne è formalmente restata fuori. E questa è una cosa che si è fatta sentire, anche e specialmente nella questione dell'Unione doganale. Un incontro italo-francese capitanato da Pleven avrebbe il grande vantaggio di impegnare, attraverso lui, la Francia laica: e siccome qui in Francia è sempre la Francia laica quella che conta, il vantaggio è forte. Pleven se ne andrà da un giorno all'altro; ma il suo gesto impegna ad una determinata politica una larga sezione della Francia radicale.

Mi permetto segnalare tutto questo perché so la ripugnanza, del resto perfettamente comprensibile, del presidente del Consiglio di lasciare Roma: ma in questa occasione, ai fini dei nostri rapporti con la Francia, sarebbe un mezzo disastro se una volta la proposta fatta, il nostro presidente del Consiglio si rifiutasse di accedervi. Pregherei quindi V.E. di voler insistere presso il presidente perché, se la cosa prende corpo, egli non si rifiuti.

Ciò premesso, ai fini pratici, un grosso incontro italo-francese mi sembra attualmente più che opportuno, necessario: tanto meglio che l'iniziativa sia venuta da qui.

L'incontro Attlee-Truman ha introdotto, nella costituzione del Patto atlantico, un nuovo organo non scritto: il Consiglio a due. Questo è un fatto. La politica francese e italiana tendente ad evitare che il Patto atlantico divenga un affare anglo-americano è fallita. Non possiamo cambiare quello che è accaduto: bisogna che cerchiamo di circoscriverne le conseguenze. E questo in un momento in cui le, sia pure comprensibili, tergiversazioni europee, e soprattutto francesi ed italiane sulla questione del riarmo, creano una crisi nei rapporti fra Stati Uniti ed Europa continentale. Inutile recriminare di chi sia la colpa: resta il fatto: e le sue possibili conseguenze sono un rinascere dell'idea della difesa periferica che credevamo sepolta.

Ci sono poi tante questioni, nel campo economico di cui il nuovo istituto per la distribuzione delle materie prime non è che la prima manifestazione, che domandano tutta la nostra seria attenzione, se non vogliamo trovarci, a breve scadenza, in pasticci gravi. Dove si vada l'ho già detto ripetutamente a V.E.: è inutile che mi ripeta.

Certo i nostri interessi sarebbero meglio di tutto difesi, probabilmente almeno, in intese dirette con gli americani. Ma si prestano, e fino a che punto, gli americani, alle conversazioni bilaterali? Ho molti dubbi in proposito; ne abbiamo fatte delle amare esperienze in campo piano Marshall. Dato il peso che ha l'Inghilterra di fronte all'America, se noi potessimo avere con l'Inghilterra dei rapporti differenti da quegli che abbiamo oggi, i nostri interessi potrebbero essere difesi molto più efficacemente dagli inglesi. Non escludo che ci si possa arrivare: ma non è una cosa che si può realizzare dall'oggi al domani: e poi per trattare sul serio con gli inglesi di queste cose ci vorrebbe una volontà di agire ed una efficienza di amministrazione esecutiva che noi siamo ben lontani dall'avere e che, con la migliore volontà di questo mondo, non possiamo raggiungere dall'oggi al domani.

Non ci resta quindi che la Francia: e del resto le relazioni con la Francia, per buone ed intime che siano, non escludono affatto né le relazioni con l'America, né quelle con l'Inghilterra.

Non è il caso di farsi illusioni sul peso della Francia: ma sia pure dal punto di vista formale, la Francia non la si può, formalmente, escludere dai consigli anche ristretti. Che la Francia possa realmente riuscire, col suo peso, a farci entrare in qualche consiglio ristretto, da cui si ha la tendenza ad escluderci, ci credo poco: ha troppo da fare per riuscire a non essere esclusa essa stessa: anche l'intima soddisfazione di molti francesi nel vedere noi fuori e loro dentro. Ma quello che si potrebbe e si dovrebbe ottenere sarebbe un impegno da parte dei francesi di rappresentare, nei consigli ristretti, il nostro punto di vista con una specie di delegazione speciale. Mi si potrebbe dire che in questa maniera veniamo noi stessi ad accettare la nostra esclusione. C'è del vero: ma intanto fuori ne stiamo: ed avere l'impegno della Francia a rappresentarci, nelle attuali circostanze difficili, è meglio che niente.

Ultima considerazione, anche se secondaria. In Italia serpeggia un poco l'impressione che la nostra politica estera è poco attiva; che siamo fuori del gioco — ne ho visto qualche eco anche nel corso dell'ultimo dibattito parlamentare. Un incontro solenne italo-francese, in sé, dato il peso dei due paesi, non è gran cosa: ma agli occhi del pubblico italiano — ed anche di quello francese — darebbe una impressione di attività. Cosa anche questa, forse, attualmente non del tutto inutile.

Come data possibile, Schuman mi ha accennato alla seconda metà di gennaio, piuttosto verso la fine. Personalmente riterrei che sarebbe forse bene che l'incontro non avvenisse in una delle due capitali: in una località all'incirca a mezza strada fra Parigi e Roma, sia in Francia che in Italia. In un luogo tranquillo si lavora meglio, si perde meno tempo in inutili manifestazioni esterne.

Se V.E. è d'accordo con quanto le scrivo e se il presidente del Consiglio è pure d'accordo, pregherei V.E. di volermelo far sapere, se possibile telegraficamente. Non so se e fino a che punto Schuman mi abbia parlato già d'intesa con Pleven: comunque una volta al corrente del pensiero nostro, Pleven potrei lavorarlo direttamente anche io. Ma V.E. comprende come sarebbe opportuno non tardare a rispondere sia pure nella stessa forma.

Sempre se d'accordo, occorrerebbe iniziare al più presto la preparazione, diciamo così diplomatica, dell'incontro. Per forza di cosa, e data anche la materia che si deve trattare, si dovrà limitarsi a mettere in piedi un quadro entro il quale si continui a lavorare: saranno necessari, a breve distanza, se l'incontro va bene, incontri più o meno ufficiali fra i ministri della Difesa, del Tesoro, della Produzione industriale, del Commercio estero ecc., ma tutto questo domanda di essere inquadrato in una direttiva generale di Governo: altrimenti abbiamo di nuovo tutti gli inconvenienti dell'ordine sparso. Si tratta in sostanza di fare un ordine del giorno per quanto possibile completo e che le due parti sappiano, prima di incontrarsi, qual'è il punto di vista, di massima, dell'altra: questo incontro e la sua preparazione può anche servire a chiarire molte idee.

Sui possibili argomenti di colloquio, in molti casi ne so abbastanza per potere iniziare i contatti da me, una volta avuto il consenso di V.E.: tuttavia non mi sarebbe inutile avere per ogni evenienza tutte quelle istruzioni che V.E. potrà ritenere opportuno di farmi avere3 .

121 1 Vedi D. 112.

122 2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

122 3 Per la risposta vedi D. 143.

123

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 915/4999. Parigi, 24 dicembre 19501 .

Riprendendo un accenno fattomi prima della sua partenza per Bruxelles, Schuman mi ha chiesto se potevo dirgli qualche cosa circa l'atteggiamento nostro sull'esercito europeo.

Gli ho detto che ne avevo parlato a V.E. a Bruxelles: che la sua «prima reazione» era stata favorevole. La posizione presa da noi nei riguardi del piano Pleven era stata favorevole: la nostra riserva una sola: che esso non fosse un pretesto per opporre ulteriori ritardi all'esercito integrato, alla nomina del comandante supremo, ed al riarmo della Germania, tutte cose che noi consideravamo essenziali ed urgenti. Le decisioni di Bruxelles2 avevano eliminati questi possibili inconvenienti.

Ho marcato che questa era la sua «prima impressione»: che quindi V.E. avrebbe dovuto ancora pensarci su: d'altra parte, l'idea dell'esercito europeo corrispondendo alle idee generali del presidente del Consiglio, un nostro atteggiamento in principio favorevole era possibile.

Siamo poi passati a qualche precisazione. Gli ho detto che dovevamo ritenere che l'Inghilterra, gli Stati scandinavi e l'Olanda non intendevano aderirvi. Dubbioso mi sembrava il Belgio (Schuman mi ha detto di avere avuto in proposito precise assicurazioni da Van Zeeland: gli ho osservato che questo era importante, pur facendo qualche riserva — del resto da lui condivisa — sul peso che si poteva dare alle assicurazioni di Van Zeeland). Era quindi necessario chiarire un primo punto: eravamo di sposti, in caso, ad andare avanti anche solo a tre, Francia, Germania, Italia? Questo mi sembrava capitale. La Francia era l'iniziatrice, avevo ragione di sperare che l'Italia sarebbe favorevole: nel caso della Germania l'esercito europeo sembrava rispondere ad un atteggiamento molto preciso non solo di Adenauer, ma anche di Schumacher. Se noi tre eravamo d'accordo, ossia la parte realmente importante dell'Europa occidentale bisognava anche essere decisi ad andare avanti da soli: cercare formule varie per convincere quelli che vi erano contrari equivaleva a non far niente. In questo caso meglio non cominciare neppure: si erano date troppe delusioni all'opinione pubblica.

Schuman mi ha detto che, per quanto lo concerneva, era perfettamente deciso a marciare anche solo a tre: e che contava che questo suo punto di vista sarebbe condiviso anche dal suo Governo. Gli ho chiesto se non temeva che, all'ultimo momento, i suoi socialisti non avrebbero obiettato che niente si poteva fare senza l'Inghilterra. Mi ha detto molto recisamente di no: i rapporti fra socialisti francesi e laburisti inglesi si erano molto raffreddati: d'altra parte i socialisti francesi si rendevano

2 Si riferisce alla sesta sessione del Consiglio atlantico tenutosi a Bruxelles nei giorni 18 e 19 dicembre con la partecipazione dei ministri della difesa, vedi DD. 96, 100 e 101. I resoconti dei due incontri sono editi in Foreign Relations of the United States, 1950, vol. III, cit., pp. 585-604.

conto che le alternative erano due: o divisioni, e anche corpi d'armata tedeschi o esercito europeo, anche se ristretto geograficamente, e che, da tutti i punti di vista, anche in considerazione degli impegni presi in Parlamento, l'esercito europeo era per loro meglio che un esercito tedesco. (Mi permetto qui di fare qualche riserva: può essere che Schuman abbia ragione per quello che concerne i socialisti suoi colleghi di Gabinetto: non sono sicuro per quello che concerne il Parlamento ed il partito: non è la prima volta che ho dovuto constatare che la sua sensibilità parlamentare non è delle più sicure).

Circa la Germania, gli ho detto che mi sembrava che la principale e la più giustificata obiezione tedesca alla formula attuale del loro riarmo era la mancata parità di diritti. Comprendevo le reazioni francesi, ma d'altra parte non era possibile considerare i tedeschi ad un tempo come alleati e come nemici. Bisognava mettere quindi bene in chiaro che esercito europeo significava per loro anche parità di diritti. Se si riducevano le unità nazionali tedesche al combat team, bisognava fare lo stesso da parte francese: e, ridotti tutti gli eserciti nazionali all'unità di combat team, stabilire una inequivocabile parità di diritto per quello che concerneva gli Stati Maggiori ed i Comandi: che fosse cioè chiaro che un generale tedesco poteva comandare una divisione od un corpo d'armata europeo.

Schuman mi ha risposto che su questo punto non vi erano dubbi alcuni da parte sua e del Governo francese: le divisioni europee avrebbero dovuto essere costituite da combat teams che ogni singolo paese avrebbe messo a disposizione dell'esercito europeo. Mi ha aggiunto di avere dato istruzioni a François-Poncet di mettere bene in chiaro ad Adenauer che l'attuale discriminazione militare di fatto nei riguardi della Germania era solo temporanea e che sarebbe venuta senz'altro a cessare, una volta stabilito il principio dell'esercito europeo.

Ho tenuto a precisare su questo punto le idee di Schuman non solo perché nei riguardi della Germania questo è essenziale, ma anche perché sia chiaro per noi, in caso, a che cosa ci impegnamo. L'esercito europeo significherebbe per noi, l'abbandono, in buona parte almeno, dell'esercito nazionale il che è fino ad un certo punto evidente, ma anche lo spezzare le nostre divisioni nazionali in tanti combat teams destinati a far parte di divisioni internazionali.

Schuman ritiene che l'organizzazione dell'esercito europeo dovrebbe essere fatta gradualmente: una volta stabilito il principio, si dovrebbe procedere alla formazione di un paio di divisioni: ed una volta ben rodate queste due divisioni, procedere oltre: altrimenti si sarebbe creata solo confusione e si sarebbe disorganizzato quel poco che già c'è di consistente in fatto di truppe nazionali.

Circa i tempi, Schuman mi ha detto che intendeva convocare la conferenza, a Parigi, per la seconda metà di gennaio, quanto più possibile vicino al 15. Circa la procedura, mi ha chiesto cosa ne pensavo.

Gli ho detto che cominciare col riunire i ministri degli esteri, le cose essendo del tutto nel vago, non poteva risultare che in uno scambio di discorsi: di discorsi ne avevamo fin troppi. Mi sembrava miglior cosa lanciare gli inviti al più presto possibile: precisare negli inviti le idee generali del piano francese: riunire poi delle delegazioni di studio. Queste delegazioni avrebbero dovuto essere presiedute da personalità politiche cui militari e funzionari avrebbero potuto essere assegnati come esperti. E bisognava che queste personalità fossero politiche per tutti. Che non si ripetesse l'errore fatto dai francesi nel caso del piano Schuman: avevano chiesto agli altri di mandare dei politici, noi e i tedeschi lo avevamo fatto: i francesi avevano messo alla testa della loro delegazione una personalità, grossa sì ma che aveva tutti i difetti dei tecnici senza averne le qualità: ed il risultato lo avevamo visto.

I ministri degli esteri avrebbero potuto essere convocati alla fine, quando il grosso del lavoro fosse già stato fatto e restasse solo qualche questione specifica da risolvere, o, nel corso della conferenza, qualora si incontrassero delle difficoltà non suscettibili di essere risolte senza un intervento superiore.

Schuman mi ha detto che questa era anche la sua idea. La difficoltà per lui era di trovare una personalità politica adatta: ci voleva un parlamentare di primo piano ed i parlamentari di primo piano non vogliono dedicarsi ad un lavoro che li distrae dal lavoro quotidiano di Assemblea. Era, una questione seria e non bastava intervenire alle sedute di quando in quando. Comunque egli aveva già in vista alcuni nominativi (credo di aver capito che fra questi ci sia Ramadier).

Non occorre ripeta che ho precisato a Schuman che avevo parlato a titolo puramente personale.

Resta ora a decidere la nostra posizione.

Gli americani di qui sono nettamente favorevoli all'esercito europeo: mi hanno confermato, quanto mi aveva detto Schuman, che essi si riservano di far pervenire al più presto, ai Governi potenzialmente interessati una chiara parola di appoggio. Questa è però l'opinione dell'ambasciata qui: siccome non è la prima volta che l'ambasciata americana a Parigi appoggia a fondo le tesi francesi, ma non è poi seguita al cento per cento dal Dipartimento di Stato, sarebbe comunque bene verificare.

Dal punto di vista europeo è evidente che non è correndo alla ricerca di formule costituzionali che si combinerà qualche cosa di serio. È stata sempre una mia fissazione che è soltanto attraverso un esercito europeo che si potrà realmente fare l'Europa. Ma anche qui, se vogliamo fare sul serio, non bisogna correre dietro all'illusione:

o tutti o nulla. Se si potesse realmente fare un esercito comune delle tre potenze, che per quanto mal ridotte, solo le tre principali potenze continentali, ai fini pratici, il più sarebbe stato fatto. Quindi, personalmente, sono del tutto a favore di fare quello che è possibile per riuscire.

Premesso questo, non me ne nascondo le difficoltà ed anche quelle specifiche nostre. La prima difficoltà è che, anche ammesso tutte le gradualità, per fare un esercito europeo, bisogna cominciare con lo scombinare quel poco che già esiste sul piano nazionale: dividere, in parte almeno, le divisioni nazionali che già esistono, in combat teams per poi ricostituirle in divisioni internazionali: scombinare gli Stati Maggiori nazionali, per mettere in piedi uno Stato Maggiore europeo. Questo inconveniente potrebbe essere assai ridotto se i francesi consentissero, almeno in un primo tempo, ad ammettere la divisione come unità nazionale costitutiva dell'esercito europeo. Ma su questo punto, data la loro posizione iniziale, mi sembra difficile smuoverli. Anche Schuman, che è uno dei più ragionevoli, è stato estremamente fermo: direi anzi che da parte francese i combat teams è la condizione essenziale dell'esercito europeo. Schuman mi ha detto che i militari francesi sono perfettamente d'accordo e che trovano che lo si può fare benissimo senza troppa confusione. Mi riservo di verificare questo punto.

Non mi nascondo poi che ci sarà da noi una forte opposizione dei militari: questa opposizione sarà dovuta in buona parte ad una ragione perfettamente umana: conservare i comandi che si hanno o si sperano avere. Ma queste ragioni saranno mascherate sotto una serie di considerazioni tecniche e nazionali che non potranno non influenzare una parte considerevole della nostra opinione pubblica: di opposizioni ne avremo e molte.

Molto pericoloso sarebbe per me decidersi alla leggera, partendo dal presupposto: tanto non se ne farà niente. Non sono certo ottimista a questo riguardo: non mi nascondo le difficoltà a cui si va incontro, di ogni ordine: ma non si può mai dire: certe volte quello che sembra più difficile riesce meglio di quello che, in partenza, sembrava facile. Tutto dipende dall'atteggiamento dei tedeschi: se ci sono in Germania degli uomini di Stato i quali si rendono conto che è questa la maniera più rapida per uscire dal loro stato attuale di minorazione, e che, una volta accettato il principio di un esercito europeo continentale, quali che siano le precauzioni che si prenderanno all'inizio, la parte tedesca finirà, e rapidamente, per essere preponderante, essi possono accettare: ed il giorno che essi accettano è praticamente impossibile ai francesi non accettare.

Bisognerebbe quindi per quello che ci riguarda vedere seriamente se il Governo italiano ha la possibilità e la volontà di far prevalere all'interno un punto di vista europeo e non strettamente nazionale. Ma per far questo bisogna vedere chiaramente tutte le conseguenze per noi. Un esercito europeo comporta, in qualche forma, un ministro della difesa europea: lo si potrà chiamare come lo si vuole, ma il fatto resta. Il ministro europeo della difesa non sarà certo un italiano: e questo significa che il ministro della difesa italiano sarà, in una certa parte della sua azione, sottoposto alle decisioni del ministro europeo. Il comando di questo esercito sarà europeo e non nazionale: e qui non ci facciamo illusioni; il comandante supremo delle forze europee non sarà un italiano. Se fossimo in tempo di pace, un italiano avrebbe qualche chanche in quanto eliminerebbe delle difficoltà psicologiche fra francesi e tedeschi; ma siamo in tempo di guerra e le considerazioni saranno altre. Per quello che riguarda i comandi di unità, potremo avere facilmente la nostra parte; tanto più facilmente quanto meno paesi interverranno.

La strategia di questo esercito sarà, pure essa, europea: risponderà cioè al concetto, generalmente prevalente, che l'attacco russo, se esso dovesse aver luogo, si verificherà sulla direttiva Elba-Atlantico, e che quindi l'Italia la si difende fra l'Elba ed il Reno; e questo va contro le nostre idee, e le nostre affermazioni, anche recenti, in Parlamento, che l'esercito italiano deve servire per la difesa delle nostre frontiere, punto e basta. Questo è anche implicito nella concezione già accettata da noi delle forze integrate sotto il comando di Eisenhower: solo nel caso dell'esercito europeo l'impegno sarebbe giuridicamente più preciso, e organicamente più irrevocabile.

Non c'è niente di peregrino in tutto questo: l'idea di Europa è precisamente il superamento degli interessi nazionali: l'idea dell'abbandono della sovranità nazionale, è appunto la subordinazione delle autorità nazionali a nuove autorità supernazionali. Ma se, sul piano verbale, siamo non solo pronti ma entusiasti per tutti i superamenti, sul piano pratico temo che noi non siamo meno reticenti degli altri.

Ripeto, perché non ci siano equivoci: personalmente sono più che favorevole; ma siamo in un momento in cui dal piano teorico si rischia di scendere ai fatti. È pericoloso accettare un'idea, solo perché ideologicamente allettante; possiamo anche trovarci nella necessità di metterla in pratica: bisogna quindi vederne bene tutte le conseguenze. Ed è per questo che ho fatto l'avvocato del diavolo.

Possiamo dire senz'altro che non ne vogliamo sapere: ciò sarebbe in contrasto con l'atteggiamento di punta che abbiamo fin qui tenuto sul piano Europa: ma su questo argomento non saremmo i soli a contraddirci. Se realmente gli americani ci tengono molto, questo atteggiamento negativo potrebbe presentare qualche pericolo: ma molto più pericoloso a questo riguardo è l'atteggiamento reticente che continuiamo a tenere in materia di riarmo: e possiamo riguadagnare su questo terreno quello che possiamo perdere sul terreno dell'esercito europeo. Quello che è invece impossibile, è dichiararsi d'accordo all'inizio e poi fare i capricci o ritirarsi per questioni di posti o di Comandi, o per ragioni di isolazionismo nazionale militare. Se si decide di accettare, bisogna accettare anche quelle conseguenze che possono essere spiacevoli per il nostro amor proprio ed intervenire alla conferenza con la ferma intenzione di superare le difficoltà.

Una volta stabilito il principio, per quello che concerne la procedura, mi permetterei di raccomandare quella da me suggerita a Schuman. Riunire i ministri degli esteri quando la materia non è nemmeno sbozzata, è far perdere loro inutilmente del tempo. La delegazione deve essere politica e non tecnica; la decisione di principio è evidentemente politica e non se ne può spostare la responsabilità sui tecnici, che nel caso in questione sarebbero poi i militari. I tecnici dovranno intervenire in un secondo tempo ed il loro compito, coperto da una decisione politica, deve essere limitato al come fare l'esercito europeo.

Comunque pregherei V.E. di volermi mettere in grado di dare al più presto una risposta a Schuman. Se non vogliamo aderire, o se abbiamo delle condizioni precise da mettere, è meglio farlo subito. E se decidiamo di aderire è anche meglio farlo subito: a tutti i fini, compreso quello dei rapporti italo-francesi, sarebbe opportuno avere il tempo di fare precedere la riunione della conferenza generale da una certa consultazione italo-francese sulla impostazione generale da darsi ai lavori. Adesso, nei riguardi dei francesi, questo sarebbe relativamente facile: più tardi, assai più difficile. Per questo, se V.E. ritiene di poterlo fare, mi sarebbe utile avere le sue istruzioni, almeno preliminari, per telegrafo3 .

123 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

124

IL MINISTRO A COPENAGHEN, CONTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15362/63. Copenaghen, 25 dicembre 1950, ore 23,18 (perv. ore 7,45 del 26).

Telegrammi di V.E. 10655/C. e 10767/C. 1 .

Ho avuto sulla questione due colloqui con Waerum, direttore generale Affari Economici attualmente in funzioni di segretario generale. Quale premessa egli ha tenuto sottolineare identità punto di vista nostro con quello danese per quanto concer

124 1 Vedi DD. 103 e 112.

ne preoccupazione che criterio distributivo materie prima tenga conto anche esigenze civili dei paesi scarsamente o affatto provvisti di tali beni. Perciò previsto Consiglio superiore triangolare è anche qui considerato con alquanta perplessità. Quanto modo provvedere tutela tali interessi, Waerum si è mostrato decisamente più incline a diretta partecipazione Danimarca nei vari gruppi studio e nelle conferenze previste per singole materie prime, che non all'idea di inserire un rappresentante O.E.C.E. in seno al Consiglio superiore tripartito. (La difficile posizione che la Danimarca è venuta a crearsi presso O.E.C.E. non è certo estranea, secondo me, a tale preferenza).

Dopo avere ricevuto telegramma di V.E. del 22 corr., sono tornato da Waerum e gli ho esposto tesi che ci proponiamo sostenere in sede N.A.T.O. cercando fargli comprendere come interessi danesi figurare gruppo studi ed al pari conferenza materie prime non esclude utilità nomina nell'organismo triangolare rappresentante

O.E.C.E. quale portavoce complesso europeo fabbisogni civili.

Egli si è mostrato allora più interessato e mi ha promesso, dopo consultazioni Ministeri tecnici, farmi conoscere settimana prossima se e in quale misura Danimarca aderirà nostra tesi.

123 3 Per la risposta vedi D. 142.

125

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DELI ESTERI, SFORZA

T. 15372/45. Teheran, 26 dicembre 1950, ore 14 (perv. ore 19).

Trattato di amicizia italo-persiano1 discusso ieri Senato. Oratori hanno unanimità ricordato lunga tradizione amicizia con l'Italia. Avendo uno di essi espresso rincrescimento che trattato non contenga clausola diretta incrementare relazioni economiche, relatore ha alluso negoziati in corso trattato di commercio manifestando augurio Senato pronta conclusione. Legge ratifica approvata prima lettura.

125 1 Del 29 settembre, edito in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXXIII, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1982, p. 286.

126

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15406/317. Mosca, 27 dicembre 1950, ore 20,30 (perv. ore 21,30).

Riferimento telegramma di questa ambasciata 2831 .

Ho consegnato oggi Bogomolov il promemoria di risposta nel testo previsto unitamente ad opportuna documentazione. Egli mi ha trattenuto un'ora insistendo sul suo promemoria precedente, cioè nel senso che le trattative avrebbero dovuto riprendere su tutte le riparazioni, intendendo la valutazione dei beni e la fornitura della corrente produzione, l'una insieme all'altra. Gli ho ampiamente chiarito che questo avrebbe significato il pregiudicare la tesi nostra a favore di quella dei sovieti, il che non avrei potuto mai fare; gli ho ben precisato che la formula nostra voleva mantenere impregiudicate le rispettive tesi di partenza e consentire di riprendere i negoziati senza imporre l'uno o l'altro punto di vista per cercare un pratico punto d'intesa. Gli ho fatto chiaramente capire che diversamente si sarebbe creato un circolo vizioso ed una stasi del tutto favorevole al debitore, pur aggiungendo che noi non intendevamo indebitamente approfittare della nostra posizione di debitori. Alla fine mi ha chiesto chi da parte nostra avrebbe partecipato alle discussioni e quando queste avrebbero eventualmente potuto riprendersi. Gli ho risposto che delle conversazioni ero incaricato io e che queste potevano riprendersi non appena raggiunto l'accordo e qui giunti gli esperti.

Quindi penso che Bogomolov abbia capito che, irrigidendosi, abbia tutto da perdere. Ad ogni modo egli si è riservato di riferire e di rispondere.

127

IL CAPO DELLA DELEGAZIONE PRESSO L'O.E.C.E., CATTANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15417/526. Parigi, 27 dicembre 1950, ore 21,40 (perv. ore 0,30 del 28).

Come preannunziato ha avuto luogo oggi riunione capi delegazioni per ascoltare rapporto missione reduce Washington. Principali membri missione hanno esposto evoluzione pensiero americano circa creazione Washington organismo centrale per materie prime che dovrebbe avere intorno a sé dei «Commodity groups» cui parteciperebbero paesi produttori e paesi consumatori. Al riguardo mi riferisco al telegram

ma Malagodi da Washington1. È apparsa chiara necessità accurata preparazione riunione ministri fissata 12 gennaio che dovrebbe contribuire anche chiarificazione idee in corso elaborazione Washington anche per quanto concerne organo centrale. Pertanto membri missione andranno L'Aja prendere contatto con Stikker e riferiranno sabato a capi delegazioni affinché questi possano poi sentire l'opinione rispettivi Governi. Da esposizione sono emersi inoltre seguenti punti che desidero sottolineare:

1) dati forniti dai Governi europei per terzo rapporto O.E.C.E. serviranno come argomentazioni alle Amministrazioni ed a funzionari americani che dovranno sostenere necessità dell'Europa dinanzi altre Amministrazioni americane incaricate materie prime;

2) esigenza di nuova armonizzazione delle politiche economiche dei paesi europei è quanto mai sentita in America. In terzo rapporto americani ricercheranno provare che le politiche economiche e fiscali, i controlli fisici e le politiche sociali dei paesi evolvono con movimenti paralleli ed armonici;

3) americani stanno rapidamente introducendo sistemi di controlli per materie prime ed intendono sistema allocazioni sia in pieno vigore entro 1° luglio. Pertanto paesi europei che vorranno beneficiare assegnazioni materie prime americane dovranno giustificare uso finale cui sono destinate ed esistenza misure controlli equivalenti a quelle americane;

4) è opinione americana che dovrà essere un solo organismo economico atlantico che compie esame valutazione coordinamento incidenze nuova situazione economica. Non vi è ancora orientamento preciso circa organismo cui devolvere questi compiti ma è apparso che in seno ad esso americani accetteranno discutere propria politica economica in quanto essa abbia incidenze su economia paesi partecipanti.

In corso conversazioni particolari con membri missione mi è stata riconfermata esigenza prossima riunione ministri porterà a chiarire non solo problema materie prime ma anche questioni generali sorgenti da situazione economica nonché problemi organizzativi. A tale proposito missione consulterà presidente Stikker per conoscere come intende condurre dibattito il 12 per migliore messa a punto delle questioni e sondarlo se nella sua qualità di presidente O.E.C.E. e membro Consiglio atlantico sarebbe disposto accettare il 12 incarico prendere contatto principali Governi interessati ed elaborare d'accordo medesime proposte accettabili da tutti. Pregasi comunicare quanto precede a ministro Pella e delegazione.

126 1 Vedi D. 57.

127 1 Vedi D. 110.

128

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, RAINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 4605/531. Lussemburgo, 27 dicembre 1950 (perv. il 2 gennaio 1951).

Sia il cocente ricordo delle occupazioni militari tedesche di questo paese durante le due grandi guerre, sia le distruzioni subite durante l'avanzata Rundstedt del dicembre '44, rafforzano nella popolazione lussemburghese la gelosia dell'indipendenza, espressa nel vecchio motto «vogliamo restare quello che siamo».

Anche chi lamenta la rinuncia alla neutralità derivata dall'adesione al Patto atlantico, in quanto apporta l'obbligatorietà del servizio militare, non abdica al rispetto delle proprie frontiere.

La bruciatura ricevuta dal reiterato tentativo germanico di espansione ha sinora indotto questo nucleo renano ad elevare il dialetto locale al livello di lingua nazionale; però ha tuttora preferenze per la musica tedesca ed è ritroso a riconoscere lo spirito della letteratura francese che gli viene elargita. I giovani, frequentando le università di Parigi e Lione anziché di Heidelberg, assimileranno cultura dall'ovest.

Al pericolo dell'espansionismo orientale, il lussemburghese oppone la solidità del proprio attaccamento alle tradizioni centroeuropee, elevatesi in funzione della ricchezza mineraria. Di più è istintivamente lontano dalle diverse interpretazioni della dottrina comunista, come pure dalle esaltazioni slave. L'invio di cinquanta volontari di ceti differenti nel reparto beneluxiano testé imbarcatisi per la Corea è uno dei sintomi delle diffuse disposizioni d'animo, coerenti all'O.N.U.

Anche nella campagna elettorale iniziatasi per le elezioni politiche della metà dei seggi (55 complessivi) che avranno luogo nell'aprile prossimo, le probabilità dei candidati comunisti permangono modestissime (attualmente 5 deputati). Si tiene conto che la cellula esistente nel bacino minerario non è geograficamente interessata alla campagna medesima. Tra quegli operai prevale la tendenza socialista occidentale. È popolazione profondamente cattolica, salvo sporadiche eccezioni.

Quello a cui tengono questi coltivatori diretti e le classi medie di queste piccole città è ad essere aiutati a difendersi in applicazione del Patto di Brusselle o di quello atlantico. Consapevoli della pochezza delle proprie risorse, mettono qualche speranza nella stessa secondarietà presunta della loro zona. Peraltro, secondo i calcoli delle probabilità che si sentono abbozzare pel caso di conflitto, la fiducia in una risoluzione occidentale non appare piena.

Frattanto la gente di ogni mestiere e professione lavora senza esaurirsi, si nutre senza danneggiarsi e si mantiene silenziosa in misura contrastante con l'esuberanza dei contigui elementi francesi e belgi. Atteggiamento dovuto alla secolare influenza della condotta esterna germanica e non già a mancanza di vitalità fisica e mentale.

129

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15453/38. Lisbona, 28 dicembre 1950, ore 22,45 (perv. ore 4,45 del 29). Mi riferisco al mio telegramma n. 371 .

Ministero affari esteri mi ha confermato che Governo portoghese è d'accordo pienamente circa necessità inclusione nel creando Consiglio superiore materie prime di una rappresentanza Conferenza O.E.C.E. cui venga affidata tutela degli interessi paesi consumatori. Ritiene però doveroso fare tutte le riserve circa proposta composizione rappresentanza osservando che Portogallo ha da difendere interessi in certo modo minori degli altri paesi. Mi ha infine pregato di comunicargli appena possibile ulteriori notizie circa stato questione ed eventuali accordi intervenuti.

130

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15454/162. Atene, 28 dicembre 1950, ore 20,15 (perv. ore 4,45 del 29).

Mio telegramma 159 del 22 corr.1 .

A seguito colloquio riferito con telegramma precitato, ed in risposta mio promemoria, Politis mi ha inviato lettera in cui conferma che Governo greco condivide punto di vista del Governo italiano assicurando essere disposto appoggiare proposta nel senso da noi desiderato se questione sarà sollevata in seno O.E.C.E.

A voce, ed in via confidenziale, Politis mi ha detto ritiene opportuno che iniziativa in seno O.E.C.E. sia presa da nostro rappresentante, aggiungendo che sono già state inviate istruzioni al riguardo a quel rappresentante greco di sostenerne tesi e proposte.

129 1 T. 15322/37 del 23 dicembre, con il quale De Paolis aveva fatto riserva di comunicare l'esito del passo svolto in esecuzione delle istruzioni di cui al D. 112.

130 1 Vedi D. 103, nota 2.

131

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 15470/1009. Washington, 28 dicembre 1950, ore 23,42 (perv. ore 12,30 del 29).

Provveduto consegnare copia memorandum italiano su sforzo riarmo 250 miliardi a vari uffici questa Amministrazione che hanno finora ricevuto solo sunto telegrafico. Pur essendosi da parte nostra dichiarato non voler impostare in alcun modo a Washington negoziato riservato invece nostre autorità e missioni americane Roma, conversazioni avutesi hanno consentito accertare confidenzialmente reazioni ed informazioni preliminari che segnalo qui di seguito:

— -in attesa raccomandazioni Dayton, Amministrazione accingesi inviare entro settimana comunicazione telegrafica missione E.C.A. per suo orientamento in discussioni con Governo italiano. Tale comunicazione conterrà criteri giudizio programma italiano ed eventuale plafond percentuale aiuto che al massimo dovrebbe giungere 25% sforzo addizionale per riarmo italiano, od in caso presentazione nostro programma interamente probante, cifra leggermente superiore. Comunicazione suggerirà richiesta informazioni su andamento bilancia pagamenti ed aree importazione materie prime e generi consumo oltre quella del dollaro. — -memorandum italiano giudicato indicazione molto apprezzabile intenzioni nostro Governo ma non sufficiente per determinazione aiuto se non accompagnato da programma concreto produzioni in relazione esigenze militari. Consigliasi anche enunciazione dettagliata nostre possibilità vari settori industriali. Punto più debole memorandum è considerato capitolo commesse per altri paesi, dove rilevasi che nostra richiesta materie prime o pagamento soltanto valutata forte non tiene conto possibilità E.P.U. e comunque comporterebbe introiti che andrebbero a diminuire nostre richieste indebolendo nostra posizione basata su bilancia pagamenti.

Mentre con corriere odierno invio dettagliato rapporto illustrante osservazioni predette, informo che E.C.A. convocato riunione, ben inteso sempre a carattere informal ed a fine illustrativo, mercoledì prossimo con rappresentante questa ambasciata e vari Dipartimenti americani, incluso Pentagono, per più approfondite osservazioni preliminari circa memorandum, a prescindere da corso negoziati costà di cui attende-si qui esito. Sarebbe utile per tale riunione ricevere:

1) notizie su stadio completamento preparazione progetti; 2) dettagli su andamento bilancia pagamenti di cui sezione prima memorandum; 3) informazioni precise su possibilità mobilitazione nostri settori industriali1 .

131 1 Vedi D. 140.

132

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 4750/2094. Bad Godesberg, 28 dicembre 1950 (perv. il 2 gennaio 1951).

Ho riferito già a V.E.1 come si sia fatta strada negli ambienti dell'Alta Commissione alleata la convinzione che la Conferenza a quattro finirà con l'avere effettivamente luogo, forse entro un paio di mesi, per quanto negli stessi ambienti, specialmente americani, si dubiti fortemente che essa possa portare a risultati concreti.

Ciò che sembra far pensare a serie intenzioni sovietiche di discutere con gli Alleati il problema tedesco è la insistenza del primo ministro della zona orientale nel cercare diretti contatti con Adenauer. Una nuova sollecitazione in questo senso è stata fatta da Grotewohl attraverso una pubblica dichiarazione proprio in questi giorni.

Non essendovi dubbio che anche nel caso presente l'ispirazione venga da Mosca, sembra evidente l'intenzione sovietica di arrivare alla conferenza quadripartita con delle promesse sulla unificazione tedesca concordate dagli stessi tedeschi.

Si assiste cioè in questo momento al tentativo dei due campi opposti, di precostituirsi le basi tattiche più favorevoli in vista della progettata conferenza: da un lato l'accordo auspicato da Grotewohl, dall'altro il tentativo alleato, specialmente americano, di raggiungere rapidamente una intesa coi tedeschi sul riarmo.

La posizione del Governo federale, di fronte a queste prime avvisaglie, mi è apparsa chiara nella recente conversazione avuto con Blankenhorn, il quale aveva assistito proprio il giorno precedente al primo colloquio di Adenauer con gli alti commissari sul riarmo. Egli mi ha chiaramente fatto capire, come in maggior dettaglio ho già riferito, che è intenzione del cancelliere federale di accelerare i tempi e che perfino sui problemi tecnici, quale quello del combat teams, sarebbero state esercitate pressioni sugli esperti militari, ai quali spetta l'ultima parola, perché non sollevino troppe difficoltà. Sembra cioè confermarsi quella perfetta coincidenza di interessi, già altra volta da me accennata, tra il Governo federale che vede, tra l'altro, nella partecipazione tedesca alla difesa atlantica la sola via per un rapido risollevamento della Germania nel campo internazionale, e gli Alleati legati al problema difensivo dell'Occidente.

Non occorre nascondersi d'altra parte che la tendenza a conversazioni tra tedeschi sembra guadagnare terreno anche in parecchi ambienti della Germania occidentale, ed Adenauer viene così a trovarsi preso tra due esigenze contraddittorie: dare soddisfazione a questa parte dell'opinione pubblica, evitando di dare l'impressione di un atteggiamento del tutto negativo, ed evitare contemporaneamente di farsi agganciare dalla iniziativa di Grotewohl. Vi ha provveduto per ora con solenni dichiarazioni sull'unità tedesca nel suo messaggio natalizio e facendo prendere un primo contratto, puramente informativo e su base occasionale, dal rappresentante

del Governo federale a Berlino con Dertinger, ministro degli esteri del Governo della zona orientale. A tranquillizzare l'opinione pubblica è poi intervenuto anche McCloy che ad una conferenza stampa tenuta ieri sera ha dichiarato infondati i timori che si stanno diffondendo, che cioè un accordo Est-Ovest possa essere concluso a spese della Germania.

La carta però in mano dell'Unione Sovietica, quella cioè della riunificazione del territorio tedesco, è troppo forte per non avere già posto in serie imbarazzo tanto il Governo federale che gli Alleati, e non vi è dubbio che essa sarà giocata dalla Russia fino in fondo nel caso di una conferenza a quattro. Come ho accennato in altro mio rapporto, se i russi non fossero, per acciecamento ideologico e per la continua esigenza di successi immediati, chiusi in una ristretta visione politica, sarebbe lecito attendersi prossimamente da essi qualche grosso colpo di scena, attraverso inaspettate rinunzie e concessioni politiche, incluso l'abbandono della zona sovietica, l'abiura del Governo Grotewohl ed altre, pur di arrivare ad un trattato di pace sulla Germania, riunita, neutralizzata e disarmata.

Le impressioni però da me ricevute in questi giorni negli ambienti alleati mi fanno pensare che proprio per questa inconcepibile posizione «neutrale» della Germania verso la Russia, che per di più sarebbe sospinta verso Oriente da imperiose esigenze economiche, il campo delle conversazioni, se esse dovranno veramente aver luogo, sarà tanto ampliato da investire tutti i punti di conflitto con l'Unione Sovietica. Gli Alleati sono, è vero, prigionieri delle proprie dichiarazioni sull'unificazione della Germania attraverso libere e controllate elezioni, ma posizioni altrettanto nette essi hanno assunto sugli altri problemi in Oriente ed in Europa.

L'allargamento del campo delle negoziazioni, ed il condizionamento del problema tedesco alla contemporanea soluzione di tutti gli altri, permette oggi agli Alleati di sfuggire alla iniziativa sovietica diretta a bloccare il riarmo della Germania attraverso la via della unificazione, senza contemporaneamente venir meno, di fronte a questa opinione pubblica, ai principi da essi più volte proclamati.

Allo stato delle cose, l'affrontare da solo il problema della unificazione tedesca, sulla base di libere e controllate elezioni, rappresenterebbe una vittoria sovietica di cui solo più tardi si potrebbe valutare l'ampiezza. Viene fatto anzi di chiedersi perché i russi non si siano accorti prima di una soluzione così vantaggiosa per essi, e se ne siano resi conto solo quando si è profilata la minaccia del riarmo tedesco, lasciandosi sfuggire ad esempio l'ultima occasione che si era loro presentata, esattamente un anno fa, quando McCloy da Berlino, parlando a nome di tutte le potenze alleate, e con ogni enfasi possibile, invocava proprio la soluzione che l'Unione Sovietica sembra oggi con tante manovre di perseguire.

Da allora molte cose sono accadute, e soprattutto la Corea, che forse lo stesso Politburo già considera il più grave errore della politica sovietica del dopoguerra, in quanto ha servito a porre in allarme l'America ed a mettere in moto la macchina della difesa dell'Occidente.

Le impressioni ricevute qui mi fanno pensare che le conversazioni quadripartite si inizieranno sotto il segno dell'esigenza alleata di non rinunciare, a meno di sostanziali concessioni sovietiche in tutti gli altri settori, all'apporto tedesco nella difesa dell'Occidente, opponendosi cioè alla unificazione della Germania. A quel momento nessuno si nasconde che possa determinarsi il momento di crisi (se non si troverà la maniera di tenere aperta la porta alle conversazioni), o attraverso incrinature nel fronte alleato, col pericolo del sopravvento in America delle correnti isolazioniste, o di reazioni sovietiche a più o meno breve scadenza.

Per quanto riguarda la difesa dell'Europa gli americani ben sanno che il timore di uno Stato Maggiore tedesco non è una esclusiva solamente francese, ma non credono di potere più in alcun modo rinunziare alla collaborazione difensiva tedesca ed anzi, dopo le esperienze degli ultimi mesi, sembrano di aver ormai già fatto la loro scelta in Europa.

132 1 Vedi D. 113.

133

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15551/188. Bruxelles, 30 dicembre 1950, ore 20,15 (perv. ore 0,30 del 31).

Telegramma di V.E. 10767/C. 1 .

Van Zeeland ha dimostrato vivo interesse per nostre proposte che gli sembrano opportune e ragionevoli e circa le quali si dichiarava quindi in linea di massima d'accordo, riservandosi tuttavia esame più approfondito dei singoli punti delle nostre proposte.

Ha espresso soddisfazione per la proposta che [tra] gli Stati designati per rotazione vi fosse sempre uno dei membri del Benelux; ha osservato che gli interessi italiani e belgi sono analoghi e quindi collaborazione opportuna e facile.

Ha espresso dubbi che in seno O.E.C.E. anche ora difficoltà possano essere sollevate da Stati come Svezia e Svizzera che non sono nel Patto atlantico e ha indicato opportunità studiare sistema collaborazione con quegli Stati non appartenenti né

O.E.C.E. né Patto atlantico ma che sono grandi produttori materie prime come Bolivia per stagno e Australia per lana.

Alla prossima riunione del Comitato dei supplenti Belgio sarà rappresentato dal suo ambasciatore a Londra.

133 1 Vedi D. 112.

134

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 15558-15559-15560/322-323-324. Mosca, 30 dicembre 1950, part. ore 2,43 del 31 (perv. ore 7,30).

Oggi mi ha riconvocato Bogomolov per consegnarmi seguente promemoria: «In relazione al promemoria Governo italiano del 27 dicembre 19501, nel quale Governo italiano esprime consenso rinnovare trattative sulla questione del pagamento delle riparazioni dall'U.R.S.S., Governo sovietico, confermato sua posizione sulla questione delle riparazioni italiane, esposta nelle note del 10 aprile2 e 15 luglio3 nonché nel promemoria 4 dicembre4, propone di cominciare tali trattative. Mosca 30 dicembre '50».

Bogolomov, nel consegnarmi il promemoria, mi ha aggiunto che riteneva possibile fissare senz'altro la data per la ripresa delle conversazioni. I sovietici in altri termini pur non volendo rinunciare alla loro tesi che le riparazioni debbono essere pagate sia in beni sia in forniture industriali accettano la tesi di riprendere i negoziati sulla base del nostro promemoria del 27 dicembre. Dato che io mi propongo di limitare la trattazione alla valutazione dei beni determinando l'eventuale differenza aritmetica in forniture industriali e rifiutandomi ad ogni altra discussione, ritengo che sia abbastanza chiara la posizione preliminare e volendo si possa incominciare a discutere. Ove non vi fossero obiezioni da parte di codesto Ministero, pregherei di telegrafarmi sollecitamente le esatte generalità degli esperti e di chiederne il visto che io solleciterei qui. Gradirei poi che si dessero disposizioni per la loro immediata partenza con eventuali istruzioni prospettate5. Comunicherei per iscritto per evitare equivoci nominativi degli esperti a questo Ministero degli affari esteri riconfermando il punto di vista italiano in base ai nostri promemoria precedenti.

Ho profittato oggi incontro Bogomolov per interrogarlo su situazione generale. Mi ha espresso nelle formule solite volontà sovietica risolvere difficoltà per via diplomatica pur non nascondendo peggioramento situazione. Richiesto se riteneva probabile ripresa conversazioni su Germania in base ultima nota tre potenze occidentali6 mi rispose la nota era allo studio facendomi capire che verosimilmente risposta sovietica non sarebbe stata totalmente negativa.

2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 123.

3 Non pubblicato.

4 Vedi D. 55.

5 Vedi D. 147.

6 Vedi D. 118.

134 1 Vedi D. 126.

135

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, RAINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 15578/33. Lussemburgo, 31 dicembre 1950, ore 22,20 (perv. ore 8 del 1° gennaio 1951).

Riferimento telespresso di V.E. n. 10767 in data 23 dicembre1 .

Bech mi ha comunicato che, sebbene il Lussemburgo sia cointeressato al progetto materie prime nei riguardi paesi economicamente piccoli e medi, egli non (dico non) ritiene utile azione prospettata; ciò in base alle più recenti informazioni da Wa shington circa intransigenza del segretario di Stato. Inoltre Bech considera progetto stesso pericoloso date le condizioni che Acheson porrebbe circa contributo economico difesa atlantica.

Le voci di una possibile sostituzione Acheson — che Bech personalmente depreca — suggerirebbero un atteggiamento dilatorio qualora apparisse fondata la speranza di una maggiore comprensione da parte eventuale successore. Bech mi ha mostrato ritenere che l'impressione di van Zeeland sia analoga alla sua.

Questa legazione avrebbe interesse conoscere se unione economica Belgio-Lussemburgo avesse ottenuto, quale produttrice ferro e carbone, affidamenti tali da indurla a scoraggiare azione solidale che nel senso indicato dal telespresso in riferimento si delineava attuabile.

136

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2/1. Mosca, 1° gennaio 1951, ore 15,25 (perv. ore 16).

Ieri 31 verso mezzanotte Governo sovietico ha inviato cancelleria ambasciata

U.S.A. Gran Bretagna Francia nota di risposta circa trattative Germania1. Essa: 1) consente trattare su tutti problemi germanici anziché su sola demilitarizzazione, ma non fa cenno altri problemi pur non escludendoli; 2) aderisce riunione preliminare sostituti ma solo su agenda e non a New York, ma a Mosca, Parigi o Londra;

3) polemizza ed insiste stesso modo su esistenza riarmo in atto con responsabilità esclusiva Occidente e riafferma punto di vista sovietico su gravità tale riarmo e

136 1 Vedi D. 118.

necessità demilitarizzazione. Trattasi risposta tendenzialmente positiva come disposizione a trattare ma estremamente cauta e un poco involuta, che lascia aperta ogni possibilità sovietica nel corso eventuali trattative. Tale anche impressione questi diplomatici occidentali.

135 1 Vedi D. 112.

137

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, ATENE, BRUXELLES E LONDRA

T. 24/C. 1 . Roma, 2 gennaio 1951, ore 22.

Ministro Schuman ha fatto presente, in vista opposizione britannica formazione Comitato misto fra componenti Comitato studio riforma statuto Consiglio Europa e Comitato dei sette costituito da Assemblea, sarebbe opportuno stabilire stretto collegamento fra due Comitati anzidetti ed altresì comunicare conclusioni Comitato studio al Comitato dei sette Assemblea prima ancora che al Comitato ministri.

Da parte nostra si concorda e si prega di chiedere telegrafandolo parere codesto Governo dovendosi informare Segretariato per inizio riunioni Comitato studio 16 gennaio.

138

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO1 . Roma, 2 gennaio 1951.

Premesso che si è tuttora lungi da una vera distensione dei rapporti tra Israele e Stati Arabi riguardo a questa spinosa questione e che non si intravvede ancora la possibilità di un trattato di pace — o meglio, come vorrebbero gli arabi, di trattati di pace con Israele — si rileva che le linee armistiziali in Palestina fissate nel convegno di Rodi (febbraio 1949) sono sostanzialmente tuttora quelle raggiunte dai contendenti all'atto della sospensione delle ostilità. Esse tagliano nettamente la città di Gerusalemme in due zone, l'una ebraica (comprendente circa il 75% dell'intera area della città) detta anche Città Nuova (New City) e l'altra araba (25%) della Città Vecchia

(Old City), la quale, com'è noto racchiude la quasi totalità dei luoghi sacri e santuari della cristianità, mentre nella parte ebraica vi sono soltanto il Santuario della Dormizione di Maria ed il Cenacolo.

Nonostante tutti i tentativi finora fatti dalle varie potenze interessate per giungere ad una soluzione integrale del problema dell'internazionalizzazione di Gerusalemme, secondo i principi della risoluzione delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 (soluzione alla quale l'Italia non ha mancato di dare in ogni occasione il suo appoggio e la sua adesione), l'assetto giuridico internazionale della Città Santa appare ormai irrimediabile pregiudicato. Soltanto una decisione di forza potrebbe dirimere il conflitto d'interessi fra le parti in contesa. Per re Abdallah infatti la questione del possesso di Gerusalemme riveste non solo un aspetto propriamente religioso in quanto ivi è il terzo Tempio Sacro dell'Islam, il Haram es-Sherif (il più importante per i musulmani dopo la Kaaba, la Mecca, e la Tomba del profeta in Medina), ma anche rappresenta per esso un punto d'onore e di amor proprio per cui egli non abbandonerà mai e per nessun motivo la città vecchia di Gerusalemme. Il Sovrano hascemita si considera orgoglioso di assicurare egli solo la protezione dei Luoghi Santi cristiani e musulmani in detto settore, come da lui ripetutamente dichiarato perfino in pubblico.

Altrettanto dicasi per gli ebrei per i quali il possesso della Città di Sion rappresenta, da un punto di vista sentimentale, la principale mira ed il movente essenziale della lotta intrapresa per la costituzione dello Stato d'Israele. Inoltre va tenuto presente che Gerusalemme-Città Nuova è per gli israeliani un importante punto di difesa avanzato del loro territorio verso Oriente ed, eventualmente, un punto di partenza per successivi sviluppi, in avvenire.

Come già detto, per parte nostra abbiamo fin dal principio aderito alla tesi del-l'internazionalizzazione ed in tal senso abbiamo cercato d'influire unitamente alle altre nazioni cattoliche, incluse o non incluse nell'organizzazione delle Nazioni Unite, come pure non abbiamo mancato al momento e nelle sedi opportune di rappresentare ripetutamente la necessità che l'Italia, in vista della sua peculiare posizione di paese cattolico e mediterraneo non rimanga comunque estromessa da quegli organi internazionali che venissero eventualmente creati per garantire la libertà di accesso e di culto ai Luoghi Santi.

Ma con la caduta dell'ultimo progetto svedo-olandese tendente, non già ad una internazionalizzazione della Città di Gerusalemme e dintorni, bensì al riconoscimento della extraterritorialità dei singoli Luoghi Santi della cristianità con a capo un supervisore nominato dalle Nazioni Unite, il problema dell'assetto giuridico dei Luoghi Santi ha subito una nuova battuta d'arresto. Sembra ora che da parte delle N.U. si desideri che la questione venga risolta direttamente dagli interessati all'infuori di ogni e qualsiasi intervento dell'O.N.U., salvo il parere tecnico della Commissione di conciliazione.

Infine, per quanto riguarda in modo particolare il progetto israeliano di sistemazione dei Luoghi Santi, basato anch'esso sul principio della extraterritorialità e cioè diretta applicazione della responsabilità internazionale non già nei confronti dell'intera zona, bensì dei singoli Luoghi Santi, è da tener presente che l'Italia, in vista particolarmente dei suoi legami con la Santa Sede ed in considerazione dei suoi rapporti con gli Stati arabi, non ha presa nessuna iniziativa, né dato alcun affidamento per non discostarsi dalla linea da essa finora adottata.

137 1 Inviato anche alle legazioni a Bad Godesberg, Copenaghen, Dublino, L'Aia, Lussemburgo, Oslo e Stoccolma.

138 1 L'appunto ha per titolo: «Internazionalizzazione di Gerusalemme».

139

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1/1. Parigi, 2 gennaio 19511 .

Ringrazio per la comunicazione del 30 dicembre u.s., n. 17026/1172. La nota rimessa in pari data3, a codesta ambasciata di Francia, mette molto bene a punto i termini attuali della questione.

Ai fini pratici però, quelli cioè di vedere se un accordo fra noi ed i francesi è possibile sulla questione del minerale di ferro, mi sarebbe urgente conoscere se il Governo italiano è d'accordo sulla proposta fatta da Grazzi a Charpentier, e da me ripetuta a Schuman, di uno scambio di partecipazioni italiane nelle miniere dell'Ounza e francesi negli zolfi siciliani, poiché questa mi pare la sola via effettiva di uscire da questa impasse.

Mi permetto di non essere altrettanto ottimista quanto codesto Ministero sul fatto che l'approvazione da parte degli uffici E.C.A. di Roma sia sufficiente a garantirci dal-l'essere accusati di sabotare attraverso richieste esagerate il piano Schuman, o di vederci fare dai francesi, d'accordo con gli americani, controproposte inadeguate al nostro fabbisogno futuro. L'approvazione delle nostre richieste da parte dell'E.C.A. di Roma non è, temo, che un'opinione personale, che non impegna, non dico il Governo americano, ma nemmeno l'E.C.A. di Washington. Aggiungo poi che l'E.C.A. di Parigi, per esempio, è stata se non addirittura negativa almeno assai poco entusiasta del piano Schuman, e chi lo spinge qui, e suppongo anche altrove, è l'ambasciata di America, emanazione del Dipartimento di Stato, il quale lo spinge, come atto politico, e come tale, non credo sia suscettibile di commuoversi oltremodo per le nostre richieste qualora esse fossero l'unico ostacolo restante sulla via della realizzazione del piano Schuman.

La nostra posizione può essere, anzi è, giuridicamente inattaccabile: resta però il fatto che se noi ci rifiutiamo di firmare il piano Schuman, il piano Schuman può benissimo realizzarsi senza di noi. Restarne fuori può forse risolvere il problema per la Finsider, nel senso che potrà continuare a fornire prodotti siderurgici al mercato italiano ai prezzi che le fanno comodo: ma non risolve, né dal punto di vista prezzi, né dal punto di vista quantitativo, il problema del rifornimento della nostra industria siderurgica in minerale di ferro, né, aggiungo, in carbone, né in rottami. Né credo che il restar fuori del piano Schuman risolverebbe, né faciliterebbe il problema di avere dagli americani il macchinario che è ancora necessario per rimettere a posto, almeno teoricamente, la nostra industria siderurgica, problema che vorrei già essere sicuro non sia già messo seriamente in pericolo dai nuovi orientamenti della produzione americana.

2 Con tale telespresso Zoppi aveva comunicato l'avvenuta consegna all'ambasciata di Francia della nota verbale n. 42/16944/550 del 29 dicembre concernente la questione dell'inclusione nel piano Schuman dei territori nord-africani dell'Unione francese e di aver interessato in merito anche l'ambasciata statunitense.

3 Non pubblicato.

Per cui resto dell'opinione che dobbiamo cercare di fare tutto quello che è possibile per arrivare ad un accordo pratico con i francesi: e visto che sembra sia possibile di arrivarci mediante questo scambio di partecipazioni, ritengo assai pericoloso non battere il ferro fin che esso è caldo. Attualmente i francesi possono avere ancora un certo interesse ad avere la nostra adesione al piano Schuman: sia che esso riesca o che esso fallisca, questo interesse potrebbe non esserci più domani: ed allora un accordo sarebbe altrettanto difficile quanto in passato, coll'aggravante che andiamo incontro ad un periodo di estrema scarsità di materie prime. Non vorrei che l'illusione di meglio difendere certe nostre posizioni finisse per portarci a rovinarle del tutto.

139 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 66/5. Roma, 4 gennaio 1951, ore 16,30.

Ha avuto luogo 2 corrente riunione Comitato misto per ulteriori scambi idee circa nostro memorandum riarmo. Gruppo italiano presieduto da ministro Pella; quello americano da Jacobs e Dayton. Mentre si invia per corriere verbale riunione1, se ne anticipano punti principali:

1) confermata decisione di massima americana per «package program»;

2) uffici americani Roma intendono raccomandare Washington seguenti cifre assistenza americana:

a) 180 milioni dollari per periodo 1° gennaio-30 giugno 1951 dei quali approssimativamente 115 per necessità civili e 65 per riarmo;

b) 160 milioni dollari per anno finanziario 1951-1952 dei quali presumibilmente 120 per necessità civili e 40 per riarmo;

c) 50 milioni dollari quale massa manovra per fronteggiare necessità eventuali programmi suppletivi militari da impostarsi oltre 31 dicembre 1951 ma che potrebbero essere impiegati anche in periodo anteriore in caso di preoccupante situazione nei confronti difesa lira;

3) programma commesse viene per il momento stralciato da studio nostro memorandum.

Nell'esprimere nostra preoccupazione per forte riduzione rispetto nostre richieste, ci siamo riservati riesaminare intero problema sulla base cifre indicata da parte americana.

Cifre predette sono da considerarsi assolutamente segrete. Data delicata fase negoziati in corso ed opportunità evitare in futuro confronto tra nostre richieste originarie ed assistenza in definitiva concessaci, appare difficile azione chiarificatrice nei confronti stampa di cui a suo 10122 .

Si informa infine che nostri militari d'intesa con missione M.A.A.G. stanno lavorando a messa a punto progetti dettaglio per nuovo programma3 .

140 1 Non pubblicato.

141

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 072/35. Bonn, 4 gennaio 19511 .

Ho avuto stamane occasione, al ricevimento di Capodanno al Petersberg, d'intrattenermi con tutti e tre gli alti commissari ed ho da essi avuto conferma che le conversazioni — che avranno inizio lunedì o martedì fra esperti alleati e tedeschi sul riarmo — non verranno influenzate dalla fase diplomatica apertasi colla nota di risposta sovietica2 .

Come ho telegrafato3, l'impressione generale dell'Alta Commissione alleata sulla nota stessa è che essa non precluda la via ad ulteriori negoziati. In altri termini continua a prevalere la sensazione che la conferenza quadripartita può, con ogni riserva sull'esito finale, finire coll'avere luogo.

McCloy da parte sua mi ha detto di non ritenere probabile una prossima azione di forza sovietica e che egli, più della Russia, temeva gli Stati Uniti e cioè l'affermarsi delle tendenze isolazionistiche di cui Hoover si è fatto portavoce. Egli mi ha aggiunto di aver ricevuto da un antico membro del Governo, suo collega al tempo del suo sottosegretariato, informazioni che tali tendenze potrebbero rapidamente prendere piede qualora in Europa si dovesse manifestare una crisi di fermezza. Pur dando la dovuta parte alla necessità degli americani di trovare motivi di incitamento in Europa e particolarmente in Germania, credo che le informazioni ricevute da McCloy siano molto serie anche perché esse trovano conferma nelle previsioni più volte fatte in passato in questo senso da altri autorevoli membri dell'Alta Commissione americana.

Nel complesso gli Alleati, compresi i francesi, mi sono apparsi molto fermi sul principio del proseguimento delle conversazioni coi tedeschi sul riarmo, le quali non solo non escludono l'inizio di trattative a quattro, ma anzi costituiscono il presupposto per una favorevole posizione negoziale alleata al tavolo di una conferenza. Senza contare poi che, come François-Poncet mi ha detto, gli americani si considerano ormai impe

3 Per la risposta vedi D. 155.

2 Vedi D. 136.

3 T. segreto 113/9 in pari data, non pubblicato.

gnati in una battaglia contro il tempo, in quanto ritengono di avere solo per altri due anni un margine di sicurezza nella superiorità atomica sull'Unione Sovietica e quindi intendono entro tale periodo predisporre e completare il sistema difensivo occidentale.

Per quanto riguarda poi le prime reazioni tedesche ho già telegrafato che da parte governativa è stato serbato finora un comprensibile riserbo. I circoli governativi con cui però sono entrato in contatto risentono già fortemente la pressione dell'iniziativa sovietica, in quanto essi si rendono ben conto che il suo obbiettivo è di limitare al problema tedesco la proposta Conferenza a quattro, con tutti i vantaggi che alla Russia sovietica deriverebbero dalla scarsa libertà di manovra che gli Alleati, oramai vincolati alla formula di libere elezioni generali per tutta la Germania, hanno su questo terreno.

140 2 Del 30 dicembre, non pubblicato.

141 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 90/7. Roma, 5 gennaio 1951, ore 10,30.

Suo rapporto 915 del 24 dicembre1 .

Progetto solleva problemi di carattere non soltanto politico ma anche militare. Saranno perciò necessarie consultazioni con la Difesa che richiederanno, prevedibilmente, qualche giorno.

Prego V.E. subordinare ogni risposta in proposito ad eventuali più ampi scambi di idee di cui con altro mio telegramma odierno2 .

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. S.N.D. 91/8. Roma, 5 gennaio 1951, ore 11,30.

Mi riferisco suo rapporto 913 del 241 ed altri nostri scambi di idee Bruxelles.

Presidente del Consiglio concorda meco sulla utilità dell'incontro a quattro e non obietta in principio neppure data benché in proposito vi siano oggi tante ragioni di incertezza. Ciò che è essenziale per lui come per me è una preparazione seria metodica concreta come accadde per Cannes2 .

2 Vedi D. 143.

2 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 768.

142 1 Vedi D. 123.

143 1 Vedi D. 122.

144

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 165/4. New York, 5 gennaio 1951, ore 17,59 (perv. ore 7,45 del 6).

Telegramma di V.E. n. 2771 .

Segretario generale comunicatomi ufficialmente che Comando unificato accetta con profondo apprezzamento generosa offerta da parte del Governo italiano di una unità ospedaliera per Corea con intesa che è autorizzato utilizzarne attività assistenziale per forze armate, popolazione civile nonché prigionieri di guerra catturati da forze O.N.U.

Per quanto concerne organizzazione trasporto predetta unità Comando unificato si metterà in contatto diretto con Governo italiano.

Prego telegrafare conferma accordo Governo italiano2 .

145

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 11/9. Parigi, 6 gennaio 1951 (perv. l'11).

Come le accennavo nel mio telegramma n. 3 in data 2 gennaio scorso1, ho trovato Schuman, prima della risposta sovietica2, ancora pieno di speranze sulle possibilità effettive di questa Conferenza a quattro e, data l'impostazione di queste sue speranze, non credo che la nota gli abbia fatto cambiare idea. Mi consta anzi, da confidenze da lui fatte a parlamentari francesi, che continua ad essere ottimista.

La tesi di Schuman è che quello che importa è sedersi intorno ad un tavolo e parlare chiaro: ed avere il coraggio di parlare di tutto. Secondo lui è stato un errore, nel-l'ultima Conferenza a quattro, di non parlare francamente del Patto atlantico. Ritiene i russi veramente preoccupati del riarmo tedesco: e può essere che siano disposti a pagare un prezzo ragionevole, ed accettabile, per evitarlo. Bisogna dare alla Russia l'impressione che, da parte atlantica, si è disposti ad entrare in questo ordine di idee, inco

2 Vedi anche D. 189.

2 Vedi D. 136.

raggiarla a pagare questo prezzo ragionevole, e, se possibile, accettare. Non si fa illusioni sulla possibilità di un accordo vero: spera sia possibile una certa distensione, a cui qualcosa di più potrebbe seguire. Alla peggio si sarà guadagnato del tempo prezioso.

Se mai, il timore di Schuman è che i russi presentino delle sorprese sulla questione tedesca. Egli pensa che i russi possano proporre l'evacuazione della Germania da parte di tutti gli occupanti, la conclusione di un trattato di pace, e la neutralizzazione della Germania, controllata dai Quattro: e che per ottenere questo essi siano disposti ad accettare un Governo unificato tedesco, che non sia la riunione paritetica di Oriente e di Occidente, ma che sia preceduto da libere elezioni. In altre parole, che, pur di impedire il riarmo della Germania, i russi siano eventualmente disposti a rinunciare alla loro Germania orientale. Secondo Schuman, sarebbe questo un colpo da maestro da parte dei russi. Una proposta di questo genere sarebbe accettata con entusiasmo dall'opinione pubblica tedesca. Anche Schumacher, che vi è nettamente contrario, anche Adenauer, il quale secondo lui vi è altrettanto contrario, ma più di sposto a qualsiasi cosa per guadagnare tempo, non riuscirebbero ad arrestare un movimento di opinione pubblica in Germania in favore di una simile proposta. La reazione dell'opinione pubblica francese sarebbe tale che nessun Governo francese potrebbe realmente opporvisi (e qui debbo dire che ha, in sostanza, ragione): la stessa Inghilterra e perfino l'America avrebbero delle serie difficoltà. Tutto questo cambierebbe da cima a fondo l'attuale organizzazione atlantica: sarebbe anche più difficile fare accettare all'opinione pubblica francese lo sforzo necessario per il riarmo: e all'atto pratico i russi, al coperto di una neutralità che potrebbero violare quando vogliono, avrebbero tutta l'Europa occidentale alla loro mercé.

Ho osservato a Schuman che questo supposto piano russo sarebbe veramente diabolico per la sua astuzia: ma mi sembrava un po' troppo intelligente per i russi: e che tutto il loro atteggiamento, fino ad oggi, non lasciava adito a pensare che essi avessero in mente qualche cosa di simile. Gli argomenti che mi ha portato Schuman, in appoggio di questi suoi timori, mi sono sembrati poco convincenti. Alla Conferenza di Praga è stata notata una scissione nella delegazione tedesca: mentre i comunisti erano contrari alle libere elezioni, i membri non comunisti della delegazione tedesca non le escludevano: e questi stessi membri i quali, sembra, hanno qualche contatto con le autorità alleate a Berlino, continuano a dire che la cosa non è esclusa. Il che francamente non mi sembra molto: che i membri non comunisti di tutti i Governi satelliti, in quanto ce ne sono ancora, non condividano tutte le opinioni dei loro colleghi comunisti, è probabile: ma che possano avere ed esercitare una qualsiasi influenza, questo è un altro paio di maniche.

Questa la posizione di Schuman. In altri ambienti francesi, governativi, si va anche più in là. Si dice che con il riarmo della Germania è stato cambiato il carattere del Patto atlantico: esso cessa di essere difensivo, poiché è evidente che la Germania, il cui peso anche se ridotto oggi, è in avvenire destinato fatalmente a divenire preponderante, ha in vista la unificazione del paese, unificazione che non può avvenire se non attraverso una guerra. Questo i russi lo sanno, si dice, per cui il riarmo della Germania ha molte probabilità di scatenare una reazione sovietica: siccome nelle circostanze attuali la reazione sovietica sarebbe un disastro per la Francia, e per l'Europa tutta, bisogna ad ogni costo eliminarlo, negoziando con i sovieti: lo scopo della Conferenza a quattro dovrebbe essere, quindi, vendere il più caro possibile la rinunzia al riarmo tedesco, ma comunque venderla.

Per me, tutto questo ragionamento è molto campato in aria: noi siamo andati avanti, fino adesso, in base ad una premessa: la Russia sa che una azione diretta contro l'Europa, provocherebbe una reazione atomica americana contro di essa; di questa reazione americana essa ha, in un certo senso, paura. A questa premessa, si possono aggiungere tutte le argomentazioni, specie di fonte inglese, sulle difficoltà industriali della Russia, sulla precarietà della situazione nei paesi satelliti, ecc., che, basate o non basate su informazioni effettive, sono comunque secondarie. Se questa premessa è esatta — ed io credo ancora al 90 per cento che essa sia esatta — abbiamo, per qualche tempo ancora, un margine. Se essa non è più esatta — poiché certamente esatta è stata per qualche tempo — allora non sarà certo né con una Conferenza, né con delle forme diplomatiche più o meno abili che potremo evitare la reazione russa.

La cosa, per me esatta, del ragionamento francese, è la considerazione che, decretando il riarmo tedesco adesso, noi corriamo un rischio per niente, dato che, nella migliore delle ipotesi, si potrà cominciare ad avere qualche divisione tedesca efficiente soltanto nel 1952: e ancora si sarebbe benissimo potuto fare il necessario lavoro di preparazione sotto il comodo pretesto di forze di polizia. Ma è anche evidente che, per poter fare questo ragionamento agli americani, sarebbe stata necessaria da parte francese una ben altra volontà di riarmare, e di sopportare i sacrifici, di ogni genere, che uno sforzo serio di riarmo comporta. In questo caso si sarebbe potuto veramente dire agli americani: aspettate a dar corso al riarmo della Germania fino a che le forze atlantiche degli altri europei non abbiano, in una misura ragionevole, colmato il vuoto militare che c'è da questa parte: e sarebbe stata, tutto compreso, una politica intelligente. Ma nelle circostanze attuali, l'atteggiamento francese equivale a dire: armatevi voi, noi non abbiamo nessuna voglia di riarmare e non vogliamo che voi riarmiate la Germania: una posizione cioè ben difficile a sostenere, specie di fronte al Congresso americano.

Ciò premesso è inutile nascondersi che, se ai fini dei rapporti Est-Ovest, questa possibile conferenza a quattro non ha nessuna chance non dico di regolare, ma nemmeno di diminuire, in misura apprezzabile l'attuale tensione, essa si presenta come estremamente pericolosa per la solidità interna della coalizione atlantica.

Che negli argomenti che presenta il Governo francese ci sia una parte di vero non lo nego: che il Governo francese sia, per buona parte, onestamente convinto di quello che dice, anche questo non lo nego: si è molto facilmente convinti degli argomenti che appoggiano una tesi che ci fa comodo. Ma quello che è certo è che il Governo francese, nella sua maggioranza, guarda a questa conferenza come ad un mezzo che permetta di trovare una ragione, magari anche solo un pretesto, per non dar corso al riarmo tedesco, anche nella misura modesta e piena di riserve che è stata adottata a Bruxelles. E che se i russi mostreranno un minimo di abilità e di psicologia, essi arriveranno facilmente a far prendere al Governo francese una posizione negativa, dalla quale sarà assai difficile smuoverlo. Molti dei membri influenti del Governo francese sono, più o meno coscientemente, in questo ordine di idee: ma bisogna anche ammettere che anche se fossero altrimenti decisi in merito al riarmo tedesco, la pressione dell'opinione parlamentare sarebbe tale che nessun Governo francese potrebbe rifiutare un compromesso anche abile che, oltre che portare ad una apparente distensione, permetta di rimandare ogni decisione sul riarmo della Germania.

Che i russi si decidano ad adoperare i grandi mezzi, come teme Schuman, ne dubito: ne dubito perché si tratterebbe di una politica troppo sottile e troppo audace: niente affatto nello stile russo. Ma i russi hanno individuato da un pezzo la Francia come il punto più debole — fra gli elementi essenziali — della coalizione atlantica: ed hanno giuocato fino adesso non senza abilità, sul piano interno per aumentare questo désarroi francese.

Per me la conferenza, per i russi, non ha che un solo scopo: quello di scardinare, in quanto possibile, la coalizione atlantica, giuocando su questa confusione di idee che regna in Francia e, bisogna dirlo, anche in Germania, anche se i tedeschi, in certi loro atteggiamenti, hanno qualche maggiore giustificazione che non i francesi.

E ci possono riuscire.

Qualche giorno addietro la stampa inglese di Parigi ha dato notizia di una violenta discussione in seno al Gabinetto francese, nella quale Pleven e Moch hanno sostenuta la tesi che, se del caso, bisogna che la Francia negozi sola con la Russia, per vedere se non ci sia per essa la possibilità di tirare fuori una formula di compromesso da presentare poi agli anglo-americani. Tesi che sarebbe stata altrettanto violentemente opposta da Schuman e da Giacobbi, che avrebbero invece sostenuta la tesi della necessità di restare, comunque, fedeli alla comunità atlantica.

Dalle informazioni che ho raccolte la discussione non avrebbe avuta la forma precisa e drammatica che dice la stampa, ma effettivamente esistono in seno al Gabinetto due correnti, abbastanza correttamente individuate, con una situazione Pleven più nuancée, nel senso suddetto. C'è in altre parole una certa tendenza qui a cercare di far prendere alla Francia la posizione presa da Nehru nel conflitto coreano; un ritorno della vecchia politica del ponte.

Dato questo stato d'animo, o confusione di idee che dir si voglia, è evidente che non ci vorrebbe, da parte russa, una eccessiva abilità, anche senza tirar fuori grandi mezzi, come teme Schuman, per far cadere i francesi in una trappola, le cui conseguenze sia sul piano interno francese, sia su quello della politica internazionale, potrebbero essere incalcolabili.

L'unica vera speranza è nei russi; che si mostrino così poco psicologhi da non dare ai francesi, o ad una parte di loro, nemmeno quel minimo appiglio che sarebbe necessario. E dato tutto quello che i russi hanno fatto per spingere, gli aiuti Marshall prima, il Patto atlantico poi ed infine il riarmo americano, è una speranza non del tutto infondata.

144 1 Del 26 dicembre 1950, con il quale Zoppi aveva comunicato l'autorizzazione ad adibire l'unità ospedaliera della C.R.I. all'assistenza anche dei prigionieri di guerra ma che permanevano ancora alcune difficoltà per l'invio della stessa.

145 1 Non pubblicato.

146

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 62/37. Belgrado, 6 gennaio 1951 (perv. il 9).

Nel suo discorso di fine anno Kardelj ha testualmente detto:

«Noi abbiamo dichiarato pubblicamente di essere pronti a firmare un patto di non aggressione e di rapporti di buon vicinato con ciascuno dei nostri paesi vicini per la salvaguardia della pace in questa parte del mondo. Naturalmente il nostro appello è rimasto senza risposta, ovvero ha ricevuto una risposta nel rafforzamento della politica aggressiva anti jugoslava dei Governi cominformisti».

Per quanto il contesto del passo sembrava volersi riferire ai paesi confinanti del-l'Est, il fatto che Kardelj aveva parlato di «ciascuno dei nostri paesi vicini», senza discriminazioni, ha fatto sorgere l'ipotesi che egli si sia riferito a tutti i paesi confinanti e non solo a quelli dell'Est.

Ho già riferito a parte una conversazione col ministro Ivekovic, il quale non ha dato una precisa interpretazione, lasciando solo intravvedere una possibilità di un accordo del genere con l'Italia.

Oggi è poi venuto da me questo ambasciatore di Francia che ha avuto in proposito una conversazione con questo ministro aggiunto agli esteri, signor Vejvoda.

Devo premettere che Baudet molto cortesemente si era offerto, come rappresentante di un paese non confinante, di sondare in proposito queste Autorità.

Vejvoda avrebbe espresso l'opinione che Kardelj si sia riferito ai paesi dell'Est, e se anche non ha voluto escludere nettamente una possibilità di accordi del genere, ha detto a Baudet che tali patti non sarebbero necessari né con l'Italia né con la Grecia.

Tale opinione collima del resto con la tesi ufficiale del Governo jugoslavo che la Carta dell'O.N.U. sancisce la garanzia collettiva, senza necessità di patti bilaterali.

Io propenderei tuttavia a ritenere che la dichiarazione di Kardelj resta nella sua «lettera» e che, condizioni e relazioni permettendolo, questo Governo potrebbe indursi, se del caso, a concludere patti del genere.

A questo proposito non posso a meno di ricordare, seppure un po' lontana, una conversazione confidenziale dell'ambasciatore Quaroni con Bebler, e la conversazione dell'anno scorso di Tito con questo ministro del Belgio, durante la quale il Maresciallo ha parlato di opportunità di un «blocco» tra Italia e Jugoslavia.

147

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 144/1. Roma, 8 gennaio 1951, ore 16.

Suoi 322 e 3231 .

Sta bene. Si conta inviare costà per trattative entro prima quindicina febbraio, compatibilmente con tempo occorrente per concessione visto e formalità necessarie partenza, dottori Aldo Gonella della Direzione generale del Tesoro e Sanzio Patacchini della Ragioneria generale dello Stato, cui si aggiungerà dottor Giovanni Mario Melzani, funzionario Banca d'Italia in servizio presso S.E.T. ed eventualmente un funzionario del Ministero dell'industria, qualora detto Ministero, già ripetutamente sollecitato, ne decida l'invio.

Pregasi provvedere intanto nel senso proposto richiedendo visto per predetti, facendo riserva aggiungere, se del caso, ulteriore nominativo Ministero industria e telegrafando.

147 1 Vedi D. 134.

148

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 88/25. Il Cairo, 8 gennaio 1951 (perv. il 10).

Questo ministro degli esteri dopo tre mesi, fra Lake Success e Londra, di assenza, rientra al Cairo domani. Esporrà al suo Governo come effettivamente si sono svolte le recenti conversazioni anglo-egiziane e quali sono le precise proposte presentate da parte britannica. Il Governo avrà a sua disposizione qualche settimana per esaminarle in modo approfondito. A seconda delle conclusioni che saranno raggiunte da quell'esame, le conversazioni saranno eventualmente riprese a Londra nel febbraio prossimo.

Quest'ambasciatore d'Inghilterra mi dice che ciò che si può affermare per il momento con approssimativa sicurezza è soltanto che l'atmosfera in cui le conversazioni si sono svolte e lo spirito che le ha animate, l'una e l'altro amichevoli, autorizzano per la prima volta una sia pur lieve speranza ch'esse possano oggi o domani approdare a un qualche risultato concreto.

Sir Ralph Stevenson riconosce che la tesi britannica in materia di occupazione è giuridicamente debole. L'accordo del '36 precisa esplicitamente che le truppe inglesi hanno il compito di difendere la zona del Canale: pone cioè all'occupazione britannica limiti ed obbiettivi ben definiti. Parrebbe dunque arbitraria estensione di quei limiti e di quegli obbiettivi attribuire oggi all'occupazione i molto più vasti compiti di difesa generale del Medio Oriente, che il trattato non prevede, né, quando fu concluso, era possibile prevedesse.

D'altra parte è, a giudizio suo e di tutti, da escludere che l'esercito egiziano, nelle condizioni in cui attualmente si trova e si troverà per un pezzo, sia in grado di assicurare la difesa della zona. Come è pressoché da escludere che, sino a quando duri aperto il conflitto fra mondo arabo e Israele, sia possibile giungere a una intesa difensiva mediorientale che dia una qualche seria garanzia di sicurezza.

Dal fatto che lo stesso ambasciatore Stevenson si faccia parte diligente nel riconoscere la debolezza, almeno giuridica, della tesi britannica, mi par possa ragionevolmente dedursi che Londra si sia dichiarata forse disposta a rinunciare al principio dell'occupazione unilaterale, a condizione, beninteso, che la difesa della zona, che resta militarmente base e fulcro di tutta la sistemazione difensiva mediorientale, sia altrimenti assicurata e in modo per lei soddisfacente. Il Governo britannico può dunque aver impostato quest'ultimo problema piuttosto che in termini di difesa comune (che gli egiziani dichiarano inaccettabile in tempo di pace) in termini più largamente internazionali.

Le ottimistiche dichiarazioni fatte qualche giorno fa da Nahas Pacha alla Reuter circa una raggiunta intesa sui principi generali, potrebbero spiegarsi appunto con la circostanza che, rinunziando gli inglesi all'occupazione singola, una delle maggiori esigenze egiziane verrebbe dunque almeno teoricamente ad essere soddisfatta. E la fredda messa a punto del Foreign Office, che ha immediatamente seguito quelle dichiarazioni, potrebbe d'altra parte essere intesa come precisazione che molto cammino resta ancora da fare prima di giungere ad una fase delle conversazioni veramente conclusiva. Resta infatti da predisporre in termini concreti — ed è compito di non agevole soluzione — quella sistemazione internazionale atta ad assicurare la difesa della regione (problema che la conferenza del Commonwealth discute in questi giorni a Londra), e, sopra tutto, restano da predisporre quelle generali e particolari servitù ed impegni cui l'Egitto dovrebbe indubbiamente sottoporsi per consentirne la concreta attuazione. Servitù ed impegni che potrebbero in pratica rivelarsi molto più onerosi e complessi di quanto il Governo egiziano mostri di ritenere. Non è qui superfluo aggiungere che l'allontanamento delle truppe britanniche dal suolo egiziano, per gran parte di questa opinione pubblica e non la meno influente, dovrebbe condurre al raggiungimento di due obbiettivi distinti: soddisfare in primo luogo una delle maggiori esigenze nazionali, e, insieme, scongiurare il pericolo che il paese possa, appunto in ragione di quella presenza sul suo territorio, trovarsi automaticamente e fatalmente invischiato in un eventuale conflitto generale, da cui vorrebbe conservare almeno una certa libertà di restare estraneo.

E se il Governo egiziano intendesse far sua una direttiva politica siffatta, non v'è nessuno che non veda quanto e come il problema di una sistemazione internazionale della difesa mediorientale ne risulterebbe di altrettanto più complicato, dovendo quella sistemazione, qualunque essa sia, evidentemente comportare un minimo di servitù e di impegni che riporterebbero press'a poco l'Egitto, nei confronti di un possibile conflitto generale, sulla stessa strada in cui attualmente si trova.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 187/8. Roma, 9 gennaio 1951, ore 20,45.

Per possibile opportuna valorizzazione costì segnalo seguenti provvedimenti deliberati dal Consiglio dei ministri nelle sue riunioni di venerdì u.s. e di ieri1:

1) decisione porre a disposizione forza integrata atlantica complesso forze armate italiane equivalente a tre divisioni (trattasi divisioni «Mantova» e «Folgore»

nonché brigata alpina «Julia» e brigata corazzata «Ariete»; due stormi caccia e quattro squadriglie piccole unità marina per difesa costiera);

2) decisione di richiedere al Parlamento delega poteri nel settore economico-finanziario;

3) decisione di presentare al Parlamento legge per stanziamento noti 200 miliardi oltre 500 già approvati2 .

149 1 Si tratta delle sedute del 5 e 8 gennaio per le quali vedi Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948-luglio 1953, vol. II: Governo De Gasperi, 27 gennaio 1950-19 luglio 1951, a cura dell'Archivio Centrale dello Stato, Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 2006, pp. 341-363.

150

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 306/5-6. Ottawa, 9 gennaio 1951, part. ore 1,21 del 10 (perv. ore 10,30).

Da confidenze frammentarie di carattere riservatissimo provenienti dalla medesima fonte di cui al mio precedente telegramma n. 1311, sarebbero da farsi le deduzioni seguenti: in seguito ai colloqui Attlee Truman prima di Natale, il Consiglio supremo di difesa degli Stati Uniti su pressioni di Marshall (coadiuvato da Collins e Bradley), avrebbe preso la decisione di mantenere temporaneamente le attuali forze in Corea solamente qualora i cinesi si fossero fermati senza oltrepassare il 38° parallelo; e ciò allo scopo soltanto di rafforzare l'azione diplomatica diretta alla liquidazione del conflitto. Le truppe dell'O.N.U. avrebbero nel caso contrario (manca) ritirarsi su Pusan senza impegnarsi. Nel caso i cinesi «sperabilmente» non si fermassero le forze dell'O.N.U. dovrebbero reimbarcarsi, mentre sarebbe unicamente affidato all'aviazione il compito di far pagare all'invasore il maggior prezzo possibile.

Mi è stato d'altra parte confermato dal mio interlocutore che per istruzioni categoriche impartite al generale Mac Arthur il ripiegamento in Corea va sino ad ora svolgendosi senza alcun combattimento degno di nota ed anche senza una pressione avversaria di carattere particolare.

Dato che questo primo ministro e Pearson si trovano all'estero non mi è possibile di controllare con la cautela del caso le informazioni prima di inviare il presente telegramma. Pochissimi sarebbero qui iniziati a segreto, il quale viene rigorosamente mantenuto. Infatti a questo Dipartimento degli esteri viene espressa la certezza che sarà comunque mantenuta ad oltranza la testa di ponte in Corea.

L'interlocutore che mi ha riferito le suddette notizie è d'opinione che la drastica azione americana contro la Cina comunista alle Nazioni Unite costituirebbe una manovra diplomatica diversiva per opinione pubblica, specie quella statunitense: il Dipartimento di Stato, in seguito agli aspri attacchi repubblicani ad Acheson, si troverebbe nella necessità di sostituire alle cannonate che non vengono sparate in Corea queste cannonate cartacee e verbali.

150 1 Vedi D. 75.

Anche le notizie stampa circa dissensi Canada (per solidarietà con Stati Uniti) da altri membri attuale Conferenza Commonwealth nei confronti riconoscimento Cina comunista sarebbero del pari diffuse ad arte e senza alcun fondamento. Quale sia invece la verità è dimostrato dal memorandum canadese a V.E. e dalle dichiarazioni questo presidente del Consiglio (circa le quali ho riferito con telegramma

n. 128)2, nelle quali un nuovo «piano Bevin» è facilmente ravvisabile.

L'ansioso sforzo che l'Inghilterra e la maggioranza del Commonwealth, ivi compreso il Canada, vanno compiendo per placare il Governo di Pekino sarebbe dovuto gravi apprensioni Londra evitare ogni possibile rischio di un eventuale allargamento del conflitto ad altre zone dell'Asia orientale non comunista, mentre è necessario che per la difesa del continente europeo siano concentrate tutte le forze di cui gli Alleati dispongano.

149 2 Per la risposta vedi D. 158.

151

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 317/14. Parigi, 10 gennaio 1951, ore 12,47 (perv. ore 16).

Con questo ministro degli esteri ho avuto primo esame ordine del giorno incontro. Schuman propone intanto argomenti seguenti:

1) esame situazione generale: confronto punti di vista dei due Stati su vari problemi e particolarmente nei riguardi politica sovietica e politica germanica;

2) confronto politica dei due Stati nei riguardi del Patto atlantico;

3) esercito europeo;

4) piano Schuman con speciale riguardo questione minerale di ferro;

5) questione delle materie prime;

6) Unione doganale;

7) collaborazione economica dei due Stati specie in vista del riarmo;

8) collaborazione sul piano della politica interna.

Il ministro Schuman è d'opinione che converrebbe ridurre al minimo il numero degli esperti che dovrebbero accompagnare i presidenti: gli ho detto che in principio ero d'accordo: era importante, secondo me, stabilire quadro e linee generali della collaborazione fra i due Stati: esame dettagli esecutivi eventuali accordi di massima avrebbe potuto essere deferito, sul piano esperti, a incontri ulteriori.

Schuman ritiene che per l'incontro dovrebbero essere previsti due giorni, ossia almeno quattro riunioni.

Prego telegrafarmi se ci sono altre questioni che si desidera, da parte nostra, particolarmente mettere in ordine del giorno.

Per preparazione accurata, immagino che V.E. intende1, come è del resto mia idea, che, almeno delle principali questioni, venga fatto esame preventivo per via diplomatica in modo da precisare i rispettivi punti di vista: in questa maniera i due presidenti del Consiglio possono incontrarsi conoscendo già quali sono i punti su cui l'accordo di fatto già esiste e quali sono quelli che abbisognano maggiore discussione per riavvicinamento là ove esso è possibile. Per cui mi propongo, salvo istruzioni in contrario del-l'E.V., iniziare senz'altro i primi contatti con questo Ministero degli affari esteri2 .

150 2 Vedi D. 73.

152

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 332/7. Bad Godesberg, 10 gennaio 1951, ore 15 (perv. ore 23,30). Mio telegramma 2101 .

Ho sollecitato stamane nuovamente Cancelleria federale per conoscere pensiero questo Governo su nostra iniziativa circa materie prime.

Sottosegretario Hallstein mi ha detto che Governo federale non era stato finora in grado di dare una risposta non avendo fino a questo momento ancora ricevuto dai propri organi, appositamente richiesti, conferma intenzione Alleati costituzione direttorio anglo-franco-americano. Che era stato intanto provveduto costituzione apposito Comitato interministeriale presieduto segretario di Stato Schalfejew per quanto concerneva stesso problema in Germania.

Hallstein mi ha detto che organismo mondiale avrebbe potuto eventualmente essere costituito da autorità internazionale piano Schuman, cui firma egli prevede prossima forse due-tre settimane. Rispostogli che ciò sembravami difficile in quanto trattavasi problema concernente tutte le materie prime e non soltanto carbone acciaio sul che egli ha convenuto. Hallstein aggiuntomi che in base punto 25 decisioni New York intera questione doveva essere trattata con Alleati a Petersberg cosa che avverrebbe questa settimana. Senza potermi dare precisi affidamenti egli sperava tuttavia che intero problema potrebbe essere discusso fine questa settimana a Parigi in prossima riunione O.E.C.E. e sarei grato pertanto telegrafare quanto precede nostra delegazione.

D. 175] le trasmetterò esposizione nostri punti di vista su questioni elencate nel suo telegramma 14 cui ho aggiunto altri due argomenti: Libia e questioni emigrazione. V.E. vorrà farne oggetto primo esame Quai d'Orsay e riferirmi al più presto esito sue consultazioni».

151 1 Vedi D. 143. 2 Con T. s.n.d. 407/38 del 18 gennaio Sforza rispose:«Con corriere speciale domani [vedi

152 1 Vedi D. 112, nota 3.

153

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 333/5. Mosca, 10 gennaio 1951, ore 19,08 (perv. ore 23,30).

Secondo informazioni queste ambasciate Stati Uniti e Francia nota di risposta su Germania con richiesta di precisazione ai sovietici sarà consegnata fra una settimana circa. Progetto americano è ora esaminato da franco-inglesi ma non ancora approvato. Secondo francesi si dovrebbe soprattutto domandare se sovietici insistono trattare esclusivamente su oggetto dichiarazioni Praga esclusi cioè non soltanto problemi Asia ma anche richiesta disarmo sovietico e generale come necessaria premessa demilitarizzazione Germania. Questo ambasciatore Francia ha anzi sondato Vyshinsky in tal senso ricevendo evasiva risposta che «qualsiasi comunicazione degli Alleati sarebbe esaminata col massimo interesse». In tal modo tuttavia discussione rimarrebbe limitata alla Germania più Austria e forse Trieste e gli americani sembrano invece inclini a riservare ai sostituti più ampi poteri per definire un eventuale più largo campo di discussione. Intanto Literaturnaja Gazet di ieri in un breve trafiletto pubblica primo commento nota sovietica del 30 dicembre1 sostenendo che essa avrebbe gettato confusione e dissensi in campo occidentale aggiungendo che americani non desiderano negoziati mentre li desiderano gli anglo-francesi, e qualificando possibile richiesta precisazioni come «demagogica». Pregherei comunicarmi per mia norma linguaggio se V.E. non ritenga opportuno evitare possibilmente inclusione questione Trieste ordine del giorno Conferenza ministri esteri2 .

154

IL MINISTRO A LUSSEMBURGO, RAINALDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 372/1. Lussemburgo, 11 gennaio 1951, ore 17,05 (perv. ore 19).

Rispondo a telegramma di V.E. 24/C. 1 .

Ieri sera per la prima volta Bech ha ammesso con me doversi ai colleghi di Londra propria difficoltà esprimersi nel senso da noi desiderato e da lui riconosciuto ragionevole. Mentre capo della delegazione lussemburghese Consiglio Europa limita

2 Per la risposta vedi D. 156.

to iniziativa opposizione inglese a Bevin, Bech la fa risalire ad Attlee. Ritengo Schumann abbia interpellato Bech circa revisione Statuto sebbene non risulti a questa legazione di Francia.

153 1 Vedi D. 136.

154 1 Vedi D. 137.

155

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 432/232. Washington, 11 gennaio 1951 (perv. il 15).

Ringrazio V.E. per le notizie fornitemi con i telegrammi in data 21 e 4 u.s.2 concernenti il corso dei negoziati che si svolgono con le missioni americane costà in merito agli aiuti americani a fronte del nostro programma supplementare di riarmo. In relazione alle istruzioni contenute nei telegrammi predetti, questa ambasciata ha naturalmente evitato di entrare in qualsiasi conversazione di dettaglio svolgendo soltanto contatti generici a scopo informativo. Si è anche manovrato da parte nostra in modo tale da evitare la riunione desiderata dall'E.C.A. e prevista per mercoledì 3 gennaio u.s., per la quale cortesemente V.E. aveva disposto per l'invio dei dati di cui al telespresso 2171 del 31 dicembre3. Le conversazioni a carattere informativo avutesi con questi uffici hanno consentito peraltro di ottenere qualche chiarimento su certe tendenze che si manifestano negli uffici stessi in merito alle quali ritengo opportuno segnalare a V.E. quanto segue:

— ho telegrafato a V.E. recenti informazioni qui pervenute per mezzo dell'A.P. e di corrispondenze di Cortesi sul New York Times. Accludo qui unito, ad ogni buon fine, copia della notizia A.P.3 secondo la quale «gli Stati Uniti avrebbero risposto favorevolmente alla richiesta italiana di assistenza “finanziaria”» e Dayton «avrebbe data la risposta americana» in un colloquio con il ministro Pella. Unisco anche il ritaglio della corrispondenza di Cortesi3. Visitando gli uffici del Dipartimento di Stato e dell'E.C.A., si è avuta l'impressione che i funzionari competenti fossero stati colti di sorpresa da tale comunicazione e ciò perché, secondo quanto segnalato, i lavori presso i Dipartimenti dell'Amministrazione centrale americana non sono ancora ultimati.

In sostanza, lo stadio di tali lavori appare qui il seguente: l'E.C.A. e il Dipartimento di Stato hanno ricevuto notizia da Dayton delle proposte da lui formulate e da

V.E. segnalatemi nel telegramma del 4 gennaio u.s. Tali cifre hanno fatto oggetto soltanto negli ultimi due giorni di attive consultazioni ai «working levels» dei due predetti Dipartimenti oltre che del Pentagono. L'impressione generale che si ricava è che le proposte formulate da Dayton siano qui giudicate leggermente in eccesso sulle

2 Vedi D. 140.

3 Non pubblicato.

intenzioni e sulle possibilità del Governo americano sia dal punto di vista legislativo e sia da quello dell'ammontare. Non si vede qui innanzitutto come il Governo americano si possa impegnare ufficialmente alla corresponsione di aiuti a valere contro gli stanziamenti del 1951-52 (160 milioni di dollari dei quali presumibilmente 120 per necessità civili e 50 per il riarmo, oltre che 40 milioni di dollari quale massa di manovra) quando il Congresso è lungi dall'essersi pronunciato sulle somme che esso intende mettere a disposizione dell'Amministrazione per gli aiuti civili e militari. È nota a V.E. l'estrema riluttanza del ramo esecutivo di questo Governo di precedere in dichiarazioni o impegni finanziari le decisioni del potere legislativo. Tale riluttanza è determinata sopratutto dal timore che con azioni troppo avventate si possano creare irritazioni e reazioni sfavorevoli da parte degli elementi più recalcitranti in Congresso. Pertanto, pur riconoscendosi negli uffici di questa Amministrazione che non si potrà sfuggire a decisioni che investano anche un periodo di tempo per cui non sono stati ancora votati stanziamenti da parte del Congresso, si tiene a far presente che, per quanto concerne il prossimo anno finanziario e i successivi, il Governo americano potrà impegnarsi soltanto dando una indicazione degli ordini di grandezza con cui esso intende formulare proposte di stanziamenti per l'Italia. Per quanto concerne poi le somme da corrispondere nello scorcio dell'attuale anno finanziario, abbiamo ricevuto l'impressione che i lavori di questa Amministrazione procedano con una certa lentezza anche per due ordini di motivi: uno relativo a difficoltà organizzative interne e l'altro concernente la necessità di conoscere la effettiva disponibilità di fondi nel-l'attuale periodo, a fronte sia del programma E.C.A. e sia di quello degli aiuti militari. Circa le difficoltà di ordine amministrativo e organizzativo, su cui invio anche una segnalazione a parte, si tratta ovviamente di stabilire fino a che punto l'E.C.A. può intervenire nelle decisioni, nella sua qualità di Dipartimento incaricato di vigilare sullo sviluppo e sulla situazione economica dei paesi europei e fino a che punto essa deve sottostare al volere o ai suggerimenti del Dipartimento di Stato e del Pentagono. Per quanto concerne il secondo punto, vi è una tendenza a non voler pronunciarsi fino a quando non saranno giunti a fase conclusiva anche i lavori iniziati per lo studio dell'ammontare di aiuto da corrispondere anche agli altri paesi oltre l'Italia.

Esiste poi un ulteriore motivo che induce questi uffici a procedere con cautela e questo è da porsi in relazione all'esperienza fatta sopratutto coi francesi al momento del noto viaggio di Petsche a Washington. Tale esperienza ha lasciato gli americani estremamente insoddisfatti e molto riluttanti a ripetere l'errore di prendere impegni in via generica, senza approfondire con accurati accertamenti a quali reali tipi di contributi tali impegni dovrebbero corrispondere. Ciò ha fatto sì che dall'ottobre scorso, allorquando cioè il Governo americano si impegnava a corrispondere 200 milioni di dollari al Governo francese per il programma militare, poco se non nulla in realtà è stato finora sborsato. È facile immaginare l'imbarazzo dell'Amministrazione per una simile situazione sopratutto prevedendo il momento in cui essa si troverà a dover fornire spiegazioni ai Comitati parlamentari in merito all'impegno della somma predetta e al mancato concreto utilizzo di gran parte della stessa.

Tali essendo le disposizioni psicologiche di questi uffici, è ovvio attendersi un procedere alquanto lento e cauto nell'esame del nostro memorandum. È per tale motivo che ho ritenuto mio dovere segnalare a V.E. certe reazioni colte in questi uffici e l'affermazione secondo cui quale che fosse la dichiarazione fatta da Dayton al Governo italiano — come riferito dalla stampa — essa non poteva certo avere carattere definitivo e impegnare l'autorità centrale di Washington la quale è la sola in grado di prendere determinazioni finali in argomento.

— Un altro punto di ordine pregiudiziale che mi sembra opportuno recare all'attenzione di V.E. è quello relativo all'adozione dei controlli da parte del nostro Governo. A questo riguardo merita segnalare che il capitolo V del nostro memorandum, dopo un più accurato esame da parte degli uffici americani e alla luce dello sviluppo degli ultimi avvenimenti, è parso alquanto debole sopratutto se posto in relazione con le disposizioni draconiane in corso di adozione negli Stati Uniti. Direi anzi che l'evoluzione del pensiero americano in questi ultimi giorni in argomento è tale da far sì che l'esame delle disposizioni che i Governi europei stanno prendendo o prenderanno per l'adozione di controlli economici, potrà divenire uno degli elementi principali di giudizio sulla opportunità e sugli ammontare degli aiuti da corrispondersi da parte americana. Ciò è stato dichiarato ai miei collaboratori a varie riprese in questi ultimi giorni e di ciò una interessante conferma è data dal viaggio che l'assistente dell'Amministratore dell'E.C.A. per le operations, signor Joyce, ha intrapreso in Europa in questi giorni. In un colloquio con lui avutosi prima della sua partenza avvenuta ieri per Parigi, Joyce (il quale sarà a Roma tra una decina di giorni) ha dichiarato che egli si recava in Europa per constatare de visu e per potere approfondire in opportuni contatti quali fossero le disposizioni adottate dai paesi europei in tema di controlli economici e quale rapporto potesse essere fatto al Congresso in relazione a tale problema, sia al momento della discussione dei nuovi stanziamenti per gli aiuti e sia in rapporto ai provvedimenti da prendere per ottenere che un adeguato flusso di materie prime possa essere avviato verso l'Europa. Joyce ha al riguardo commentato che non era possibile che i paesi europei pretendessero di beneficiare di priorità sul mercato americano, se essi non adottavano uguali severe restrizioni e adeguati controlli simili a quelli ormai presi negli Stati Uniti. Il sistema del D.O. (Defense Order) con cui una ditta americana viene dichiarata (certified) impegnata in produzione bellica e, come tale, in grado di ottenere materie prime, non può certamente essere istaurato a favore delle ditte europee per far sì che esse ricevano adeguati ammontare delle stesse materie prime, se presso i paesi europei non verranno presi uguali provvedimenti per la «certificazione» delle ditte interessate a ottenere i materiali predetti. È appunto a causa della sensazione che qui si ha dell'impossibilità per questo Governo di ottenere, dal Congresso e dai nuovi organismi creati per il controllo economico, sufficiente comprensione delle esigenze europee, che si vorrebbe ottenere un completo allineamento dei paesi europei con gli sforzi e i provvedimenti che vengono adottati nello stesso campo negli Stati Uniti. Non è quindi da escludersi che nell'esame della corresponsione degli aiuti, non soltanto ora, ma anche nel corso del prossimo esercizio finanziario, l'adeguamento dei provvedimenti in Europa a quanto si va facendo negli Stati Uniti possa costituire un importante elemento che potrà giocare per la determinazione dell'ammontare degli aiuti.

A tale riguardo credo che la decisione adottata dal nostro Consiglio dei ministri nelle ultime riunioni e segnalatami da V.E. con il telegramma 9 gennaio4, sia giunta

molto a proposito e potrà dissipare qualsiasi dubbio o esitazione da parte degli uffici americani. Ogni ulteriore informazione che V.E. potrà farmi pervenire in merito alla questione della delega dei poteri nel settore economico-finanziario e alle intenzioni del nostro Governo in argomento, potrà rivelarsi di notevole utilità per i contatti con gli uffici americani competenti.

— Vi è un'ultima informazione che mi sembra meritevole di segnalazione a

V.E. Questa ambasciata ha avuto riservatissima visione di una bozza di telegramma che è in corso di redazione presso l'E.C.A., nel quale vengono date istruzioni alla missione E.C.A. costà, nei suoi contatti con le autorità italiane, di porre l'accento sul carattere di reciproca collaborazione che deve essere dato, proprio in relazione al programma di riarmo, ai rapporti tra Italia e Stati Uniti in questo momento particolarmente delicato. Non è tanto — dice il telegramma — l'ammontare del programma supplementare italiano o quello della percentuale degli aiuti americani che hanno importanza nelle attuali relazioni tra i due paesi o comunque nel quadro del complesso dei paesi N.A.T.O. Occorre depurare tali rapporti da concezioni utilitarie, e porre l'accento invece sulla importanza di uno sforzo comune per il raggiungimento di scopi comuni, per i quali da una parte il Governo italiano sta dando il massimo con il suo programma addizionale e dall'altra il Governo americano darà anch'esso il massimo ammontare di aiuti giudicato necessario per l'esecuzione del programma stesso da parte dell'Italia e il mantenimento della stabilità politica ed economica. A tale riguardo si è osservato da parte nostra ai funzionari amici dell'E.C.A., i quali hanno esibito tale bozza di telegramma, che il Governo italiano aveva già da tempo iniziato sul primo stanziamento di 50 miliardi il suo programma di produzione e che, sulla identità degli scopi dei due paesi e sulla necessità di sforzi adeguati, il presidente del Consiglio e i vari esponenti governativi avevano tenuto discorsi o fatto dichiarazioni molto vibranti in questi ultimi giorni. Si è anche osservato che occorreva d'altra parte non deludere l'aspettativa del Governo e dell'opinione pubblica italiana nei riguardi di una rapida decisione da parte americana per un ammontare adeguato di aiuti a fronte dello sforzo addizionale per ben 250 miliardi di lire.

È particolarmente sulla necessità che gli uffici centrali americani accelerino i loro lavori per una decisione nei riguardi del programma predetto, che sto concentrando, insieme ai miei collaboratori, tutti i miei sforzi. Mi riprometto anzi di recare all'attenzione del segretario di Stato l'opportunità che il Governo americano adotti rapidamente le sue determinazioni al riguardo nel colloquio che avrò con lui il prossimo lunedì5. Mi sembra infatti che l'effetto politico dell'aiuto americano potrebbe venire frustrato da eccessive lentezze o da una troppo lenta e accurata disamina da parte degli uffici. D'altro canto non posso non ripetere nuove esortazioni fatteci da funzionari particolarmente versati nelle cose italiane, volte ad ottenere che, per il momento in cui una decisione di massima potrà eventualmente venir presa dal Governo americano, siano apprestati al riguardo progetti di produzione con cui si possa tradurre in pratica la promessa di aiuto da parte americana.

155 1 Riferimento errato, si tratta del T. s.n.d. 2/1 del 1° gennaio, non pubblicato.

155 4 Vedi D. 149.

155 5 Vedi D. 163.

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, MOSCA, PARIGI E WASHINGTON

T. SEGRETO 284/C. Roma, 12 gennaio 1951, ore 22,30.

(Solo per Mosca) Suo n. 51 .

Ho telegrafato a Washington, Londra e Parigi quanto segue:

(Per tutti) Secondo notizie pervenute da ambasciata Mosca viene fatta ipotesi che ordine del giorno Conferenza a quattro comprenda questione Trieste, ipotesi avvalorata dal fatto che Governo sovietico ha di recente condizionato soluzione questione austriaca ad applicazione trattato di pace con l'Italia per quanto riguarda Territorio Libero Trieste. Ove ciò si verificasse, è da ritenersi quasi per certo che problema verrebbe riesumato sotto profilo costituzione Territorio Libero.

Infatti in una Conferenza destinata prendere almeno le mosse da accordi Potsdam anche questione Trieste non potrebbe avere diversa presentazione che quella originaria. Contro diversa impostazione osterebbe inoltre situazione rapporti russojugoslavi, mentre Dichiarazione tripartita2 rischierebbe trovare facile giustificazione alla sua liquidazione, facendosi valere mancata possibilità, nel periodo di tempo trascorso dalla Dichiarazione stessa, di soluzione diversa e bilaterale.

Date tali prospettive, che esame logico fa ritenere come più probabili, è evidente nostro interesse che problema Trieste non venga sollevato.

Prego V.E. voler appurare costà quale effettiva attendibilità abbiano impressioni ambasciata Mosca e eventualmente far presente difficoltà affrontare tale problema in una Conferenza già gravida di molte altre spinose questioni, aggiungendo rischi cui Governi occidentali si esporrebbero di nuocere agli interessi dell'Italia con conseguenti gravi ripercussioni su opinione pubblica italiana e su reazioni della medesima.

Voglia all'occorrenza porre in rilievo che Dichiarazione tripartita ha per noi segnato definitivo superamento trattato di pace e dobbiamo quindi escludere possibilità che questione di Trieste venga trattata all'infuori del Governo italiano. Non si vede oltretutto come Governi alleati che 20 marzo 1948 proposero contemporaneamente al Governo U.R.S.S. e a quello italiano stipulazione di un protocollo aggiuntivo al trattato di pace potrebbero ora discutere sulla questione in assenza del solo Governo italiano3 .

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

3 Per le risposte da Londra, Parigi e Washington vedi rispettivamente i DD. 178, 169 e 163. Brosio rispose con il T. segreto 599/11 del 16 gennaio, non pubblicato.

156 1 Vedi D. 153.

157

L'INCARICATO D'AFFARI A TEL AVIV, GASPARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 499/2. Gerusalemme, 12 gennaio 1951, ore 19 (perv. ore 7,15 del 14).

Da parte del Governo di re Abdallah è stata istituita nuova carica denominata «protettore moschea El Aksa e grande guardiano Luoghi Santi», con sede a Gerusalemme vecchia.

Con decreto reale è stato testé nominato per detta carica Raghib Pascià Alì; questo corpo consolare è stato oggi invitato presenziare solenne cerimonia mediante la quale il 15 corr. suddetto prenderà possesso ufficio.

Per ammissione questo console generale britannico, nuova carica venne ideata alla vigilia dell'ultima Assemblea O.N.U. come contro-altare a progettato commissario Nazioni Unite a Gerusalemme; essa viola statu quo e decisione O.N.U. cui risoluzione giuridicamente valida è tuttora quella del dicembre 1949, secondo la quale il compito di preparare lo statuto per Gerusalemme veniva affidato al Consiglio di tutela.

Mediante l'invito al corpo consolare si vorrebbe ora far pubblicamente sanzionare fatto compiuto ad opera Governo giordanico.

Per tali motivi questo console generale di Francia ha ricevuto istruzioni di «non riconoscere né appoggiare nuova carica e di non presenziare alla cerimonia né farsi rappresentare». Ho potuto prendere personalmente visione di dette istruzioni.

Belgio, Spagna e Turchia — e probabilmente U.S.A. ed altri — terranno analogo atteggiamento. Invece Gran Bretagna naturalmente interverrà.

Riterrei opportuno tenere atteggiamento parallelo a quello francese, che ritengo conforme nostra posizione qui. Qualora codesto Ministero decidesse diversamente, prego inviarmi istruzioni telegrafiche2 .

157 1 Reggente del consolato a Gerusalemme. 2 Non risulta una risposta telegrafica.

158

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 500/38. Washington, 13 gennaio 1951, ore 18,55 (perv. ore 7,15 del 14). Suo 81 e mio 152 .

Vedrò Acheson lunedì3. Considerazione incertezze ancora persistenti questi ambienti circa sistema che sarà adottato Governo italiano finanziamento spese nostro riarmo, prego V.E. telegrafarmi portata e caratteristiche decisioni presentazione legge stanziamento straordinario 200 miliardi di cui punto terzo telegramma V.E.

In particolare riuscirebbemi utile conoscere se legge predetta preveda tuttora ripartizione somma tre differenti esercizi finanziari, pur autorizzandone spese entro 31 dicembre corrente anno, oppure comporti senz'altro iscrizione somma straordinaria solo esercizio finanziario corrente4 .

159

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 30/20. Roma, 13 gennaio 1951 (perv. il 15).

Conversando ieri con monsignor Montini, gli chiesi se, in occasione della sua visita a Roma, il generale Eisenhower sarebbe stato ricevuto in udienza dal Santo Padre.

Mi rispose, con marcata freddezza, che la Segreteria di Stato non aveva ricevuto alcun avviso circa la venuta del generale, e che egli non vedeva l'utilità che Sua Santità s'incontrasse con un personaggio, i cui compiti, puramente militari, non avevano alcuna connessione coll'attività propria della Santa Sede.

2 Del 6 gennaio, non pubblicato.

3 Vedi D. 163.

4 Con T. s.n.d. precedenza assoluta 337/13 del 14 gennaio, Zoppi rispose: «Sono stati già presentati Camera due provvedimenti legislativi per stanziamento nota somma di 250 miliardi di lire destinata finanziamento programma riarmo italiano. Prevedesi che detti provvedimenti legislativi riceveranno crisma parlamentare definitivo entro corrente mese. Dopo di che detta somma potrà essere tutta immediatamente utilizzata, in conformità dichiarazioni ministro Pella a Comitato tecnico misto italo-americano. Ripartizione in tre esercizi non deve pertanto preoccupare ai fini esecuzione programma, che, ripetesi, sarà impostato immediatamente per intero. Trattasi necessità copertura spesa a fini bilancio come da art. 81 Costituzione. Ricordasi del resto che art. 272 Legge contabilità Stato già permette impegno somme stanziate in esercizi successivi».

Gli risposi se non credeva che la mancata visita di una personalità americana così spiccata non avrebbe dato ansa a commenti raddoppiati sulle tendenze «isolazioniste» e «pacifiste» del Vaticano, producendo in America effetti poco simpatici e di portata più larga di quel che si potesse a prima vista immaginare.

Mi rispose, ch'esso si rendeva ben conto di questi inconvenienti; ma che, se l'udienza avvenisse, si cadeva nell'altro, pure spiacevole, dello sfruttamento che ne avrebbero fatto quelli di sinistra. D'altronde il Pontefice aveva disposto, dal giorno in cui era stata soppressa la rappresentanza del presidente Truman, di non ricevere più alcuna eminente personalità americana, mancando la doverosa presenza del diplomatico normalmente accreditato, che la presentasse. La visita dell'Eisenhower incontrerebbe anche questa difficoltà.

Gli chiarii, ad ogni buon fine, che io non avevo alcuna missione di caldeggiare questa udienza (neppur sapevo se il generale vi pensasse) e, di rimando, il monsignore mi disse che la cosa sarebbe stata di nuovo eventualmente esaminata. Proseguii esprimendogli il parere, a titolo personale, che anche alla Santa Sede convenisse ormai di avere presso di sé un rappresentante americano ben addestrato e comprensivo delle cose europee, italiane ed ecclesiastiche, il quale sapesse chiarire bene a Washington la posizione esatta del Vaticano, in mezzo alle tendenze varie che si incrociavano in Europa, ed anche fra gli stessi cattolici, nonché il valore preciso da attribuire alle varie manifestazioni oratorie e giornalistiche, che sono come gli oroscopi di tale posizione; evitando così interpretazioni erronee o avventate, frutto di corrispondenze e notizie di non buona fonte.

Monsignor Montini mi rispose, con una certa asprezza, che la colpa di tale carenza era tutta dell'America e non della Santa Sede. Quando la Casa Bianca, in occasione della guerra, reputò utile ai propri interessi di avere un rappresentante presso il Papa, si era ben affrettata a spedire Myron Taylor, che si giovò della facilità e dei vantaggi di ogni specie che offriva lo Stato del Vaticano. Poi, venuta la pace, la missione di Myron Taylor si era proseguita, con un apparato di viaggi e di udienze del tutto vuote di contenuto, ma compromettenti per la forma spettacolare e pubblicistica. Il signor Taylor si era occupato di molte religioni e di molti affari; ma il Vaticano non aveva ottenuto mai nulla, nemmeno l'ingresso negli Stati Uniti di una dozzina di monache fuori quota, mentre gli ebrei entravano a diecine di migliaia. Poi, la missione Taylor era finita di botto, e neppure nelle dovute forme e coi necessari riguardi. Cioè, quando conchiusa la guerra, si potevano stringere proficui legami col Vaticano per opere di pace lo si era messo da parte, valendosi esclusivamente di altri canali ed altre vie. Allora i clamori dei protestanti e degli ebrei, cui non si era posto mente al momento del pericolo, diventarono elemento così preponderante delle decisioni di Truman, che i rapporti diplomatici non furono più ripresi. Oggi, mi ribadì energicamente monsignor Montini, a noi non servono; ce ne disinteressiamo per quanto ci riguarda. [...]1 anche gli interessi della politica americana.

Abbiamo tenuto i cattolici d'America in speciale considerazione, e concesso una posizione eccezionale, nei nostri consigli, alla gerarchia americana. Abbiamo potenziato, col titolo di Pontefice, le diverse missioni di assistenza americana; ma, se i cattolici d'America hanno veramente largito soccorsi con lodevole generosità (quasi

tutti però pel canale di istituti americani) dal Governo non abbiamo mai avuto nulla: ci credono infarciti dei danari del Governo americano: ma non un dollaro, di quella banda, è entrato nelle nostre casse.

Sono stato a sentire con molto interesse, e tanto più che senza ombra di dubbio, monsignor Montini riferiva esattamente lo stato d'animo del Santo Padre — nell'intento che a mia volta ne riferissi. Mi astenni quindi da obiezioni od anche osservazioni su quanto poteva apparire eccessivo ed unilaterale in questi atti di accusa, e passammo ad altro argomento.

Debbo però dire, chiudendo questo mio rapporto, che non potei trattenermi dallo stabilire, quasi mio malgrado, una certa relazione tra questo stato d'animo, e l'accentuata tinta isolazionista e pacifista che taluno vuole scorgere negli atteggiamenti della Santa Sede e persino nei discorsi del Pontefice. È argomento delicato, perché, da un lato, si tratta di sfumature, di accentuazioni discrete: dall'altro, di riproduzioni macroscopiche di giornalisti e di uomini e partiti politici interessati. Mi riprometto scriverne fra qualche giorno.

158 1 Vedi D. 149.

159 1 Parole mancanti nella copia presente in archivio.

160

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 32/22. Roma, 13 gennaio 1951 (perv. il 15).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/00318/C. D.G.A.P. Uff. I dell'8 gennaio 19511 .

Ho letto con attenzione le notizie ed osservazioni della legazione in Amman trasmessemi col telespresso cui rispondo, nonché le successive trasmessemi col telespresso ministeriale 11/00380/C. del 9 gennaio seguente2 .

Sebbene le intenzioni della Santa Sede in materia mi fossero ben note, ho tuttavia voluto riprendere gli argomenti in oggetto, in una speciale conversazione che ho avuto venerdì 12 mattina in Segreteria di Stato.

In materia di internazionalizzazione dei Luoghi Santi, ho enumerate tutte le obbiezioni che ho potuto alla politica attuale di trincerarsi sulle posizioni affermate nelle note deliberazioni dell'O.N.U. sull'istituzione del Corpus Separatum. Ma nessuna ha potuto smuovere di un pollice quei monsignori. Essi non danno alcuna vera

2 Diretto per conoscenza anche alle ambasciate a Londra, Madrid, Parigi e Washington ed all'osservatore italiano presso le Nazioni Unite: ritrasmetteva il Telespr. 1701/733 del 27 dicembre da Amman, non pubblicato.

importanza ad intese speciali con Israele e con la Giordania relativamente ai Luoghi Santi, e poco si interessano agli accordi di carattere amministrativo, libero accesso dei pellegrini, commissari italiani o francesi o spagnoli o delle Nazioni Unite, ed altre cose del genere. Se non si crea un territorio politicamente indipendente dai Governi locali, dicono, la sorte dei Luoghi Santi sarà quella che vorranno gli avvenimenti e la volontà dello Stato dominante in loco.

Circa le manomissioni, che già si sarebbero iniziate all'epoca del mandato, degli statuti tradizionali dei Luoghi Santi non si ritiene che esse siano di rilievo, se pur di grande portata possono sembrare nell'ambiente ristretto ed ipersensibile di Gerusalemme. Il contributo di re Abdallah al restauro della cupola del Santo Sepolcro viene interpretato come un atto di liberalità, ispirato naturalmente a fini politici, ma che non crea alcuna pregiudiziale pericolosa.

Circa le istituzioni cattoliche, la loro sorte in Israele è ben lungi dal non destare preoccupazioni. Ma si ritiene (come già ebbi ad esporre in altre occasioni) che, se Israele si affermerà definitivamente in Palestina, esso avrà risorse e modi sufficienti per ridurle a vita grama e vegetativa, anche ad onta di concessioni, che si otterrebbero in cambio di una capitolazione sulla questione principale. Per ora, i diritti storici e secolari, ereditati dal passato e rispettati anche al tempo del mandato, sembrano offrire una base di difesa, forse debole, ma non più di un'altra.

Insomma, di negoziati diretti o indiretti colla Giordania o con Israele, relativi a modus vivendi e simili, non si vuol neppure sentire parlare. Del resto, ciò è talmente risaputo da tutti e ripetuto a tutti, che, se non succede qualche fatto nuovo, si perde il tempo a discorrerne e a scriverne.

Sul particolare di possibili relazioni diplomatiche colla Giordania, mi è stato ripetuto che se ne tratterà soltanto quando la questione di Gerusalemme sarà definita.

Mi sono bene accorto — dalla maniera con cui questo ambasciatore di Francia parla delle questioni dei Luoghi Santi, e ammonisce sui pericoli di tirar troppo in lungo la situazione presente, e del vantaggio che ci sarebbe ad addivenire a soluzioni minori — che la Francia tenterebbe volentieri di rifarsi così qualche posizione di preminenza o di prestigio in Palestina. Ma, dalle sue espressioni, quanto da quelle della Segreteria di Stato, mi par potersi conchiudere con discreta sicurezza che non c'è alcun pericolo ch'essa abbia a prendere il passo su di noi per questa via.

E, per chiudere, ricorderò una volta ancora che la Santa Sede non crede alla stabilità della presente situazione armistiziale in Palestina, e alla durata dell'assurdo confine che passa per mezzo alla Città Santa. Presto o tardi scoppierà il conflitto, e allora i Luoghi Santi correranno, in ogni maniera si abborracciasse oggi una sistemazione di ripiego, quei terribili rischi da cui solo potrebbe forse salvarli un largo territorio internazionale, neutralizzato e libero da ogni presidio difensivo e da ogni guarnigione dei futuri contendenti.

160 1 Diretto per conoscenza anche alle ambasciate a Londra, Madrid, Parigi e Washington ed all'osservatore italiano presso le Nazioni Unite. Con esso erano stati ritrasmessi due telespressi di La Terza: il n. 1612/685 del 5 dicembre, non pubblicato, e quello del 13 dicembre (vedi D. 77) relativi ad ipotesi di accordi diretti fra la Santa Sede e la Giordania per l'internazionalizzazione di Gerusalemme.

161

IL RAPPRESENTANTE A TRIESTE, CARROBIO, AL CAPO DELL'UFFICIO PER LE ZONE DI CONFINE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO, INNOCENTI, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

TELESPR. RISERVATISSIMO 286. Trieste, 13 gennaio 1951 (perv. il 19).

Ho già riferito come, in occasione delle manifestazioni del 3 e 4 novembre, che erano state preparate in modo tale da conferire loro un tono di particolare solennità, è stata notata la mancanza quasi assoluta di entusiasmo da parte dei triestini, sicché è apparso evidente che lo stato d'animo della popolazione ha risentito dell'influenza di fattori negativi in quanto troppo forte è la differenza fra quello che era all'epoca delle elezioni del 1949 rispetto ad oggi.

La dichiarazione del 20 marzo 19481, la propaganda svolta nel corso di quelle elezioni ed il fatto stesso che gli eletti dovevano rimanere in carica soltanto due anni, avevano rafforzato la speranza che entro tale periodo la questione di Trieste potesse trovare una soluzione nel senso auspicato. Senonché, i due anni sono quasi trascorsi, nuove elezioni si preparano per il 1951, la dichiarazione del 20 marzo appare ormai di valore sempre più platonico, nessun indizio esiste di una prossima soluzione in senso italiano, la politica jugoslava degli anglo-americani ha apportato e sempre più apporta elementi di incertezza ed intanto dense nubi si accavallano all'orizzonte politico internazionale.

Tutto ciò, mentre incoraggia le correnti indipendentiste, ha scoraggiato e scoraggia naturalmente l'elemento italiano che, per di più, ritiene che l'azione sia del Governo che dell'Amministrazione comunale non sia stata abbastanza energica né per quanto riguarda la difesa dell'italianità del territorio, né nel campo dell'incremento e miglioramento delle condizioni economiche locali.

Nei riguardi del primo punto si constata che gli uomini responsabili ed i partiti di maggioranza non hanno reagito con sufficiente fermezza e coraggio a determinati atteggiamenti e provvedimenti del G.M.A. che hanno rivestito indubbiamente carattere assai poco simpatico per noi come ad esempio l'apposizione al centro della città di manifesti bilingui, non solo per riunioni di carattere artistico e culturale ma anche per riunioni politiche, la concessione dell'Auditorium a società «culturali» slovene, l'ordine dato al Municipio di ammainare la bandiera italiana il 3 novembre. Su di un piano più vasto non ci si sa rassegnare all'idea di accordi italo-jugoslavi quando la situazione a Trieste, malgrado le possibilità offerte agli anglo-americani dalla attuale delicata posizione di Tito, è ancora aperta a discussioni e quella in Zona B desta ancora tante preoccupazioni. Si ha così qui la sensazione che i problemi triestini non suscitano sufficiente passione nel resto d'Italia e ne è derivato un ulteriore elemento di abbattimento e di sconforto.

Per quanto riguarda l'operato degli attuali amministratori del Comune se ne sottolinea l'incompetenza in molti campi e si rimprovera loro di dare troppo spesso l'impressione di preoccuparsi più degli interessi del loro partito che non di quelli della comunità, i cui maggiori problemi come la disoccupazione, la mancanza di alloggi e l'assistenza ai profughi sono ancora ben lungi dall'avere trovato una vera soluzione, mentre si parla di colmare canali e di costruire piscine.

Altro fattore che ha contribuito in modo notevole a formare l'attuale stato d'animo della popolazione è la tendenza profondamente radicata nella mentalità locale di cercare sopratutto la soddisfazione dei propri interessi materiali, per cui — caduta la speranza di un prossimo ritorno all'Italia e sopiti i timori verso est — ci si adagia in un comodo conformismo.

Sotto questo riguardo hanno assunto importanza determinante gli interessi che si sono venuti a creare intorno al Governo Militare Alleato e quelli connessi con la permanenza a Trieste di un considerevole nucleo di forze armate. Ma vi è chi sostiene che fautrice dell'attuale stato di cose sia ormai anche larga parte della classe operaia che crede di essere debitrice soltanto al Governo Militare Alleato ed all'E.C.A. delle occasioni di lavoro di cui gode, mentre i sostanziali sacrifici sostenuti dall'Italia non ispirano alcuna gratitudine, in quanto che un'abile propaganda ha diffuso la convinzione che il contributo italiano è dovuto solo ad un preciso obbligo sancito dal trattato di pace.

E qui ci si riaggancia all'eterno problema della stampa triestina di cui si discute da mesi ma che non è ancora stato risolto sicché di fronte all'ottimo Corriere di Trieste (ind.), di fronte al Primoski Dnevnik (ind.), di fronte all'Unità ed a tutti gli organi settimanali e quindicinali delle correnti a noi contrarie, noi continuiamo ad opporre giornali assolutamente inadeguati.

A tutto ciò va aggiunto che, all'invadenza dell'elemento slavo, alla baldanza degli indipendentisti ed all'attività di individui provenienti dai più diversi paesi, la cui mentalità tenderebbe a creare in Trieste una città a carattere internazionale, gli Enti e le Associazioni italiane non hanno potuto o saputo opporre azione adeguata: quelle aventi fini particolarmente assistenziali e quelle sportive sopratutto per scarsezza di possibilità economiche, quelle a fini culturali, non solo per difficoltà finanziarie, ma anche e sopratutto perché gli uomini non sono stati all'altezza della situazione e non hanno saputo supplire, con il dinamismo e la molteplicità delle iniziative, alla scarsezza dei mezzi.

Ora è necessario ed urgente porsi il problema dei rimedi. La questione che va risolta per prima è certo quella della stampa per la quale mi richiamo a quanto esposto nel mio telespresso n. 90/22 del 5 gennaio u.s.2: è indispensabile ed urgente ormai che gli italiani dispongano di un organo di stampa vivace, battagliero e ben fatto che ne difenda i punti di vista e ne sostenga la causa all'infuori ed al disopra dei partiti, senza riserve e senza timori; è urgente opporre alla diuturna abilissima propaganda avversaria almeno un foglio che sappia mettere in giusta luce quanto queste terre debbono all'Italia.

Occorre poi che i partiti politici italiani si preoccupino fin da ora di stabilire la linea di condotta da seguire per la campagna elettorale e sarebbe naturalmente auspica

bile che essi scegliessero la piattaforma comune dell'italianità impegnandosi ad astenersi dalle accuse e dagli attacchi reciproci che non potrebbero che disorientare l'opinione pubblica rischiando, per lo meno, di provocare un pericolosissimo astensionismo.

Gli Enti e le Associazioni italiani dovrebbero essere spinti ad aumentare e potenziare la loro azione nei campi di specifica attività sia mediante incoraggiamenti finanziari, sia mediante apporti di altra natura (pellicole cinematografiche, premi per gare, conferenzieri, artisti, ecc.).

Nel campo delle misure che il Governo di Roma potrebbe prendere, assai efficace sarebbe un provvedimento che desse forza normativa all'impegno assunto dal Governo alla vigilia delle elezioni nel 1949 sul problema della sistemazione dei funzionari ed impiegati ora in servizio nella Zona al momento del ritorno definitivo all'Italia. Tale provvedimento dovrebbe però essere preso senza ulteriore ritardo rischiando altrimenti di perdere la propria efficacia reale e di prestarsi solo ad essere presentato come una manovra elettorale.

Quelle sopra accennate mi sembrano, al momento attuale, le misure principali e più urgenti intese a risvegliare l'ambiente, ma altre si riveleranno certo consigliabili nel prossimo futuro e non escludo possa apparire opportuno e forse necessario lasciare che prendano più larga diffusione le voci che sostengono che ogni pericolo ad Oriente non è ancora fugato ed aggiungono che del resto, gli avvenimenti internazionali si incaricheranno, forse, di convincerne i triestin i.

161 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

161 2 Non pubblicato.

162

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 564/41. Washington, 15 gennaio 1951, ore 13,18 (perv. ore 8,15 del 16).

New York Times editoriale intitolato «Vittoria per De Gasperi» scrive causa Occidente stata sostenuta con marcato successo in Senato1 da statista che merita essere considerato fra più grandi dal 1870. È stata formidabile manifestazione di leadership ma sarebbe errato ritenere responso italiano difesa atlantica semplicemente emotivo e retorico. Non può dubitarsi infatti prevalente opinione italiana essere in favore democrazie occidentali e in favore esercitare attiva funzione difesa Europa. Italia è culla civiltà occidentale inconcepibile quindi essa voglia aprire porte altra invasione barbari. Inoltre De Gasperi energicamente respinta tesi Italia poter agire quale ponte Russia-Occidente. Italia come detto De Gasperi non sta mezza strada Occidente Oriente ma postasi nostra parte. Signora Mc Cormick stesso giornale scrive discorso De Gasperi

stato del tutto inequivocabile. Stato necessario eccezionale coraggio parlare tanto esplicitamente di fronte più grande minoranza attiva comunista dato stato debolezza e povertà suo paese. De Gasperi non deviato minimamente per placare opposizione. Tale fermezza convinto esitanti. De Gasperi seguito perché non ha vacillato.

162 1 Si riferisce al dibattito sulla politica estera svoltosi nelle sedute dal 9 al 13 gennaio, il discorso di De Gasperi è in Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1951, vol. XXI, seduta del 13 gennaio, pp. 21997-22042.

163

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 567/42. Washington, 15 gennaio 1951, ore 20,27 (perv. ore 9,25 del 16). Ho visto Acheson oggi.

1) Riarmo italiano. Ho illustrato programma finanziario italiano. Ho rilevato fermissimo atteggiamento nostro Governo, con speciale riguardo a discorso De Gasperi e voto Senato1, a dimostrazione che Italia sa e vuole e può fronteggiare crisi conformemente a interessi generali e suoi propri, con arditezza e coerenza superiori a quelle di ogni altro paese. Ho rinnovato assicurazione che 250 miliardi saranno spendibili entro 1951 e cominceranno ad essere spesi subito. Ho rilevato necessità che aiuto americano, complemento essenziale dello sforzo italiano, sia deciso prontamente senza lasciarsi irretire da divergenze su somme indubbiamente modeste nel quadro generale dello sforzo americano.

Acheson mi ha dato volentieri atto del nostro spirito di coraggiosa cooperazione in generale e fra l'altro in questione riarmo tedesco. Ha promesso impartire immediatamente istruzioni per acceleramento trattative su aiuto americano.

Ho confermato che Italia mette a disposizione Eisenhower tre divisioni, in attesa aumentarle a mano a mano che programma riarmo si svilupperà. Acheson mi ha ripetuto che informazioni raccolte da Eisenhower in suo attuale viaggio e impressioni da lui ricevute in singoli paesi avranno capitale importanza per riarmo Europa.

2) Rapporti generali Italia-Occidente. Ho sottolineato necessità tener conto elementi psicologici e evitare che Italia abbia ancora, come purtroppo ha avuto spesso in passato, sensazione essere tenuta lontana da discussione problemi generali, compresi alcuni che la toccano direttamente. In particolare ho rilevato che sarebbe assurdo ammettere Cina tra Nazioni Unite senza ammettere Italia. Acheson ha convenuto.

3) Trieste ed eventuale incontro a quattro. Acheson, da me interrogato su questo punto, ha ripetuto quanto da me riferito più volte e da ultimo con rapporto 320/170 del 10 corrente2, cioè quanto segue.

Eventualità incontro a quattro è tuttora incerta. Se Francia Inghilterra insisteranno e se U.R.S.S. accetterà ordine del giorno ragionevole, Stati Uniti non rifiuteranno.

Problema Trieste potrà essere sollevato da U.R.S.S. In tal caso Stati Uniti rimarranno fermi su dichiarazione 20 marzo 1948, affermando che eventuale soluzione diversa da quella ivi contemplata potrà scaturire soltanto da accordo fra Italia e Jugo slavia e quindi potrà essere discussa soltanto in consultazione con tali due paesi.

Ho preso atto ringraziando.

Colloquio è stato assai franco e leale. Acheson mi è apparso molto ben disposto. Riferisco dettagliatamente per corriere3 .

163 1 Vedi D. 162, nota 1. 2 Non pubblicato.

164

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 614/18. Londra, 16 gennaio 1951, ore 21 (perv. ore 8 del 17).

Mio telespresso urgente dell'11 corr.1 .

Eisenhower ha detto oggi a sostituti che scopo suo viaggio Europa è raccogliere ogni possibile dato su volontà e serietà intenti Governi e popoli europei atto a convincere Congresso e opinione pubblica americana opportunità concentrare buona parte immense forze che Stati Uniti stanno costituendo. Impressioni da lui riportate finora sono buone; egli ha tuttavia potuto rilevare alcune incertezze circa necessità scopi e urgenza sforzo difensivo. Momento per preparare difesa e assicurare pace o vittoria è quello attuale e non è possibile procrastinare.

Eisenhower si è detto da parte sua convinto che difesa Europa occidentale è essenziale a difesa mondo libero e che può essere assicurata se a sforzi americani corrispondano sforzi tutti paesi alleati. Nella sua concezione strategica Europa è lunga penisola triangolare con base sull'Elba e vertice a Gibilterra. Si deve e si può costituire linea difensiva lungo base.

Alleati che dispongono supremazia navale e aerea potrebbero portare rapidamente e sicuramente loro forza d'urto sui fianchi per contrattacco. In questa visuale paesi che possono sembrare isolati o periferici hanno invece posizione grande interesse (non fa bisogno rilevare importanza per noi tale concetto strategico ove messo in atto).

Eisenhower aggiunto, con implicita allusione a insistenze per impiego Montgomery o generali francesi, che non intende in questa fase interessarsi della suddivisione vari comandi entro S.H.A.P.E. Migliori capacità singoli paesi saranno utilizzate nei tempi e modi appropriati.

Eisenhower concluso dicendosi sicuro reciproca collaborazione fra suo Comando e Consiglio sostituti che considera organo indispensabile e fondamentale alleanza

e dichiarando che egli nella sua qualità di comandante supremo si considerava al servizio di tutte le dodici nazioni alleate.

Generale è apparso in ottima forma, sereno fiducioso e pieno energia. Poiché sua opinione su ciascun paese verrà almeno per qualche tempo cristallizzata da sua breve visita, occorre che ad Eisenhower sia data fin da ora impressione che Italia è disposta a partecipare sforzo difensivo, come egli ha detto, «con tutto suo cuore, cervello ed energie fisiche».

163 3 R. segreto 499/299 del 15 gennaio, non pubblicato. 164 1 Non rinvenuto.

165

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 608/191 . Londra, 16 gennaio 1951, ore 21,10 (perv. ore 3,30 del 17).

Spofford in seduta Consiglio ha espresso l'opportunità già in passato prospettata che i sostituti procedano riservatamente a periodici scambi di vedute sulle questioni politiche che possono interessare maggiormente Alleanza. Egli ha proposto che venga esaminato per primo il problema della Jugoslavia in seduta inizio prossima settimana.

Mi proporrei di limitarmi a breve generica esposizione servendomi della documentazione esistente presso questa ambasciata per illustrare lo stato dei nostri rapporti con la Jugoslavia e riaffermare la nostra posizione per Trieste. Ciò a meno che l'E.V. non ritenesse impartirmi particolari istruzioni in relazione anche alla ventilata inclusione della questione di Trieste in agenda della Conferenza a quattro e tenuto conto dei recenti sviluppi dei rapporti tra la Gran Bretagna e la Jugoslavia2 .

166

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 258/87. Il Cairo, 16 gennaio 1951 (perv. il 20).

Assistiamo in quest'ultimo periodo ad un rifiorire di voci e di tentativi intorno alla possibilità di concludere sia un patto mediorientale, sia un patto mediterraneo. Sono certo voci che riaffiorano periodicamente appunto perché rispondono a esigenze di talune potenze o gruppi di potenze, che di quelle regioni fanno parte o vi hanno

2 Per la risposta vedi D. 174.

vitali interessi da salvaguardare e difendere e che non hanno sinora prevalso, sia perché non risentite con la stessa decisione da tutti, o perché concepite dagli uni e dagli altri in termini differenti, o, in generale, perché non abbastanza vigorose per vincere gli ostacoli che si frapponevano e tuttora si frappongono al loro eventuale attuarsi.

Codesta odierna ripresa di iniziative più o meno organiche per giungere a intese di questo genere, mi pare possa tuttavia ragionevolmente ricondursi sopra tutto alle seguenti cause.

Vi è in primo luogo la naturale reazione ai disastri militari coreani, che hanno provocato diffusi timori e conseguenti propositi di porre argine a pericoli rivelatisi più minacciosi, e, comunque, più prossimi di quel che sembrasse quando il generale Mac Arthur annunziava alle sue truppe il suo «for Christmas home». Ed uno degli argini cui subito si pensa in circostanze siffatte è appunto quello di riunirsi, di far gruppo e fronte contro la minaccia.

Vi è in secondo luogo la Turchia — e cioè la più forte potenza militare della regione — per cui è interesse fondamentale che il Medio Oriente metta in ordine la sua casa; ottunda i contrasti che lo dividono; si orienti più decisamente che oggi non faccia verso quel campo occidentale di cui Ankara è l'avamposto e il bastione più avanzato ed esposto. È dunque perfettamente naturale che la Turchia lavori a pacificare e a saldare, appunto, per sentirsi più tranquilla e più sicura alle spalle. È poi arcinoto, e non vale la pena di insistervi, che Ankara (e Atene con essa) spera sempre di giungere, attraverso codeste intese regionali, sieno mediorientali che mediterranee, a inserirsi direttamente o indirettamente, nel sistema difensivo atlantico, da cui è rimasta sinora tagliata fuori.

Vi è infine in terzo luogo, ed è quel che più conta, una molto più viva ed energica spinta britannica verso intese di questo genere, per ragioni che sono certo attribuibili almeno in parte al proposito di porre argine alla minaccia sovietica in regioni che è vitale interesse inglese e occidentale salvaguardare, ma, anche, e forse prevalentemente, a motivi, dirò, indigeni, che riguardano cioè direttamente e pressocché esclusivamente Londra.

La Gran Bretagna è impero, se non sulla decadenza, certo in ritirata. Che, dopo le forzate — e del resto politicamente intelligenti — liquidazioni indiane, pakistane-si, birmane, palestinesi, ecc., si attacca con quella ostinazione che è una delle sue qualità migliori e che caratterizza del resto la politica degli imperi sulla difensiva, a quel che le resta con estrema tenacia e non molla se non in apparenza o se costretta da forze che superino — come in India — le sue possibilità di reagire altrimenti.

Ora avviene che, incapace per una ragione o per l'altra di difendere le sue vecchie posizioni in Egitto, a Cipro, in Iraq, ecc., l'Inghilterra mi par tenti oggi di assicurare quella difesa ponendo in piedi un sistema di accordi mediorientali o mediterranei che in qualche modo riescano a cristallizzare la situazione attuale; a incapsulare il mondo arabo; a farla restare, sia pure con denominazioni e qualifiche diverse, dove sta; a evitare l'impiego di eventuali mezzi unilaterali di forza — che rischierebbero oggi di sollevare profonde reazioni sia fuori sia in seno allo stesso Commonwealth e che troppo del resto contrasterebbero con quelli che sono, o si dicono, i programmi della democrazia con la D maiuscola e le tendenze emancipatrici dei tempi.

Sicché non è ragione di meraviglia che l'ambasciatore britannico ad Atene abbia detto ad Alessandrini che «le intese greco-turche debbono essere allargate regionalmente sino ad includere l'Egitto e Cipro»; o che l'ambasciatore Gallarati Scotti riferisca che «l'associazione atlantica dell'Egitto è oggetto di considerazione da parte del Foreign Office»; o che l'ambasciatore Tarchiani confermi che «la questione dell'associazione dell'Egitto al Patto atlantico è stata oggetto di consultazione fra Londra e Washington»;

o che gli ambasciatori Cerulli e Pietromarchi segnalino, l'uno «gli insistenti tentativi che si vanno facendo in vari Stati del Medio Oriente per raggruppare tali paesi rapidamente in un solo blocco difensivo»; l'altro «gli orientamenti turchi diretti a compromettere, di concerto con l'Inghilterra, gli Stati arabi, nella difesa del Medio Oriente».

Anche a me questo ambasciatore britannico del resto ha manifestato l'opinione che un patto mediterraneo sarebbe forse in questo momento iniziativa utile e questo ministro degli esteri ha confermato che la Gran Bretagna lavora per giungere ad un patto mediorientale.

Ora, una cosa è la difesa del Medio Oriente e del Mediterraneo orientale contro la minaccia sovietica, un'altra la difesa delle posizioni britanniche in quelle regioni. L'una risponde a una necessità generale, l'altra a una esigenza particolare. Sono cioè due obbiettivi differenti, sebbene sia certo che l'Inghilterra — e fa del resto, dal suo punto di vista, benissimo — si trinceri dietro il primo, per mascherare — e per meglio raggiungere — il secondo.

Sta comunque di fatto che un'intesa mediterranea e mediorientale che, pur essendo volta a porre argine al pericolo sovietico, fosse sopra tutto mossa dal proposito di salvaguardare le vecchie posizioni britanniche e fosse quindi concepita e organizzata sopratutto in vista del raggiungimento di questi ultimi obbiettivi, finirebbe col contenere in sé germi ed elementi di irrequietezza, di malcontento e di instabilità tali da renderla probabilmente inadatta a quella funzione di argine che dovrebbe essere la sua funzione essenziale e comunque quella che veramente ne giustificherebbe l'organizzazione e l'esistenza.

Sarebbe infatti molto ingenuo presumere che basti coprire con paludamenti internazionali il contrasto anglo-egiziano o il dissidio anglo-cipriota o il dissenso anglo-iraqueno, perché contrasti e dissidi e dissensi scompaiano automaticamente. Ed è certo più ragionevole pensare che tali paludamenti non gioverebbero in sostanza che a riversare anche sulle altrui spalle — e probabilmente, in caso di patto mediterraneo, anche sulle nostre — pesi, svantaggi, risentimenti, che oggi gravano, e pour cause, soltanto sulle spalle britanniche, pregiudicando così, nella specie, e rendendo probabilmente impossibile, quella autonoma politica di amicizia che intendiamo da parte nostra — e molto giustamente — svolgere nei confronti del mondo arabo.

Sicché, se iniziative di questo genere dovessero per avventura entrare domani in una fase più concreta e dovessero includere l'Italia, converrebbe certo preventivamente esaminarle anche sotto questa luce e profilo.

Non ho, sinora, parlato dell'America. È voce corrente, oggi, che l'America abbia, in materia mediorientale, dato carta bianca alla Gran Bretagna. E si spiega che, dopo il massiccio riarmo suo e atlantico e, sopra tutto, dopo l'affare coreano, gli Stati Uniti sono, volenti o nolenti, costretti a ridurre altrove i loro impegni e a nuovamente trasferirli sulle spalle britanniche, diventate nel frattempo più salde. La voce non mi pare esatta o del tutto esatta. Non mi pare cioè possibile, allo stato dei fatti, affermare che gli Stati Uniti addirittura si ritirino dal Medio Oriente, quando essi restano, come restano, impegnati a fondo in Turchia e in Grecia, nell'Arabia Saudita e in Iran. E sarebbe, forse, più esatto affermare che, avendo indubbiamente l'Inghilterra ricuperato parte delle sue forze politiche, militari, economiche, è naturale ch'essa si ripresenti in quei teatri e settori in cui i suoi interessi sono stati sempre prevalenti, col maggior peso ed autorità che appunto le deriva dal suo recente ricupero. Tutto questo per dire che americani e inglesi, perfettamente d'accordo sulla necessità di organizzare a difesa il Medio Oriente, potrebbero non esserlo o non esserlo altrettanto nei confronti dei predetti progetti mediterranei o mediorientali, come dimostrerebbe, per esempio, l'opposizione manifestata a quei patti ad Alessandrini dall'ambasciatore americano ad Atene.

Discordanza che certamente faciliterebbe, nell'esame di quelle iniziative, la cernita di quel che è legittima e generale preoccupazione di difesa strategica da quel che è soltanto proposito di conservazione di situazione e sistemi almeno in parte, come quelli britannici, anacronistici, e che, se davvero dovessero prevalere, inciderebbero seriamente sul maggior compito difensivo che quelle iniziative dovrebbero proporsi, riducendone di molto la portata e l'efficacia.

165 1 Testo tratto dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Londra.

167

LAMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 38/28. Parigi, 16 gennaio 19511 .

Ho l'onore di accludere qui in copia l'appunto concernente una conversazione che il ministro Schuman ha avuto con il ministro Pella. Come V.E. può vedere, durante questa conversazione il ministro Schuman ha ripetuto al ministro Pella le assicurazioni formali, che aveva di nuovo date a me la sera precedente, della sua volontà di risolvere secondo i nostri desiderata, la questione dei minerali di ferro.

Mentre non metto in dubbio la ferma volontà del ministro Schuman di arrivare ad una soluzione nel senso da noi richiesto, credo opportuno far presente che non sarà del tutto facile per lui dare esecuzione pratica alle sue buone intenzioni.

Quando arriviamo ai quantitativi richiesti per gli anni a venire dalla nostra siderurgia, ossia 1 milione 600 mila tonnellate di minerale all'anno, le nostre richieste, dato lo stato attuale della produzione delle miniere, non potrebbero essere soddisfatte se non riducendo il quantitativo che viene venduto agli inglesi: e questo crea delle complicazioni e delle difficoltà anche per il Governo francese.

Aggiungo anche che dalla comunicazione fattami in proposito da codesto Ministero, rilevo che la possibilità pratica d'interessare il capitale francese allo zolfo non è così semplice come sembrerebbe e che questo, a sua volta, complicherà la questione di una nostra eventuale partecipazione alle miniere di ferro del Nord-Africa allo scopo di aumentarne la produzione.

Continuerò comunque a tenere V.E. al corrente delle ulteriori conversazioni che avrò qui sull'argomento2 .

2 Vedi D. 180.

ALLEGATO

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEL TESORO, PELLA, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

VERBALE3 . Parigi, 13 gennaio 1951.

Au cours d'un entretien que Monsieur Pella a eu le 12 Janvier avec Monsieur le Président Schuman au Quai d'Orsay, Monsieur Pella a cru devoir rappeler à Monsieur Schuman que le Gouvernement Italien attachait un gran intérêt à l'éclaircissement des points soulevés par une récente note verbale adressée au Quai d'Orsay au sujet des accords souhaités par le Gouvernement Italien au sujet des minerais de Ouenza en relation aux négociations en cours pour la réalisation d'un pool européen charbon-acier.

Monsieur le Président Schuman a bien voulu déclarer se souvenir parfaitement du point de vue italien à ce sujet et a déclaré que le Gouvernement de la République était désireux de donner toute satisfaction aux demandes italiennes et dans le but de lui faciliter un accord sur le projet du pool charbon-acier.

Monsieur Pella, en remerciant vivement Monsieur le Président Schuman pour ses déclarations, a cru devoir demander si ces assurances se référaient tout aussi bien aux «quantités» désirées par le Gouvernement italien des minerais de Ouenza, ainsi qu'aux «prix».

Monsieur le Président Schuman a déclaré que c'était bien le cas, car il se rendait compte qu'un accord n'aurait pu être satisfaisant s'il ne couvrait les deux aspects du problème. Monsieur Schuman a ajouté qu'il ne voyait pas de difficultés pour le Gouvernement de la République à donner satisfaction sur ce point au Gouvernement Italien, étant donné que le capital des sociétés de Ouenza est contrôlé par l'Etat dans une proportion de 53% et le Gouvernement était intentionné de se valoir de ses droits pour réaliser cet accord. Sur ce point une décision du Gouvernement était nécessaire, mais cette décision sera prise.

Monsieur Pella a vivement remercié Monsieur le Président de ces mots entièrement rassurants.

167 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

167 3 Redatto dal ministro Cattani.

168

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 366/116. Il Cairo, 17 gennaio 1951 (perv. il 25).

Questo ministro degli esteri, che ho visto al suo ritorno da Londra, per la prima volta, ier l'altro, mi è parso molto incerto sull'esito delle conversazioni anglo-egiziane. Se vi è una qualche possibilità che il problema dell'occupazione possa trovar soluzione, è pressoché da escludere che una soluzione vi sia per quel che concerne il Sudan. Lo stesso estremo riserbo che ha sin qui circondato il corso delle conversazioni (il ministro Salaheddine ha rifiutato di farne parola con chicchessia, compresi Camera, Senato, stampa) dimostra quale incertezza e fluidità siano ancora prevalenti. Il ministro mi dice d'altra parte essere estremamente incerto se, per facilitare un'intesa, convenga porre l'accento sulla questione dell'occupazione e rimandare quella del Sudan, essendo egli sicuro che gli inglesi approfitterebbero del rinvio per imbrogliare le carte più di quello che oggi non siano e rendere così ancor più arduo il problema. Né, quando si pensi a ciò che gli stessi inglesi hanno fatto in Libia e continuano a fare in Eritrea, si può certamente dargli torto.

So che re Faruk insiste perché una soluzione del problema dell'occupazione sia ricercata sotto forma di associazione dell'Egitto al Patto atlantico; so anche che, ad un certo momento, avrebbe voluto farci interpellare perché sostenessimo questa tesi. Il ministro non me ne ha tuttavia fatto cenno e neanche mi ha fatto cenno ad un eventuale patto mediterraneo, sebbene mi abbia confermato risultare anche a lui che gli inglesi si agiterebbero in questo momento per un patto mediorientale che valga a risolvere le loro particolari e generali difficoltà col mondo arabo.

Salaheddine si è espresso in termini estremamente cordiali nei nostri confronti. La collaborazione italo egiziana non può, a suo giudizio, che rafforzarsi e consolidarsi col tempo.

Aveva già parlato a lungo con Azzam pascià, di ritorno da Roma, sulla questione libica, il quale gli aveva già riferito quale fosse in proposito il nostro pensiero. Che gli ho confermato. Ho sopratutto sottolineato il pericolo, giunti al punto in cui siamo, di rimettere tutto in discussione sia insistendo tardivamente sulla soluzione unitaria che potrebbe condurre a consegnare la Tipolitania, mani e piedi legati, alla Cirenaica; sia contrastando la soluzione senussita, oggi difficilmente evitabile. Mi è sembrato, per quel che ci concerne, convinto, sebbene non altrettanto per quel che riguarda la tesi che gli egiziani si preparano a sostenere nei prossimi giorni in seno alla Lega araba, che potrebbe continuare ad essere, almeno in teoria, inspirata a criteri intransigenti, sotto la spinta e l'influenza dell'opinione [pubblica].

Ho ringraziato il ministro per la collaborazione cordiale dataci dal suo delegato in Somalia. Mi ha detto che tale collaborazione era naturale conseguenza della nostra amicizia. Rivedrò Salaheddine più a lungo, fra breve, ciò che ci siamo ripromessi.

169

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 686/26. Parigi, 18 gennaio 1951, ore 12,03 (perv. ore 16,30).

Con Parodi, che Schuman ha designato per preparazione Conferenza, abbiamo confermato punti ordine del giorno di cui al mio telegramma 141. Argomenti di cui al punto primo Parodi ha proposto aggiungere Conferenza a quattro con U.R.S.S. per eventualità che da parte nostra si avessero idee particolari da far valere.

È un punto che ha sua importanza e per noi considerazioni sia in pro che contro: può essere comunque utile per noi, in questa occasione impegnare Francia ai fini questione Trieste (suo 284/C.)2 cui ho accennato. Ci siamo comunque riservati sentire al riguardo rispettivi ministri.

Ho provato anche aggiungere:

a) politica generale O.E.C.E.;

b) dare carattere permanente a figura supplenti, creati per preparazione Conferenza.

Con riserva approvazione dei Governi ci siamo trovati d'accordo con Parodi nel proporre che per quello che concerne questioni a carattere prevalentemente tecnico ministri non dovrebbero entrare nel dettaglio ma stabilire soltanto linee generali collaborazione: dovrebbero poi seguire contatti fra esperti due paesi. In alcuni casi, come collaborazione politica interna ed altri, è poi necessario prevedere contatti diretti fra ministri due paesi: di qui opportunità coordinare seguire questi contatti diretti che debbono comunque restare nel quadro politica estera due paesi: questo dovrebbe essere compito supplenti, e di qui utilità loro designazione speciale. Ho comunque riservata nostra risposta.

Mi ha detto che Quai d'Orsay sarebbe inoltre di avviso approfittare questa occasione per vuotare cassetti tutte questioni italo-francesi di una certa importanza, ancora pendenti. Gli ho detto che non (dico non) ritenevo opportuno oberare l'incontro di questioni non necessarie: che sarebbe stato più opportuno che esaminassimo insieme questioni pendenti, vedessimo quelle che si potevano più facilmente risolvere fra noi due nell'atmosfera preincontro e riservarne alcune più difficili per decisioni di massima ad alto livello ed esecuzione a livello uffici.

Siamo rimasti d'accordo per iniziare esame singoli punti ordine del giorno lunedì prossimo. Prego farmi avere eventuali istruzioni V.E.3 anche su questioni per cui noi pure abbiamo interesse vuotare cassetti.

Può essere che incontro debba essere ancora rinviato qualche giorno in vista viaggio Pleven Washington. Per considerazioni che V.E. comprende perfettamente ho fatto presente fin dal principio che incontro franco-italiano doveva aver luogo dopo e non prima viaggio Pleven Stati Uniti.

169 1 Vedi D. 151. 2 Vedi D. 156. 3 Vedi D. 175.

170

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 284/175. Londra, 18 gennaio 1951 (perv. il 20).

Dopo le conversazioni che ebbi l'onore di avere con l'E.V. a Bruxelles il 17 ed il 19 dicembre u.s., desidero ritornare brevemente sull'argomento per mettere in luce alcuni aspetti della presente situazione e dei suoi possibili sviluppi, che mi sembra abbiano una importanza fondamentale per il nostro paese e per la sua posizione in seno allo schieramento atlantico.

Come l'E.V. ricorderà, avevo in quei colloqui prospettata opportunità che S.E. il presidente del Consiglio trovasse nel prossimo futuro una occasione propizia per venire con lei in Inghilterra allo scopo di stabilire diretti contatti con gli esponenti del mondo politico britannico. Se ciò proponevo non era in quanto ritenessi, ed ella lo sa, che il beneficio di simili contatti rimarrebbe confinato al pur già vasto campo dei rapporti italo-inglesi; bensì perché ero e sono profondamente convinto che essi avrebbero benefiche ripercussioni su una ben più vasta sfera di posizioni ed interessi nostri.

Il succo delle nostre conversazioni di Bruxelles mi sembra potersi condensare nei seguenti termini: tre questioni di sostanza ci distanziavano sinora, in un certo senso, dall'Inghilterra e cioè quella eritrea, quella libica e quella di Trieste (in comune questa con gli Stati Uniti). D'altra parte, molte importanti questioni e interessi tendevano ad unirci e legarci all'Inghilterra stessa. La questione Trieste è per ora accantonata, almeno da parte inglese; quella dell'Eritrea ha trovato a Lake Success il suggello ufficiale di una definizione la cui attuazione richiederà — perché i nostri interessi siano efficacemente tutelati — una piena collaborazione tra noi, l'Inghilterra quale potenza incaricata dell'amministrazione temporanea, e l'Etiopia; la questione della Libia si sta incanalando — anche per desiderio inglese e francese — sulla via di quella loose federation che secondo quanto l'E.V. mi ha confermato nello scorso luglio ha costantemente corrisposto alle nostre aspirazioni. Eliminati questi elementi negativi, sarebbe necessario a tutti i fini di trarre il massimo possibile profitto dagli elementi positivi (comuni interessi di difesa atlantica, rapporti commerciali, speciale collaborazione economica che sembrava avviarsi verso promettenti sviluppi, ecc.) per assicurare al nostro paese quella posizione che gli spetta e per garantire una efficace tutela dei nostri interessi in ogni settore.

Sono convinto che, nelle condizioni attuali, il massimo profitto lo si potrebbe ritrarre attraverso una diretta presa di contatto del presidente del Consiglio con gli esponenti politici inglesi. Il recente discorso di S.E. De Gasperi1 al Senato ha avuto la più viva eco in questo paese e sarebbe bene di battere il ferro finché è caldo. Il pensiero di V.E. è qui ben noto, ed in Inghilterra non si è mancato di rilevare che il partito repubblicano ha da vario tempo preso una posizione di avanguardia in materia di riarmo e difesa occidentale. Tanto più sarebbe utile una venuta del presidente del Consiglio che, per l'altissima carica che ricopre e come capo riconosciuto del partito democratico-cristiano, potrebbe dissipare in modo convincente e duraturo quelle incertezze che non mancano di affiorare in Inghilterra di fronte a prese di posizione del genere di quella dell'on. Gronchi.

L'idea che S.E. De Gasperi si rechi a Londra potrà forse urtare talune orecchie italiane più sensibili agli appelli passionali che non alla fredda considerazione della situazione mondiale attuale e degli effettivi interessi del paese. Un insieme di avvenimenti, ed ancor più il modo di in cui essi sono stati presentati dovunque, e specialmente dalla nostra stampa, ha creato — come l'E.V. mi faceva rilevare nei colloqui di Bruxelles — un orientamento suscettibile appunto di determinare reazioni del genere.

Mi rendo conto che, nell'orientare verso una politica «occidentale» l'opinione pubblica italiana amareggiata dal trattato di pace poteva un tempo apparire necessario per motivi di politica interna di cercare di non attribuire al trattamento poco favorevole usatoci in molti campi una etichetta genericamente occidentale; e che si preferisse quindi dare l'impressione che esso era frutto della politica di un solo paese e che, appoggiandosi sugli Stati Uniti, saremmo riusciti a debellare le manovre e le mene predisposte a nostro danno. E, devo aggiungere, gli inglesi — che già si trovano in una posizione più esposta quali occupanti delle nostre colonie — hanno largamente prestato il fianco con quella mancanza di sottigliezza psicologica che spesso li caratterizza; talché gli americani, già legittimi creditori della riconoscenza italiana per i generosi aiuti economici datici, hanno avuto buon giuoco nell'evitare di prendere apertamente posizione contro tante nostre aspirazioni e desideri, limitandosi ad appoggiare le tesi inglesi senza troppa ostentazione.

Mi sembra tuttavia che ora la situazione sia troppo mutata per indugiare su quella via. Il graduale avvicinarsi del terzo conflitto mondiale ha ineluttabilmente determinato il consolidarsi di un direttorio a tre con tutte le parti del quale dobbiamo, anche nel più egoistico interesse nostro, andare di pieno accordo.

E nel direttorio a tre è chiaro che l'Inghilterra, ora sganciata non tanto dai benefici economici del piano Marshall quanto piuttosto dagli inevitabili oneri politici che a tali benefici si accompagnano, è andata assumendo una posizione sempre più solida. Solida verso gli americani per il motivo suesposto, per il fatto che a Washington sono convinti di aver a che fare con un paese che sta affrontando il problema del riarmo con la massima serietà ed energia, ed anche perché i fatti hanno dimostrato che se il consiglio di Londra fosse stato ascoltato le forze delle Nazioni Unite non si troverebbero ora alle prese con l'esercito cinese in Corea meridionale. Solida nei confronti dei paesi dell'Europa continentale dove qualche discorso isolazionista negli Stati Uniti ha destato allarme, dove ci si rende conto che gli inglesi faranno il massimo sforzo perché la guerra nelle condizioni attuali di debolezza sia possibilmente evitata,

dove il viaggio di Attlee a Washington è stato apprezzato nella pienezza della sua efficacia. Ho sentito dire, a tale proposito, che in America non si era mai pensato a passare l'Europa al secondo posto nell'ordine delle priorità per far luogo all'Asia: effettivamente sono convinto anch'io che a Washington non si nutrissero idee del genere; ma è positivo che se trionfava la tesi contro cui Attlee è andato a battersi a Washington (e cioè di bombardare le retrovie cinesi e di non «mollare» ad alcun costo in Corea) l'Europa sarebbe prima o poi, per l'ineluttabile forza degli avvenimenti, passata al secondo posto nell'ordine delle priorità.

Vi è stato un periodo, dopo la conclusione del Patto atlantico, in cui si è pensato che la principale preoccupazione degli inglesi fosse di far riarmare se stessi e di imperniare la difesa atlantica sulla difesa delle loro isole, buttando a mare l'Europa continentale e riservandosi poi di «liberarla» quando le circostanze lo consentissero. Se tale idea vi fosse effettivamente, o no, è questione che riguarda la storia. Quello che è positivo è che oggi tale idea non esiste certo nel pensiero inglese. Non mancheranno in America, ed è logico, coloro che — se l'Europa continentale dà l'impressione di non riarmarsi con sufficiente celerità (non solo materialmente ma anche moralmente) — riterranno che in caso di guerra sul continente possa convenire di limitare le difese veramente solide ai Pirenei e alla Manica. Ma sono convinto che i migliori avvocati presso gli Stati Uniti per conservare la difesa del continente europeo quanto più ad est sia possibile saranno proprio gli inglesi. E ciò perché, a prescindere da ogni altra considerazione, tutti si rendono chiaramente conto in questo paese che

— se i russi arrivano alla Manica — gli Stati Uniti ed altri paesi potranno magari ancora vincere la guerra; ma l'Inghilterra non si risolleverà più. L'esperienza di un conflitto coi nemici lungo le coste francesi ed in possesso delle basi da cui potevano paralizzare il traffico necessario a tenere in vita questo paese, è ancora troppo recente perché l'Inghilterra non si batta a spada tratta contro ogni tendenza ad arretrare le linee di difesa dell'Occidente in Europa.

Concludendo: la situazione è tale che i nostri interessi e le nostre posizioni saranno tanto meglio tutelate quanto più strette saranno le nostre intese con ciascuno dei tre membri del direttorio occidentale: intese che si completino ed integrino l'una con l'altra, evitando schemi ed accordi troppo rigidi che potrebbero rivelarsi volta a volta inadeguati o troppo vincolanti di fronte ad una situazione fluida e in continuo divenire. Gli anglosassoni, che hanno il mestolo in mano più degli altri, sono per natura degli empirici: di qui la necessità — con loro — di intese strette ed elastiche ad un tempo, quali possono nascere soltanto da una piena reciproca fiducia.

Il pensiero che esposi all'E.V. a Bruxelles si è ancora più rafforzato in me, in questi giorni; non poche infatti sono state le interrogazioni, rivoltemi nella forma più discreta, sull'incontro del presidente del Consiglio e dell'E.V. con Pleven e Schuman, del quale anche la nostra stampa ha dato il preannuncio. È mia convinzione che la venuta di S.E. De Gasperi e dell'E.V. a Londra dopo l'incontro coi francesi costituirebbe una preziosa integrazione dei benefici effetti che il nostro paese potrà ritrarre da quelle conversazioni2 .

170 1 Vedi D. 162, nota 1.

170 2 Per la risposta vedi D. 199.

171

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 45/33. Parigi, 18 gennaio 1951 (perv. il 21).

Al momento di iniziare le conversazioni preparatorie per l'incontro a quattro, vorrei vedere di fissare alcune idee, concernenti la genesi e lo scopo di questo incontro.

È più di un anno che segnalo a V.E. il lento, ma costante sbandamento dei rapporti italo-francesi.

All'origine un duplice equivoco: l'interpretazione data dai francesi agli accordi suoi con Bevin1, concernenti l'affare delle colonie, interpretati qui come nostro lâchage: l'interpretazione data da noi della mancata ratifica dell'Unione doganale da parte della Francia.

Un complesso di fatti ha dato a noi l'impressione che i francesi, consacrati ormai fra i tre grandi, ci consideravano come quantité négligeable: e qui, anche se, qualche volta, la nostra ipersensibilità ci ha preso la mano, fondamentalmente avevamo ragione. A coronare questa situazione, la posizione da noi presa sulla questione del riarmo tedesco, posizione che, checché le abbia detto Schuman, ha suscitato qui una forte reazione, forse più personale contro V.E. che contro l'Italia, ma che comunque è anche essa un fatto.

V.E.- sa che non ho mancato di far presente ai francesi, a Schuman sempre, a Bidault prima ed a Pleven dopo, ed a tutti gli interessati questo stato di cose, e di attirare la loro attenzione soprattutto sulla loro mancanza di psicologia e di riguardo verso di noi. Non posso dire che abbia avuto molto successo. - V.E.- vorrà perdonarmi se in questa sede faccio astrazione da tutte le considerazioni di prestigio.

Ci conviene di cercare di ripescare i rapporti italo-francesi? Credo di non esser-mi fatto e di non aver fatto a V.E. nessuna illusione sulla portata reale dell'appoggio che la Francia può dare a noi e viceversa: per triste che sia il constatarlo, è lo zoppo che aiuta lo sciancato. Con questa riserva, credo di sì. Questa riserva, da sé sola implica che non credo sia il caso di parlare di esclusive: secondo me noi dovremmo cercar di avere i migliori rapporti possibili con Francia, Inghilterra, Stati Uniti, e anche Germania. Gli accordi con la Francia non ne debbono escludere altri.

Questa riserva implica anche che non dobbiamo lasciarci prendere la mano dal-l'immaginazione. È un momento in cui abbiamo tutti e due le nostre difficoltà, i nostri dispiaceri con i nostri amici anglo-americani. La situazione di tutti e due a

D. 875).

Washington non è delle migliori. È tutto uno stato di cose che ci urta terribilmente i nervi, e non senza ragione. Di qui la facile tentazione di fare delle costruzioni ideali, sul piano europeo, sul piano economico od altro, che ci permettano di fare a meno, o di parlare con altro tono, a Londra ed a Washington. Purtroppo illusioni: molte di queste son cose che si potrebbero fare, ma che in realtà non si possono fare: si urtano i nervi agli altri, con nessun profitto per noi. Ci si potrà pensare forse un giorno, quando Francia ed Italia siano uscite dalla crisi politica morale, di volontà e di efficienza in cui, sia pure in differente misura, si trovano. E questo non è per domani.

Quindi, niente esclusivismi, niente illusioni, niente apparenze di congiure.

So di aver dato al presidente del Consiglio una grossa seccatura appoggiando un invito che implicava un suo movimento. Me ne dispiace; ma vorrei fosse persuaso che era necessario. Come le ho già detto, uno dei difetti d'origine delle intese italo-francesi, per la parte francese, era la sua impronta cattolica. Si ricorda cosa le disse, un giorno, in mia presenza, Daniel Meyer? «Si dice qui Bidault e Schuman vogliono spingere una politica italiana sperando che De Gasperi ottenga da Vaticano che dia ordine ai parroci francesi di votare tutti M.R.P. alle prossime elezioni». Non è una boutade: è un'arma di propaganda e che ha preso. L'M.R.P. politicamente conta poco, e meno ancora conterà alle prossime elezioni: bisogna cercare di impegnare la Francia laica: il Ministero degli esteri essendo un feudo M.R.P., per impegnare la Francia laica bisogna muovere il presidente del Consiglio. Pleven sarà ancora presidente del Consiglio due settimane o due mesi non so: ma è la Francia laica. Se da questo incontro non ne dovesse venir fuori altro, basterebbe questo per giustificarlo.

Il punto centrale dell'incontro dovrebbe essere un confronto, franco, della politica estera dei due paesi. Il risultato di questo confronto sarà che su qualche punto ci troveremo d'accordo, su qualche altro no. Dove non siamo d'accordo, bisognerà vedere i punti su cui un ravvicinamento è possibile, e utile alle due parti. Non è affatto necessario, per avere delle buone relazioni con un paese, andare d'accordo su tutto: si può benissimo differire su qualche cosa: è bene dirselo francamente, in modo che si sappia che sul punto x la Francia non può contare sull'appoggio dell'Italia e viceversa: e trattare con un certo garbo questi disaccordi.

In pratica, data l'estrema ristrettezza dei movimenti della Francia e dell'Italia in politica estera, non vedo quali grandi divergenze ci possano essere.

Sulla politica verso la Germania, è molto questione di parole. Sull'idea generale, che bisogna inserire la Germania nell'organizzazione europea, siamo d'accordo: le divergenze sono sul modo e sui tempi. Siccome però la politica tedesca è fatta dalle tre potenze occupanti, e noi non siamo potenza occupante, ben poco è quello che possiamo fare sul terreno pratico. Possiamo dare alla Francia dei consigli di saggezza e moderazione: e questo possiamo farlo benissimo senza dare fastidio ai francesi. Accordi commerciali, con la Germania, ne possiamo fare quanti ne vogliamo, almeno fino a che non avremo un'unione doganale con la Francia, e questo non sarà domani. Congiure politiche con la Germania? Non ho mai pensato abbiamo l'intenzione di farne.

Resta quindi soltanto la questione del riarmo della Germania.

I francesi hanno posta la questione su di un terreno idiota, ed insostenibile: sarà colpa più di Moch e dei socialisti che dei francesi in genere, ma comunque è la posizione del Governo francese. Noi abbiamo assunto la posizione contraria a nome della ragione, dell'Europa e forse anche per fare un piacere ad una Germania ... che poi, per ora, mi sembra molto riluttante a riarmare. Si dice è calcolo: del calcolo certamente c'è: ma c'è,

secondo me più di quanto non si pensi, stanchezza, neutralismo, confusione di idee.

La questione andrebbe, secondo me, discussa fra di noi su di un'altra base.

Siamo tutti d'accordo, anche i francesi, sia pure obtorto collo, che per difendere l'Europa ci vuole anche il concorso della Germania. Ma siamo tutti anche d'accordo che il riarmo della Germania, di fronte alla reazione russa, può costituire un rischio. C'è chi, come me, pensa che questo rischio sia piccolo; ci sono altri che pensano che il rischio sia grosso: piccolo o grosso il rischio c'è: vale la pena di prenderlo ora? Questo è quello di cui dovremmo discutere, perché questo è il punto serio.

Il fronte russo-americano è un immenso arco di cerchio che dal Capo Nord va allo Stretto di Behring: da parte occidentale questa linea di fronte è costituita da una serie di buchi, con niente per tapparli. Appena adesso si è cominciato a por mano al non facile lavoro di costituire quello che è necessario per tapparli. Fin che non ci sarà di che tapparli è inevitabile che il mondo occidentale vada incontro ad una serie di insuccessi: in questo periodo per forza di cose, anche ammettendo come ritengo io che la Russia non abbia nessuna voglia di scatenare una terza guerra mondiale, la cosa più ragionevole da fare, è fare uso anche della diplomazia: e la prima regola della diplomazia è quella di adattare la propria azione alle proprie possibilità: e questo significa evitare i rischi non necessari.

Riarmare la Germania, d'accordissimo: ma sarebbe meglio limitarsi adesso a fare in silenzio quello che è necessario per prepararlo: e aspettare che il vuoto occidentale sia un po' più colmato dai francesi, da noi e dagli altri, e la produzione americana sia a tal punto da potere dare al più presto consistenza effettiva alle unità tedesche. Il che non è il caso ora.

Se V.E. è d'accordo, messici su questo terreno, che per me è il solo realistico, anche su questo punto un avvicinamento fra le tesi dei due paesi, pur lasciando un largo margine di indipendenza all'azione nostra, mi sembra tutt'altro che irraggiungibile. Si tratterà allora di vedere cosa conviene di fare per far valere questo punto di vista: e qui se vogliamo, possiamo valerci della nostra posizione secondaria per restare da parte.

Fatto questo raffronto delle due politiche, e stabiliti quali sono i settori nei quali può essere più utile e interessante per i due paesi una collaborazione, che non sia una esclusiva, si tratta soprattutto di stabilire un principio, ossia un sistema di lavoro.

Se la Francia o l'Italia, in questi settori di collaborazione, hanno intenzione di fare piani, o avanzare proposte, esse debbono darne comunicazione tempestiva all'altra parte, quando il piano o la proposta sono ancora nel loro stadio formativo, in modo che si possa, a tempo, tener conto degli interessi specifici dell'altra parte. È soltanto quando questa condizione sia stata mantenuta che l'altra parte ha diritto di attendersi l'appoggio dell'altra: e anche, se vuole, risentirsi se non lo ha.

E una volta lanciato un piano, non ritirarlo o cambiarlo a mezza strada senza accordo preventivo con l'altra parte.

Anche questo in pratica non lo si potrà ottenere al 100 per cento. Piani francesi e piani italiani sono spesso fatti all'ultimo momento, per cui con la migliore volontà della terra non c'è il tempo di consultare l'altro. Bisognerebbe ci impegnassimo a non avanzare piani senza averci sufficientemente pensato su: questa, specie per i francesi, è una impossibilità biologica. Bisognerà quindi stabilire il principio e contentarsi nella pratica di una certa approssimazione.

Sui minerali di ferro, sulle materie prime, sulla collaborazione economica si potranno avere degli accordi di principio. Anche qui, bisognerà che noi non ci dimentichiamo che il Governo francese, come noi del resto, non può sempre fare quello che avrebbe l'intenzione di fare: non è un Governo forte. Questo specialmente per quanto riguarda l'Unione doganale: non parlarne è impossibile: sarebbe bene però che non se ne parlasse nel comunicato: e per carità non chiediamo ai francesi di impegnarsi di farla ad una certa data: ed ancor meno di crederci se ce lo promettono. Salvo un miracolo, difficilmente se ne potrà parlare se non dopo le elezioni.

Questo per me è il massimo che l'incontro a quattro può dare.

Quindi come V.E. vede, nessuna esclusiva, nessun darci mani e piedi legati alla Francia, nessuna satellizzazione dell'Italia nei riguardi della Francia. Si tratta di dare ai rapporti italo-francesi una scossa, che li sollevi quanto è possibile dal torpore attuale: creare un po' di atmosfera e stare a vedere, da parte nostra, con sangue freddo, senza illusioni e col minimo possibile di code di paglia, che cosa ne può venire fuori.

Per mia norma, gradirei conoscere, se possibile telegraficamente, se V.E. concorda con questa mia impostazione del problema2 .

171 1 Il cosiddetto compromesso Bevin-Sforza del 6 maggio 1949 (vedi serie undicesima, vol. II,

172

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 686/386. Washington, 18 gennaio 19511 .

I diversi, interessanti rapporti delle nostre rappresentanze nel Vicino Oriente sulla rinnovata attenzione di quei circoli politici per le idee di eventuali intese politico-militari nel bacino del Mediterraneo, si sono incrociati con alcune segnalazioni di questa ambasciata (ricordo da ultimo i telespressi n. 428/228 e n. 436/236 dell'11 corrente)2 sulle ripercussioni destate dalle idee in questione nella stampa americana.

Nello scorso novembre ho riferito a V.E. le voci allora circolanti circa la possibilità di trovare una soluzione allo spinoso problema della difesa del canale di Suez in una qualche forma di associazione dell'Egitto con l'organizzazione nordatlantica. In quella occasione il Dipartimento di Stato ebbe a dichiarare che, nel momento in cui le scarse forze occidentali erano impegnate nel duplice e gravoso compito di respingere l'aggressione comunista in Corea e di apprestare le difese dell'Europa, era per lo meno prematuro pensare che le potenze del Patto atlantico — e gli Stati Uniti in particolare — potessero estendere i loro impegni al bacino orientale del Mediterraneo.

Non ho motivo di ritenere che da allora il Dipartimento di Stato abbia mutato la sua opinione al riguardo e che tale valutazione della situazione non si estenda anche alle svariate combinazioni politico-militari di cui si parla nel Vicino Oriente e, secondo alcuni, anche a Londra e a Madrid.

Ciò non vuol dire che la difesa del Vicino Oriente non sia qui considerata di primaria importanza e che ad essa non si dedichi fin da ora la più seria attenzione. Vuol dire soltanto che — tenuto conto anche del particolare stato d'animo attuale dell'opinione pubblica americana e del Congresso — prima di prendere in considerazione l'allargamento dei patti difensivi già esistenti o la creazione di nuovi sistemi, e tanto più prima di procedere ad una estensione ufficiale dei propri impegni, si desidera vedere creata e seriamente rafforzata la capacità difensiva dell'Europa occidentale. Aggiungo che tale cauta valutazione, che concerne naturalmente in primo luogo gli Stati Uniti, non potrebbe non influenzare l'apprezzamento che verrebbe qui fatto di eventuali impegni del genere assunti da uno qualsiasi degli altri membri del Patto atlantico.

Anche qui occorre però distinguere: le perplessità riguarderebbero ogni combinazione che oltre ad essere priva di una effettiva capacità difensiva, costituisse, per la stessa debolezza dei regimi interni di alcuni dei suoi membri, un dubbio affare anche dal punto di vista politico. Diversa potrebbe essere invece la valutazione di un primo, serio nucleo di paesi mediterranei che si facessero promotori di una intesa politica, primo passo verso una più larga e comunque più efficace intesa militare alla quale, superato l'attuale difficile periodo di conversione dall'economia di pace ad una economia semi-bellica, gli Stati Uniti non potrebbero non interessarsi.

In tale quadro vanno anche viste le diverse, ripetute segnalazioni circa la «delega» che gli Stati Uniti avrebbero concesso alla Gran Bretagna per la difesa del Vicino Oriente. A quanto mi risulta, non è il caso di parlare di impegni precisi o di divisioni in «zone». Si tratta in realtà del più o meno esplicito riconoscimento che, nell'attuale momento, il sistema, pur zoppicante, delle influenze britanniche nel Vicino Oriente, specie se spalleggiato dal confermato interesse degli altri paesi del Commonwealth per la difesa di quei territori, è ancora l'unico strumento di cui l'Occidente dispone.

Mentre assistiamo al rapidissimo mutare e addirittura al capovolgersi di situazioni e di concezioni politiche ancora qualche tempo fa ritenute fondate sia moralmente, sia materialmente, non credo si possa domandare di più: sono convinto che se, avendone il tempo, l'Occidente consoliderà le sue difese, gli americani, il cui peso nel Vicino Oriente tenderà ad aumentare quanto più aumenterà la portata della loro assistenza economica, non potranno non sostituirsi all'influenza britannica in quel settore.

Sempre in questo quadro va vista anche la reazione americana all'attuale crisi nei rapporti tra Inghilterra ed Egitto.

Il Governo americano ritiene, e ciò è noto anche a Londra, come ha confermato l'ambasciatore Gallarati Scotti nel suo rapporto del 18 novembre3, che, nei limiti del possibile, bisogna evitare ogni squilibrio nel Vicino Oriente, squilibrio che sarebbe certo qualora gli inglesi dovessero bruscamente abbandonare le loro basi nella zona del Canale. Pertanto, mentre si pensa qui che sarà, prima o poi, necessario accordare una qualche soddisfazione «all'opinione pubblica egiziana», si afferma che per il

momento è meglio lasciare che Londra e Il Cairo cerchino di risolvere le loro differenze. Bisogna essere preparati però, si aggiunge, alla eventualità, molto possibile, che quei due Governi giungano ad un punto morto. Sarà in tale momento che bisognerà studiare una soluzione più ampia. Tanto meglio se il rafforzamento dell'Occidente, che fosse nel frattempo intervenuto, permetterà di guardare con più realismo a qualche forma di sicurezza collettiva, sia pure limitata alla zona del Canale. Vedo del resto dal sopracitato rapporto col nostro ambasciatore a Londra che anche il Governo britannico non respingerebbe completamente una soluzione del genere.

Naturalmente l'esame del problema della difesa del Vicino Oriente non sarebbe completo senza un accenno al conflitto tuttora esistente tra Israele e gli Stati arabi: è questa un'altra delle insopprimibili realtà che fanno qui ritenere di difficile attuazione, almeno per il momento, l'idea di una intesa o di più intese politico-militari nel Mediterraneo.

A tale proposito si condivide però l'impressione, già segnalata dalla nostra legazione in Tel Aviv, di un progressivo accostamento del Governo israeliano ai paesi oc cidentali.

Nel corso di alcune conversazioni, del tutto ufficiose, con funzionari del Dipartimento di Stato, ci è stato chiesto quale fosse il punto di vista italiano sui problemi sopra esaminati. Si è risposto che il Governo italiano seguiva con ogni attenzione quanto si svolgeva nel bacino del Mediterraneo, interessato come era ad assicurare, con ogni possibile mezzo, la difesa di quel settore così vitale per l'esistenza stessa del nostro paese. Naturalmente, ci rendevamo conto della necessità di esaminare il problema nel suo insieme e con maggiore possibile realismo, evitando iniziative affrettate o discutibili che rischierebbero di provocare risultati del tutto opposti a quelli desiderati. Del resto, si è aggiunto, l'atteggiamento italiano al riguardo doveva essere ben noto in quanto esso era stato inequivocabilmente espresso da V.E. allorquando il Consiglio nordatlantico ebbe ad occuparsi della richiesta turca di partecipazione al Patto.

Se mi sono dilungato alquanto nell'esame di un problema per il quale non si vede la possibilità di una immediata soluzione, è appunto perché ritengo che ci convenga impostare sin da adesso, senza precipitazioni ma anche senza indugi, lo studio di tale soluzione.

Condivido infatti l'opinione americana che nelle attuali condizioni, per quanto vitale possa essere la difesa del Vicino Oriente non si può dedicare ad essa ciò che ancora non esiste. Bisognerà quindi fare affidamento, ancora una volta, sugli australiani, sui neo-zelandesi, sui sudafricani. Ma vi è anche un'altra possibilità: ed è che l'incendio non divampi subito. In questo caso vorrà dire che l'Occidente, come tutti speriamo, avrà avuto il tempo di rafforzarsi; vorrà dire anche che l'arsenale americano avrà raggiunto quella capacità di produzione che assicuri la difesa di altri settori che non siano l'Europa occidentale. Quanto avremo nel frattempo pazientemente e realisticamente seminato nel Vicino Oriente potrà essere allora di indubbia utilità a noi e non discaro agli americani4 .

171 2 Con T. s.n.d. 507/41 del 21 gennaio Sforza rispondeva: «Concordo in linea generale pur pregando V.E. far sentire che si tratta di impostazione elastica». 172 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicati.

172 3 Non pubblicato.

172 4 Per la risposta vedi D. 186.

173

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 694/394/04. Washington, 18 gennaio 1951 (perv. il 23).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 00437/C. del 9 gennaio '511 .

Assicuro codesto Ministero che da parte nostra si è subito provveduto a interessare il Dipartimento di Stato in merito a quanto fatto presente col telespresso citato.

Sull'argomento del piano Schuman anche in passato questa ambasciata non aveva mancato di accennare in via personale alle difficoltà che si prospettavano per l'inclusione dell'Italia, in vista di certe intransigenze francesi e di dare notizia dei passi ripetutamente svolti da parte italiana sulla questione, anche direttamente col ministro Schuman.

Il Dipartimento era già al corrente a seguito di comunicazioni di codesta ambasciata americana, del testo integrale della Nota verbale da noi inviata all'ambasciata di Francia a Roma in data 29 dicembre u.s.2 in relazione alla quale peraltro nessun passo sembra essere stato fatto da parte americana fino ad ora.

Nel corso della conversazione odierna non si è mancato da parte nostra di accennare discretamente alla situazione molto imbarazzante e spiacevole in cui l'Italia si potrebbe trovare se da parte francese non venisse adottata una soluzione soddisfacente atta a compensare i danni che deriverebbero all'Italia dalla mancata inclusione dell'Algeria nel pool.

Poiché il Dipartimento, sempre in termini personali ed amichevoli, ha fatto al riguardo rilevare che se, come era auspicabile, si fosse realmente costituita una comunità carbone-acciaio, indubbiamente non sarebbe stato molto vantaggioso per l'Italia esserne esclusa, si è da parte nostra osservato che, mantenendo la Francia l'atteggiamento finora assunto, il sacrificio richiesto all'Italia sarebbe stato difficilmente sopportabile. Infatti l'industria siderurgica italiana non aveva mancato in questi ultimi tempi di far presente tutte le sue più vive preoccupazioni agli organi governativi italiani e di pubblicare anche sulla stampa tecnica e finanziaria commenti alquanto critici nei riguardi degli impegni presi dal Governo italiano per favorire un piano in sede politica, senza accertare previamente le conseguenze dell'esecuzione del piano stesso in sede economica. Di fronte a tali pressioni, si è osservato al Dipartimento, il Governo italiano non poteva non procedere con la massima cautela cercando di evitare ogni soluzione che potesse portare a deplorabili conseguenze per l'industria siderurgica nazionale ed a più gravi reazioni da parte dei circoli interessati.

Si è rilevato che troppo era l'interesse del Governo americano, soprattutto nel-l'attuale contingenza internazionale, a vedere attuarsi un piano di così grande portata politica ed economica come quello del pool acciaio-carbone perché dovessero la

2 Vedi D. 139, nota 2.

sciarsi intentati passi atti a rimuovere il Governo francese dalla sua posizione e si è insistito per ogni opportuna e discreta azione in tal senso.

Alcuni commenti fatti in via del tutto ufficiosa da competenti funzionari del Dipartimento nel corso del colloquio mi paiono meritevoli di attenzione:

1) è stato mostrato innanzi tutto interesse a voler approfondire i motivi del costante diniego francese. A tale proposito qualcuno ha commentato che due erano risultate essere finora le principali ragioni che inducevano i francesi a tale atteggiamento: da una parte vi sarebbe l'intenzione da parte della Francia di creare una industria siderurgica nel nord Africa e di evitare quindi con l'inclusione di quel territorio al pool di prendere fin da ora impegni che possano risultare pregiudizievoli per la costituenda predetta industria, o comunque obbligarla a sottostare alle stesse disposizioni che venissero adottate in Europa; d'altra parte una seconda ragione consisterebbe nell'interesse dei francesi di continuare a fornire il minerale di ferro all'industria britannica e nel desiderio quindi di non impegnarsi troppo a fondo in una collaborazione europea che renda impossibile o svantaggioso il proseguimento di tali forniture e comporti obblighi di forniture ad altri paesi;

2) un'altra osservazione colta nelle conversazioni, in relazione a notizie che sembrano essere bene a conoscenza del Dipartimento, è che si sarebbe da parte nostra già trattato con i francesi per una soluzione di compromesso in base alla quale, pur non includendo i territori nord-africani nel pool, la Francia avrebbe inteso assicurare all'Italia un adeguato flusso di forniture. È sull'ammontare di tali forniture che sarebbe finora mancato un accordo, con la conseguenza di un perpetuarsi della intransigenza francese sulla questione;

3) alcuni funzionari, che erano al corrente, come detto sopra, del testo integrale della Nota verbale ai francesi, hanno osservato che i fabbisogni in essa elencati per i prossimi anni sembrano troppo elevati in relazione alle importazioni effettuate dall'Italia in passato da quei territori.

Ho segnalato le domande e i commenti colti nella conversazione di cui trattasi perché mi sembra che qualche informazione o risposta su tali argomenti potrebbe rivelarsi utile e potrebbe consentire a questa ambasciata di approfondire maggiormente l'argomento con il Dipartimento di Stato.

Questo ha per ora intanto assicurato che avrebbe informato l'ambasciata degli Stati Uniti a Parigi in merito a quanto da noi fatto presente per ottenere opportuni commenti sui motivi della perdurante intransigenza francese e elementi di giudizio sulla complessa questione.

173 1 Non rinvenuto.

174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

TELESPR. SEGRETO 3/33/C. 1 . Roma, 19 gennaio 1951.

Suo telegramma n. 192 .

Da quanto riferisce l'ambasciata in Washington parrebbe che, dopo le misure di assistenza alimentare e finanziaria adottate dagli Stati Uniti in favore della Jugoslavia, ci si debba attendere un graduale passaggio ad altre forme di aiuto dirette a rafforzare la Jugoslavia anche militarmente fino a farne un elemento attivo della difesa occidentale. Può darsi che in tal senso il signor Spofford vorrà indirizzare il proposto scambio di vedute in seno al Consiglio dei supplenti.

Ritengo perciò opportuno fissare qui appresso il nostro pensiero sulla situazione adriatica e dare a V.E. alcune precise indicazioni che le possano servire di orientamento nell'esame della questione con i suoi colleghi.

Le è noto che il Governo italiano, prima di ogni altro, intravide nell'estate 1948 i vantaggi che derivavano, all'Italia e all'intero Occidente, dalla secessione jugoslava dal blocco orientale, e non esitò perciò ad impegnarsi in una politica intesa ad aiutare la resistenza di Belgrado alla pressione cominformista. Superando ogni pur grave e pressante motivo di contrasto, fu da noi fatto ogni sforzo per creare nei rapporti fra i due paesi un'atmosfera di distensione e tale da facilitare la soluzione dei problemi politici italo-jugoslavi attraverso una sempre più stretta cooperazione economica. Finanche in presenza degli inumani e vessatori procedimenti di quel Governo contro i giuliani ed istriani, della zona B, ci adoperammo con pazienza per conseguire un minimo di normalizzazione che sottraesse i rapporti fra i due paesi al gioco di sentimenti e risentimenti cui erano, e in parte sono ancora, esposti. Anche con l'appoggio dei maggiori Governi alleati conseguimmo su questa via apprezzabili risultati che resero possibile, recentemente, la firma di una serie di accordi3 che hanno risolto fra i due paesi, varie tra le numerose pendenze derivanti dalla guerra e dal trattato di pace.

Armonizza con tale nostra direttiva la politica nord-americana e britannica in materia di assistenza economico-finanziaria alla Jugoslavia, politica cui il Governo italiano ha dato un notevole apporto con accordi commerciali conclusi in non facili condizioni tecniche. Accogliemmo perciò con soddisfazione la decisione del Dipartimento di Stato di fornire aiuti alimentari alla Jugoslavia, anche se le forme e circostanza in cui essi poi si tradussero in atto avrebbero meritato, secondo noi, una maggiore ponderazione. Sarebbe stato infatti a nostro giudizio, più avvisato evitare

— nella motivazione ufficiale della concessione degli aiuti e per lo storno di fondi

M.A.P. — di fare specifico riferimento all'importanza delle forze armate jugoslave,

2 Vedi D. 165.

3 Vedi D. 176, nota 1.

visto che la posizione degli Stati Uniti nei riguardi della Jugoslavia non può, nel settore militare, ancora essere diversa da quella che comporta la decisione adottata ai primi del gennaio 1950 dal National Security Council di concedere al Governo di Belgrado «limitati» aiuti militari per resistere ad eventuali attacchi.

Deve essere chiaro infatti che una decisa e marcata connessione politico-militare della Jugoslavia con l'Occidente non potrebbe essere decisa senza tener conto sia della situazione interna e internazionale jugoslava che della posizione dell'Italia. In effetti:

a) quanto alla situazione jugoslava, in certi settori anglosassoni si tende a sottovalutare il fatto che la politica jugoslava si va evolvendo in condizioni ancora di notevole precarietà. È nostra impressione che — anche se Tito decidesse di rinunciare a certe forme di equidistanza che caratterizzano ancora la posizione internazionale jugoslava — egli si esporrebbe attualmente ai rischi di uno di quei bruschi capovolgimenti di situazione che sono caratteristici nella storia jugoslava. Non deve essere dimenticato che la Jugoslavia è ancora il paese più comunistizzato dopo l'U.R.S.S.; che il fallimento del Piano quinquennale, quali che siano gli sforzi fatti per porvi riparo, prepara momenti difficili al regime che su di esso aveva impostato la sua propaganda; che le alte gerarchie dell'esercito e della burocrazia statale e delle organizzazioni sociali ed economiche si sono formate alla scuola sovietica; che l'agguerrito comunismo jugoslavo, appunto perché si è piegato con eccessiva disinvoltura alla secessione da Mosca, potrebbe essere portato ad accettare rapidamente, ove dovessero cadere Tito e i suoi immediati collaboratori, il ritorno alla disciplina cominformista. Il cambiamento di scena intervenuto nel comunismo triestino all'indomani della scomunica di Tito da parte del Cominform è istruttivo al riguardo. Occorrono dunque ancora a Tito parecchi anni di azione epuratrice e di revisione degli ordinamenti economici e sociali per dare all'evoluzione della sua politica estera una rispondenza interna tale da poter schierare il paese in una alleanza contro l'U.R.S.S. Ciò spiega forse meglio di qualsiasi altra supposizione perché l'U.R.S.S., in contrasto con accreditate previsioni, si è finora astenuta da ogni seria azione di scardinamento della posizione di Tito, azione che, fino ad un anno fa, non comportava nessun vero rischio di complicazioni più vaste. Analogamente converrebbe da parte occidentale non esporre la Jugoslavia a reazioni sovietiche con prese di posizione politicamente e militarmente premature;

b) quanto alla posizione dell'Italia, non è che troppo evidente che, fino a quando essa non si sarà potuta dare una ossatura militare adeguata a fronteggiare, con l'aiuto alleato, ogni evenienza, è consigliabile evitare di dare occasione o pretesto per interventi cominformisti contro la Jugoslavia, che rischierebbero di riportare il nostro paese a contatto diretto con il Blocco orientale e di aprire nei Balcani una «situazione Corea» che si ripercuoterebbe gravemente sul nostro sforzo organizzativo politico-sociale e militare.

Nelle presenti circostanze, conviene quindi una certa cautela nell'adottare un indirizzo che patrocini aperte connessioni politiche e militari con la Jugoslavia: dobbiamo invece adoperarci attivamente a far prevalere il concetto che il regime di Tito va assistito e aiutato all'interno per quel tanto che serve per porlo in condizioni di resistere alla pressione cominformista, ed è meglio lasciarlo, per il resto, muoversi con una certa autonomia fino a quando la posizione militare dell'Italia e, con essa, il dispositivo mediterraneo del sistema atlantico non abbiano acquistato una consistenza tale da ridurre al minimo i rischi di una reazione sovietica.

Le stesse ragioni consigliano, a nostro avviso, di lasciar maturare per suo conto la situazione albanese che, nell'attuale completo isolamento, non sembra possa costituire una efficiente piattaforma di azione politico-militare contro Jugoslavia e Grecia, mentre, nell'eventualità di emergenze balcaniche, l'Albania potrebbe facilmente esser presa sotto controllo occidentale. Noi non possiamo perciò vedere con favore iniziative sobillatrici contro il regime di Hoxha che potrebbero dare pretesto all'U.R.S.S. di mettere in azione il meccanismo di assistenza politico-militare previsto dai trattati vigenti tra l'Albania e gli altri Stati balcanici cominformisti.

Confido che le su riassunte considerazioni diano a V.E. sufficienti elementi di orientamento per svolgere in seno al Consiglio dei supplenti un'opportuna azione di chiarimento della delicatezza e importanza della presente situazione adriatica in rapporto con la sicurezza delle frontiere terrestri e marittime italiane4 .

174 1 Diretto per conoscenza alle ambasciate ad Ankara, Atene, Londra, Mosca, Parigi e Washington, alle legazioni a Belgrado e Vienna ed alla rappresentanza a Trieste.

175

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. SEGRETO 22/00153. Roma, 19 gennaio 1951.

Riferimento: Mio telegramma n. 381, suo telegramma n. 262 .

V.E. troverà qui acclusi alcuni appunti3 preparati dagli Uffici sugli argomenti

che dovranno essere discussi nel nostro prossimo incontro con i francesi. In confronto dell'ordine del giorno originario, trasmesso con il suo telegramma

n. 144, risultano in più, tra gli argomenti politici, quello della Libia e quello dell'ammissione dell'Italia nelle Nazioni Unite; tra gli argomenti economici figura ex novo un progetto di emigrazione di mille famiglie italiane in Francia.

Se si deve però entrare nell'ordine di idee di «vuotare i cassetti» di tutte le questioni pendenti tra i due paesi (per parte mia condivido le sue perplessità) l'esame potrà includere anche altri problemi, che mi riservo di segnalare eventualmente a V.E.

Quello che a me sembra sopratutto importante è che l'incontro non esca dalle sue premesse psicologiche e politiche fondamentali. L'Italia e la Francia sono, nel gruppo atlantico, le due maggiori potenze continentali. Sono minacciate da un pericolo comune, hanno perciò compiti comuni di difesa. Si trovano inoltre, e questo fatto le mette a parte anche dagli altri paesi del continente, in una situazione molto

2 Vedi D. 169.

3 Vedi Allegati, non sono stati rinvenuti gli appunti relativi alle questioni economiche, alla Libia e all'emigrazione.

4 Vedi D. 151.

simile di fronte all'America, sono cioè oggetto di uno stesso esame, ispirato dalle stesse inquietudini. Di qui l'interesse comune a concertarsi per procedere insieme, per rendersi reciprocamente aiuto in questo cammino comune per evitare ogni frizione, per conseguire una sempre maggiore unità di propositi e di metodi .

Tutto quello che serve a questo scopo è utile e benvenuto. Qualunque cosa invece che dovesse servire a dare l'impressione contraria, cioè che ci riuniamo per fare parte a noi stessi, per sommare le esitazioni francesi a quelle italiane, non potrebbe essere che contrario all'interesse dei due paesi. Naturalmente ciò non esclude discussioni franche e complete tra di noi. Tanto meno esclude una ricerca attenta di tutto quello che può servire ad aumentare le possibilità di pace mediante trattative o iniziative internazionali. Ma bisogna rendersi conto che nessuno, anche i nostri peggiori nemici interni che ci accusano ogni giorno del contrario, può avere il minimo dubbio del nostro profondo desiderio di pace. Siamo però considerati, oltre cortina, gli elementi deboli dello schieramento, ed è perciò che sulla Francia e sull'Italia convergono le manovre intimidatorie della propaganda sovietica e delle nostre quinte colonne. Ogni nostra dimostrazione esteriore deve essere dunque volta a confutare risolutamente questa opinione.

Quanto ai problemi specifici ella sa meglio di me che non c'è da sperare in miracoli, o anche semplicemente in grosse novità. La nostra posizione nel piano Schumann deve essere tuttavia definita in modo soddisfacente, ché non sarebbe possibile incontrarsi per cementare una vecchia amicizia senza aver prima regolato di comune accordo una questione che tocca gravi interessi italiani.

Per le altre questioni, sia nell'ordine militare, sia in quello economico, sarebbe già importante poter stabilire il metodo col quale attuare una collaborazione che può dare frutti soltanto se è quotidiana ed estesa a tutti gli aspetti dei rapporti fra i due paesi. Naturalmente gli appunti non sono intesi come istruzioni categoriche per V.E., ma soltanto come elementi di suo riferimento e giudizio.

Con il suo ultimo telegramma V.E. ha proposto anche di discutere della Conferenza a quattro. Nulla in contrario, e del resto gli appunti politici vi fanno espresso riferimento. È questo però uno degli argomenti che fanno più risaltare la necessità, che le accennavo più sopra, di mantenere una linea assai ferma. È evidente infatti che la Conferenza a quattro si presenta come un'occasione ideale, per la Russia, di seminare discordia e confusione nel campo occidentale; e che il suo obbiettivo principale, nel campo tattico, sarà quello di distaccare la Francia dai suoi alleati. Già l'ultimo numero di Tempi Nuovi, mi segnala l'ambasciatore a Mosca, dice molto nettamente che la Francia vorrebbe, ma gli Stati Uniti non vogliono seriamente, che la Conferenza dei ministri degli esteri si riunisca. Ora, noi vogliamo la Conferenza a quattro come e quanto la Francia, ma che la Francia vi si presenti come l'esponente di una spaurita politica di appeasement, e non soltanto a nome suo ma anche dell'Italia, sarebbe molto indesiderabile da tutti i punti di vista.

Quanto all'idea dei supplenti, risponde in pieno al suggerimento già fatto negli appunti a proposito delle questioni militari di stabilire un sistema di consultazione costante, sistema che comporti, anzi abbia come premessa, l'impegno a consultarsi reciprocamente e preventivamente su tutte le questioni. Se per alcune questioni maggiori si riterrà opportuno di prescrivere questa consultazione al livello più alto, tra ambasciatore e ministro degli affari esteri o ambasciatore e segretario generale, tanto meglio. Ma non vedo perché sia necessario di conferire a questi altissimi funzionari la qualifica di supplente che, a titolo sostanziale se non formale, essi hanno già in modo permanente. Mi sembrerebbe invece più opportuno fare una classifica delle questioni sulle quali si riconosce la convenienza di impegnarsi a consultazioni reciproche, e designare per ciascuna di esse o gruppo di esse gli organi di tale consultazione che in alcuni casi potrebbero essere utilmente dei Comitati misti5 .

ALLEGATO I

OSSERVAZIONI GENERALI

APPUNTO. Roma, 14 gennaio 1951.

L'idea dell'incontro italo-francese, qualunque sia stata la sua genesi, è nata in un momento in cui la cooperazione pratica fra i due paesi si è ridotta al minimo (Patto atlantico, colonie, Unione doganale, piano Schuman, materie prime), mentre l'analogia della situazione della Francia e dell'Italia di fronte a molti problemi di carattere generale si fa sempre più evidente. Sorge dunque naturale il desiderio di tentare di coordinare l'azione dei due Governi, ispirandosi precisamente alla comunanza di interessi.

Quello che vi è di più simile nella situazione dei due paesi è che l'uno e l'altro saranno nei prossimi mesi oggetto di un esame e di un esperimento da parte del generale Eisenhower. Dal modo in cui sarà superato questo esame dipenderà, nella migliore delle ipotesi, se in Ame rica finirà col prevalere la tesi Truman di una difesa territoriale dell'Europa con partecipazione di un esercito terrestre americano alla frontiera dell'Elba, oppure la tesi Foster Dulles di una difesa periferica che protegga l'Europa con la forza in potenza di un'armata aerea e navale capace di distogliere il nemico da eventuali propositi di aggressione (deterrent) perché capace di infliggere terribili rappresaglie (retaliatory power).

Sebbene quest'ultima forma di difesa si basi su una dottrina strategica che non può essere scartata a priori, e nonostante che essa abbia fatto le sue prove in tutto il tempo del-l'egemonia inglese, la sua applicazione all'Europa occidentale in questo momento, nella situa zione attuale e nell'attuale rapporto di forze, potrebbe avere conseguenze psicologiche disa strose scoraggiando i popoli europei dall'intraprendere qualsiasi sforzo per la propria difesa. Se il Governo italiano e il Governo francese sono egualmente convinti di ciò non dovrebbe essere impossibile raggiungere un accordo per coordinare a questo fine essenziale gli sforzi dei due paesi in ogni campo.

Questo per quanto riguarda le questioni di politica generale. Per quanto concerne quelle di più specifico interesse italo-francese (Unione doganale, piano Schuman), mentre l'accordo generale potrebbe e dovrebbe facilitare la loro soluzione, non sembra che possano, anche se favorevolmente risolte, esercitare una influenza decisiva e tanto meno immediata sui problemi di carattere generale.

Che non sia il caso di farsi eccessive illusioni sui risultati dell'incontro risulta abbastanza chiaro dagli ultimi rapporti dell'ambasciatore Quaroni, il quale dipinge fedelmente una situazione francese nella quale l'impotenza di un Governo privo di una solida maggioranza parlamentare e il radicato neutralismo di una classe politica che si nutre di illusioni hanno co stituito sinora un ostacolo insormontabile che ha impedito al paese di affrontare seriamente i problemi politici più gravi.

D'altra parte non dobbiamo nasconderci che l'incontro italo-francese è seguito con interesse, e forse anche con qualche perplessità a Londra, a Washington, e soprattutto a Bonn. Data la posizione attuale della Francia, cioè la scarsa fiducia che essa inspira proprio là dove sarebbe invece necessario inspirarla, è indispensabile che l'accordo si realizzi sul piano ita liano e non su quello francese; cioè che esso sia la espressione di una politica coraggiosa, coerente, leale. Se non fosse possibile raggiungere un accordo su queste basi, conviene do mandarsi se non sarebbe meno dannoso per la posizione dell'Italia non raggiungerlo affatto.

ALLEGATO II

ESAME DELLA SITUAZIONE GENERALE CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA POLITICA TEDESCA E RUSSA

APPUNTO. Roma, 14 gennaio 1951.

La prima constatazione, derivante da un esame in comune della situazione generale, dovrebbe essere quella che la gravità dei pericoli che ci minacciano rende necessari i più grandi sacrifici, e che i due Governi non indietreggeranno davanti ad essi. Si tenga presente a questo proposito che, a parte il «tono» politico, molto migliore in Italia che in Francia, lo sforzo militare francese è forse più rilevante del nostro; o quanto meno è stato più abilmente presentato, e perciò meglio capito e apprezzato negli Stati Uniti. Per dare anche da parte nostra un contenuto concreto a questa affermazione, sarebbe bene poter fare approvare dal Parlamento prima dell'incontro la legge per i nuovi stanziamenti militari e quella di delega in materia economico-finanziaria, e emanare quelle altre disposizioni che fossero allo studio nel campo del potenziamento della difesa interna, esterna o finanziaria. Nel comunicato finale si potrebbe includere una frase che facesse allusione alle discussioni di politica estera come si sono svolte in America; non per porre l'accento sulla necessità, come una condizione sine qua non, dell'invio di un forte contingente americano in Europa, ma piuttosto per confermare la propria fiducia nell'America e il fermo proposito dei due paesi, qualunque cosa accada, di contare anzitutto sulle proprie forze.

Se vi sarà un comunicato su questa parte generale, non si potrà forse evitare di accennare alla Conferenza a Quattro. Accenno difficile a farsi perché facilmente suscettibile di interpretazioni opposte. La nota dominante comunque dovrebbe essere: si constatano le spe ranze che i popoli ripongono in quest'ultimo tentativo di invertire il corso degli avvenimenti ponendo termine alla guerra fredda e iniziando una leale intesa tra i due mondi su ogni principale problema; i due Governi sono però risoluti ad impedire che queste speranze si mutino in illusioni, e le illusioni diventino un'arma nelle mani degli avversari e delle loro quinte colonne; mentre si prepara la Conferenza i preparativi per la difesa comune debbono essere accelerati e non rallentati.

Politica tedesca. È uno degli argomenti più delicati della Conferenza. La posizione francese appare abbastanza confusa: mentre i socialisti sono ancora impegnati nelle loro tesi antitedesche, la maggior parte degli uomini politici sembra avere scambiato il proprio timore della Germania con un timore ancora più forte della reazione russa se la Germania dovesse essere riarmata. Il risultato è press'a poco identico. Da parte nostra si dovrebbe riconoscere che la politica tedesca, nell'imminenza di una possibile Conferenza a Quattro, deve per forza segnare una battuta d'arresto. E ciò precisamente nell'eventualità di un'ipotesi più o meno simile a quella prospettata dall'ambasciatore Quaroni: cosa avverrebbe cioè se i russi si mostrassero disposti a comprare il disarmo tedesco con l'abbandono reale della Germania orientale, cioè consentendo ad elezioni generali veramente libere sui cui risultati i russi non si potrebbero fare alcuna illusione? La domanda appare più teorica che reale. Le discussioni dovrebbero comunque mirare ad accertare che questo sarebbe l'unico prezzo accettabile, eventualmente, per un disarmo tedesco, e beninteso a patto che una condizione simile sia accettata anche dal Governo di Bonn. Di fronte a qualsiasi altra proposta o manovra russa, e beninteso nell'attesa della Conferenza, si dovrebbe procedere, come è stato fissato a Bruxelles, sulla via dell'inserzione della Germania nel sistema difensivo europeo.

Poiché però l'Italia non sarà presente alla Conferenza dei Quattro ed è assente dalle conversazioni di Bonn sul riarmo tedesco, il nostro punto di vista dovrebbe essere fatto valere su un piano molto generale (eccetto che per le discussioni sull'esercito europeo). L'Italia si rende conto della situazione francese e riconosce che, nell'interesse di tutti, è necessario prendere ogni precauzione sulla rinascita del militarismo tedesco (rinascita che appare assai dubbia e lontana in questo momento); ma sono precauzioni che occorre prendere nell'interesse e con il pieno concorso dello stesso Governo tedesco dando ad esso pieno credito della sua sincera volontà di democrazia.

In questo ordine di idee si potrebbe tentare di suggerire ai francesi che la Germania venga ammessa nel Consiglio d'Europa, non appena sarà stata pubblicamente annunziata la cessazione dello stato di guerra (ciò che è previsto per questo mese o entro il mese prossimo). Qualora la riforma dello statuto di occupazione non dovesse coincidere con la dichiarazione di cui sopra si potrebbe suggerire ai francesi di annunziare sin da ora la nostra intenzione di proporre l'ammissione della Germania nel Consiglio d'Europa dal momento in cui vi sarà un ministro degli affari esteri tedesco.

Si potrebbe anche mettersi d'accordo con i francesi per proporre la restituzione alla Germania delle biblioteche tedesche in Italia.

Politica russa. Tutte quello che si può dire su questo argomento si ricollega alle osservazioni già esposte in relazione alla Conferenza a Quattro. I fatti hanno sinora dimostrato che la politica russa è aggressiva. È possibile, sebbene appaia assai poco probabile, che parte almeno di questa aggressività sia dovuta al timore di accerchiamento, e soprattutto al timore di un eventuale riarmo tedesco. La Conferenza a Quattro potrebbe servire, tra l'altro, anche ad accertare il vero stato delle cose. Dovrebbe servire anche a guadagnare tempo per la difesa dell'Europa. Qualunque prezzo compatibile con la dignità e con la stessa sicurezza dell'Europa (poiché una politica alla Monaco affretterebbe anziché ritarderebbe la guerra) non dovrebbe essere giudicato troppo alto. Il che riconduce alla posizione di partenza: i due criteri per giudicare del valore di un accordo con la Russia sono, o la certezza che l'accordo sia talmente generale da garantire la cessazione della guerra fredda, ipotesi assai poco pro babile, o la sua utilità come mezzo per guadagnare tempo. In questo secondo caso, evidentemente, l'accordo deve lasciare all'Occidente le mani libere per utilizzare veramente il tempo così acquistato.

A parte queste considerazioni d'ordine generale, si potrebbe studiare, di nostra iniziativa, un accordo tra i due paesi per assicurare uno stretto controllo sulle esportazioni di materia le avente interesse strategico, e ciò in senso assai largo, verso la Russia. L'annuncio di un accordo in questo senso, se appoggiato dalla reale volontà di eseguirlo da parte dei due Go verni, produrrebbe certamente un'ottima impressione.

ALLEGATO III

POLITICA DEI DUE PAESI NEI RIGUARDI DEL PATTO ATLANTICO

APPUNTO. Roma, 14 gennaio 1951.

Lo spirito che dovrebbe animare questa politica costituisce precisamente l'argomento principale della Conferenza. La sua discussione appartiene alla parte generale, al punto primo dell'ordine del giorno provvisoriamente concordato.

In questa parte delle discussioni si dovrebbe cercare di arrivare soltanto a stabilire di comune accordo un metodo e una pratica per assicurare l'effettiva coordinazione dei due Governi.

Anzitutto è evidente che istruzioni molto precise dovrebbero essere date ai due sostituti a Londra. Questi potrebbero essere forse invitati ad assistere ad una parte della Conferenza, a condizione che sia ben chiaro che il tono delle conversazioni, e sopratutto del comunicato su questo argomento essenziale sarà molto fermo e sostenuto. Altrimenti la loro presenza non potrebbe essere che dannosa perché darebbe luogo ad illazioni in senso contrario.

Dovrebbe essere stabilito inoltre che, regolarmente e come cosa di routine, vi do vrebbero essere consultazioni approfondite tra i due Governi alla vigilia di ogni riunione degli organi atlantici (Consiglio atlantico, Comitato di difesa e Comitato finanziario). Non si può e non si deve pretendere che l'azione dei due Governi abbia ad essere sempre uniforme. È desiderabile però che essi siano rispettivamente e tempestivamente informati sulle altrui intenzioni. Infine, in vista del fatto che la Francia fa parte dello Standing Group, ma non l'Italia, una stretta collaborazione dovrebbe essere stabilita fra il rappresentante militare francese a Washington e quello italiano.

Tutto questo è infinitamente più facile a dirsi che a farsi. In pratica molto dipende anche dalle persone, e in genere italiani e francesi non hanno la collaborazione facile. Tuttavia un accordo preciso tra i due Governi, e soprattutto la stretta adesione ad una regola di contatti continui e periodici, a seconda del luogo e dell'ambiente, può servire a superare le prime difficoltà, che saranno certamente le maggiori, e a istituire un sistema che col tempo potrebbe funzionare anche da solo. Le prospettive in questo riguardo sono certamente più favorevoli che al momento della costituzione dell'Alleanza. La Francia ha oramai il suo posto assicurato e pri vilegiato, noi non lo abbiamo e non le possiamo dare ombra. Ma ci possiamo essere utili reciprocamente, e la Francia potrebbe assumersi una specie di rappresentanza italiana in quegli organi dai quali l'Italia è assente. Tutto ciò, naturalmente, ha come presupposto fondamentale che vi sia un accordo sostanziale fra le due parti circa l'indirizzo della politica generale.

Infine il ministro della difesa potrà farci sapere se e quali specifiche richieste italiane (circa la composizione dei Comandi, dello Stato Maggiore internazionale, ecc.) siano da presentare nel corso della Conferenza.

ALLEGATO IV

ESERCITO EUROPEO

APPUNTO. Roma, 14 gennaio 1951.

La questione è in primo luogo politica. Il Governo deve decidere: a) se il progetto francese, nella sua forma attuale, non implichi l'abbandono di qualsiasi residuo principio di non automatismo; b) se la nostra accettazione del progetto francese non possa essere interpretata dal Governo americano come un tentativo di rimandare in alto mare ogni progetto concreto di riarmo tedesco (si potrebbe esplorare il terreno nelle prossime conversazioni con Eisenhower).

Se per l'una o per l'altra, o per entrambe le ragioni, il Governo decide che il progetto francese è irrealizzabile (un nostro rifiuto sarebbe decisivo in questo senso) resta ad esaminare quale tattica seguire con i francesi, tenendo presente il colloquio dell'ambasciatore Quaroni con il ministro Schuman6. Si potrebbe cioè dichiarare semplicemente che il progetto per noi è inaccettabile; oppure sollevare qualche richiesta che sappiamo già essere inaccettabile ai francesi, ma che renderebbe invece possibile per noi di riconsiderare il progetto (ad esempio che l'unità costitutiva dell'esercito europeo sia, non il combat team nazionale nella divisione internazionale, ma la divisione nazionale). In questo caso si potrebbe chiedere alla Difesa qualche formula di controprogetto italiano.

ALLEGATO V

AMMISSIONE DELL'ITALIA NELLE NAZIONI UNITE

APPUNTO. Roma, 14 gennaio 1951.

L'argomento non è incluso attualmente nell'ordine del giorno, ma si potrebbe chiedere che venga discusso.

Vi potrebbe essere in primo luogo un breve esame delle diverse soluzioni pratiche per superare i noti ostacoli. Un'iniziativa francese in Consiglio di sicurezza, in questo momento, avrebbe probabilmente lo stesso esito delle precedenti. Più promettente, ma egualmente non di interesse attuale, è la prospettiva di girare attorno all'ostacolo del veto in Consiglio di sicurezza, portando la questione prima nella Piccola e poi nella Grande Assemblea.

Infine si potrebbe chiedere alla Francia di sollevare formalmente la questione nella Conferenza a Quattro. L'esito della iniziativa sarebbe così legato al successo, o meno, della Conferenza stessa. Bisognerebbe insistere comunque perché la presentazione della proposta fosse formale in modo da mettere in difficoltà eventuali tutt'altro che impossibili esitazioni inglesi e americane.

174 4 Per la risposta vedi D. 185.

175 1 Vedi D. 151, nota 2.

175 5 Per la risposta vedi D. 182.

175 6 Vedi D. 123.

176

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

TELESPR. 981/32. Roma, 19 gennaio 1951.

Nell'intervista concessa al corrispondente dell'Ansa da Belgrado e diramata il 13 c.m., Tito si è fra l'altro espresso nei seguenti termini:

«Tutto sommato esiste una sola grossa questione: la questione di Trieste fra la Jugoslavia e l'Italia. Ma, secondo il mio parere, non si tratta di una grossa questione.

Penso che, data l'attuale situazione mondiale, non sarebbe opportuno abbordare tale questione senza prima aver stabilito una frontiera ben chiara e accettata, in linea di principio, da ambedue le parti. Questo agevolerebbe la rapida soluzione della questione.

Un avvicinarsi impreparati a tale questione sarebbe sfruttato da coloro che non desiderano i buoni rapporti tra la Jugoslavia e l'Italia, peggiorando in definitiva l'andamento dei nostri rapporti. Perciò, credo che la situazione non sia oggi ancora matura per la risoluzione del problema in questione. Tutte le altre questioni pendenti sono secondarie e non sono difficili da risolvere. Noi le risolveremo senza dubbio molto facilmente».

Non si capisce bene cosa abbia voluto dire Tito con queste parole. La prima impressione è che egli voglia collegare la questione della delimitazione delle frontiere (e ciò nel senso più largo) con quella di Trieste. Ciò equivarrebbe a dire che in correzioni di frontiera si potrebbe trovare quella possibilità di manovra che gli stretti termini della questione di Trieste in se stessa non sembrano offrire.

D'altra parte egli dice anche che la questione di Trieste è l'unica grossa questione che rimane in pendenza tra i due paesi. Mentre invece a nostro avviso la questione della delimitazione delle frontiere (e sia pure, questa volta, nel senso più ristretto del tracciato sul terreno) riveste pur tuttavia la sua importanza. A questo proposito anzi le ricordo che, ora che sono stati firmati gli Accordi del 23 dicembre1 e iniziate le conversazioni per la revisione dell'Accordo sulla pesca e per l'apertura delle librerie a

Roma e a Belgrado, questo Ministero attende di conoscere se la S.V. abbia definito con codesto Governo le modalità per la conclusione dei lavori che, nelle ultime proposte jugoslave (suo rapporto n. 2694 del 4 ottobre u.s.)2 dovrebbero essere affidati a delegazioni a carattere diplomatico.

176 1 Gli accordi firmati a Roma in tale data erano i seguenti: riparazioni e pagamenti per accordo beni ed altri titoli; opzioni; archivi; diritti proprietà letteraria ed artistica; materiale ferroviario; protocollo di firma accordi 1948 per trasferimento beni mobili e fondi optanti, nonché materiale rotabile. Essi sono pubblicati in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXXIII, cit., pp. 952-1017.

177

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, DOMINEDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 19 gennaio 1951.

Ho avuto oggi una lunga conversazione con il ministro di Jugoslavia. Egli ha cominciato col chiedermi cosa pensassi della richiesta degli Stati Uniti di qualificare «aggressore», ai termini dello Statuto dell'O.N.U., la Cina comunista. Ho risposto che, l'Italia non essendo membro delle Nazioni Unite, non potevo esprimere che un pensiero personale. Il Governo italiano non era in condizione di potere e dovere esprimere un giudizio e prendere una posizione al riguardo. Tuttavia a titolo personale potevo dirgli che il mio Governo segue da vicino una situazione nella quale è estremamente necessario, se pur difficile, contemperare le esigenze di una pubblica e solenne riprovazione degli atti di aggressione e di chi li commette con il desiderio, anzi il dovere, di non chiudere nessuna porta alle possibilità di una sistemazione pacifica. Ivekovic ha allora ripreso dicendo che per quanto riguarda la politica di aggressione il suo Governo aveva preso un atteggiamento del tutto chiaro. Che però a Belgrado si riteneva che bollare il Governo comunista della Cina di Governo aggressore, e a maggior ragione, poi, prendere contro la Cina di Mao Tse Tung delle sanzioni di dubbia efficacia pratica ma di indubbio effetto irritante, voleva dire spingere la Cina sempre più tra le braccia della Russia. E ciò contrariamente al parere e ai consigli di Pandit Nehru che nella questione coreana aveva dato sin dal principio prova di grande saggezza. Il suo Governo, ha concluso il ministro, non voterà perciò né a favore né contro la mozione americana; si asterrà.

Passando poi alle relazioni italo-jugoslave, Ivekovic mi ha chiesto se avessi letto l'intervista del maresciallo Tito all'Ansa1. Gli ho risposto naturalmente che la conoscevo assai bene. Il ministro ha proseguito dicendo che a suo parere, nella nuova atmosfera di fiducia che si era venuta creando tra i due paesi e che era per lui motivo di profondo e sincero compiacimento, nessuna questione, grande o piccola, era impossibile a risolversi. Ma, ha soggiunto, occorreva naturalmente della buona volontà. Anche la questione di Trieste, che è certamente la più grossa e la più spinosa, non è insolubile; il Governo jugoslavo, egli ha avuto l'aria di dire, mentre per ora rimane sulle sue posizioni, attende fiducioso che si presenti una occasione propizia.

177 1 Vedi D. 176.

Al che ho subito replicato, richiamandomi alle parole pronunziate poco prima dallo stesso ministro, che la buona volontà poteva fare davvero miracoli, ma a condizione che fosse reciproca. Ivekovic ha assentito.

Ho l'impressione che il ministro di Jugoslavia si ripromettesse due scopi, nel venirmi a trovare. Il primo era di informarmi dell'atteggiamento che il suo Governo avrebbe preso nella questione di Corea. Sebbene egli potesse immaginarsi la risposta che gli ho dato, è evidente l'interesse per la Jugoslavia di stabilire con l'Italia, alla quale si sente legata da una effettiva «solidarietà» strategica, il principio dell'informazione e consultazione reciproca in ogni questione di maggiore interesse.

Il secondo scopo era di sondare, ad ogni buon fine ed evidentemente senza troppe speranze pratiche, le disposizioni del Governo italiano sulla questione di Trieste.

176 2 Non pubblicato.

178

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 802/45. Londra, 20 gennaio 1951, ore 15,50 (perv. ore 20,45).

Telegramma di V.E. 284/C. 1 .

Nell'ultimo colloquio Strang mi ha dichiarato che il Foreign Office non ha alcun elemento di giudizio circa attendibilità ipotesi prospettata da nostra ambasciata Mosca. Ha riconosciuto che tale ipotesi è resa plausibile dal fatto che U.R.S.S. ha collegato questione Austria con quella Territorio Libero Trieste; ed ha aggiunto che non si è ancora preso in considerazione atteggiamento da adottare in simile eventualità dato che solo in questi giorni verrà presentata a Mosca nota congiunta concordata a Wa shington per chiedere chiarimenti che permettano stabilire se sarà possibile riunione Conferenza preparatoria. Comunque Strang ha assicurato che l'Inghilterra non ha alcun desiderio discutere questione Trieste e farà il possibile per evitarla tenendo presenti nostre considerazioni.

178 1 Vedi D. 156.

179

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 815/47. Londra, 20 gennaio 1951, ore 21,50 (perv. ore 6,30 del 21).

Dopo qualche mese che non ci vedevamo, mio collega jugoslavo ha desiderato avere lungo colloquio con me. Egli era qui rientrato pochi giorni or sono da Belgrado dove si era ripetutamente intrattenuto con Tito e Kardelj.

Circa relazioni italo-jugoslave, Tito si è particolarmente rallegrato passi fatti e conclusioni raggiunte e ritiene che ogni progresso sulla via intrapresa è della massima importanza sia nell'interesse reciproco dei due paesi sia nel quadro difesa generale.

Circa questione formante oggetto telegramma V.E. 2841, Brilej ritiene che molto probabilmente U.R.S.S. vorrà che questione Territorio Libero Trieste rientri nell'agenda Conferenza a Quattro. Egli però considera che il fatto che potenze occidentali aderiscano o meno a tale eventuale richiesta non — dico non — avrebbe pratiche conseguenze: ciò in quanto gli occidentali non accetterebbero in proposito nessun accordo che non comportasse anche ritiro truppe russe da Austria e riduzione effettivi militari satelliti balcanici a limiti trattato di pace, cosa ovviamente inaccettabile per U.R.S.S.

A Governo jugoslavo risulta che sta verificandosi graduale spostamento truppe ungheresi verso Ucraina e loro sostituzione con effettivi sovietici. Si avrebbe impressione che U.R.S.S. non voglia guerra entro quest'anno ma previsioni sono tanto più difficili in quanto Stalin, portato a una certa prudenza perché meglio valuta reazioni e potenziale Occidente, non sarebbe più completamente padrone situazione di fronte crescente autorità esponenti tendenze sciovinistiche.

Da insieme conversazione, e da alcuni accenni Brilej ho tratto impressione che sotto pressione avvenimenti e dinanzi approssimarsi pericolo, Tito, a differenza di quanto potrebbe apparire da sua intervista Ansa, non desideri accantonare possibilità che questione Territorio Libero Trieste possa formare oggetto cauti scambi di vedute italo-jugoslavi in forma e circostanze tali da essere sicuri che ciò non abbia in ogni caso ad incidere sfavorevolmente su relazioni tra i due paesi o nel complesso della comunità occidentale2 .

2 Per la parte riservata della conversazione vedi D. 184.

179 1 Vedi D. 156.

180

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 50/37. Parigi, 20 gennaio 1951 (perv. il 22).

Charpentier mi ha detto che stava studiando la risposta da darsi alla nota italiana1. C'erano due tipi di risposta che poteva dare: una a carattere più probabilmente giuridico e sarebbe stata quella di proporci un impegno generale da parte del Governo francese di fornirci il minerale di ferro dell'Algeria nella quantità quanto più possibile vicina alle nostre richieste ed a prezzi uguali a quelli fatti per altri clienti aggiungendovi il principio che l'Alta Autorità sarebbe stata, in caso di controversia, chiamata a giudicare se effettivamente la Francia aveva fatto tutto quello che era possibile per soddisfare le nostre richieste: il che, mi ha detto Charpentier, sarebbe una maniera indiretta di sottomettere, per quello che ci concerne, il minerale di ferro del-l'Algeria all'Alta Autorità.

L'altra possibilità sarebbe stata una risposta sulla base della conversazione da lui avuta con Venturini, di cui ad ogni buon fine accludo copia2 .

Gli ho fatto osservare che se, in quanto conversazione l'appunto in questione poteva essere considerato una prova della buona volontà del Governo francese, in quanto accordo, difficilmente avrebbe potuto essere considerato come soddisfacente da parte italiana. Vi si parlava infatti di una percentuale dell'aumento di produzione, senza però che si specificasse quale avrebbe dovuto o potuto essere questo aumento di produzione: quanto alla probabilità che uno dei clienti tradizionali, ossia l'Inghilterra, rinunciasse ad una parte dei suoi acquisti, questo nella congiuntura attuale e prevedibile mi sembrava assai poco probabile. Charpentier mi ha fatto allora vedere le cifre della produzione dell'Ouenza: l'Inghilterra acquistava 2 milioni 300 mila tonnellate annue del minerale: questi acquisti inglesi lasciavano attualmente un margine di produzione libero che era all'incirca quello che l'Ouenza aveva in fatto venduto all'Italia. L'Ouenza aveva in vista un programma importante di estensione della sua produzione, ma date le caratteristiche geologiche delle miniere bisognava prima procedere al décapage dei giacimenti prospettati, e soltanto dopo questo décapage sarebbe stato possibile accertare la vera consistenza dei giacimenti e prendere degli impegni correlativi all'aumento di produzione. Comunque per quello che concerne l'Ouenza, non era prevedibile un aumento sensibile di produzione per i prossimi due anni.

Mi sono riferito allora alle assicurazioni formali date dal ministro Schuman sia al ministro Pella che a me3. Charpentier mi ha detto di essere stato informato di queste assicurazioni e di aver fatto presente al ministro Schuman che effettivamente il

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 167.

Governo francese può decidere, se esso vuole, che l'Ouenza diminuisca la quantità di minerale da vendere all'Inghilterra a profitto dell'Italia. Gli ho chiesto però se riteneva che un provvedimento di questo genere sarebbe stato approvato dai ministri socialisti ed anche dal ministro delle finanze, visto che la vendita del minerale dell'Ouenza fruttava alla Francia sterline ed in parte anche dollari.

Riferendomi alla conversazione Fidanza-Langeron, gli ho detto che in quell'occasione Langeron aveva detto a Fidanza che sarebbe stato necessario riunire tutte le miniere francesi del Nord-Africa e vedere quelle che complessivamente esse avrebbero potuto fare per noi. Charpentier mi ha confermato che questo era effettivamente l'intenzione di Langeron: gli ho detto allora che sarebbe stato bene prima di rispondere alla nostra nota di fare questa riunione e di discutere poi cifre complete alla mano e non soltanto sulla base delle cifre di produzione dell'Ouenza.

Nella sua conversazione con Grazzi si era poi parlato di una questione secondo me molto importante ed era quella della partecipazione del capitale italiano alle miniere dell'Ouenza e di una partecipazione francese alla produzione dello zolfo in Italia. Mi sembrava che questa era la strada giusta e per la quale bisognava in sistere.

In questioni di questo genere, l'elemento psicologico aveva la sua importanza. Quando da parte italiana, con una partecipazione minoritaria importante ai programmi di produzione delle miniere dell'Ouenza ci si fosse trovati in grado di controllare e spingere la loro esecuzione, la promessa di una larga percentuale italiana all'aumento della produzione dell'Ouenza veniva ad avere tutt'altro valore ed avrebbe aiutato considerevolmente a superare certe diffidenze che atteggiamenti passati rendevano giustificabili. A questo riguardo aveva fatto a noi cattiva impressione la dichiarazione di Langeron che l'Ouenza non era affatto interessata ad un apporto di capitale italiano. Charpentier mi ha spiegato che l'interessamento allo zolfo, considerato da parte francese come contropartita al nostro interessamento all'Ouenza, era un interesse personale del signor Laffont e non di Langeron, che era quindi con lui che bisognava trattare l'affare. A questo riguardo gli ho detto che da parte nostra si era ottenuto il consenso della Montecatini ad una collaborazione con il capitale francese per lo sviluppo della produzione dello zolfo. Mi sembrava quindi che sarebbe stato bene che precisasse col signor Laffont anche questo argomento della partecipazione reciproca dei capitali italiano e francese.

Gli ho detto che il ministro Schuman avrebbe ricevuto giovedì l'on. Taviani, il quale desiderava intrattenerlo appunto delle questione del minerale di ferro e del piano Schuman. Sarebbe stato bene che sia la questione dei quantitativi disponibili da parte di tutte le miniere dell'Africa del Nord che la questione dell'eventuale partecipazione italiana alle miniere dell'Ouenza fosse stata da parte francese esaminata a fondo prima di questo colloquio in maniera da poter trattare della questione con piena conoscenza di tutti gli elementi. Perché se avessimo avuto di nuovo delle assicurazioni di carattere generico da parte del ministro Schuman senza una conoscenza di causa di tutti gli elementi reali del problema non avremmo avuto altro risultato che quello di confondere ulteriormente le idee. Su che Charpentier si è dichiarato d'accordo. Dato questo gli detto che mi sembrava anche inutile mandare una risposta interlocutoria alla nota italiana; era meglio aspettare una settimana di più e darci una risposta che fosse realmente concreta.

180 1 Non pubblicato ma vedi D. 139, nota 2.

181

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 828/19. Mosca, 21 gennaio 1951, ore 19,05 (perv. ore 19,45).

Stampa locale pubblica stamane testo note francese inglese 5 gennaio1 e risposte sovietiche circa trattato alleanza consegnate ieri Vyshinsky a ambasciatori di Francia e Inghilterra2. Prima impressione qui è che esse non contengono nulla di nuovo ma vogliono tenere viva polemica e pressione specie su Governo francese circa riarmo germanico. Ambasciatore di Francia ieri ebbe scambio osservazioni con Vyshinsky ripetendo che Patto atlantico è difensivo e che invece Governo sovietico tiene atteggiamento non amichevole verso Francia circa Vietnam e rapporti economi

ci. Vyshinsky ha replicato insistendo su tesi sovietica e dichiarandosi tuttavia disposto esaminare questioni in sospeso. Chiudendo colloquio che fu corretto e cortese ambasciatore di Francia manifestò alquanto ironicamente speranza che dichiarazioni Vyshinsky fossero di buon augurio circa atteggiamento sovietico eventuali conversazioni su Germania.

182

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 864-873/34-35. Parigi, 22 gennaio 1951, ore 21 (perv. ore 6,45 del 23).

Rapporto di V.E. n. 22/00153 e mio telegramma n. 14 del 10 corrente1 .

1) Non si hanno difficoltà da parte francese a discutere la questione libica, l'ammissione dell'Italia all'O.N.U., e problemi dell'emigrazione.

2) Per quello che concerne i punti 1 e 2 dell'ordine del giorno, ho detto a Parodi che l'Italia e la Francia si trovano tutte e due, sia pure in misura diversa, sotto osservazione. Quindi occorre che l'incontro sia impostato in modo da risultare affermazione dei due paesi volontà di resistenza e volontà spingere a fondo il loro riarmo, sia morale che materiale. Dare in qualsiasi modo l'impressione che ci riuniamo per mettere in comune i dubbi ed esitazioni, potrebbe avere per noi tutti conseguenze assai

gravi. Mi ha assicurato Parodi che tale è anche il desiderio del Governo francese. Ho detto a Parodi, questo non esclude che i due Governi siano d'accordo sulla necessità di fare ogni sforzo per salvaguardare la pace ed approfittare di ogni possibile occasione per arrivare a distensione: la volontà di pace non deve essere confusa con mancanza di volontà resistere. Egli mi ha risposto che questo è anche il punto di vista del Governo francese.

Governo francese ritiene che in certi casi sia necessario dare consigli di prudenza a Governo americano: ma che, perché la voce della Francia ed eventualmente del-l'Italia possa essere intesa a Washington con efficacia e senza ingenerare dannose interpretazioni, è necessario appunto che non ci sia minimo dubbio su ferma volontà nostri due paesi proseguire su via decisa resistenza ad aggressione, d'accordo con gli altri membri della comunità atlantica.

3) Ho detto a Parodi, per quanto concerne sistema collaborazione, mi sembrava necessario stabilire principio consultazione italo-francese prima di qualsiasi conferenza internazionale sia politica, economica che militare alla quale i due paesi siano chiamati a partecipare. Questa consultazione non significa che i due Governi debbano impegnarsi in principio a procedere d'accordo né rinunciare alla loro libertà d'azione. Ciò dovrebbe servire a constatare l'identità di vedute dove essa esiste e, in questo caso, esaminare le modalità concrete della collaborazione. In altri casi e ad evitare sorprese e malintesi, constatare che i due paesi procederanno per vie divergenti. Sistematizzazione in una parola della collaborazione là dove essa risulti possibile ed utile. Parodi mi ha detto di essere in principio d'accordo personalmente, ma che avrebbe dovuto parlarne con Pleven prima di darmi una risposta definitiva.

4) Circa punto sesto gli ho accennato ad opportunità che vengano date istruzioni a tutte le amministrazioni interessate considerare questioni franco-italiane carattere priorità nello spirito di preunione. Si è dichiarato d'accordo con riserva conferma Pleven.

Circa punto tre gli ho detto che l'Italia pur non essendo in principio contraria, si sarebbe trovata in grande difficoltà pronunziarsi prima di sapere come, in pratica, da parte francese, si intendesse organizzazione esercito europeo. A titolo personale gli ho anche detto che mi sembrava pericoloso anche solo indire conferenza prima di aver esaminato a fondo come detto esercito europeo avrebbe potuto essere organizzato. Se poi all'atto pratico si fosse dovuti venire a conclusione che esercito europeo, come era previsto da francesi, non era realizzabile, conseguenze, anche per la Francia, sarebbe state assai pericolose. Mi ha detto che trovava giusta mia osservazione aggiungendomi che progetto pratico è ancora allo studio da parte francese e che non si è ancora giunti a conclusioni. Mi ha accennato a difficoltà provenienti da idee troppo rigide Moch.

181 1 Di risposta alla nota sovietica del 15 dicembre per la quale vedi D. 92. 2 Il testo della nota sovietica del 20 gennaio è edito in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 4, pp. 140-141. 182 1 Vedi DD. 175 e 151.

183

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 22 gennaio 1951.

Il ministro Thompson mi ha fatto leggere la copia di un telegramma circolare che il generale Gruenther, a nome di Eisenhower, ha inviato a tutte le ambasciate e legazioni americane nei paesi atlantici visitate da quest'ultimo nel suo viaggio europeo.

Il telegramma dice in sostanza che il generale dovrà presentare il suo rapporto al presidente e al Congresso degli Stati Uniti e che dovrà convincere anche gli esitanti (allusioni alla forte opposizione nel Senato americano) che la difesa dell'Europa è cosa fattibile, che gli europei, popoli e Governi, sono disposti a fare i massimi sacrifici per realizzarla, e che gli Stati Uniti possono perciò affrontare con tranquilla coscienza il sacrificio e il rischio di nuovi sforzi finanziari e nuovi invii di truppe in Europa.

Il generale è disposto a farlo, ma ha bisogno dell'aiuto dei Governi europei per essere messo in condizioni di offrire al Congresso e alla pubblica opinione americana prove convincenti della buona volontà di affrontare questi sacrifici e di affrontarli subito. Perciò il generale, pur dichiarando nella maniera più esplicita che non intende affatto interferire negli affari interni dei paesi europei, e neppure aver l'aria di stimolare i Governi e prendere decisioni che sono di esclusiva loro competenza, esprime il parere che il suo compito sarebbe grandemente facilitato se, prima ancora del suo ritorno in America (egli parte il 25 gennaio e, dopo una breve sosta nel Canada, farà ritorno a Washington il 27 mattina) i Governi potessero presentare ai loro Parlamenti qualche concreta decisione in proposito. Ben comprendendo che difficilmente la procedura parlamentare potrebbe consentire l'approvazione di una legge in termini così brevi, il generale aggiunge che potrebbe bastare la decisione pubblicamente annunziata da parte dei singoli Governi di voler portare ai Parlamenti le decisioni stesse.

Ho osservato subito che il Governo italiano, in costante consultazione con gli esperti americani e, può ben dirsi, d'accordo con loro, aveva compiuto proprio recentemente un esame approfondito delle proprie possibilità finanziarie ed aveva deciso nuovi stanziamenti che, a parere di tutti, giungevano sino al limite estremo di queste possibilità. Thompson ha subito risposto che di fatto il telegramma di Eisenhower era circolare e non faceva esplicito riferimento all'Italia. Egli pensava tuttavia che la cosa era di tale importanza che bisognava cercare di dare al generale Eisenhower questi elementi di prova che egli chiedeva. Come suoi suggerimenti personali ha indicato i seguenti:

1) aumento della ferma effettiva, sino a quindici mesi, aumento che, in linea di massima, sarebbe già stato deciso dal Ministero della difesa;

2) annuncio da parte del Governo di voler portare immediatamente in Parlamento la legge relativa ai nuovi stanziamenti;

3) annuncio, che sarebbe conforme alle assicurazioni fornite ripetutamente dal Ministero della difesa, che le ordinazioni per l'impiego dei primi 50 miliardi dei nuovi fondi sono già state piazzate;

4) Qualsiasi annuncio relativo alle misure di controllo che il Governo intenda applicare per la disciplina della produzione in vista dello sforzo bellico (su quest'ultimo punto ho fatto osservare a Thompson che il Governo aveva effettivamente già annunziato di voler richiedere poteri straordinari molto vasti al Parlamento appunto per essere messo in condizione di poter far fronte alle nuove esigenze)1 .

184

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE 326. Londra, 22 gennaio 1951.

In relazione al mio telegramma n. 47 del 20 corrente1 devo completare in forma segretissima le mie notizie e le mie impressioni circa il colloquio con Brilej di venerdì scorso 19 corrente.

Brilej, tornato da Belgrado alcuni giorni or sono, aveva mostrato subito il più vivo desiderio di riprendere le nostre conversazioni di quest'estate che, diceva, avevano avuto i migliori risultati per una distensione tra i due paesi e le felici conclusioni che erano maturate a Roma e a Belgrado. Questo anche a giudizio di Tito che lo aveva invitato a proseguirle nello stesso spirito.

Ma le cose più importanti e che ritengo prudente per il momento di dire a te solo in via confidenziale sono:

— -che per la questione riguardante il Territorio Libero di Trieste Brilej non (dico non) ritiene che le difficoltà di risolverla di comune accordo siano «così insuperabili come in Italia potremmo pensare»; — -che il tentare di risolvere questo punto di attrito «senza rumore — sine ira — facendo anche solo qualche passo avanti per far maturare la soluzione e giungendo forse a qualche tacita intesa preliminare» sarebbe in questo momento di grande importanza in considerazione delle posizioni sovietiche nel caso che la Russia pretendesse porre la questione nelle conversazioni a quattro e insistervi facendone pretesto per i suoi eventuali interventi nel settore adriatico. Le potenze alleate potrebbero in tale caso prendere un più preciso atteggiamento se sapessero in modo positivo che la questione è in qualche modo sulla via di accordi diretti tra i due interessati (il che mi sembra coincidere in parte con quanto Acheson ha detto a Tarchiani); — -nulla però dovrebbe essere tentato a questo proposito che, invece di migliorare, potesse peggiorare le relazioni già raggiunte e il soddisfacente modus vivendi o rendere impossibile a priori (per intervento di opinioni pubbliche, di stampa, di partiti) un pacato esame oggettivo del problema nell'attesa di un successo o insuccesso; — -che per queste ragioni i primi scambi di vedute non (dico non) dovrebbero avere luogo a Belgrado o a Roma e non dovrebbero avere in alcun modo carattere ufficiale.

Detto questo Brilej proponeva che lui ed io scrivessimo ai nostri rispettivi ministri degli esteri chiedendo se essi ritenevano utile e autorizzassero uno scambio di idee a «titolo personale ed esplorativo» sulle possibilità di soluzione del problema delle due Zone A e B. Tale semplice «assaggio del terreno» avrebbe, a parere di Brilej, il vantaggio di lasciare intatte le reciproche posizioni nel caso in cui si vedesse che passi avanti non se ne possono fare e non esistono le basi per un eventuale compromesso.

Egli concepiva insomma questa presa di contatto come una conversazione «molto franca, molto leale, spoglia di passione e di retorica» di cui i ministri degli esteri sarebbero al corrente e interverrebbero per interposta persona e che potrebbe essere interrotta a ogni momento senza lasciare traccia o, in caso favorevole, continuata ad altro livello e per le normali vie diplomatiche.

Io non so fino dove nella proposta c'entri Brilej, c'entri Tito, o c'entrino anche gli stessi Alleati: la Gran Bretagna soprattutto che in questi metodi di approcci alla soluzione di problemi politici che sembrano insuperabili, è maestra.

Per quanto riguarda gli jugoslavi mi sembra difficile di pensare che possa trattarsi soltanto di farina del sacco di Brilej; ciò specialmente se si tiene conto del fatto che egli ha chiesto il colloquio dopo molti mesi che non ci vedevamo e proprio dopo avere conferito a Belgrado con Tito e Kardelj. Quanto agli inglesi, Strang mi ha confermato quanto già Bevin aveva detto a suo tempo circa l'opportunità di accantonare per il momento la questione di Trieste. Ma è chiaro che gli anglo-americani, quando parlano di accantonarla, intendono semplicemente dire che hanno capito che sarebbe inopportuno di esercitare pressioni sugli jugoslavi e su di noi perché ci mettiamo d'accordo: ma se d'accordo ci mettessimo essi considererebbero certamente che abbiamo risolto un problema che costituisce un grattacapo per tutti.

Non vi è dubbio che una eventuale intesa si distaccherebbe da quelle posizioni che, sulla carta, la Dichiarazione tripartita del 20 marzo 19482 ha assicurato al nostro paese. D'altra parte non si può dimenticare che, allo stato attuale delle cose, gli jugoslavi sono assolutamente ed esclusivamente i padroni in Zona B, mentre in Zona A i padroni sono gli anglo-americani e noi vi abbiamo soltanto uno zampino, sia pur esso attivo ed efficiente.

Certo è che sotto la pressione degli avvenimenti la Jugoslavia mi pare si vada orientando verso una non ritardata intesa per cui il nemico comune non abbia pretesti

di infiltrarsi, profittando del dissidio, verso Trieste che è evidentemente una delle più ambite mete dell'imperialismo sovietico sulla sua possibile marcia verso Occidente. Attendo il tuo pensiero e le tue alte direttive in proposito3 .

183 1 Con un appunto del giorno successivo Guidotti aggiungeva: «Ho comunicato a Thompson il contenuto della nota manoscritta di S.E. il ministro circa le decisioni del Consiglio dei ministri in materia di riarmo. Thompson è stato molto lieto, mi ha pregato di ringraziare vivamente il conte Sforza, e mi ha assicurato che la nostra prontissima risposta, che certamente avrebbe preceduto ogni altra, non avrebbe mancato di fare la migliore impressione a Washington».

184 1 Vedi D. 179.

184 2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

185

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 922/28. Londra, 23 gennaio 1951, ore 15 (perv. ore 0,30 del 24). Telegrammi V.E. 11 e 121 .

Ho fatto dichiarazioni circa Jugoslavia attenendomi a istruzioni di cui telespresso di V.E. 3/332 . Sostituti si sono espressi unanimamente per promuovere rafforzamento economico Jugoslavia anche per effetto psicologico su Stati satelliti.

Per quanto riguarda aiuti carattere militare si è da più parti specialmente insistito su necessità di procedere in modo da non porre Tito in difficoltà. Sostituto britannico non dichiaratosi d'accordo con nostro apprezzamento circa possibilità che regime Tito venga rovesciato e che paese ritorni a cominformismo ed insistito su necessità fornire aiuti armamenti qualora Tito ne faccia richiesta. Rilevato tuttavia che attualmente tali aiuti non potrebbero essere sostanziali senza incidere su priorità nel N.A.T.O. e che pertanto questione aiuti militari a Jugoslavia dovrebbe essere considerata nell'ambito del N.A.T.O. stesso. Suggerito possibilità che Governo belga ceda propri surplus a Jugoslavia. Rilevato che Russia sta rafforzando armamenti Stati satelliti e che pertanto posizione militare Jugoslavia sta indebolendosi. Secondo informazioni pervenute da Peace attacco contro Jugoslavia da temersi entro corrente anno, probabilmente settembre, quando sarà completato addestramento truppe Stati satelliti. Jugoslavia va quindi considerata punto pericolosamente critico.

Ho creduto dover ripetere a sostituto britannico che nostra principale preoccupazione era costituita da possibilità, che non ci sembrava potesse escludersi, di un rovesciamento del regime di Tito con ritorno Jugoslavia a Cominform e che pertanto in materia di aiuti militari dovevasi agire con molta prudenza.

Anche sostituto americano rilevato gravità posizione Jugoslavia e aumentata pressione sovietica. Per quanto regime Tito sia inviso a popolo americano occorre tuttavia sostenerlo perché sua caduta sarebbe disastrosa anche per sua ripercussione su paesi democratici vicini. N.A.T.O. dovrebbe considerare azione comune per assi

185 1 Del 19 gennaio con i quali Sforza aveva anticipato le istruzioni contenute nel D. 174.

2 Vedi D. 174.

stenza economica e militare a Tito distinguendo fra aiuti da dare immediatamente e quelli che si dovranno dare qualora aggressione contro Jugoslavia abbia luogo.

Da discussione è emerso che Governi britannico e americano ritengono necessaria sostanziale assistenza anche militare a Jugoslavia considerando molto probabile attacco a breve scadenza contro di essa e che uniche riserve sono state avanzate da noi e con molta minore decisione da francesi. Si delinea in sostanza in seno Consiglio a proposito Jugoslavia situazione che potrebbe per noi divenire simile a quella in cui si è trovata Francia in relazione riarmo Germania.

Termine seduta sostituti hanno concordato che discussione venga riassunta in documento segreto da cui emergano punti che meritassero essere chiariti in ulteriore esame3 .

184 3 Per la risposta vedi D. 206.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 22/00206. Roma, 24 gennaio 1951.

Riferimento: Rapporto di codesta ambasciata n. 686/386 del 18 gennaio1 .

Questo Ministero condivide le considerazione svolte da codesta ambasciata nel rapporto sopracitato e gli apprezzamenti da essa espressi sull'argomento al Dipartimento di Stato.

È fuori di dubbio che la difesa del Mediterraneo e del suo settore orientale, costituiscono un interesse vitale per l'Italia e che da parte nostra si seguono con particolare interesse le iniziative relative alla organizzazione di tale difesa e i loro sviluppi sul piano diplomatico e militare.

Siamo convinti che col progredire della organizzazione difensiva atlantica si addiverrà ad un esame più concreto di tale problema che già sin da ora consideriamo entrato in una fase che potremmo chiamare di «istruttoria». Ogni informazione al riguardo, che codesta ambasciata potrà trasmettere sarà pertanto apprezzata mentre converrà, presentandosene l'occasione, continuare a manifestare al Dipartimento di Stato il nostro interesse ad essere tenuti al corrente degli indirizzi che da parte americana si daranno allo studio della questione. A tale proposito converrà anche richiamare l'attenzione di codesti ambienti responsabili sulla necessità già da noi fatta presente di approfondire anche l'esame della situazione politica nel Medio Oriente al fine di rimuovere le cause di quei malintesi e recriminazioni che sono venuti in questi ultimi anni a rendere meno cordiali i rapporti fra taluni Stati musulmani e taluni paesi occidentali. Ciò che è indispensabile perché una eventuale cooperazione difensiva con quei paesi possa appoggiarsi a saldi e fiduciosi rapporti di amicizia con essi.

186 1 Vedi D. 172.

185 3 Per la risposta vedi D. 187.

187

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

L. 87 SEGR. POL. Roma, 24 gennaio 1951.

Mi riferisco al suo telegramma n. 281 .

Ho letto con interesse il riassunto che ha fatto della discussione sulla Jugo slavia.

Le considerazioni contenute nel telespresso 3/332 hanno carattere di impostazione del problema e non tendono evidentemente ad ostacolare in alcun modo quella che è l'assistenza da darsi a Tito appunto perché egli possa nelle attuali contingenze mantenersi al potere o resistere ad un eventuale attacco esterno, essendo ciò anche di nostro interesse nonostante i ben noti problemi che abbiamo in sospeso con quel paese.

Ci sembra tuttavia che nel fornire tale assistenza e tali aiuti, specialmente se di natura militare, non si debba perdere di vista:

1) il carattere provocatorio che, in evidente malafede, potrebbe essere dato da parte dei satelliti e della U.R.S.S. ad un aperto e pubblico aiuto militare alla Jugoslavia da parte occidentale;

2) il rischio che tali aiuti possano finire in mano ostili.

Naturalmente tali pericoli sono destinati a ridursi e anche a scomparire col proseguire del tempo e col rafforzamento dell'Occidente ed è sotto questo aspetto che vi è forse un certo parallelismo fra la posizione della Jugoslavia e quella della Germania.

È bensì vero che la Jugoslavia è più esposta della Germania nel senso che i sovietici potrebbero pensare quattro volte prima di sferrare un'azione (anche indiretta) in Germania, e due volte soltanto prima di lanciarne una (sempre indiretta) verso la Jugoslavia. Ma è altrettanto vero, appunto per questo, che potrebbero reagire più impulsivamente ad una «provocazione» nel settore jugoslavo che nel settore germanico. È dunque una questione di metodo e di procedura più che di sostanza ed è quindi lungi dal nostro pensiero il voler assumere nella questione riarmo jugoslavo atteggiamenti intransigenti, sui cui risultati d'altra parte non ci faremmo soverchie illusioni. La nostra esposizione non era che un obbiettivo esame della situazione, esame al quale sono estranei interessi italiani particolari diversi cioè quelli di tutto l'Occidente.

Faccia subito sentire ai suoi colleghi che le sue riserve erano basate sulla credenza, che regna qui secondo le nostre informazioni, che un attacco alla Jugoslavia non è vicino; ma chiarisca loro che se veramente è «molto probabile un attacco a breve scadenza» la nostra adesione al loro pensiero sarebbe piena. Non ci conviene

2 Vedi D. 174.

un diverso atteggiamento, prima di tutto perché sarebbe vano; ma anche perché precluderebbe eventuali intese che possono giovare ai nostri specifici interessi italiani nel T.L.T. e in genere in Jugoslavia3 .

187 1 Vedi D. 185.

188

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 217/53. Amman, 24 gennaio 1951 (perv. il 27). Riferimento: Mio n. 170/31 del 17/1/511 .

Ieri mattina il Ministero degli affari esteri giordanico ha fatto pervenire a tutte le legazioni qui accreditate una nota circolare trasmettendo copia in arabo con traduzione in inglese del «decreto reale concernente la nomina di Nasciascibi quale controllore dell'Harem es-Sherif e custode dei Luoghi Santi».

Qui unito la invio a V.E.2 .

Non accuserò per il momento neppure ricevuta di tale nota, in attesa di conoscere quale sia l'atteggiamento del Governo italiano sulla questione, in base anche a quanto da me segnalato precedentemente. Eguale comportamento terranno i miei colleghi francese e spagnolo.

Comunque, rilevo che ormai con tale notifica è più che mai indispensabile fare per lo meno una riserva in via orale, altrimenti il nostro silenzio si potrà interpretare come un riconoscimento tacito della nomina del «custode».

Anche ieri mattina — improvvisamente e senza alcun preavviso per evitare evidentemente che io potessi trovare un pretesto per non riceverlo — è venuto in legazione Raghib pascià Nasciascibi col quale sono legato da una certa dimestichezza.

Ha detto che si trattava di una «visita di digestione» per un invito a pranzo da me fattogli un mese fa circa!

Ciò premesso a giustificazione della sua visita, egli è entrato nell'argomento che gli premeva: esprimere un certo rincrescimento per l'assenza delle alte gerarchie cattoliche (latine) e dei consoli cattolici alla cerimonia dell'investitura.

Ho creduto opportuno dirgli che io ufficialmente avevo avuto conoscenza della sua nomina soltanto poche ore prima con la nota ricevuta (qui allegata) e che dovevo perciò fare ogni riserva al riguardo in attesa di conoscere il punto di vista del mio Governo, e che lo ricevevo quindi come Raghib pascià e non nella sua nuova veste.

2 Non pubblicato.

Poiché il Nasciascibi ha tentato di giustificare l'emanazione del decreto in parola dicendo che era diretto a difendere i diritti dei cristiani, ho dovuto subito ribatterlo, e gli ho esposto — in via personale — gli argomenti contrari già da me accennati a V.E.

Dopo tale mia replica a cui Raghib non ha risposto, si è passato a parlare di altre cose.

Ho visto poi il mio collega francese, il quale mi ha detto che anche da lui si è presentato ieri il Nasciascibi, senza preavviso e col pretesto di restituirgli una visita. Ed anche a lui il pascià ha espresso non solo lo stesso rincrescimento, ma, dato l'atteggiamento di Neuville (v. mio n. 175/34 del 17/1/51)1 nella sua qualità di decano, ha anche aggiunto che come detto console non è andato alla cerimonia della sua investitura, così egli non l'inviterà se darà un ricevimento alle autorità di Gerusalemme.

Dumarcay gli ha poi fatto, più o meno, riserve simili alle mie.

Poiché — come accennato — il Nasciascibi è entrato improvvisamente dal predetto mio collega (non bisogna dimenticare che siamo in Oriente, ove la consuetudine obbliga i Kawas alla porta di condurre immediatamente l'ospite di riguardo dal padron di casa), alla conversazione si è trovato presente anche l'incaricato d'affari statunitense, al quale il Nasciascibi ha tenuto ad esprimere invece il suo ringraziamento per l'intervento del console americano alla cerimonia dell'investitura.

Il mio collega francese è d'avviso — ed io condivido il suo parere — che tali visite del «custode» siano state consigliate dal re per tastare il polso dei rappresentanti delle più grandi potenze cattoliche (infatti non ha visitato il ministro di Spagna) e, nel caso della Francia, fare — forse — anche una lieve rimostranza.

E certamente Abdallah non sarà rimasto affatto contento di quanto gli avrà riferito il pascià sulle accoglienze da lui ricevute!

187 3 Le ultime due frasi sono autografe di Sforza che, dopo la prima, aveva anche inserito la seguente nota: «Se riuscirà ad avere in proposito informazioni precise me le telegrafi». Per la risposta vedi D. 210.

188 1 Non rinvenuto.

189

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. Washington, 24 gennaio 1951.

Il nostro osservatore presso le Nazioni Unite ha ricevuto da Roma, in risposta ad una richiesta da lui fatta per conto del segretario delle Nazioni Unite1, un telegramma col quale in sostanza si afferma che, «per motivi di carattere tecnico», pro-spettati «dagli organi competenti», il famoso ospedale da campo da noi offerto per l'assistenza sanitaria in Corea non può essere impiegato al seguito delle truppe operanti ed è soltanto indicato «per cure ambulatoriali di carattere territoriale»2 .

2 T. 515/10 del 22 gennaio, non pubblicato.

Ti confesso che questa comunicazione mi sorprende e mi spiace per le conseguenze ch'essa non mancherebbe di produrre nell'ambiente delle Nazioni Unite e, soprattutto, negli Stati Uniti.

Tu sai con quanta amarezza (e, se vuoi, con quanta inesperienza delle cose europee) l'opinione pubblica americana segue l'atteggiamento dei paesi europei nella crisi coreana. In pratica, cresce ogni giorno il numero di coloro che rimproverano l'Europa di voler essere difesa dall'America ma di non voler aiutare concretamente l'America, là dove essa già combatte per difendere l'Occidente.

L'Italia, quantunque sollecitata a dare, nel suo stesso interesse, un aiuto simbolico di carattere militare, non ha creduto (per ragioni, del resto, rispettabili) di far ciò. Essa si è limitata a promettere una unità ospedaliera. Senonché, a sette mesi dall'inizio delle operazioni, non solo tale unità non è ancora giunta sul posto, ma si vuole ora limitarne l'impiego in modo tale che non sembra rispondere a nessun criterio politico apprezzabile.

Per lunga tradizione l'assistenza sanitaria alle truppe operanti non è mai stata considerata altrimenti che come un'opera umanitaria (svizzeri, svedesi e perfino sanmarinesi hanno prestato servizio nella Croce Rossa in molte guerre).

L'esclusione del nostro ospedale dal diretto servizio delle truppe operanti diminuirebbe, forse fino ad annullarlo, il valore già modesto del nostro gesto.

Per questo motivo il nostro osservatore presso l'O.N.U. mi ha chiesto quali reazioni vi sarebbero state da parte americana alla suddetta limitazione e quindi, d'accordo con me, si è astenuto dal trasmettere al Segretariato la comunicazione di Roma affinché tu abbia il tempo di far riesaminare la questione prima di prendere una decisione definitiva.

189 1 Vedi D. 144.

190

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 60/44. Parigi, 25 gennaio 1951 (perv. il 27).

Ho l'onore di riferirmi al mio telegramma n. 38 di ieri1 .

Circa l'esercito europeo ho trovato Parodi — politicamente molto più vicino a Pleven e Moch che non a Schuman — meno sicuro di se stesso, di quanto non fosse qualche tempo addietro.

Circa l'atteggiamento americano, egli non mi ha più detto che gli americani erano decisamente favorevoli: mi ha detto che essi non si erano dimostrati, in principio, contrari: e che erano in larga misura disposti ad incoraggiare l'iniziativa. Perso

nalmente interpreterei quello che mi ha detto Parodi nel senso che gli americani sono disposti a vedere. Sarei anche portato ad interpretare questa improvvisa convocazione della Conferenza — mentre Parodi il 22 non la riteneva così prossima — come effettivamente dovuta ad una certa pressione di Eisenhower.

Non credo invece sia del tutto esatto quello che i francesi ci vorrebbero far credere, che egli abbia data la sua approvazione di principio. Vorrei supporre che Eisenhower abbia piuttosto detto loro: «Io ho bisogno di sapere al più presto se questo esercito europeo si fa, e come lo si fa: quindi fate questa conferenza al più presto».

Riservandosi naturalmente il diritto di dire: «Signori miei, non ho la possibilità di aspettare più a lungo» se la conferenza dovesse prolungarsi all'infinito. Oppure di dire: «Funzionalmente l'esercito europeo, come vorreste farlo voi, non mi va».

Parodi mi ha anche detto che, da parte francese, non è ancora pronto un piano dettagliato di organizzazione di questo esercito: infatti la convocazione viene fatta in base al piano Pleven originale che è molto nel vago. Le informazioni che ho assunto negli ambienti militari francesi mi porterebbero a dire che, sul terreno pratico, anche qui fra francesi si discute fra combat team e divisione come unità minima.

Parodi mi ha anche detto che c'era discussione, in seno al Governo, su chi doveva, eventualmente guidare la delegazione francese. Che Moch era contrario ad affidare il negoziato ad una grossa personalità politica, perché non voleva lasciarselo scappare di mano. Quanto ha detto Schuman, mi farebbe piuttosto pensare che il negoziatore sarà Moch e questo rende i negoziati poco facili.

Stando così le cose, e dati i precedenti, mi sembra sarebbe difficile per noi rispondere negativamente all'invito francese. Consiglierei però di mettere, alla nostra accettazione, alcune riserve:

1) che il piano pratico di esecuzione non implichi la necessità di disfare quello che è già stato fatto per l'organizzazione degli eserciti nazionali e costituisca quindi un rallentamento al riarmo europeo;

2) che l'idea dell'esercito europeo, anche se dovrà poi essere limitato a pochi paesi europei, sia esplicitamente accettata dagli americani. Potremmo, a questo riguardo, dire espressamente che noi, in quanto favorevoli all'unificazione dell'Europa vediamo in principio con favore l'idea di un esercito europeo, ma che allo stato attuale delle cose riteniamo che la cosa più importante per noi tutti sia di evitare:

a) che siano incoraggiati in America i fautori della difesa periferica;

b) che sia comunque ritardato l'invio di unità americane in Europa;

c) che sia comunque ritardato l'aiuto americano al riarmo dei singoli eserciti europei.

Mi si potrebbe dire che questo lo potremmo domandare anche noi, direttamente, agli americani. Ma gli americani hanno un po' l'abitudine di dire cose differenti ad ogni interlocutore. Sono capacissimi di dire ai francesi che sono favorevoli, a noi che sono contrari, ad un terzo che sono così così. Bisognerebbe cercare di portare i francesi a provocare dagli americani, sia Washington che Eisenhower, una risposta precisa, possibilmente scritta, e uguale per tutti. Se non altro allo scopo di evitare che si cominci la conferenza con una lotta di esegesi delle risposte americane;

d) che qualsiasi piano concreto di organizzazione di esercito europeo sarà approvato dal Governo italiano solo se approvato anche dagli americani.

Mi pare che con queste riserve noi siamo a posto, sia di fronte ai francesi, sia di fronte agli americani. Più di queste non ne farei. Dalle poche comunicazioni che mi sono pervenute da Roma al riguardo, mi sembra di comprendere che il nostro entusiasmo è limitato.

D'altra parte se gli americani veramente l'appoggiano, o se, nel corso delle di scussioni ne scappa fuori un piano pratico che piaccia a loro e che essi approvano — ne dubito, ma tutto è possibile — non sarebbe facile per noi, per molte ragioni che

V.E. comprende, essere i soli a dire di no.

Sarei d'avviso che non ci convenga sollevare la riserva della sua approvazione o meno da parte del Governo di Bonn. Una riserva di questo genere, a questo stadio, sarebbe una presa di posizione nettamente antifrancese, difficilmente compatibile con lo stato attuale dei nostri rapporti con i francesi: una volta fatta una riserva del genere, noi verremmo in pratica, a perdere ogni libertà d'azione nel corso di questa conferenza.

Che da questa conferenza ne scappi fuori qualche cosa di concreto, ci credo poco. Impostato nelle sue linee generali il progetto può avere molti lati attraenti: quando si tratta di metterlo in esecuzione, ci si urta ad una quantità di difficoltà politiche, organizzative, psicologiche che rendono assai difficile la sua attuazione. Lo dico con dispiacere, perché vedrei con molto piacere un esercito europeo: ci si potrebbe forse arrivare, se avessimo molto tempo a nostra disposizione.

Ma premesso questo, e per le ripercussioni che in certi ambienti può avere l'idea stessa, non vedo quale utilità ne verrebbe fuori per noi dal prendere la responsabilità del suo fallimento. Lasciamolo silurare dagli americani, lasciamolo silurare dai tedeschi, lasciamolo magari silurare dagli stessi francesi: ma non prendiamo delle posizioni di punta: anche se vogliamo, in fondo, che non riesca.

Bisogna poi che teniamo conto anche di un altro elemento. Il piano Pleven è, come V.E. sa, un ripiego interno francese per riuscire a fare accettare ai socialisti il riarmo tedesco. Non so se e quali assouplissements pratici i francesi siano disposti ad ammettere per il loro progetto iniziale: temo pochi. Se il piano di esercito europeo va a gambe all'aria, si riapre per la Francia il problema diretto del riarmo tedesco, ed una crisi grave, politica, interna le cui conseguenze possono essere difficilmente prevedibili. È una crisi che non per i begli occhi dalla Francia, ma nel nostro interesse, dovremmo cercare di evitare. E comunque, lasciamone ben chiaramente la responsabilità agli americani, a chi si vuole, ma non ce la prendiamo noi.

Le riserve che ho menzionato ci permettono di evitare che l'esercito europeo scivoli verso il ritardo dello sforzo militare, o verso forme non accettabili agli americani, e quindi esporre noi, in compagnia con altri, ad una crisi con gli americani.

Premunitici contro questo, il che è l'essenziale per noi, è meglio che ci lasciamo la più ampia libertà d'azione, in seno alla conferenza, e soprattutto, qualora se ne ravvisi la possibilità, la possibilità di una certa azione di ravvicinamento fra le differenti tesi.

Data l'importanza e la complessità della questione, riterrei opportuno che la nostra risposta fosse data per iscritto. È bene mettere alcuni punti fermi2 .

190 1 Con il quale Quaroni aveva preannunciato il prossimo invito alla Conferenza per la costituzione dell'esercito europeo.

190 2 Il documento reca la seguente annotazione di Zoppi: «Le osservazioni di Quaroni potrebbero essere dette ai francesi nel prossimo incontro, ma non mi pare opportuno avanzarle come “riserve” nella nota di risposta all'invito». Per la risposta vedi D. 211.

191

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 490/192. Bad Godesberg, 25 gennaio 1951 (perv. il 29).

Secondo notizie ottenute presso la Cancelleria federale, le impressioni riportate da Eisenhower nel corso del suo recente viaggio sarebbero state in sintesi negative per l'Olanda, non del tutto favorevoli a Parigi, buone per il resto dell'Europa, Roma compresa. Da parte americana mi è stato confermato che Eisenhower sarebbe rimasto nell'insieme soddisfatto, più dell'accoglienza ricevuta però e dei risultati psicologici della sua missione che dello stato della difesa europea.

Per quanto riguarda in particolare la Germania è ancora troppo presto per poter tirare delle conclusioni. Eisenhower è ripartito ier l'altro mattina e, secondo quanto mi è stato detto da fonte americana, deciso a completare nel termine di una settimana, nonostante l'attacco influenzale che lo ha qui colpito, il rapporto destinato a Truman. Cioè che è possibile affermare fin d'ora è che il viaggio del generale americano, così vivamente atteso dal Governo federale, dagli ambienti dell'opposizione e dagli stessi militari tedeschi, ha certamente segnato un punto favorevole per la Germania.

L'atmosfera dell'incontro con Adenauer e con l'altre personalità tedesche a Francoforte sarebbe stata di una marcata cordialità; tanto marcata, mi è stato detto da qualcuno, da riuscire quasi sospetta ai tedeschi che ne sono ad ogni modo restati sorpresi.

Come ho già riferito il generale Eisenhower doveva risalire qui un terreno personalmente sfavorevole. Il cordiale tratto del generale e le sue eminenti doti personali hanno valso invece a creare subito nel corso dei colloqui l'atmosfera voluta. La preparazione del viaggio da parte dell'Alta Commissione americana è stata ottima. Ho avuto notizia che gli ultimi telegrammi scambiati col generale prima del suo arrivo all'aeroporto di Francoforte, hanno appunto riguardato le prime dichiarazioni che egli avrebbe dovuto fare ai giornalisti al momento dell'arrivo.

Con esse è stato provveduto intanto a far cadere una delle pregiudiziali poste da Governo ed opposizione al problema del riarmo, sia pure la meno costosa per gli Alleati: quella dell'onore del soldato tedesco. Il generale Eisenhower appariva infatti la persona più qualificata e responsabile in questo momento per rettificare antiche posizioni e mi risulta che le sue parole hanno avuto larghissima risonanza in tutti gli strati di questa opinione pubblica.

L'altro punto positivo del suo viaggio, nei riflessi dello stato d'animo dei tedeschi, è stata l'affermazione fatta da Eisenhower prima della sua partenza, che tutti i soldati sotto il suo comando avrebbero uguaglianza di diritti.

È stato così compiuto un notevole passo avanti nella preparazione psicologica del riarmo, ma non altrettanto può dirsi per le altre condizioni poste dai tedeschi, prima fra tutte la presenza sul territorio tedesco di un numero sufficiente di forze alleate da rendere per lo meno molto rischioso ogni tentativo di aggressione da parte sovietica.

Informazioni sulle possibilità esistenti a questo riguardo mi sono pervenute anche dal console di Monaco, il quale ha potuto avere qualche notizia sul rapporto tenuto da Eisenhower ad Heidelberg ai comandanti delle truppe americane dislocate in Germania. Esse confermano in sostanza quanto era già noto a codesto Ministero sulla quasi impossibilità di costituire a scadenza immediata un tale apparato di forze. Il generale Eisenhower ha infatti mostrato di ritenere che per quanto riguardava l'America si sarebbero potuti trasferire in Germania, per ora, soltanto gli elementi per la costituzione di una sola divisione e che occorreva aspettare almeno fino a giugno prima di poter disporre delle altre divisioni attualmente in via di riattivazione. Inoltre, secondo Eisenhower, occorreva tener conto delle ostilità del Congresso a rinforzare le truppe americane in Europa fino a quando le potenze del Patto atlantico non avessero dimostrato con fatti concreti la loro buona volontà di rafforzare le proprie forze armate.

Il generale Eisenhower avrebbe pertanto insistito sulla necessità di trasformare rapidamente nel frattempo la dislocazione delle truppe di occupazione del Comando europeo in uno schieramento operativo (7ª Armata). (Sulla opportunità della attuazione di un tale provvedimento, prima di avere a disposizione forze sufficienti, non sono sicuro, in base a qualche accenno fattomi giorni or sono dal vice alto commissario americano, che via sia un perfetto accordo al Pentagono).

Il generale Eisenhower avrebbe infine espresso l'opinione che, date le incertezze dei tedeschi per il riarmo e le difficoltà create dalla Francia in questo campo, non gli pareva si potesse fare affidamento, in quest'anno, su un contributo militare tedesco di una certa entità. Il riarmo tedesco, secondo Eisenhower, si sarebbe verificato soltanto per gradi e con una certa lentezza, ciò che costringeva i comandanti americani in Germania a preparasi a fronteggiare la situazione con le proprie forze, aiutati soltanto dalle truppe di occupazione francesi ed inglesi.

Per quanto concerne i tedeschi ho potuto avere conferma alla Cancelleria federale che Adenauer è fermamente deciso a non cedere sul problema del riarmo prima di aver avuto serie garanzie che la linea di difesa sarà all'Elba. Tale garanzia non c'è stata finora, se non sul terreno propagandistico, né Eisenhower l'ha portata con sé. Ed occorre tener conto sempre maggiormente dell'atteggiamento della opposizione. Il consigliere politico di McCloy infatti mi ha detto recentemente essere ormai da escludere, nel pensiero degli stessi Alleati, la possibilità di procedere al riarmo della Germania contro il parere dell'opposizione anche se Adenauer, come è probabile, riuscisse, ancora oggi, ad ottenere la maggioranza al Bundestag.

La presenza di Ollenhauer (rappresentante di Schumacher ammalato) alle recenti conversazioni è stata certamente un segno positivo, ma ha dato agli Alleati nello stesso tempo la sensazione delle nuove difficoltà che ad esse si presentano con il necessario inserimento di Schumacher nelle trattative. Della ostinatezza di quest'ultimo ho avuto conferma confidenzialmente, come riferisco a parte, attraverso le impressioni ricevute dal sottosegretario britannico Davies che ha avuto un colloquio con Schumacher quasi in concomitanza col viaggio di Eisenhower.

Eisenhower in altri termini, accanto ai problemi politici che non credo lo riguardassero direttamente, si è trovato di fronte allo scoglio rappresentato dalle due richieste pregiudiziali tedesche: la difesa sull'Elba e la copertura militare alleata al riarmo tedesco.

È pertanto verosimile che gli Alleati faranno convergere nell'immediato avvenire tutti i propri sforzi verso la costituzione in Germania, nei limiti del possibile, di propri contingenti militari, tali da rappresentare insieme un principio di difesa all'aggressione ed un minimo di soluzione ad una delle condizioni pregiudiziali tedesche. Non era certo possibile attendersi dei miracoli da brevi conversazioni come quelle verificatesi nei due giorni di permanenza in Germania del generale Eisenhower. Il viaggio di quest'ultimo, mi è stato ancora detto alla Cancelleria federale, ha tuttavia servito a meglio chiarire le rispettive posizioni ed anche a far compiere un passo in avanti alle laboriose trattative in corso, e che proseguono ora su basi più concrete. Il cammino è certamente lungo e la meta lontana, ma non è detto che non siano ancora da attendersi profonde modificazioni ai programmi minimi esposti dal generale Eisenhower ad Heidelberg, dopo la presentazione del suo rapporto conclusivo al presidente Truman.

Con riserva di più precisi elementi che ritengo poter ottenere da fonte alleata nei prossimi giorni, è infatti mia impressione per ora — e sarebbe forse questo il lato più saliente del viaggio compiuto da Eisenhower nella Repubblica Federale — che egli sia ripartito dalla Germania molto più favorevole al riarmo tedesco di quanto non lo fosse prima di venirvi.

192

IL MINISTRO A TEL AVIV, GIUSTINIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 0083/22. Tel Aviv, 25 gennaio 1951 (perv. il 27).

Il ministro degli esteri Sharett, di ritorno dalla V Assemblea dell'O.N.U., ha tenuto ieri 23, un discorso alla Camera nel quale ha esaminato la situazione politica attuale di Israele nel Medio Oriente ed in seno all'O.N.U.

Dopo aver dichiarato che la mancata decisone sulle sorti future di Gerusalemme non preoccupa per nulla l'Israele ed avere affermato che quest'ultimo proteggerà i Luoghi Santi posti sotto la sua giurisdizione e garantirà pienamente le priorità e i diritti religiosi delle varie confessioni ha aggiunto che il Governo potrà eventualmente manifestare il suo senso di responsabilità verso i Luoghi Santi emanando una legislazione apposita per la loro tutela e apposite disposizioni amministrative.

Intorno al problema dei rifugiati arabi nei vicini paesi del Medio Oriente a seguito del conflitto arabo-ebraico il ministro degli esteri ha precisato che il fatto che l'Assemblea abbia respinto la proposta araba di separare la questione del ritorno dei rifugiati arabi, in Israele, dalle trattative di pace, e che l'Egitto abbia dovuto ritirare la risoluzione che aveva proposto per il ritorno dei rifugiati stessi, «non è senza qualche significato», tanto più che la risoluzione finale dell'Assemblea non ha fatto cenno al problema del ritorno dei rifugiati ma si è limitata a sottolineare l'obbligo di pagare ad essi delle compensazioni per i danni subìti. Questa risoluzione, secondo il ministro, va collegata con l'altra di istituire un «Fondo di reintegrazione», dal quale possano essere tratti i fondi necessari per la sistemazione dei rifugiati nei vari paesi del Medio Oriente.

Israele è disposto a contribuire al Fondo, a condizione però che i suoi contributi, che avrebbero il carattere di compensazioni dovute agli arabi fuggiti, gli evitino di dover trattare le richieste individuali per danni che quest'ultimi potrebbero singolarmente avanzare.

In sostanza il punto centrale del problema dei rifugiati si è spostato — ed il ministro Sharett ha rilevato questo con una certa soddisfazione — dal loro rientro in Israele alla loro sistemazione nei paesi nei quali sono fuggiti.

Sulle trattative di pace con gli Stati arabi egli ha detto che nessun progresso è stato fatto sin d'ora e si è dimostrato piuttosto scettico sulle possibilità di una futura mediazione fra Israele e Stati arabi. Tuttavia Israele è pronto ad «afferrare» ogni mano che gli venga tesa (quindi è favorevole a trattative dirette con i singoli Stati). Contemporaneamente ha ribadito il concetto che il blocco economico posto dagli Stati arabi alle frontiere terrestri di Israele non solo è destinato a fallire sino a che le comunicazioni marittime ed aeree saranno libere, ma avrà, ed ha già adesso, il risultato di obbligarlo a stringere legami economici con paesi lontani, e in definitiva finirà con il trasformarsi in futuro in un vantaggio per Israele.

È poi passato ad esaminare la politica di non identificazione israeliana come si è manifestata in occasione del conflitto coreano, dando i dettagli della azione svolta nel tentativo di arrivare ad una composizione del conflitto ed affermando che «benché rimanga il fatto innegabile dell'aggressione cinese» il Governo d'Israele farà quanto gli sarà possibile per cercare una strada pacifica che conduca fuori della crisi.

A questa sua politica di «Stato-ponte» Israele tiene moltissimo ed essa viene continuamente sottolineata ed abbondantemente commentata con compiacimento dalla stampa locale. Effettivamente essa, mentre da un lato contribuisce a dare all'interno l'impressione di una certa importanza del nuovo Stato nel campo degli affari internazionali in mezzo a nazioni che hanno vecchie tradizioni, dall'altro è conseguenza della politica di non identificazione che è stata condotta sin qui con una certa intelligenza ed abilità.

L'ultima parte del discorso di Sharett, però, contiene l'annuncio che è in corso di negoziazione un accordo con gli Stati Uniti per ottenere aiuto in base al «punto 4°» del presidente Truman. E questa è una prova che la politica di non identificazione è in sostanza più apparente che reale e che l'Israele ha continuamente bisogno di aiuti e appoggi americani.

Il ministro degli esteri ha tenuto ad assicurare la Camera che si tratta semplicemente di un aiuto a carattere tecnico. Ha spiegato in che cosa consista l'aiuto alle aeree depresse secondo il punto 4° ed ha precisato, soprattutto per le orecchie del-l'opposizione, che la sua manifestazione più saliente sarebbe data dall'invio in Israele di tecnici dagli Stati Uniti per trattare questioni tecniche specifiche, dall'invio di attrezzature e materiali dagli Stati Uniti e, questo il ministro Sharett ha cercato di dimostrare come ancora più importante, dall'invio di persone dall'Israele agli Stati Uniti per acquistarvi una specializzazione tecnica.

Il Governo d'Israele si proporrebbe di ottenere esperti americani soprattutto nel campo delle costruzioni stradali, dei metodi di irrigazione, delle ferrovie, della sanità pubblica, del trasporto di agrumi ed altro. Invierebbe israeliani a specializzarsi fra l'altro nella pesca, nelle costruzioni ferroviarie e navali, nell'industria ceramica.

Quest'accordo, cautamente presentato come ancora in gestazione deriverebbe da un invito fatto il 25 ottobre 1950 dalla ambasciata degli Stati Uniti in Israele al Governo di sottoporre un piano per aiuti tecnici beneficiando delle allocazioni degli Stati Uniti in base al punto 4°. Le conversazioni sarebbero cominciate verso la fine di novembre (telespresso 1162/357 del 1° dicembre u.s.)1 .

Secondo Sharett esso permette di esaudire il desiderio israeliano di inviare delle persone a specializzarsi all'estero in modo che possano servire come dirigenti e istruttori in vari rami di imprese di costruzioni e nell'organizzare l'economia del paese, e di ottenere intanto tecnici dall'estero. Israele si era già rivolto a parecchi Governi a questo scopo ma non sempre ha ottenuto risposte positive. (È noto che qualche tecnico ed alcuni operai specializzati, poche diecine di persone, sono state reclutate anche in Italia).

Il ministro ha chiuso affermando che le voci che si sono sparse che Israele in cambio di questo aiuto dovrebbe pagare un prezzo politico sono prive di fondamenti. «Né nel testo dell'accordo né durante le negoziazioni si è parlato di un prezzo politico».

L'aiuto secondo il punto 4° è infatti un aiuto puramente economico-tecnico. Indubbiamente non si è parlato di prezzo politico. Rimane però la tendenza sostanziale verso gli Stati Uniti, della quale anche l'accordo sul punto 4° è un segno.

193

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1057/86. Washington, 26 gennaio 1951, ore 21,25 (perv. ore 9 del 27). Suo 321.

Non (dico non) risulta qui che a Parigi Eisenhower abbia discusso Esercito europeo. Non si esclude che ciò sia avvenuto, dato che Eisenhower non ha riferito quasi nulla durante suo viaggio, riservandosi fare esposizione dettagliata al ritorno. Tuttavia si ritiene che, se questione è stata sollevata, si sia limitato ascoltare.

Posizione Governo americano è tuttora quella indicata in mio 432 ed è stata confermata in memorandum confidenziale interno redatto oggi da Dipartimento Stato per guida dei partecipanti americani alle imminenti conversazioni con Pleven.

Tale memorandum, di cui è stata data amichevolmente visione a questa ambasciata, afferma che:

1) progetto Esercito europeo concerne direttamente soli paesi europei cosicché Stati Uniti non parteciperanno a conferenza se non con osservatori;

2) Stati Uniti sono indirettamente interessati a progetto in quanto giovi ad unità europea e a amicizia franco-tedesca nonché a rafforzare organizzazione N.A.T.O.;

3) pertanto Stati Uniti possono favorire progetto a condizione che: a) non rallenti formazione forza integrata né inclusione unità germaniche nella medesima; b) nuova organizzazione sia creata e sviluppata esclusivamente nell'ambito organizzazione N.A.T.O. e col fine rafforzare quest'ultima.

Poiché stampa annuncia che Pleven sarà accompagnato da Juin e poiché prime notizie stampa da Parigi su progetto che Francia presenterà a conferenza menzionano nuovamente punti fondamentali del piano Moch (ministro europeo della Difesa e Stato Maggiore unico) ho segnalato Dipartimento Stato possibilità slittamento, durante conversazioni franco-americane ad altissimo livello, verso posizioni ritardatrici che sembravano già superate. Ho chiarito cioè, confidenzialmente ed in forma opportuna, che Governo italiano condivide atteggiamento americano su Esercito europeo ma non intende che questo serva mascherare monopoli e preminenze militari sul continente.

Dipartimento Stato ha mostrato intendere ed osservato che anche Germania si opporrebbe, con ragione e con successo, a siffatto tentativo.

Seguirò questione durante incontro Truman-Pleven. A tal fine prego inviarmi ogni utile orientamento su atteggiamento italiano a seguito telespresso 22/37 del 5 corrente3 .

192 1 Non rinvenuto. 193 1 T. 631/32 (Washington) 14 (Londra) del 26 gennaio, ritrasmetteva una comunicazione da Parigi per la quale vedi D. 190, nota 1. 2 Del 15 gennaio, con il quale Tarchiani aveva comunicato il punto di vista statunitense circa l'Esercito europeo più ampiamente commentato nel presente documento.

194

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

TELESPR. RISERVATO 97 SEGR. POL. Roma, 26 gennaio 1951.

Riferimento: Suoi telespressi nn. 62/371 e 60/36 del 6 gennaio u.s.2 .

Non ci era sfuggito il passo del discorso del signor Kardelj concernente la mancata risposta da parte dei «paesi vicini» alle offerte jugoslave di patti di non aggressione, ma tanto il riferimento alla «politica aggressiva anti-jugoslava dei Governi cominformisti» quanto le dichiarazioni amichevoli sugli accordi firmati a Roma il 23 dicembre u.s.3 sembravano dare a tale passo carattere restrittivo. Ciò che ella ora riferisce sulla conversazione del signor Vejvoda con codesto ambasciatore di Francia viene a confermare tale nostra interpretazione.

Per il caso tuttavia le dovessero — senza prendere iniziative di sondaggi diretti o indiretti — risultare fondate le interpretazioni del signor Ivekovic circa le intenzioni

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 176, nota 1.

del Governo jugoslavo di concludere un patto con l'Italia, voglia tener presente che non tocca a noi di fare passi in questa direzione. Ella avrà già rilevato dal telespresso 3/33/C. del 19 corr. mese4 che noi non riteniamo convenga — almeno per qualche tempo e salvo emergenze nella situazione internazionale che consigliassero diverso atteggiamento — indirizzare i rapporti italo-jugoslavi verso intese di natura politica perché premessa di accordi di tal genere rimane pure sempre la soluzione del problema del T.L.T. Pensiamo tuttavia che con gli accordi del 23 dicembre u.s. è stata spianata la strada ad una seria politica di buon vicinato, la quale dovrebbe rendere più facile la soluzione delle questioni ancora aperte, e potrebbe anche, in prosieguo di tempo, far maturare condizioni favorevoli per la sistemazione del problema di Trieste.

193 3 Non rinvenuto.

194 1 Vedi D. 146.

195

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 181/55. Mosca, 26 gennaio 1951 (perv. il 3 febbraio).

Da fonte sicura posso riferire che il vice-ministro Zorin, parlando separatamente ed ampiamente con due diplomatici di qui, ha espresso in entrambi i colloqui il seguente punto di vista circa le prospettive politiche del 1951:

«Il 1951 sarà un anno di pace, migliore del 1950. La ragione essenziale che ci fa credere a questo è che la politica americana si trova ormai ad un punto morto. Da questa impasse gli americani non potranno districarsi se non mutando politica, adottando cioè una politica meno aggressiva e meno avventurosa. Di tale mutamento vediamo già i primi segni nelle incertezze e divergenze manifestatesi nell'opinione pubblica statunitense. Ciò è inevitabile, a meno di credere che nella direzione della politica americana prevalgano gli irragionevoli e gli irresponsabili; essi ci sono, ma non possiamo credere che prevalgano. Se così fosse, naturalmente, sarebbe una grande sventura».

Si può ritenere che questa sorta di ragionamento risponda alle direttive ed alle ispirazioni ufficiali che gli alti funzionari sovietici ricevono e sono incaricati di trasmettere.

Naturalmente, si tratta di affermazioni di ottimismo e di sicurezza, destinate ad impressionare i terzi, e quindi da apprezzare con la dovuta prudenza. Se i sovietici volessero celare intenzioni aggressive, parlerebbero ugualmente, allo scopo di addormentare la vigilanza degli occidentali. Ma non credo si tratti di questo.

Più che tutto i sovietici, secondo me, come al solito, intendono ostentare la loro tranquillità, la loro forza, la convinzione che di fronte alla logica della loro politica gli americani cederanno: ma naturalmente viene spontanea la riflessione che gli ame

ricani sembrano oggi meno che mai di umore arrendevole, cosicché un ottimismo che si fonda non sulla volontà propria di moderazione, ma sulla certezza di una debolezza altrui appare scarsamente rassicurante.

194 4 Vedi D. 174.

196

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 1066/25. Mosca, 27 gennaio 1951, ore 13,10 (perv. ore 16,30).

Ieri Zorin parlando con diplomatici neutrali manifestava opinione che risposta occidentali circa eventuali conversazioni manifesterebbe volontà americani evitare trattative. Ciò essenzialmente perché risposta non indica a quali questioni precisamente si vorrebbero allargare discussioni e correlativamente insiste su convocazione di una riunione ministri esteri non già dello specifico Consiglio previsto Potsdam. Comunque aggiunge Zorin nota occidentali è allo studio. Suoi rilievi manifestano somma convenienza sovietica limitare discussione a Germania nonché disappunto di non riuscirci. Da alcune altre dichiarazioni funzionari Ministero esteri pure riferitemi da diplomatici neutrali appare inoltre attendibile che per ora U.R.S.S. non teme realmente rapido minaccioso riarmo germanico. Di qui detti diplomatici traggono conseguenze che essa mentre non sarebbe indotta a precipitare situazione non sarebbe nemmeno incline a fare concessioni serie (ad esempio in Germania orientale) in eventuali trattative.

197

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1087/50. Parigi, 27 gennaio 1951, ore 20,45 (perv. ore 24).

Circa esercito europeo Schuman mi ha detto:

1) Governo tedesco ha già dato risposta favorevole all'invito francese: reazione generale in Germania molto favorevole;

2) ha ricevuto lettera personale Acheson in cui questi approva progetto francese esercito europeo, promette appoggio Governo americano e annuncia invio di un osservatore;

3) delegato francese sarà Alphand. Egli Schuman presiederà prima riunione: è prevista partecipazione prima riunione qualche ministro degli esteri ma non di tutti. Delegati si riservano a qualche punto discussioni richiedere convocazione ministri esteri.

Fatto che sia Schuman e non Moch prendere direzione Conferenza ha la sua importanza ed è importante successo interno di Schuman.

198

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1095/29. Londra, 27 gennaio 1951, ore 21,50 (perv. ore 8,15 del 28). Telegramma 141 .

In assenza Spofford che trovasi Washington ho appreso da Achilles quanto segue:

1) Stati Uniti, malgrado abbiano deciso partecipare a Conferenza con osservatore ed abbiano a titolo cortesia comunicato ai francesi che si augurano che iniziativa possa avere buon esito, non vedono con favore iniziativa stessa. Tale atteggiamento mi è stato spiegato con il fatto che, dato rifiuto Gran Bretagna partecipare esercito europeo, tedeschi potrebbero venire meglio controllati se inquadrati direttamente in esercito integrato che non in esercito europeo, formato probabilmente soltanto da Francia Italia e Germania, nel quale tedeschi potrebbero prendere più facilmente sopravvento. (Tale preoccupazione americana trova raffronto in analoga preoccupazione francese nel senso che francesi, non soltanto vorrebbero assicurarsi esercizio controllo su tedeschi non fidandosi di lasciarlo ad altri, ma vorrebbero anche evitare diretto contatto degli americani con i tedeschi temendo che questi possano, specialmente in caso di guerra, finire per esercitare di fatto preminente influenza nella forza integrata).

2) Delegazione americana non è in possesso dirette notizie circa atteggiamento tedesco nei confronti iniziativa francese ma ad Achilles risultava che tedeschi considerano iniziativa stessa piuttosto freddamente. (Circostanza questa che, qualora confermata, mi sembra dovrebbe avere suo peso nella determinazione del nostro atteggiamento nei riguardi del progetto francese).

3) Delegazione americana non è informata in quali termini Eisenhower si sia espresso a Parigi relativamente a progetto francese ma, a quanto qui constava, Eisenhower non escludeva possibilità costituzione esercito europeo a condizione: a) che esercito europeo non ritardasse formazione esercito integrato; b) che esso dovesse far

parte integrante forze N.A.T.O.; c) che sua esistenza non dovesse in alcun modo intralciare azione comandante supremo.

Achilles ha poi accennato a tale riguardo a colloquio avuto da Eisenhower in Italia con presidente Consiglio. Secondo lui on. De Gasperi avrebbe dichiarato di essere favorevole in principio idea esercito europeo ma di ritenere che federazione europea avrebbe dovuto precedere e non seguire costituzione esercito europeo, ciò che appariva ad Achilles un modo diplomatico per dire che iniziativa francese non ci sembrava attuale.

Gli ho detto che non avevo notizie in proposito2 .

198 1 Vedi D. 193, nota 1.

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 105 SEGR. POL. Roma, 27 gennaio 1951.

Il suo rapporto del 18 gennaio (175)1 mi fornisce utile occasione per comunicare a V.E. i dati opportuni perché ella possa dissipare qualsiasi sospettosa o mal fondata curiosità sul progettato incontro fra i due primi ministri e i due ministri degli esteri d'Italia e di Francia. Niente è più limpido e semplice: dopo una promettente azione che si sviluppò fin dall'estate 1947, si verificarono nel ritmo di una crescente intesa italo-francese delle soste in cui non pochi voller vedere la necessità di incorporare in reciproci più intimi scambi di idee anche il capo del Governo francese appartenente a tendenze storicamente o numericamente più importanti di quella dei due ministri degli esteri che lealmente lavorarono a una sempre migliore intesa con l'Italia: non v'è dubbio infatti che nel seno dei vecchi partiti classici francesi si insinuò più di una volta che il riavvicinamento italo-francese non doveva apparire compito esclusivo del M.R.P. Aggiunga a ciò problemi come il patto carbone-acciaio, l'Africa del Nord, l'emigrazione, ecc. e chiaro sarà a tutti quanto accettabile e gradita dovette esser per noi l'idea del prossimo incontro.

Quanto al progetto che V.E. mi prospetta, esso non potrebbe che piacere, dal punto di vista personale, al presidente del Consiglio e a me. Ma è anche da parte del presidente del Consiglio che la informo quanto gli sembri necessario non accumulare per ora gli eventi — soprattutto non accumularli per iniziativa nostra e senza positive ragioni che si impongano alla pubblica opinione. Sarà quindi bene che ella non si faccia per ora iniziatore di idee di incontri costà, il che non impedirà che ella ne tocchi di nuovo con noi: e noi ascolteremo con interesse suoi punti di vista in proposito.

199 1 Vedi D. 170.

Per sua personale notizia aggiungo che sere fa a un piccolo pranzo Mallet domandò al presidente del Consiglio perché non andrebbe un giorno a Londra. La risposta fu: «Ci vorrebbe un perché, e non lo vedo». E Mallet: «Si potrebbe organizzare un discorso, una conferenza ... » Risposta: «Ma queste cose non sono affar mio ... »2 .

198 2 Vedi D. 201.

200

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1110/52-53. Parigi, 28 gennaio 1951, ore 17,25 (perv. ore 21,15).

Sono stato chiamato da Schuman e mi ha informato che l'ordine del giorno delle conversazioni Truman-Pleven prevede solo trattazione problemi carattere generale.

1) Rapporti con l'U.R.S.S., intesi non come problema generale: vedere cioè condizioni minime modus vivendi accettabile. Pleven, circa Conferenza a Quattro, intende dichiarare che l'eventuale proposta neutralizzazione Germania, anche se comportasse libere elezioni ed unificazione della stessa Germania sotto il Governo di Bonn o qualcosa di simile, non sarà accettata da Francia. La Francia ritiene che l'Europa occidentale non può essere considerata vitale se non con l'integrazione della Germania. Qualsiasi proposta sovietica tendente a staccare la Germania da resto Europa occidentale finirebbe per rivoltarsi contro di noi.

Egli non intende trattare specificatamente la questione del riarmo germanico restando su decisioni di Bruxelles: intende invece parlare del piano Schuman, dell'Esercito europeo e di altre eventuali iniziative simili spiegando ad americani necessità insistere su processo integrazione ed appoggiarlo.

2) Strategia generale. Fare stato delle forze presenti (presidente del Consiglio si reca a Washington con dati estremamente precisi su quello che la Francia è in grado di dare sia nel campo della produzione sia nel campo militare). Il programma francese è già suddiviso in programmi precisi produzioni, quindi si possono studiare con americani dettagli quantitativi materie prime, macchinari od end items necessari. Secondo Schuman lavoro preparatorio è già a buon punto. Studiare come possono essere meglio impiegate queste forze non soltanto sul fronte europeo, ma anche su quello del Medio Oriente, a cui la Francia guarda con preoccupazione, e su quello dell'Estremo Oriente.

Schuman mi ha detto — circa Medio Oriente — che Francia è preoccupata da Conferenza anglo-americana che si tiene a Malta in questi giorni. Non è ammissibile che i problemi del Mediterraneo siano solamente discussi fra americani ed inglesi ad esclusione Francia ed Italia per cui essi hanno un interesse non vitale delle frontiere europee. Secondo quanto mi ha precisato Pleven ha intenzione insistere su necessità presenza nostro paese in questo settore.

3) Materie prime. Pleven non ha intenzione entrare dettagli organismo materie prime: insisterà sulla necessità per Francia che sia fatto qualche cosa con urgenza per risolvere il problema della scarsezza materie prime, costi crescenti e loro ripercussione su bilancio militare francese.

4) Riaffermare, nella maniera più categorica, che la Francia è decisa a riarmarsi e, se necessario, a battersi. Egli conta fare presidente Truman onesta esposizione difficoltà problemi di politica interna francese, ma affermare allo stesso tempo, con la massima energia la ferma decisione del Governo francese di continuare politica atlantica. Egli intende reagire con ogni fermezza contro insinuazioni che circolano in America su intenzioni Francia.

Secondo Schuman, nel complesso, scopo viaggio è soprattutto, oltre eliminazione equivoci di cui al punto 4, cercare farsi, in quanto possibile, una idea scopi vedute politica americana. Pleven va ad esporre punto vista francese e spera, di rimando, Truman esponga il suo. Spera poter riuscire, in altre parole, a quello cui francesi non sono fino ad ora riusciti, discutere con americani problemi di politica generale. Quanto sopra è stato oggetto di due lunghe discussioni Consiglio ministri ed è stato approvato ad unanimità.

Schuman non mi ha nascosto che il colloquio non sarà facile, data eccitazione circoli americani per discussioni Lake Success: era molto preoccupato per intransigenza americana e per continui mutamenti di fronte da parte Governo inglese.

199 2 Per la risposta vedi D. 225.

201

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

L. 3/60. Roma, 29 gennaio 1951.

In merito all'ultima parte del tuo telegramma 291, il ministro desidera che ti chiarisca che il presidente non si è espresso nel senso attribuitogli da Achilles, o per lo meno non in termini così perentori.

L'unità europea non può per molti motivi — almeno per ora — raggiungersi con una decisione che la costituisca. È quindi per tappe successive che si può creare e integrare: O.E.C.E., Consiglio d'Europa, ecc. L'Esercito europeo può costituire una di queste tappe e potrebbe rivelarsi un ottimo strumento di integrazione europea. Quindi può bene precedere la federazione anziché seguirla.

Il problema è piuttosto da considerarsi nei suoi aspetti politici e militari contingenti. Il presidente ha fissato il proprio concetto nelle seguenti linee da lui stesso dettate e che sono state comunicate a Quaroni anche in relazione alla preparazione del prossimo incontro italo-francese:

«Prego informare Quaroni, se non lo si è già fatto, che io con Eisenhower adoperai tale formula; come europeisti non abbiamo obiezioni di principio contro Esercito europeo; ma non accettiamo alternativa: europeo o atlantico. Consideriamo esercito integrato come provvedimento d'emergenza e di precedenza, ma, provveduto una volta al vallo, potremo studiare con più calma la soluzione europea».

A parte ciò ti unisco alcune considerazioni generali che possono darti un'idea di come vediamo la questione nei suoi aspetti generali2. Mancano i dati tecnici della Difesa che so non essere completamente favorevole al progetto francese, coi quali soltanto si potranno muovere serie obiezioni al progetto stesso dato che — ripeto — dal punto di vista politico, vi sarebbero piuttosto motivi in favore che contro3 .

201 1 Vedi D. 198.

202

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 91/65. Parigi, 30 gennaio 19511 .

Ho esposto a La Tournelle il nostro punto di vista circa la futura sistemazione della Libia, spiegandogli la nostra politica e la nostra direttiva sulla base dell'appunto annesso al dispaccio di V.E.2 .

La Tournelle mi ha detto che da parte francese si è d'accordo con noi nel volere la massima autonomia delle tre regioni componenti la Libia. La Francia è quindi di sposta ad appoggiarci per sostenere:

1) un potere federale paritetico ma estremamente ristretto: l'idea francese sarebbe che il Governo federale dovrebbe avere autorità soltanto per quello che concerne difesa forze armate e rappresentanza diplomatica all'estero. Dovrebbe avere anche qualche potere finanziario ma ristretto alle risorse che sono necessarie appunto per le forze armate e per il Ministero degli esteri;

2) le tre regioni componenti dovrebbero avere l'autonomia più completa. Da parte francese s'intende per quello che concerne la Tripolitania questa autonomia completa come rispetto e riserva di una posizione speciale per l'Italia;

3) la Francia è assolutamente contraria ad un potere unitario, anche se questo potere unitario dovesse essere a basi paritetiche.

La Tournelle mi ha posto espressamente la questione se a queste condizioni è possibile stabilire una precisa collaborazione franco-italiana. Mi sono riservato una risposta pur

3 Con L. 188 del 6 febbraio Rossi Longhi rispose sottolineando: «Dai più recenti contatti che abbiamo avuti qui con la delegazione americana dovrei concludere che gli americani (almeno quelli che sono a Londra) sono soltanto esteriormente meno contrari all'iniziativa francese, nei confronti della quale continuano in realtà a mantenere le loro riserve».

2 Vedi D. 175, nota 3.

facendo la riserva, del resto accettata, che evidentemente noi dovevamo pur sempre trattare con gli inglesi per le questioni precise di nostri interessi concernenti la Tripolitania.

Gradirei farmi avere in proposito una risposta possibilmente telegrafica3 .

201 2 Vedi D. 207, Allegato I.

202 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

203

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 92/66. Parigi, 30 gennaio 1951 (perv. il 1° febbraio).

Mi riferisco al dispaccio di V.E. n. 22/00153 del 19 corrente ed agli appunti ad esso allegati1 .

Allego copia di un appunto da me rimesso a Parodi2, circa l'ordine del giorno della conferenza, e di un contro-appunto3 rimessomi, a questo riguardo, dal Quai d'Orsay. Seguirò per trattare i differenti punti, il progetto francese di ordine del giorno.

1-a e b) Per quanto riguarda la politica generale mi sembra che il paragrafo 2 del mio telegramma n. 344, risponde a quello che era il desiderio del Governo italiano. Unito a quanto le ho riferito con il mio telegramma 52-535 circa le conversazioni Pleven a Washington, dovrebbe tranquillizzare le nostre apprensioni.

Non avevo del resto dubbi al riguardo. Mantengo naturalmente quanto ho scritto a V.E. sulle fluttuazioni interne del Governo francese: neutralismo, inutilismo — la paura in una parola — sono un vizio segreto di cui, ufficialmente, non si parla. I rapporti italo-francesi, sia ufficiali che personali, non sono, e non saranno mai, a tal punto che ci si raccontino reciprocamente le riserve mentali che accompagnano, da una parte e dall'altra delle Alpi, le dichiarazioni atlantiche.

Sentiremo quindi i francesi dirci della loro volontà di riarmarsi, di resistere: molto probabilmente ci daranno anche delle cifre sul loro programma di riarmo: sarà bene siamo pronti anche noi a darne, esatte. Ci sentiremo dire che c'è negli americani uno stato d'animo pericoloso; sentiremo molte lagnanze sulla loro diplomazia improvvisata, sulle loro contraddizioni, sulle loro incomprensioni; sentiremo della necessità che si cerchi di persuadere gli americani a non metterci davanti a fatti compiuti: che la situazione europea è più pericolosa e domanda quindi anche una certa prudenza. Tutte cose insomma su cui possiamo concordare, almeno in larga misura.

Pleven ci racconterà le sue impressioni di Washington il che sarà comunque interessante, anche se — come è evidente — bisognerà fare un poco di tara.

2 Vedi Allegato I.

3 Vedi Allegato II.

4 Vedi D. 182.

5 Vedi D. 200.

Circa la Conferenza a Quattro, mi pare che quanto mi ha detto Schuman (mio telegramma n. 52) va anche più in là di quello che noi consideravamo come minimo, perché si possa accettare un modus vivendi con i russi.

Mi sembra che tutto questo dovrebbe bastare per dissipare il timore che mi sembra di rilevare dal dispaccio di V.E. e dagli appunti relativi, che cioè i francesi volessero attirarci in una specie di congiura a sfondo neutralista.

Quello che sarà più difficile, sarà il trovare la maniera di dare agli americani questa impressione di comune volontà. Non vedo altro mezzo che il comunicato ed una possibile comune conferenza stampa: è bene che ci siano, ma, comunque, restiamo sempre nel campo dei discorsi. Ora la crisi franco-americana o italo-americana, non è una crisi di mancanza di buoni discorsi: è una crisi di sfasamento fra i discorsi ed i fatti: e, per rimediarci saranno sempre soltanto i fatti quelli che contano.

Incidentalmente rilevo, dagli appunti allegati, una certa impressione, da parte nostra, che la nostra posizione presso gli americani sia migliore di quella francese. Francamente, questa non è la mia impressione.

Ci potranno essere delle differenze di dettaglio, ma fondamentalmente la domanda che americani — ed inglesi — si pongono è questa: si batterà la Francia, si batterà l'Italia? E temo che la risposta sia attualmente altrettanto dubitativa sia per l'uno che per l'altro paese.

Comunque per questi due items mi sembra che, in via di preparazione, ci sia ben poco da aggiungere. Quanto mi ha detto Schuman (mio telegramma n. 52), è una dichiarazione generale di politica francese: essa tranquillizza i nostri dubbi: il resto deve risultare dalle conversazioni.

1-c) Sul riarmo tedesco ho già espresso il mio parere col mio rapporto 77/536: su quelle basi si può discutere senza dover constatare una opposizione dei punti di vista. È solo da tener presente questo: i nostri appunti sono, nel loro complesso, una serie di domande che facciamo ai francesi: se loro dovessero rispondere affermativamente a tutto — ne dubito — sarebbe difficile per noi non rispondere con un certo nostro riavvicinamento alle loro tesi in materia di Germania.

Esercito europeo. Su questo argomento ho esposto alcuni miei suggerimenti nel mio rapporto n. 60/44 del 25 corrente7: se la nostra risposta all'invito francese sarà entro quei termini, ne possiamo discutere senza acrimonia. Per mio conto parlandone con i francesi ho insistito sempre sul concetto che sarebbe assai difficile per noi pronunciarci fino a che non sapremo in che cosa consiste, in dettaglio, il piano francese. Questo punto domanda ancora una certa misura di esame preliminare: spero di essere portato a conoscenza della risposta che ci proponiamo di dare ai francesi e questa risposta potrà servirmi per ulteriori esplorazioni, su cui riferirò.

Sicurezza interna. Questo significa, in pratica, contatti diretti fra i due Ministeri degli interni. Su questo argomento sarebbe bene che noi venissimo con un progetto organico di come farlo funzionare: se V.E. crede di farmene avere, in anticipo, qualche sentore, potrei informarne i francesi e conoscere le loro prime reazioni. Su questo argomento potrebbe essere anche interessante, in linea generale dire ai francesi che

7 Vedi D. 190.

cosa noi intendiamo fare per assicurare la sicurezza interna contro le «quinte colonne», sentire cosa intendono fare i francesi, ed intendersi, qualora ci convenga, per una certa contemporaneità delle misure da prendersi nei due paesi.

Problemi economici posti dal riarmo. Su questo argomento ho fatte ai francesi le proposte di cui al nostro appunto e cioè: generale priorità per lavorazioni per conto, subconcessioni, ordinazioni: se la risposta generale sarà positiva, mi riprometto di sottoporre loro qualche cosa di analogo all'accordo redatto coll'Inghilterra che è abbastanza vago e generico per non dar fastidio a nessuno.

Materie prime. Su questo argomento ho presentate ai francesi le nostre proposte di cui all'appunto D) ossia: priorità generale, atteggiamento per quanto possibile comune in seno O.E.C.E. Per quanto concerne le materie prime non europee, quanto noi avevamo intenzione di chiedere è, da parte francese, già in atto. Per parte mia ho accennato ad un impegno, da parte francese, qualora il nostro rappresentante non sia nel Consiglio previsto, di rappresentare i nostri interessi, se richiesto, e di dare al loro rappresentante, in linea generale, istruzioni di stretta collaborazione con i nostri rappresentanti a Washington per informazioni, appoggio, ecc.

1-d) Consiglio d'Europa. Su questo punto sollevato soltanto ieri mi riservo di sentire, con più dettaglio, di che cosa vogliono parlare i francesi. In linea generale, mi sembrerebbe sarebbe opportuno tener presenti alcuni concetti generali:

a) se continuiamo sulla strada in cui, specialmente l'Assemblea e la nostra rappresentanza e quella francese in essa, si sono messi, arriviamo alla rottura coll'Inghilterra. Ci conviene? Dico questo specialmente in vista della proposta svedese di passare l'O.E.C.E. alle dipendenze del Consiglio d'Europa;

b) vediamo un po' anche i casi nostri: oggi la tendenza è alle agenzie speciali tipo piano Schuman. Ora noi siamo reticenti sul piano esercito europeo, lo siamo ancora più sul campo piano agricolo: non credo saremo più entusiasti per altri piani che possono essere sollevati: facciamo attenzione a non trovarci in troppo grande contraddizione con noi stessi, fra la politica europea fatta da V.E. o dai nostri delegati all'Assemblea e la politica più riservata di tanti altri nostri Ministeri.

1-e) Ammissione dell'Italia all'O.N.U. Ho fatte qui le proposte di cui all'appunto relativo: ho avuto accoglienza favorevole: attiro comunque l'attenzione di V.E. sulla osservazione francese (questione non attuale) il che è, credo, la verità.

2-a) Unione doganale. Il Governo francese ci segnalerà i miglioramenti realizzati sul piano parlamentare: quello che fa e che intende fare per rimuovere le opposizioni degli agricoltori. Avremo su questo punto una conferma delle sue intenzioni. Ho comunque avanzata ai francesi la proposta di cui all'appunto B): trattamento prioritario reciproco nel campo economico e finanziario. È inutile naturalmente che attiri l'attenzione di

V.E. sul fatto che, qualora i francesi entrino in questo ordine di idee, l'impegno sarebbe reciproco, ossia impegnerebbe anche noi a dare preferenza ai francesi. Lo dico perché, se dovessimo trovarci d'accordo, vedremmo per esempio, i francesi avanzarci subito la richiesta concernente la televisione, per cui le nostre amministrazioni, come V.E. ben sa, non vogliono dare nessuna preferenza ai francesi e preferiscono invece gli americani.

2-b) Piano Schuman. Ho presentato i nostri desiderata di cui agli appunti F) e G). Come vede dall'appunto francese, la tendenza dell'Amministrazione sarebbe quella di rimandare la questione agli esperti dopo l'incontro. Ho detto, molto vivacemente, che bisogna invece studiarla sul piano esperti, prima. Si sono mostrati d'accordo: riferirò particolarmente sull'argomento dopo le conversazioni che dovremmo avere nel corso della settimana.

2-c) Su questo argomento ho già riferito col mio telegramma n. 558 .

2-d) Il progetto delle «mille famiglie» è allo studio: su tutta questa questione dovrei avere delle informazioni maggiori nel corso della settimana: temo non si uscirà dal campo delle generalità e delle buone intenzioni.

2-e) Da parte francese mi è stato detto che si è d'accordo sulla impostazione della questione libica di cui all'appunto relativo. Ossia i francesi vorrebbero che l'autorità federale avesse poteri soltanto per quel che concerne l'esercito e la politica estera, e per la parte finanziaria che è necessaria a queste due funzioni: per il resto, autonomia completa.

2-f) È la proposta che ho fatta sulla base sia dell'appunto C), sia delle considerazioni contenute nell'appunto relativo alla politica atlantica dei due paesi. Schuman mi ha già detto, al riguardo, che è d'accordo e, credo, nel complesso che possiamo considerare questo punto come acquisito. Naturalmente con la riserva che molto giustamente fa il redattore dell'appunto, che tutto questo è infinitamente più facile a dirsi che a farsi, e che, in genere, italiani e francesi non solo non hanno la collaborazione facile, ma hanno una giustificabile tendenza di sfogarsi l'uno contro l'altro dei numerosi rospi che debbono mandar giù di fronte agli inglesi ed agli americani. Si aggiunga poi che i piani italiani e francesi, nella maggior parte dei casi sono buttati giù all'ultimo momento, tanto per presentare un piano francese od italiano, il che rende la consultazione difficile. In fatto, bisognerebbe formulare l'accordo nel senso che i due paesi si impegnano a non presentare dei piani senza averci prima seriamente pensato su: e questo, appunto perché vero specie per i francesi, sarebbe offensivo e comunque non troverebbe il suo posto in uno strumento diplomatico.

Alla fine del suo dispaccio n. 22/00153, V.E. osserva che sarebbe inutile dare a degli altissimi funzionari, quali ambasciatori e segretario generale, una qualifica di supplenti «che essi hanno già in modo permanente». Non insisto su questa idea che, del resto, è di Parodi e non mia. In realtà penso che si potrebbero talvolta realizzare economie, e forse sveltire gli affari se nelle questioni di normale trattazione si facesse a meno di delegazioni e commissioni. E spesso un dispaccio di istruzioni può sostituirle più che proficuamente.

Mi permetto, per ultimo, un avvertimento pratico. Schuman, come V.E. sa, è una persona molto precisa e molto coscienziosa. Per tutte le questioni che sono e che saranno all'ordine del giorno, egli arriverà dopo aver studiato ed esaminato a fondo incartamenti e dettagli. Pleven, anche se in grado minore, è persona ugualmente assai precisa: entrambi amano discutere molto sul concreto, hanno ben poca immaginazione, e non troppa passione per le idee molto generali.

Sarò molto grato a V.E. se vorrà farmi pervenire le sue eventuali osservazioni, su quanto fa oggetto di questo rapporto, per telegrafo9 .

9 Per la risposta vedi D. 221.

ALLEGATO I

L'AMBASCIATA A PARIGI AL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA

ORDRE DU JOUR DE LA RÉUNION ITALO-FRANCAISE

1) Examen de la situation générale: confrontation de la politique française et italienne pour ce qui concerne le Pacte Atlantique, la Russie, l'Allemagne et tout autre argument d'intérêt commun.

Le Gouvernement italien estime, en général, qu'il sera nécessaire de souligner la ferme volonté des deux Etats dans le domaine de la résistance contre toute agression et de poursuivre leur effort de réarmement dans le cadre des obligations du Pacte Atlantique. Ceci n'exclut pas que les deux Gouvernements estiment qu'il faut profiter de toute occasion possible pour assurer la paix: mais il faut qu'il soit bien clair que cette volonté de maintentir la paix ne doit pas être interprétée comme un fléchissement de leur volonté de résistance. Ils estiment pareillement que moins il y aura de doutes sur cette volonté de résistance de leur part, plus il leur sera possible de faire sentir leur influence sur le Gouvernement des Etats-Unis. Cette réunion franco-italienne doit être présentée comme la réunion de deux volontés et non être interprétée comme la réunion de deux hésitations.

2) Armée européenne. Le Gouvernement italien, plutôt favorable en principe à l'idée d'une armée européenne, voudrait toutefois connaître quelles sont les idées du Gouvernement français concernant son organisation pratique. Il serait peut-être utile, avant de convoquer une conférence pour l'armée européenne, de bien étudier la question de son organisation. Il serait extrêmement préjudiciable à l'idée même de l'armée européenne si des projets étaient présentés qui pourraient se révéler d'une exécution pratique difficile.

3) Plan Schuman. A ce propos, le Gouvernement italien désiderait s'entendre avec le Gouvernement français sur deux points:

a) la question du minerai de fer de l'Afrique du Nord, qui intéresse tout particulièrement la sidérurgie italienne. Il serait utile que la question soit étudiée à fond de manière que les deux Présidents puissent prendre éventuellement acte d'un accord;

b) la nomination des membres de la Haute Autorité, de son Président, leur nombre; le système de délibération de la Haute Autorité; la nomination des membres de l'Assemblée et leur nombre; le système de votation au sein du Conseil des Ministres.

4) Question des matières premières.

5) Union douanière. Le Gouvernement italien se rend compte qu'il sera probablement très difficile pour le Gouvernement français de soumettre la question de la ratification de l'Union douanière au Parlament français avant les élections. Il laisse au Gouvernement français de décider sur l'opportunité ou non de faire mention de l'Union douanière dans le communiqué qui sera publié à l'issue de la réunion.

L'esprit de l'Union douanière a permis de développer fort considérablement les échanges commerciaux franco-italiens. Il est à remarquer que, tandis que les Administrations qui s'occupent des échanges commerciaux ont travaillé dans les deux Pays dans un esprit de pré-union, d'autres Adminstrations économiques des deux Pays n'ont pas travaillé dans le même esprit. On se domande s'il ne serait pas utile de donner, de part et d'autre, à toutes les Administrations françaises et italiennes des instructions dans le sens d'accorder, dans les limites du possible, une certaine priorité aux affaires et aux intérêts

franco-italiens.

6) Collaboration économique des Etats en vue du réarmement.

7) Collaboration sur le plan de la politique économique.

8) Harmonisation de la politique des deux Pays puor ce qui concerne la Libye.

9) Admission de l'Italie aux Nations Unies.

10) Emigration italienne.

Pour ce qui concerne cet argument, le Gouvernement italien se rend très bien compte des difficultés que la conjoncture actuelle oppose à une augmentation de l'émigration italienne en France. Il voudrait toutefois que le Gouvernement français se rende aussi compte que, étant donné l'importance du problème du chômage dans la politique intérieure italienne, il serait extrêmement difficile au Gouvernement italien de faire un tour d'horizon avec le Gouvernement français sans mentionner ce preblème.

D'une façon générale, le Gouvernement italien pense qu'il y aurait avantage à établir le principe d'une consultation préalable entre les Gouvernement français et italien avant toute conférence internationale — que ce soit dans le domaine politique, économique ou militaire — à laquelle les deux Pays seraient appelés à intervenir.

Dans l'esprit du Gouvernement italien, cette consultation ne devrait pas nécessairement engager les deux Gouvernements à présenter des points de vue identiques, ni être d'aucune façon entendue comme limitant leur liberté d'action. Il s'agirait plutôt de comparer les points de vue réciproques et, au cas où ces points de vue se trouveraient être identiques ou similaires, arranger les modalités pratiques de leur collaboration. Au cas où les points de vue résulteraient différents, il serait toutefois utile, aux fins des rapports généraux entre les deux Pays, que des deux côtés l'on sache qu'ils sont différents.

L'origine de pas mal de malentendus dans les différents domaines doit être attribuée, justement, à ce défaut de contacts préalables.

Limites bien définies et clarté de la collaboration, étant donné le caractère de nos deux Pays, sont indispensables aux bons rapports réciproques.

ALLEGATO II

IL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA ALL'AMBASCIATA A PARIGI

PROJET D'ORDRE DU JOUR DE LA PROCHAINE RÉUNION FRANCO-ITALIENNE

Ce projet s'inspire à la fois des propositions de M. Quaroni et de nos propres vues.

1) Examen des principales questions d'interêt general:

a) echange d'impressions sur la situation mondiale;

b) Conférence à Quatre;

c) défense de l'Europe occidentale (notamment réarmement allemand, armée européenne, sécurité intérieure, problèmes économiques posés par le réarmement, principalement question des matières premières);

d) Conseil de l'Europe;

e) admission de l'Italie à l'O.N.U. (question qui n'a aucun caractère actuel).

2) Problèmes franco-italiens: a) Union douanière; constatation des résultats obtenus et orientation générale pour les prochains mois;

b) problèmes posé par l'accession de l'Italie au plan Schuman. La question des fournitures de minerai de fer nord-africain à l'Italie pourrait être utilement renvoyée à l'examen des experts, en raison de ses aspects techniques;

c) procédure de réglement des litiges résultant de l'application du traité de paix. Il devrait être convenu que ces litiges, soulevant des problèmes d'ordre juridique, devraient être renvoyés à la Commission de Conciliation franco-italienne;

d) émigration italienne. Il s'agira de renseigner les Italiens sur les efforts que le Gouvernement français est en mesure d'entreprendre pour faciliter cette émigration, soit en France, soit dans nos territoires d'outre-mer, soit enfin dans les pays étrangers;

e) position des deux pays à l'égard de la question lybienne;

f) examen de la proposition italienne de consultation entre les deux pays préalablement aux Conférences Internationales.

202 3 Non rinvenuto.

203 1 Vedi D. 175.

203 6 Del 27 gennaio, non pubblicato.

203 8 Del 29 gennaio, non pubblicato.

204

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 517/298. Londra, 31 gennaio 19511 .

Con telespresso a parte (502/295 di ieri)2 ho riferito circa le dichiarazioni fatte da Attlee ai Comuni in materia di riarmo.

Come l'E.V. potrà rilevare si tratta di un programma veramente imponente, che denota la ferma volontà della Gran Bretagna di accollarsi senza esitazioni e senza riserve la notevole parte che le spetta nell'organizzazione della difesa della comunità atlantica.

Basti ricordare che il programma preannunziato nello scorso autunno (telespresso n. 4936/3283 del 18 settembre)3 prevedeva, per il triennio 1951-53, una spesa complessiva di 3.600 milioni di sterline; e che era stato allora messo in rilievo che tale programma era realizzabile soltanto se gli Stati Uniti avessero fornito un sostanziale contributo. Il nuovo programma rappresenta, rispetto a quello pur grandioso del settembre, un aumento del 30%; e comporta una spesa complessiva di 4.700 milioni di sterline pari ad oltre ottomila miliardi di lire. E questa volta non è stata nemmeno posta la condizione dell'aiuto finanziario americano, con tutto che non credo esistano oggi in merito ad esso dati più concreti di quelli che esistevano allora.

Come si concilia questo programma di riarmo a fondo con il fatto che gli inglesi hanno, della situazione internazionale, una visione che non vorrei definire ottimistica ma che è certo meno pessimista di quella degli americani?

2 Non rinvenuto.

3 Non pubblicato.

Che una differenza di previsione esista, al di qua e al di là dell'Atlantico, è cosa sulla quale non possono esservi dubbi.

Ponendo le cose in termini semplicistici, si può affermare che gli americani ritengono ormai che la guerra sia inevitabile mentre gli inglesi pensano invece il contrario.

Da questa premessa gli americani traggono l'unica possibile e logica conseguenza: occorre riarmare d'urgenza, nel migliore modo possibile, curando di non distruggere la stabilità economica dei singoli paesi ma comunque ponendo più l'accento sul riarmo che non sull'economia.

Non sta a me di giudicare se questo atteggiamento risponda all'autentico pensiero dei circoli dirigenti degli Stati Uniti, oppure se si tratti di una parola d'ordine che essi diffondono ovunque con perfetta uniformità onde ottenere l'attuazione di quei programmi difensivi che è nell'interesse generale e singolo che vengano attuati: nel secondo caso — che non mi sembra peraltro probabile — il pensiero degli americani coinciderebbe, sostanzialmente, con quello degli inglesi.

Da parte britannica si fa invece un altro ragionamento, che però porta alle stesse conclusioni:

— -non è affatto detto che l'U.R.S.S. abbia intenzione di porre immediatamente in atto il suo programma di attacco armato contro l'Occidente; a ciò possono contribuire sia la sensazione che la macchina bellica sovietica non sia ancora del tutto a punto, sia il timore di non essere ancora in grado di controbattere efficacemente un attacco atomico americano, sia infine l'idea che il tempo lavori ancora per la Russia; — -se un periodo di attesa vi è ancora, il blocco atlantico deve approfittare per riarmarsi a fondo, mettendo in moto tutte le proprie energie e risorse per attuare il programma di difesa comune con la massima rapidità ed efficienza; — -in tal caso non è affatto impossibile che, ad un certo punto, l'U.R.S.S., di fronte ad un rispettabile potenziale di resistenza dell'Occidente, si renda conto che non le converrebbe di arrischiare in una avventura bellica le enormi posizioni che già ha saputo guadagnarsi negli ultimi anni.

Il corollario che deriva da queste premesse è pertanto che quanto più seriamente ed urgentemente tutti i paesi della comunità atlantica si adopereranno per elevare al massimo la propria preparazione nel campo militare e industriale, tanto maggiori possibilità vi saranno che l'U.R.S.S. rinunzi al suo piano di conquista armata del-l'Occidente.

In sostanza, partendo da premesse diametralmente opposte, gli inglesi giungono alle medesime conclusioni degli americani; ed anzi pongono ancor più, se è possibile, l'accento sulle conclusioni (riarmo) in quanto vedono in esse non soltanto l'unico mezzo per uscire vittoriosi in un conflitto, ma addirittura anche una possibilità di evitare che il conflitto abbia luogo.

Quando si tenga presente tale visione di tutto il problema, ci si possono spiegare assai meglio le cause di taluni punti di divergenza o di non totale convergenza delle tesi inglesi ed americane su alcuni dei problemi sul tappeto: così ad esempio sulla questione cinese e su quella del riarmo tedesco.

Per chi consideri la guerra come inevitabile, è logico che si guardi ad un aperto conflitto con la Cina con assai meno timore di quanto lo si guardi da Londra: si tratta cioè di non perdere nemmeno una posizione, di non porre l'avversario in una situazione di vantaggio. Se si ragiona invece con il metro inglese, nulla vi è di più pericoloso che una guerra aperta con Pechino: essa costituisce una diminuzione (o per lo meno un mancato aumento) del potenziale difensivo europeo, e come tale suscettibile di facilitare lo scoppio della conflagrazione generale. Non lo so: ma, se vi è ancora del tempo a disposizione prima che l'U.R.S.S. si decida a entrare direttamente in ballo, perché inimicarsi irrimediabilmente Mao-Tse che — in un futuro più o meno lontano — potrebbe anche aspirare a scuotersi dal gioco moscovita?

Per il riarmo tedesco gli inglesi erano inizialmente favorevoli a che esso avesse luogo nella forma meno spettacolare, attraverso la costituzione di unità efficienti e bene armate ma ufficialmente «battezzate» come polizia (vedansi al riguardo i miei telespressi 4658/3090 e 4762/3160 del 4 e dell'8 settembre u.s.)4. E ciò appunto in base al concetto che il processo di riarmo dell'Occidente deve essere molto efficace ma il meno rumoroso possibile onde non far precipitare un attacco russo. Nella riunione di Washington in settembre, e successivamente, la Gran Bretagna appoggiò tuttavia la tesi americana perché l'opposizione dei francesi verteva non solo sulla forma ma anche sulla sostanza del riarmo della Germania occidentale. Ciò spiega quindi come a Londra si sia tutt'altro che insoddisfatti, oggi, nel rilevare che il problema del contributo germanico alla difesa occidentale è andato uscendo man mano dal fuoco dei riflettori dell'opinione pubblica internazionale.

204 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

205

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1194/644. Washington, 31 gennaio 1951 (perv. il 4 febbraio).

Riferimento: Telespresso min. n. 60/C. del 20 corrente1 .

Ho riferito a V.E., in diverse occasioni, che il Dipartimento di Stato sulla base di uno studio compiuto dal proprio ufficio legale, e che trae argomenti tra l'altro da alcune sentenze della nostra magistratura, non intende ammettere la tesi secondo la quale il Territorio Libero di Trieste è tuttora parte integrante del territorio nazionale e, confortato dal disposto del paragrafo secondo dell'art. 21 del trattato di pace, sostiene che il Territorio Libero ha personalità propria, anche se gli ulteriori sviluppi della situazione internazionale non hanno permesso il completamento della sua organizzazione. Tale interpretazione giuridica viene da noi controbattuta con altri argomenti giuridici sulla estensione dei poteri dell'amministrazione militare e con la fondamentale osservazione che appunto per il perdurare di una situazione del tutto

imprevista, non è possibile compiere atti od omissioni che siano in contrasto con il riconosciuto carattere italiano del territorio. Anche a ciò il Dipartimento obietta però che è proprio per pretendere il rispetto dello statu quo da parte della Jugoslavia, o almeno per protestare con fondamento contro le continue violazioni dello statu quo stesso, che il Governo militare alleato, col pieno consenso dei Governi americano e inglese, deve atteggiarsi talvolta a rigido tutore della indipendenza e della personalità giuridica del Territorio Libero.

È questo pertanto il quadro nel quale va valutata la possibilità di svolgere qui un'azione circa i rilievi formulati dall'Ufficio per le zone di confine della presidenza del Consiglio dei ministri2. Nonostante le predette limitazioni, questa ambasciata ha opportunamente richiamato l'attenzione del Dipartimento di Stato sui fatti segnalati nella relazione allegata al telespresso in riferimento.

Per quanto riguarda i provvedimenti a favore degli sloveni ho segnalato in passato a V.E. come, a torto o a ragione, le rappresentanze americane in Italia, a Trieste e a Belgrado abbiano lamentato e continuino a lamentare il permanere in alcune delle nostre autorità di una mentalità anti-slovena. Pur senza voler ammettere l'effettiva adozione di alcune delle misure segnalate nella relazione di cui sopra, il Dipartimento ha concesso che in qualche caso è stato disposto qualche provvedimento a favore degli sloveni, proprio allo scopo di ricreare quell'equilibrio che, a giudizio dei rappresentati alleati, sarebbe talvolta turbato dall'atteggiamento delle nostre autorità e spianare così la via ad una migliore intesa fra le due nazionalità. Nello stesso spirito, ci è stato detto, sono state respinte, ed anche recentissimamente, perché senza fondamento, alcune proteste slovene circa la mancata adozione da parte del Governo militare alleato di disposizioni atte ad imporre l'uso dello sloveno nei comuni della Zona

A. Sempre nello stesso spirito è stato provveduto ad eliminare gli inconvenienti creati dalla nomina a capo dell'Ufficio Informazioni del Governo militare alleato del suddito inglese Lyall, col destinarvi in sua vece un funzionario americano.

Per quanto riguarda la periodicità della relazione del generale Airey, questa ambasciata ha, a suo tempo (telespresso n. 2875/1550 del 16 marzo 1950)3 lamentato col Dipartimento di Stato gli eventuali inconvenienti di una riduzione della predetta periodicità. Si è ora nuovamente richiamata l'attenzione del Dipartimento su tali inconvenienti. Ci è stato risposto che la nuova relazione è in preparazione e se ne attende l'invio a Washington e Londra, per il necessario esame da parte dei due Governi.

Non credo di essere riuscito a persuadere il Dipartimento della opportunità di far desistere il Governo militare alleato dal suo intendimento di istituire nella Zona A una speciale sezione della magistratura avente funzioni di Cassazione. Per il momento, ci è stato detto, la questione è sospesa, data anche la mancanza di sentenze da rivedere. Poiché dopo l'accettazione americana a discutere la questione di cui sopra con i nostri rappresentanti, questa ambasciata non ha più ricevute informazioni sugli ultimi sviluppi della questione stessa, sarò grato se codesto Ministero vorrà farmi conoscere, per mia norma di linguaggio, notizie al riguardo.

204 4 Non pubblicati.

205 1 Ritrasmissione alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington dell'appunto pubblicato in Allegato al D. 91.

205 2 Vedi D. 91, Allegato. 3 Non pubblicato.

206

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA PERSONALE 147 SEGR. POL. Roma, 1° febbraio 1951.

La tua lettera n. 326 del 22 c.m.1 mi è giunta a pochi giorni di distanza dall'intervista di Tito all'Ansa2. Avrai rilevato che Tito, mentre dichiara che la questione di Trieste non è matura per una soluzione, afferma l'opportunità di non abbordarla «senza aver prima stabilito una frontiera ben chiara e accettata, in linea di principio, da ambedue le parti» (nel testo poi diramato dalla Tanjug si legge «soluzione» al posto di «frontiera»). C'era del sibillino in questa maniera di esprimersi, e abbiamo perciò pregato Martino di cercare con discrezione di chiarirlo; ma già la tua conversazione con Brilej fa abbastanza luce: il Governo jugoslavo (è da escludere che in materia tanto delicata Brilej possa parlare di sua iniziativa) propone un modus procedendi che dovrebbe permettere di saggiare il terreno, possibilmente prepararlo per una trattativa e consentire — nel caso di un insuccesso — a ciascuna delle due parti di ritornare sulle posizioni di partenza.

Si tratterebbe in sostanza — ora che i rapporti fra i due Governi sono migliorati

— di ripetere direttamente il tentativo fatto nel gennaio-febbraio dell'anno scorso3 tramite il Dipartimento di Stato. Non vi vedrei perciò maggiori inconvenienti di allora, purché la conversazione franca e leale che Brilej dice di volere non si discosti — per parte nostra — dalle linee indicate in quell'occasione a Tarchiani e di cui ti fu data comunicazione con i telespressi nn. 15/325 e 15/354 rispettivamente del 2 febbraio e del 2 marzo 19504. Non arrivammo allora a sapere se quelle indicazioni per una possibile trattativa fossero state esaminate dal Governo jugoslavo; né insistemmo per saperlo dato che l'atteggiamento jugoslavo ci apparve subito capzioso e inconciliabile col nostro interesse di non uscire dalla Dichiarazione Tripartita5 senza prima sapere su quale terreno ci saremmo mossi. Occorrerebbe perciò accertare quali siano gli effettivi intendimenti jugoslavi.

Quanto alla funzione che ha avuto e ancora ha la Dichiarazione Tripartita, oltre e più delle considerazioni accennate nell'ultima parte della tua lettera, altre ben più positive per noi vanno tenute presenti. Tu sai che, se riusciremo ad evitare che la questione di Trieste venga decisa in una Conferenza a quattro — ciò che anche Brilej mostra di temere — sarà per merito di quello strumento, il quale ci consente per ora anche di attendere — adesso che siamo riusciti a far cessare le violenze materiali contro i connazionali della Zona B — il maturare di condizioni più favorevoli. La premura di Brilej di giungere al più presto anche soltanto a «qualche tacita intesa preliminare» mi sembra eloquente al riguardo. Se, anche contro i nostri generali interessi doves

2 Vedi D. 176.

3 Vedi serie undicesima, vol. III, DD. 512, 518 e 569 e vol. IV, DD. 9, 36 e 49.

4 Vedi serie undicesima, vol. IV, DD. 9 e 49.

5 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

se verificarsi in Jugoslavia una «situazione Corea» quale si paventa costì e in America, sarebbe ancora la Dichiarazione Tripartita a darci titolo sull'intero Territorio Libero.

Se viceversa nulla di così grave dovesse verificarsi è pur sempre partendo dalla base della Dichiarazione che dobbiamo muoverci per trovare una soluzione accettabile alla nostra opinione pubblica e tale da non suscitare risentimenti contro gli stessi Alleati che l'hanno formulata: ciò che è tanto più importante nella situazione attuale.

206 1 Vedi D. 184.

207

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO VITETTI, A PARIGI

L. 3/67. Roma, 1° febbraio 1951.

Ti allego, perché incominci a vederteli, in viaggio:

1) progetto francese per l'«Esercito europeo», all. 12 .

2) presumibile atteggiamento americano al riguardo (telegr. di Quaroni, telegr. di Rossi Longhi, rapporto riassuntivo di Quaroni), all. 23 .

3) mio appunto interno, all. 34 .

4) nota del presidente circa sua conversazione con Eisenhower sull'argomento, all. 45 .

Dall'insieme di questi documenti vedrai quale è la nostra impostazione che ritengo aver abbastanza chiarito — sin dove si può chiarire — nell'allegato 3.

Stati Uniti e Canada sono stati invitati alla Conferenza come osservatori. Sono stati invitati come partecipanti tutti i paesi europei del N.A.T.O. e la Germania occidentale. La Gran Bretagna ha risposto che parteciperà sì, ma come osservatrice. Sappiamo che non vede il progetto con favore, almeno per quanto la concerne. L'Olanda è perplessa se dichiararsi anch'essa «osservatrice», comunque non è molto favorevole al progetto, come non lo sono gli scandinavi. Circa la Germania alcune informazioni la danno come ampiamente favorevole, altre come divenuta meno entusiasta in seguito alla evoluzione politica generale che le consentirebbe maggior gioco. Occorre però tener presente che l'idea dell'Esercito europeo è stata sinora caldeggiata dal Governo di Bonn (e anche da Schumacher) al fine di evitare, per loro preoccupazioni interne, la costituzione di uno Stato Maggiore centrale tedesco e quindi indipendentemente da considerazioni di ordine internazionale.

Nel complesso il nostro stato d'animo è così riassumibile:

1) politicamente: genericamente favorevoli alla «idea»;

2) tecnicamente: perplessi per le molte difficoltà sul piano militare, organizzativo, finanziario, costituzionale;

3) interesse italiano: ottenere la partecipazione della Germania alla difesa occidentale; non rimanere fuori dall'Esercito europeo se si fa; non indebolire l'Esercito atlantico cui già partecipiamo e non perdere tempo nel rafforzamento del dispositivo di difesa dell'Occidente. Mi sembra debbano coincidere con quelle americane e della maggioranza degli altri paesi N.A.T.O.

L'on. Taviani parte per Parigi sabato 3 p.v. Vi sarà domani una riunione a Roma per concordare sua linea d'azione. Per le primissime sedute si varrà di Venturini. Questi però deve assumere in questi giorni l'Ufficio N.A.T.O. ed è urgente ne prenda la direzione perché Guidotti sta ormai staccandosi.

ALLEGATO

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO6 . Roma, [23] gennaio 1951.

ESERCITO EUROPEO

1.- Gli «europeisti» sono favorevoli alla proposta pur non conoscendone o valutandone tutte le implicazioni di ordine tecnico, politico e costituzionale. Essi sperano che la creazione dell'Esercito europeo possa far fare qualche passo innanzi alla idea dell'unità europea che sino ad ora non ha potuto essere realizzata, come si sperava, né sul terreno economico (O.E.C.E.) né su quello politico (Consiglio d'Europa). - 2.- Dal punto di vista costituzionale e politico interno l'Esercito europeo secondo la proposta francese (che prevede formazioni di unità miste anche al livello divisionale) può condurre:

a) a dover affrontare la questione del dislocamento di tali unità miste in paesi diversi da quelli cui appartengono i singoli corpi che le compongono;

b) a rendere in pratica di difficile applicazione il disposto degli articoli 5 e 11 del Patto atlantico che sono quelli su cui si fonda il cosiddetto «non automatismo» del Patto stesso. È però da rilevare che l'Esercito europeo, pur inquadrandosi praticamente nel sistema atlantico, non rientra, né giuridicamente, né diplomaticamente nel quadro del Patto; è piuttosto da considerarsi una delle «autorità specializzate europee», come il piano carbone-acciaio, che Strasburgo ha consacrato.

Comunque le due obiezioni sopra indicate sono meno importanti per i paesi che hanno truppe di occupazione in Germania, di quanto non lo siano per noi. È evidente infatti che i primi si troverebbero alle prese con un aggressore della Germania occidentale anche ove non partecipassero ad un Esercito europeo costituito secondo il piano francese. Nel caso nostro la partecipazione ad un Esercito europeo secondo tale piano potrebbe implicare invece:

a) l'invio all'estero di quei reparti italiani (combat-teams) che fossero compresi nelle divisioni «europee»;

b) la presenza in Italia di divisioni «europee» comprendenti combat-teams italiani e stranieri;

c) rischio di essere coinvolti sin dal primo momento in qualsiasi episodio bellico che dovesse verificarsi e al quale le unità dell'Esercito europeo fossero chiamate a dover fare rapidamente fronte.

3.- L'atteggiamento americano non sembra, dai dati sinora in nostro possesso, contrario in principio alla proposta francese se essa può facilitare l'inserzione della Germania nella difesa dell'Occidente e sempreché l'Esercito europeo venga ad inquadrarsi in quello atlantico, e non ne ritardi la integrazione. 4.- Il Ministero della difesa ha sollevato varie importanti obiezioni di indole tecnica: a) difficoltà, nella attuale situazione delle nostre forze armate, di distoglierne una parte per attribuirla ad un costituendo Esercito europeo; b) inopportunità di rinunciare alla forza integrata atlantica per costituire l'Esercito europeo;

c) rischio di scompaginare la appena avviata riorganizzazione militare trasformando le divisioni costituite e in via di costituzione in combat-teams (un combat-team è un terzo di una divisione).

5. Le discussioni che apriranno l'esame del progetto francese alla prossima Conferenza potranno darci sin dall'inizio una indicazione sugli orientamenti delle maggiori delegazioni tra le quali — essendo gli Stati Uniti presenti solo come osservatori — noi dobbiamo ritenerci compresi. Occorre quindi fissare sin da ora le linee generali del nostro atteggiamento.

Questo dovrebbe ispirarsi innanzi tutto ai nostri sostanziali interessi che sono:

a) favorire la partecipazione della Germania alla difesa dell'Occidente. È questo, per molte ragioni sin troppo evidenti, un interesse vitale per noi, come lo è del resto per tutti i paesi occidentali. Se pertanto questa partecipazione non può ottenersi che andando incontro ai francesi, sembra indispensabile compiere qualche passo in questa direzione, come risulta siano disposti a fare gli Stati Uniti;

b) evitare che l'Esercito europeo — comunque esso venga formato — si costituisca ad esclusione dell'Italia. Noi siamo stati sempre talmente all'avanguardia in ogni progetto tendente a favorire l'unione europea che il tirarci indietro su questa questione equivarrebbe ad un cambiamento di politica che l'opinione pubblica interna e internazionale stenterebbe a comprendere. Ci sarebbe poi di danno qualora l'Esercito europeo dovesse imperniarsi — pur rimanendone fuori la Gran Bretagna — su Francia e Germania, e magari Belgio, laddove noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di rafforzare l'unità e la pacificazione continentale attraverso una sempre più intima collaborazione italo-franco-tedesca;

c) tener conto delle osservazioni di indole tecnica, giuridiche e militari, di cui ai punti 2 e 4 sopra elencati. Se si dovesse andare verso la costituzione di unità miste non ci converrebbe rifiutarci di parteciparvi, sia pure in misura ridotta, ma studiare qualche accorgimento atto a risolvere — almeno in tempo di pace — il problema costituzionale: per esempio stazionando dette unità, quando vi siano comprese truppe italiane, a cavallo della frontiera, ciò che non esclude possibilità di addestramento, esercitazioni, comando in comune;

d) evitare che si perda troppo tempo in discussioni e che la Conferenza si risolva in un ritardo nella messa in efficienza della difesa europea.

207 1 Membro della delegazione alla Conferenza per l'esercito europeo. 2 Non rinvenuto. 3 Vedi rispettivamente DD. 197, 198 e 190. 4 Vedi Allegato. 5 La nota di De Gasperi è integralmente riportata nel D. 201.

207 6 Una prima stesura di questo appunto, con l'unica variante del punto 4 che recitava «Qui sono da inserire le considerazioni tecniche della Difesa che però non ci sono ancora pervenute», fu sottoposta a De Gasperi che vi annotò: «La questione costituzionale è preminente. Non si può sfuggire alla necessità di 1) uno strumento diplomatico internazionale che definisca il patto europeo e l'esercito come suo organo 2) della ratifica parlamentare». La prima versione era stata anche inviata a Rossi Longhi in allegato al D. 201.

208

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 518/299. Londra, 1° febbraio 1951 (perv. il 12).

Ho letto l'appunto del capo Ufficio zone di confine al presidente del Consiglio1 sull'operato del Governo militare alleato a Trieste, trasmessomi in copia con telespresso ministeriale n. 60/C. in data 20 gennaio.

È un rapporto interessante, che, attraverso una documentata esposizione delle azioni ed omissioni commesse in questi ultimi tempi dal G.M.A. a Trieste, mostra con quanta efficienza l'Ufficio zone di confine assolva il suo compito di vigilare gli sviluppi della vita politica, economica ed amministrativa della zona in questione. Le informazioni contenute nell'appunto sono indubbiamente significative e mi saranno di utile orientamento.

Quanto alla conclusione del rapporto, tratta dalla constatazione dell'indirizzo perseguito dagli anglo-americani a Trieste, essa mi sembra scaturire da un'osservazione del fenomeno, precisa fin che si vuole, ma assai ravvicinata e come tale necessariamente difettante di prospettiva.

Ammesso pure che nei vari aspetti dell'operato del G.M.A. e diciamo pure nelle varie interferenze e violazioni, enunciate dall'appunto, si debba vedere il segno di un nuovo indirizzo perseguito dagli anglo-americani a Trieste, non comprendo bene che

cosa significhi la necessità di «una revisione del nostro atteggiamento di fiducia nei loro confronti». Se s'intende un'energica tutela dei nostri interessi, caso per caso, nessuno ne è più convinto di me. E ciò non soltanto contro illecite pretese del G.M.A. come nel caso della Corte di cassazione (v. mio telespresso 445/254 del 26 genn. u.s.)2, ma di fronte a qualsiasi manifestazione dell'autorità anglo-americana che oltrepassi i confini assegnati alla propria natura di Comando militare di occupazione e, peggio ancora, che protegga gli interessi slavi a danno dei nostri.

Se invece alla frase si deve dare un significato più letterale, non vedo proprio quale potrebbe essere un nostro diverso atteggiamento nei confronti delle potenze che amministrano il territorio. Né mi pare che il suggerimento del capo Ufficio zone di confine si concilî con il giudizio espresso dalla nostra rappresentanza a Trieste (di cui al telespresso ministeriale n. 01692/C. del 1° corr.)2 secondo cui il gen. Airey si sarebbe fatta la «fama di grande amico dell'Italia».

Ancora più strano mi sembra l'apprezzamento conclusivo circa l'illusorietà di un accordo diretto con la Jugoslavia. Senza entrare nel merito di quelli che potranno essere i risultati di eventuali negoziati bilaterali, l'asserzione del prefetto Innocenti appare assai lontana dalla tendenza attuale del Governo italiano di non scartare a priori la via dell'accordo diretto con la Jugoslavia. Anche a non volere accettare al cento per cento la dichiarazione in contrario fatta dall'ambasciatore Mallet al nostro rappresentante a Trieste, di cui al telespresso ministeriale n. 01020/C. del 20 gennaio2, non vedo come l'autore dell'appunto possa così perentoriamente affermare che l'accordo italo-jugoslavo non potrebbe divenire operante senza l'adesione della Russia.

Infine, una delle conseguenze negative dell'«illusorio» accordo diretto italojugoslavo sarebbe, secondo l'appunto in questione, la permanenza a Trieste delle truppe anglo-americane. Anche qui bisogna intendersi. Condivido in pieno l'avversione per quegli aspetti della politica del Governo militare alleato che sembrerebbero manifestare, attraverso l'emanazione di provvedimenti di natura economica ed amministrativa, l'intento di rendere duraturo l'attuale stato provvisorio del Territorio. Quanto alla permanenza in se stessa delle truppe alleate nella zona, mi sembra invece che, per poco che si consideri la situazione del confine italo-jugoslavo dal punto di vista della difesa europea e della minaccia incombente proprio su quella parte del fronte anticomunista, tale permanenza non sia la peggiore delle sorti cui potrebbe andare incontro quella città, data la particolare delicatezza della sua posizione geografica.

208 1 Vedi D. 91, Allegato.

208 2 Non pubblicato.

209

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1370/720. Washington, 1° febbraio 1951 (perv. il 4). Eisenhower è appena rientrato a Washington.

A parte il suo rapporto al Congresso, sul quale ho testé telegrafato1, poco è ancora trapelato sulle sue relazioni al presidente, al Gabinetto, allo «Standing Group».

Da questo poco è però possibile trarre conferma dell'impressione di confidenza che le rare notizie sull'andamento del suo viaggio avevano diffuso in questi ambienti: confidenza nella possibilità di organizzare sin da adesso una prima forma di difesa europea, confidenza nel proposito degli europei di fare la loro parte nell'organizzazione di tale difesa.

Questa confidenza Eisenhower, e l'Amministrazione con lui, vogliono infonderla nel Congresso, o meglio in quella parte del Congresso che ancora parla di limitazioni agli impegni americani.

Rilevo che, nel suo rapporto al Congresso, Eisenhower, preoccupato più che altro di creare una «atmosfera», ha evitato, e specificamente, di citare fatti o cifre. (La stessa cifra relativa al contributo di venticinque divisioni francesi è, come il generale stesso ha poi ammesso, inesatta: si tratterebbe di quindici divisioni). Mi risulta che anche nelle sue altre relazioni, e in particolare in quella, a porte chiuse, coi membri dei Comitati per gli affari esteri e per le Forze armate del Senato, Eisenhower non ha indicato un programma dettagliato circa la composizione della forza integrata: egli avrebbe però chiesto ai senatori di non includere dei limiti specifici nelle risoluzioni che il Congresso potrebbe eventualmente approvare circa l'invio di truppe americane in Europa.

Trasmetto in allegato il testo del discorso di Eisenhower al Congresso2. Oltre alle linee fondamentali già segnalate per telegrafo, rilevo:

— -la particolare cura posta dal generale nel sottolineare il carattere difensivo delle misure militari ed economiche della Comunità atlantica, misure per le quali non si comprende l'allarme di altri paesi, a meno che detti paesi non vogliano servirsene per giustificare le loro intenzioni aggressive; — -l'importanza attribuita alla difesa dell'Europa ai fini della difesa stessa degli Stati Uniti, motivata sia coi valori spirituali, messi nell'opportuna luce, che legano i due continenti, sia colla necessità di poter disporre di alcune materie prime indispensabili, le cui fonti diverrebbero inaccessibili, o comunque molto più difficili da raggiungere, il giorno in cui fosse caduta l'Europa;

— la specifica menzione della nuova legge francese sulla coscrizione militare;

— -lo sforzo per cancellare l'impressione, diffusasi tanto qui che in Europa, della insoddisfazione del generale per la portata del contributo olandese, mediante un riferimento a notizie circa «l'accresciuta preparazione militare» di quel Governo, «ricevute negli ultimi giorni»; — -l'esempio di collaborazione fornito dal Governo di Ottawa col disporre l'immediato invio di artiglierie canadesi alle Forze armate lussemburghesi. (È evidente che il quantitativo di materiali che necessitano alle Forze armate lussemburghesi non è rilevante, ma Eisenhower ha voluto sfruttare le simpatie del pubblico americano per il piccolo Lussemburgo; infatti questo passo del discorso di Eisenhower è stato ampiamente pubblicizzato); — -la ferma richiesta di Eisenhower per un accresciuto e migliorato servizio americano di informazioni, che spieghi chiaramente al mondo ed allo stesso popolo americano le intenzioni e gli scopi della politica degli Stati Uniti.

In sostanza, in tutto il suo rapporto al Congresso, Eisenhower ha soprattutto cercato di dimostrare la necessità della reciproca fiducia fra gli Stati Uniti e le potenze alleate d'Europa: fiducia che va alimentata coll'invio in Europa di tutto l'equipaggiamento possibile, col trasferimento di un certo numero di truppe, con la creazione in questo paese di una forte riserva di uomini e di materiali, pronti ad essere impiegati dove più è necessario; fiducia che va alimentata con i benefici effetti dell'esempio dello sforzo produttivo americano sugli alleati europei, con il compenso e l'incoraggiamento che un'Europa rinforzata e «ringiovanita» offriranno ai sacrifici del popolo americano.

209 1 T. 1286/106 e T. s.n.d. 1305/110 in pari data, non pubblicati. 2 Non pubblicato.

210

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETISSIMO 146/104. Londra, 1° febbraio 19511 .

Ringrazio vivamente per la lettera n. 87 e per il telegramma n. 18 in data 24 e 31 gennaio2 concernenti la discussione sulla Jugoslavia da parte del Consiglio dei sostituti e con cui V.E. ha voluto fornirmi ulteriori istruzioni e chiarimenti che non mancherò di tenere bene presenti quando l'argomento verrà qui ripreso in esame.

Nella prima fase della discussione ho fatto dichiarazioni principalmente sulle seguenti linee:

1) tutti gli Stati dell'Alleanza atlantica hanno interesse a che Tito sia in grado di resistere ad un attacco che possa essere portato contro la Jugoslavia dagli Stati satelliti, attacco che tanto il sostituto inglese quanto il sostituto americano hanno indicato come probabile e anche a scadenza non troppo lontana;

2 Per il primo documento citato vedi D. 187, il secondo non si pubblica.

2) l'Italia ha il massimo interesse a che tale resistenza sia la più tenace ed efficace possibile cosicché non possiamo che essere favorevoli a tutto quanto possa rafforzare economicamente e militarmente la Jugoslavia in vista di una situazione che appare tanto pericolosa ed urgente;

3) nell'interesse comune non va tuttavia obiettivamente perduta di vista la possibilità che un attacco esterno contro la Jugoslavia possa essere accompagnato da un colpo di mano diretto a rovesciare l'attuale regime e a restaurare il cominformismo.

Come V.E. avrà potuto rilevare dal documento che riassume i punti nei quali i sostituti hanno in linea generale convenuto, il nostro pensiero sul problema è stato in genere accolto.

Durante la prossima riunione dei sostituti, nella quale verrà nuovamente trattato il problema jugoslavo (e che è stata rinviata al 12 corrente) non mancherò di ripresentare le riserve già da noi avanzate, e riprese dai francesi, relativamente al punto del documento suddetto nel quale si rileva come (sia pure «in certe circostanze» e in seguito a decisione collettiva da prendersi dal N.A.T.O.) potrebbe verificarsi la necessità di fornire al Governo di Tito materiale bellico, materie prime, macchinari ecc. anche a costo di qualche ritardo nel riarmo dei paesi alleati.

In relazione all'eventuale accettazione di tale principio da parte del N.A.T.O., non mi sembra tuttavia che, dall'applicazione del principio stesso un particolare pregiudizio deriverebbe necessariamente al riarmo italiano. In tale caso potremmo fra l'altro sostenere che, essendo l'Italia la nazione più immediatamente esposta in conseguenza di un'aggressione o di una minaccia di aggressione contro la Jugoslavia, non ci si potrebbe davvero richiedere di sottostare a riduzioni o a ritardi che incidessero in qualche modo sul nostro riarmo o, comunque, a riduzioni o a ritardi maggiori di quelli imposti ad altri paesi alleati. Sarebbe mia intenzione fare fin d'ora un accenno in questo senso quando la discussione verrà ripresa.

Per quanto concerne l'esame dell'azione che l'Alleanza atlantica dovrebbe intraprendere in caso di aggressione contro la Jugoslavia e del modo in cui tale azione dovrebbe concretarsi, ho già riferito a V.E. come, nella opinione dei sostituti, il problema debba essere distinto da quello delle misure che verrebbero prese dal Consiglio di sicurezza (nell'ipotesi poco probabile che non venisse opposto un veto russo) o dall'Assemblea dell'O.N.U. Si tratta infatti di mettere in chiaro quale atteggiamento collettivo il N.A.T.O. intenda assumere e se vi sia ragione che l'Alleanza atlantica svolga un'azione complementare, o addirittura in sostituzione, a quella degli organi di Lake Success, ed entro quali limiti.

È per questo motivo che, a mio avviso, la questione non può essere rinviata agli organi militari del N.A.T.O. prima di essere stata decisa in sede politica. Sarà infatti soltanto dopo che i paesi alleati avranno deciso in principio di prendere misure militari in caso di un'aggressione, e che ne avranno stabilito i limiti, che il problema potrà essere devoluto agli organi militari alleati.

Informo infine V.E. che, fin dall'inizio della discussione sulla Jugoslavia, tutti i sostituti hanno convenuto circa la necessità assoluta che la massima riservatezza venga mantenuta sulla questione.

210 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 843/66. Roma, 2 febbraio 1951, ore 15,30.

Suo rapporto 60/44 del 25 gennaio1 .

Consegniamo oggi ad ambasciata di Francia nota nella quale ci limitiamo a comunicare composizione delegazione italiana che parteciperà Conferenza esercito europeo, presieduta da on. Taviani e composta da ministro Vitetti, colonnello Turrini e Pansa.

Giuste considerazioni contenute suo rapporto saranno tenute presenti da nostra delegazione Conferenza Parigi nonché in occasione prossimo incontro Portofino.

212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. 848/13. Roma, 2 febbraio 1951, ore 17.

Suo 461 .

Italia, quale paese avente responsabilità amministrazione fiduciaria, ritiene dover avere diritto voto in Consiglio tutela sia per questioni concernenti Somalia, sia per altre questioni ove partecipasse attivamente lavori Comitato tutela. Ove tale interpretazione si urtasse con espressione letterale Statuto riteniamo necessario modificare adeguatamente quest'ultimo (anche sotto forma interpretazione autentica) onde adeguarlo a situazione che a momento sua redazione non era stata prevista (che cioè Stato non membro O.N.U. assumesse amministrazione fiduciaria).

Lasci intendere che consideriamo questione come assai importante sulla quale dobbiamo insistere2 .

211 1 Vedi D. 190. 212 1 Del 31 gennaio, con il quale Mascia aveva chiesto istruzioni in merito alla proposta di una partecipazione italiana a tutti i lavori del Consiglio di tutela ma senza diritto di voto. 2 Vedi D. 218.

213

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. PERSONALE1 . Roma, 2 febbraio 1951.

Ricevo la tua del 22 gennaio2, che ho letto con molta attenzione.

Occorre negare nel modo più assoluto che il progettato incontro con i francesi voglia «marcare» qualsiasi «esclusione» dell'Inghilterra. Concordo pienamente che non vi sono profonde ragioni di dissenso con l'Inghilterra ed è tuttora desiderio vivissimo nostro, e lo abbiamo sempre dimostrato, di rafforzare la collaborazione e l'integrazione economica tra i due paesi che consideriamo premessa dell'equilibrio e della saldezza della cooperazione occidentale. E per raggiungere questo risultato sarei di spostissimo, se fosse necessario, a prendere in considerazione un incontro. L'ho già detto anche a Mallet.

Tuttavia, mentre il convegno con i francesi ci apre la prospettiva di pervenire ad alcune soluzioni concrete e di poter contare pregiudizialmente sulle disposizioni favorevoli della Francia, siamo certi che Londra voglia fare altrettanto circa: a) le materie prime; b) la leale attuazione in Eritrea e Libia delle decisioni dell'O.N.U.; c) il destino del T.L. compresa, s'intende, la Zona B?

Finora nelle materie prime, Londra è contro ogni nostra partecipazione al Comitato centrale, e sa Iddio quanta necessità avremo di poter far sentire la nostra debole voce; in Eritrea sognano ancora l'annessione di Cheren, e in Cirenaica mi dicono che si sollecita l'emigrazione tedesca, invece dell'italiana.

In quanto a Trieste sono soddisfatto dell'intervista di Airey, ma meno della sua insistenza di voler rifare le elezioni municipali, nelle quali sembra che si voglia incoraggiare un cosiddetto movimento indipendentista. Un incontro dunque dovrebbe almeno su tali aspetti recarci conclusioni tranquillanti.

È nostro interesse che, al di là del passato, si trovino consensi nella più stretta cooperazione avvenire, la quale implicitamente riconosca che l'Italia ha ripreso il suo posto tra le nazioni dove sta su una base di fiducia con le potenze amiche di Strasburgo e del Patto atlantico.

Sarò ben lieto se la tua abilità potrà affrettare una tale preparazione spirituale, il che probabilmente non sarà agevole per molte ragioni che metto subito in conto. Ad ogni modo, quando gli organi più direttamente responsabili della politica estera lo crederanno opportuno e le circostanze me lo consentano, sarò sempre pronto, qualunque fatica possa costare3 .

nalisti, diplomatici, a cura di M.R. DE GASPERI, Brescia, Morcelliana, 1974, vol. II, pp. 173-174. 2 Non rinvenuta, ma vedi DD. 170 e 199. 3 Per la risposta vedi D. 232.

213 1 Ed. in De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di Stato, cardinali, uomini politici, gior

214

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 150/108. Londra, 2 febbraio 1951.

Poiché hai avuto la cortesia di farmi trasmettere i due rapporti di Quaroni1 circa il prossimo incontro fra i presidenti del Consiglio e i ministri degli esteri, e poiché suppongo che all'ordine del giorno vi sarà anche l'argomento della collaborazione italo-francese in materia di politica atlantica e in seno ai vari organismi del Patto, vorrei esporti alcune mie affrettate considerazioni al riguardo, basate sull'esperienza da me fatta sin qui.

Per quanto riguarda la collaborazione in sede militare N.A.T.O. credo che ben poco si possa sperare di ottenere a parte generiche assicurazioni. Gli organi militari del N.A.T.O. che contano effettivamente sono due: il Comando Supremo e lo «Standing Group». Nell'uno e nell'altro i francesi hanno posizioni di privilegio rispetto a noi, posizioni che evidentemente intendono mantenere.

Io penso invece che sia nostra convenienza e dovere tentare, con l'aiuto delle altre piccole potenze (alcune di esse, fra cui il Belgio e il Portogallo, ci hanno già preceduto in questo senso), di limitare al massimo i poteri dello «Standing Group». Da quando esiste un Comando Supremo sono molto diminuite le ragioni di riservare alle sole tre grandi potenze la direzione militare del N.A.T.O. Di fatto dovremmo riuscire a sommergere lo «Standing Group» nel Comitato dei rappresentanti militari,

o almeno ad aggiungere allo «Standing Group» altri paesi, magari a rotazione. Su questo punto del resto mi propongo di ritornare per non uscire ora dall'argomento.

In seno al Comando Supremo l'utile che potremo trarre da una collaborazione italo-francese dipenderà evidentemente dalle relazioni che ai nostri militari riuscirà di stabilire (oltre che con il generale Eisenhower) con i generali francesi e, in primo luogo, con Juin. Ho sentito dire tempo fa che Juin ha ben presente l'importanza di tenere il settore italiano del fronte europeo, dal quale può partire la manovra controffensiva. Qualora Pleven fosse accompagnato da qualche consigliere militare, potrebbe forse valere la pena tentare di accertare qualche cosa di più, al massimo livello, su questo punto ed eventualmente ottenere qualche assicurazione.

Negli organi politici e tecnici del Patto non si è riscontrata finora una vera e propria collaborazione italo-francese. Questo è probabilmente dovuto, come osserva Quaroni, al fatto che i francesi sono altrettanto fertili in piani ed iniziative quanto incapaci di metterli a punto prima dell'ultimo momento disponibile. Dipende però anche dal fatto che non si è mai cercato di concretare in maniera pratica tale collaborazione. Ma a nulla varrebbero anche le assicurazioni che in tale senso potessimo ricevere a Portofino se non si convenisse da ambo le parti d'impartire precise istruzioni ai rispettivi sostituti di consultarsi fra di loro direttamente o tramite i rispettivi

delegati ai vari organi del N.A.T.O. in modo che ogni problema di un qualche rilievo potesse essere esaminato congiuntamente, e il relativo accordo o disaccordo accertato prima di giungere alla discussione in sede collegiale. Non mi faccio naturalmente eccessive illusioni sull'effettivo vantaggio che una tale previa consultazione potrebbe apportarci; ma per lo meno ciò ci consentirebbe di conoscere, con un anticipo sia pure di sole ventiquattro ore, le iniziative francesi e di poterci regolare in conseguenza. La cosa non dovrebbe dispiacere neppure ai francesi i quali, quando non si rifugiano nel direttorio a tre, restano spesso e volentieri isolati.

Qualora concordassi ti sarei grato se a suo tempo volessi farmi cortesemente conoscere quali reazioni si saranno avute da parte francese.

214 1 Vedi DD. 171 e 203.

215

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A BRUXELLES, LONDRA, OTTAWA E WASHINGTON

TELESPR. 155/C. SEGR. POL. 1 . Roma, 3 febbraio 1951.

Il 12 e 13 febbraio mi incontrerò, unitamente al presidente del Consiglio, col primo ministro e col ministro degli affari esteri francesi, per uno scambio di idee in merito a talune questioni che interessano i rapporti fra i due paesi e per un esame della situazione internazionale. Prego V.E. (V.S.) volerne dare comunicazione, in via di conversazione, a codesto Governo, sottolineando il carattere amichevole degli attuali rapporti italo-francesi e l'interesse che i due maggiori paesi continentali europei hanno di mantenersi in stretto contatto anche sui principali problemi del momento: in particolare nel quadro della politica atlantica e degli sforzi che si vengono compiendo per la comune difesa. Sotto questo aspetto sarà bene — ad evitare eventuali errate interpretazioni — chiarire sin da ora che l'incontro italo-francese, oltre lo scopo supremo di riaffermare nell'interesse della pace i principi dell'alleanza atlantica, confermerà anche il fermo proposito di entrambi i paesi di proseguire con ogni sforzo compatibile con le proprie possibilità nell'opera intrapresa di potenziamento delle rispettive forze armate, riconoscendo essi in ciò il metodo più idoneo a garantire la sicurezza propria e collettiva ed a preservare la pace.

215 1 Diretto anche alle legazioni a Copenaghen, L'Aja, Lisbona e Lussemburgo e, per conoscenza, all'ambasciata a Parigi ed alla missione nella R.F. di Germania.

216

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1391/13. Ottawa, 3 febbraio 1951, ore 20,30 (perv. ore 7,30 del 4).

Primo ministro mi ha detto di sua iniziativa che, in riunione segreta con lui ed altri membri questo Consiglio superiore difesa, Eisenhower si è espresso molto bene a favore Italia manifestando sua soddisfazione per la nostra partecipazione difesa comune e per determinazione e propositi Governo. Saint Laurent ha voluto sottolineare che Eisenhower poteva qui parlare in termini assoluta franchezza tanto che non si è astenuto da critiche verso qualche altro alleato.

Egli mi ha poi accennato che limite trattato circa nostre dodici divisioni non poteva impedirci allestimento anche di «buoni rinforzi».

217

IL DIRETTORE GENERALE AGGIUNTO DEGLI AFFARI ECONOMICI, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 012. Parigi, 3 febbraio 19511 .

Trattative per il piano Schuman si avvicinano alla fine e Monnet preme per giungere parafatura progetto trattato entro prossima settimana.

Verranno sicuramente rimandate conversazioni finali a livello ministri questioni carattere istituzionale qui appresso indicate:

1) nomina membri e presidente Alta Autorità, modo adozione deliberazione Alta Autorità (art. 10, 11, 13);

2) modo adozione deliberazioni Consiglio ministri (art. 28);

3) eventuale nomina presidente Corte di giustizia da parte Governi.

Sembra invece raggiunto accordo di massima per regolare con speciale protocollo relazioni fra Comunità carbone-acciaio e Consiglio Europa, su base raccomandazioni Assemblea Strasburgo. In particolare, sarebbe raccomandato a Governi di scegliere rappresentanti Assemblea Comunità tra rappresentanti Assemblea Strasburgo. Inoltre è stata accolta da delegazioni, con riserva quella olandese, proposta italiana che introduce in art. 22 progetto possibilità autoconvocazione Assemblea.

Per questione territori cui si applicherà trattato, è stata accettata nostra richiesta tenere sospesa redazione art. 78, in attesa risultati conversazioni dirette fra noi e francesi circa minerali di ferro nord-africani. Su tale questione ha già telegraficamente riferito ambasciatore Quaroni2 ed in base sue istruzioni ho stamane avuto colloquio con Charpentier, che rivedrò domani. Sono tuttora in discussione, nel quadro della Conferenza, seguenti problemi:

1) prezzi (art. 56). Nonostante lunghe insistenze italiane è stato impossibile ottenere sistema rigido, basato esclusivamente su prezzi partenza. Formula raggiunta: a) pone come principio generale «non discriminazione» tra acquirenti; b) ammette come eccezione una discriminazione non superiore al costo del trasporto; c) esclude, in ogni caso, sistema che possa produrre effetti attuale pratica doppi prezzi; d) vieta di applicare, su giudizio Alta Autorità, l'eccezione b) quando provochi: a) perturbazioni; b) squilibri conseguenti diverso regime tra prezzi applicati per materie prime e prezzi prodotti finiti. Italia, dal momento stesso entrata in vigore trattato, si troverà in condizione fruire clausole b) e eventualmente a). È stato invece ottenuto nei confronti sola Italia sistema prezzi partenza per periodo transitorio durante il quale nostra siderurgia sarà inoltre difesa da protezione doganale decrescente;

2) rottami. Tesi francese, tedesca e olandese tende praticamente mantenere posizione privilegiata per utilizzo rottami paesi che attualmente hanno maggiori di sponibilità. Delegazione italiana, sensibile a grandissima importanza rottame per siderurgia italiana, continua insistere per effettiva costituzione mercato comune ove libertà traffici consenta eguaglianza condizioni approvvigionamento e migliore equilibrio economico nei prezzi e consumi del rottame stesso. Altre delegazioni non danno peraltro segno volere recedere loro punto di vista;

3) esclusione impianti in corso da esame Alta Autorità. Mi richiamo precedenti comunicazioni della delegazione. Ho chiesto che data da indicarsi sia entrata in vigore trattato. Se nostra richiesta non sarà interamente accolta conterei ripiegare fino data 1° gennaio 1951 che dovrebbe coprire nostri impianti già approvati O.E.C.E. Attiro attenzione su fatto che secondo attuale formulazione articolo su coordinamento investimenti, diritto veto Alta Autorità è limitato solo in casi provata necessità sovvenzioni e sempre che finanziamento non avvenga con fondi propri delle imprese;

4) coke. Mi riferisco mio telegramma n. 72 del 2 febbraio corrente3;

5) artt. 60-61 (cartello e concentrazioni industriali). Verranno messi in di scussione lunedì prossimo.

Prego farmi conoscere telegraficamente se posso togliere riserva di principio per quanto riguarda art. 56 (prezzi), nonché se posso dare benestare italiano per articoli impianti in corso e coke. Per parte mia consigliolo, dato che formule proposte non sono cattive e comunque mi sembrano massimo che possiamo ottenere. Devo aggiungere che, in questi ultimi giorni, si è notato un certo riavvicinamento delegazioni francese e tedesca, con abbandono in alcuni casi punti di vista sui quali francesi avevano finora mantenuto atteggiamento nettamente intransigente; e questo per venire incontro richieste germaniche. Tutto ciò rende evidentemente più debole nostra posizione.

3 Non pubblicato.

217 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

217 2 Con i TT. segreti 1364/73 e 1382/75 del 3 febbraio, non pubblicati.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. 910-913/15-16. Roma, 4 febbraio 1951, ore 17.

Suo 531 .

Ringrazi delegato Argentina per favorevoli disposizioni. Non (dico non) sembra che nostra ammissione Consiglio importi modifica art. 5 Accordo tutela tanto più che rappresentante citato in paragrafo 2 detto articolo sembra corrispondere a quello previsto in articoli 74 e 75 norme procedura Consiglio tutela approvate 23 aprile 1947. Procedura da invocarsi potrebbe essere quella prevista art. 108 né si vede perché non vi si dovrebbe adire. È quindi molto importante che questione venga posta e che si inizi procedura per esaminarla sotto tutti suoi aspetti non soltanto giuridici. È nostra intenzione sostenere nostra tesi con ogni argomento e con ferma energia anche perché non vedo come potremmo partecipare riunioni Comitato tutela se non in condizioni di parità con altri Stati. Atteggiamento paesi anticolonialisti non dovrebbe esserci sfavorevole in quanto nostro ingresso Comitato tutela comporta automatico ingresso altro paese non (dico non) mandatario.

Nel telegrafare2 a rappresentanze di cui suo 53 ho anche detto: «Aggiunga che eventuale ricorso procedura art. 108, intesa superare difficoltà che dizione letterale comma I art. 86 oppone a nostra piena partecipazione che potrebbe essere giustificata con disposto paragrafo A stesso articolo, darebbe modo a Governi amici riparare almeno in parte ingiusta nostra esclusione O.N.U., mentre lascerebbe ad Unione Sovietica responsabilità eventuale nuovo veto»3 .

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

TELESPR. SEGRETO 22/00353. Roma, 5 febbraio 1951.

La questione della riorganizzazione del N.A.T.O., aperta dalla nota proposta canadese, è stata esaminata di concerto con gli altri Ministeri interessati.

Premesso che siamo in linea di massima favorevoli a quelle opportune modifiche strutturali che abbiano per scopo di rendere l'organizzazione N.A.T.O. la più effi

2 T. 909/C. e T. 912/C. del 4 febbraio diretti alle rappresentanze a Londra, Parigi, Washington, Baghdad e Bangkok, non pubblicati.

3 Per il seguito vedi D. 223.

ciente possibile, osserviamo quanto segue in merito alla specifica proposta di abolire, concentrandoli nel Consiglio nord-atlantico trasformato in Consiglio di Governi, il Comitato di difesa ed il Comitato economico-finanziario.

La soppressione del Comitato economico-finanziario e del Comitato di difesa (e la trasformazione del Comitato militare nel Comitato dei rappresentanti presso lo «Standing Group») quali organi a sé stanti ci sembra, sia dal punto di vista nostro particolare che da quello dell'organizzazione in generale, che presenti l'inconveniente di abolire quella gradualità di decisioni che, sia pur attraverso qualche ritardo, è pur sempre garanzia di più maturata considerazione. Attualmente le decisioni prese dagli altri organi del Patto al livello ministri offrono sempre nel rinvio al Consiglio nord-atlantico una sede di appello e di eventuali mediazioni tra i differenti punti di vista che si sono manifestati molto utili in più occasioni e che verrebbero a mancare con la proposta riorganizzazione.

Per quanto riguarda noi più particolarmente, è anche da osservare che, data la nostra esclusione dallo «Standing Group» che verrà assumendo sempre di più la funzione di centro di propulsione nel campo militare, potrebbe essere conveniente mantenere in vita quegli organi di controllo su di esso (Comitato di difesa e Comitato militare) nei quali noi siamo rappresentati, allo scopo di poter esercitare in queste due sedi quell'azione che non possiamo esplicare direttamente nello «Standing Group» e che, nella progettata riforma, potremmo svolgere solo e inadeguatamente nel Comitato dei rappresentanti. È questa una considerazione fatta valere con molta fermezza dal Ministero della difesa.

Altro inconveniente che, a nostro avviso, si dovrebbe star bene attenti ad evitare è quello che il progettato Consiglio di Governi si raduni o con la partecipazione di troppi delegati di ciascun paese (a questo riguardo l'esperienza di Bruxelles ci sembra significativa) o con la partecipazione di delegati eterogenei tra loro; voglio dire, ad esempio, che un paese sia rappresentato ad una certa riunione dal suo ministro degli esteri, un altro dal ministro della difesa, un altro ancora dal ministro del tesoro e così via, come forse avverrebbe se fosse accolto, senza opportune garanzie, l'ultimo emendamento proposto da parte inglese.

Sono queste delle considerazioni generali di cui V.E. vorrà tener conto nel determinare il suo atteggiamento in base anche allo sviluppo della discussione costà ed alla presa di posizione delle altre delegazioni.

Le accludo copia della comunicazione del Ministero della difesa nella quale è illustrato il punto di vista innanzi espostole di quel Dicastero1 .

218 1 Del 3 febbraio, con il quale Mascia rispondendo al D. 212 aveva comunicato la disponibilità del delegato argentino a sostenere la piena partecipazione dell'Italia al Consiglio di tutela ed aveva suggerito di interessare in proposito gli altri Governi componenti di tale Consiglio.

219 1 Non pubblicato.

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI DI FRANCIA, SCHUMAN

L. PERSONALE. Roma, 5 febbraio 1951.

A la veille de vous rencontrer en Italie et de discuter avec Vous nos problèmes communs, je désire vous exposer amicalement — et en toute franchise — quelques idées ou propositions auxquelles j'ai refléchi ces derniers temps. Elles ne feront pas necessairement partie de nos conversations mais il me semblait utile qu'elles soivent présentes à Votre esprit dès ce moment. Vous connaitrez ainsi toute la pensée du Président De Gaspari et mienne; c'est cela qui compte; non pas que la discussion soit immédiate.

La tension internationale a subi une telle aggravation que toutes le questions qui avaient été plus ou moins resolues à Potsdam et, avant, a Yalta et au Caire, semblent aujourd'hui remises en discussion a cause de la politique que l'Union Soviétique poursuit.

Puisque cette situation ne peut que porter à une révision des rapports des Alliés avec l'Allemagne et le Japon, il me semble qu'il faudrait considérer sans retard une transformation formelle et substantielle de la position internationale de l'Italie — ce qui du reste a déja été partiellement accompli par l'entrée de mon pays dans l'Alliance Atlantique.

Je n'ai pas besoin de vous rappeler dans quel esprit le Président De Gasperi et moi décidames de signer le traité de paix. Nous affirmames au pays que le traité représentait le seule clé qui permettait à l'Italie de sortir d'un isolement qui aurait pu contenir les germes des pires nationalismes. Mais nous ne cachames ni aux Italiens ni aux Alliés nos espoirs de révision future. Je me refère ici au télégramme circulaire que j'addressai aux Puissances signataires le juor même de la signature2 .

Si vuos jetez un coup d'oeil sur ce message vous vous rendrez compte de nostre état d'âme le plus intime; j'en suis sûr. C'est puorquoi je m'adresse à vous avant qu'à nos deux autres collègues; et — juste quatre ans après la signature du traité de paix — je vous demande d'examiner s'il n'est pas temps qu'un acte solennel intervienne pour éliminer un traité dont le moins qu'on puisse dire est qu'il est anachronique.

Le peuple italien sent profondément ses responsabilités dans ces temps si troubles et est prêt à faire tout son devoir; mais nous sentons qu'il s'attend à quelque témoignage positif de la parte des Alliés — un témoignage qui consacre la mort morale du traité de Paix. Le peuple italien, vous le sentez bien, non vivit de solo pane. On peut même dire — bien au mal que cela soit — que certaines afffirmations morales valent plus pour lui que des intérêts pratiques.

Certes, bien des clauses du traité ont été revisionnées en fait; et le mérite en revient aux Alliés. Mais il est vrai aussi qu'on aurait pu faire bien davantage sans l'intransingeance sournoise et souvent hypocrite de l'Union Sovietique.

Voici, pratiquement, ce que je me permets de vous demander: si on ne peut pas arriver finalment à declarer que les rapports entre l'Italie et les Alliés (je veux dire les

trois Grands) sont desormais dictés par l'esprit de l'Alliance Atlantique et que l'esprit qui animait le Traité de Paix est consideré par les Alliés comme dépassé.

On aurait là la meilleure des premisses, d'aprés M. De Gasperi et moi, pour une action successive — qui examinerait dans un esprit nouveau toutes les questions laissées ouvertes par le traité de paix.

Je me permets de vous soumettre, en quelques clairs paragraphes, afin d'eviter dès le premier moment tout malentendu, ce qui devrait être exprimé — après examen en commun dans une Nouvelle Charte d'Entente et de Collaboration entre l'Italie et les Alliés.

A. Quant aux clauses territoriales du traité on pourrait dire aujourd'hui que les frontiéres actuelles de l'Italie sont reconnues et garanties au nom des engagements réciproques derivant du pacte Atlantique; et que, quant à Trieste et le Territoire Libre, ayant dû constater que les solutions envisagées par le traité n'étaient pas réalisables, les Alliés s'engageront a favoriser la solution déja acceptée par les Alliés avec la Déclaration Tripartite du 20 mars 1948 et tenant compte de l'opportunité d'un accord entre l'Italie et la Yougoslavie.

Nous repétons à ce sujet que nous tenons à une entente sincere avec nos voisins orientaux ainsi que je l'ai prouvé en decembre 1950 en signant des accords économiques particulièrement favorables à la Yougoslavie; mais que, quant aux frontières, nous ne pouvons pas risquer de detruire toute possibilité d'entente (que nous reconnaissons précieuse dans certaines eventualités) en nous permettant d'aller au délà de ce que la conscience nationale accepterait, après tant de pertes qu'elle estime injustes dans le secteur oriental, pertes devant lesquelles elle peut desormais s'incliner mais à la condition qu'on ne lui inflige pas de nouvelles blessures.

B. Quant aux clauses coloniales, le récent verdict de l'O.N.U. substitue tout ce qui a été dit par le traité. L'Italie garde en Afrique des intérêts importants mais qui ne sont que d'un caractère economique et de tutelle de ses ressortissants en Tripolitaine et en Erythrée. Elle sent toutefois sa pleine solidarité avec ceux des Alliés qui ont gardé en Afrique des intérêts territoriaux et stratégiques. Mais ne seriat-il pas utile d'harmoniser ces intérêts communs, pour le bien de l'Europe et pour la paix des territoires africains étroitement liés à l'influence de l'Europe?

C. Quant aux clauses militaires, la penseé de l'Italie a été jusqu'ici qu'il ne valait pas la peine de mettre le char devant les boeufs. Même aujourd'hui cela reste notre ligne de conduite puisque c'est dans les limites prévues par le Traité que nous pensons developper nos forces défensives; cela, d'après un programme conçu pour être achevé à la fin du premier semestre 1952.

Mais il me semble que nous pourrions tomber d'accord entre alliés sur ce point: que si les pays de l'Europe orientale voisins de l'Italie et de la Yougoslavie continuent à s'armer bien au delà des limites que les traités de paix leur ont imposées, un problème urgent peut se présenter en Italie, problème que De Gasperi et moi ne pouvons ignorer, sous peine de mettre en danger la sécurité de notre pays.

D. Quant aux clauses économiques qui concernet nos Alliés, sont toutes reglées ou en cours d'exécution sur la base d'engagements postérieurs au traité, engagements auxquels nous ne voulons ni pouvons nous soustraire. Il nous semble aussi impératif qu'utile de faire disparaître des clauses basées sur des impositions de vainqueur à vaincu.

E. Quant à l'admission à l'O.N.U. il me semble qu'on devrait affimer d'une façon bien plus solennelle que par le passé que les Alliés s'engagent à faire tous les efforts necessaires pour que l'Italie ne soit plus longtemps privée de son droit de siéger à la supreme organisation d'où elle a été exclue jusqu'ici en violation de la lettre et de l'esprit du traité de paix lui-même.

Puis-je vous avouer que notre exclusion de l'O.N.U. est l'argument polémique le plus fort contre De Gasperi et moi de la part de l'opposition puisque on nous reproche d'être ceux mêmes qui gagnèrent la bataille de la signature du traité en faisant miroiter les avantages de la participation a l'O.N.U.; et l'on nous accuse aujourd'hui d'avoir trompé le pays ...

Vous sentez bien, mon cher Collégue, que je vous ai parlé en ne rien vous cachant, de la manière la plus intime. Si j'ai commencé par m'adresser a vous c'est d'abord à cause de mon respect pour votre caractère et aussi parce que vous sentez comme moi l'exigence d'une Europe organisée.

Que de vains efforts jusq'ici! D'abord le projet d'une union douanière franco-italienne; puis l'O.E.C.E. à qui, pour ma part, j'essayai en vain de donner un caractère encore plus européen; puis Strasbourg qui se débat contre des craintes injustifiéés…

Il faut presque nous demander si les ententes diplomatiques du XIXe siècle n'étaient pas plus fécondes. Si l'on pouvait repéter les dernières années du siècle et revoir une entente anglo-française integrée par une entente italo-française ne serionsnous pas arrivés à resoudre sans en avoir l'air le problème allemand qui jette une ombre si terrible sur l'avenir?

Vous savez bien que, dès que je repris la diréction de notre politique étrangère je commençai aussitôt — ainsi que je le fis en 1920 après les mesquineries d'Orlando et de Nitti — à chercher de renouer des rapports intimes avec la France. C'est pourquoi j'ai commencé cette fois-ci par m'adresser à vous, tout en me reservant de parler ultérieurement à nos deux collègues des Etats Unis et d'Angleterre.

L'Italie a repris la plus pleine confiance dans sa force après ses succès dans la pacifique bataille pour la reconstruction. Mais l'isolement est un danger pour elle comme — pour d'autres raisons — il l'est pour vous. Cette folie du traité est une pierre d'achoppement pour nous et pour l'entente européenne. C'est à vous autres à agir. Si tout a échoué, ou semble risquer d'échouer, pourquoi ne pas essayer le vieux travail diplomatique, qui nous permettra d'arriver, par d'autres chemins, à la réalisation de ce qui nous est le plus à coeur, c'est à dire la création pratique et concrète d'un commencement réel d'Union européenne?

Puisque — quoique les marxistes en disent — les hommes comptent, et comment! je voudrais vous faire une dernière remarque personnelle, d'autant moins inutile que nous sommes à la veille d'une rencontre a quatre, pas à deux. De Gasperi n'a pas eu au cours de sa vie des occasions pour former tant de liens avec des hommes et de courants de pensées de France, ainsi que cela m'arriva lorsque je choisis votre pays comme le plus généreux des asiles lors de mon exil volontaire. Et pourtant-que de fois ne me l'a-t-il prouvé pendant ces quatre ans! De Gasperi sent aussi profondément que moi la valeur incomparable, même pour l'Europe, d'une féconde entente entre nos deux pays. Mais c'est justement pour des pays comme les notres que les impondérables ont une valeur qu'on peut bien qualifier d'incalculable.

220 1 Ed. in CARLO SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi. La politica estera italiana dal 1947 al 1951, Roma, Atlante, 1952, pp. 435-442. 2 Vedi serie decima, vol. V, D. 48.

221

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

T. SEGRETO 956/75. Roma, 6 febbraio 1951, ore 23.

Suo rapporto n. 92/661 .

Sta bene. Per quanto riguarda Esercito europeo le invio, per sua riservata conoscenza, copia di un appunto redatto dalla Difesa, i cui principi debbono però ancora essere approvati dal Governo. Impostazione politica fondamentale, sulla quale oramai dovrebbero, mi sembra, essere d'accordo anche i francesi, rimane quella delle direttive già trasmessele con lettera n. 002092. Cioè tendenzialmente favorevoli a patto che non ritardi costituzione forza integrata.

Idee esposte nell'appunto della Difesa, suscettibili di modifiche anche in base eventuali suggerimenti di V.E., dovrebbero rappresentare un contributo positivo da parte nostra, da presentarsi successivamente in sede di Conferenza Esercito europeo, dopo aver preso conoscenza progetto francese.

Tengo anche presenti sue considerazioni circa sicurezza interna, che potrebbe rappresentare una delle questioni più importanti.

ALLEGATO I

LO STATO MAGGIORE DELLA DIFESA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

APPUNTO. Roma, gennaio 1951.

CONSIDERAZIONI CIRCA L'ESERCITO EUROPEO PROPOSTO DALLA FRANCIA

L'Esercito europeo proposto dalla Francia dovrebbe essere costituito con unità appartenenti a varie nazioni europee, compresa la Germania; quest'ultima con unità non superiore al livello del combat-team. Le forze europee dipenderebbero da S.H.A.P.E. al pari delle altre grandi unità nazionali messe a disposizione del generale Eisenhower.

Secondo le notizie finora pervenute, oltre la Francia, soltanto l'Italia e la Germania — se la questione del riarmo tedesco andrà a buon porto — sarebbero disposte a partecipare all'Esercito europeo. Forse anche il Belgio.

Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada assisteranno alle imminenti riunioni nella semplice qualità di osservatori, ciò che per le due nazioni americane è giustificato dal fatto di non appartenere all'Europa e, per la Gran Bretagna, dalla sua appartenenza al Commonwealth.

2 Non rinvenuto.

Gli Stati Uniti, malgrado abbiano deciso di partecipare alla Conferenza con un osservatore e, a titolo di cortesia, abbiano augurato buon esito, non vedono con favore l'iniziativa.

Le considerazioni che si possono tenere presenti per determinare il nostro atteggiamento sono le seguenti:

1) la proposta francese trova origine e sua principale ragione di essere nel desiderio di evitare a qualunque costo la formazione di divisioni tedesche. Le unità tedesche verrebbero contenute al livello del combat-team, estrema concessione fatta dalla Francia, la quale inizialmente non avrebbe voluto consentire unità tedesche superiori al battaglione fanteria, gruppo artiglieria. Pur di impedire anche in avvenire la costituzione di grandi unità tedesche, la Francia propugna la formazione di un Esercito europeo, con unità miste, nel quale verrebbero impiegate tutte le unità tedesche e anche buona parte delle unità delle altre nazioni europee;

2) da parte francese vengono anche prospettati i vantaggi di carattere politico, in quanto l'inclusione delle forze tedesche nell'Esercito europeo impedirebbe in sostanza la costituzione di un Esercito tedesco e, come tale, potrebbe fornire qualche buon argomento contro le obiezioni sovietiche;

3) un ministro della difesa dovrebbe esser nominato dai Governi partecipanti e dovrebbe esser responsabile, secondo modalità da determinare, rispetto ai Governi che lo nominano e rispetto ad una Assemblea europea, la quale potrebbe essere rappresentata dal-l'Assemblea di Strasburgo o da un organo emanante da essa oppure costituita con delegati appositamente designati. I poteri del ministro rispetto all'Esercito europeo sarebbero simili a quelli di un ministro della difesa rispetto alle forze nazionali;

4) si può osservare che la proposta francese si appoggia alla concezione europeista della quale l'Italia si è fatta parte attiva, ma deve subito aggiungersi che logicamente la costituzione di forze europee dovrebbe essere il derivato di una organizzazione politica europea, che finora è rimasta nel campo astratto; come è rimasto nel campo astratto il tentativo di unione doganale con la Francia. Potrebbe quindi considerarsi già, sotto questo aspetto, concezione prematura, specialmente se questa deve esser subordinata alla creazione di un ministro della difesa europea; creazione alla quale si oppongono evidenti ostacoli. In via di prima concessione verso l'idea di un Esercito europeo si può prescindere dalla creazione di questo ministro europeo;

5) le considerazioni di carattere politico relative all'Esercito europeo e i suggerimenti che ne conseguono sono ispirati al concetto che la concezione europeista, che l'Italia ha sempre sostenuto, non può identificarsi con la concezione di un Esercito europeo quale voluto dalla Francia e nel momento attuale; e che quindi le obiezioni che potranno farsi al progetto francese non possono significare una contraddizione alle posizioni precedentemente assunte. Si può anche osservare che nel momento in cui tanti dubbi si presentano all'opinione americana circa l'atteggiamento dell'Europa occidentale, la concezione particolaristica di un Esercito europeo, sia pure inserito nelle forze integrate, non appare politicamente opportuna e potrebbe indurre gli Stati Uniti a limitare gli aiuti materiali nei riguardi di un Esercito europeo, il quale evidentemente nel futuro potrebbe prestarsi ad una politica particolare europea in contrasto con quella statunitense.

Passiamo ora a considerazioni di carattere militare:

6) dal punto di vista organico la questione può essere prematura mentre i nostri sforzi debbono concentrarsi sul completamento delle divisioni esistenti, non sembra il caso di sottrarre ad esse alcun elemento per costituire divisioni europee di varie nazionalità e perciò di dubbia coesione;

7) In ogni caso il contributo che — senza scomporre le unità esistenti — potremmo dare all'Esercito europeo sarebbe limitato e quindi non darebbe all'Italia nell'Esercito europeo una posizione adeguata rispetto al contributo molto maggiore che verrebbe dato dalla Francia e dalla Germania. Non sarebbe quindi conveniente indebolire la nostra posizione sul piano atlantico per inserirci, su un piano limitato, nella nuova organizzazione europea. D'altra parte la Francia aspira evidentemente ad assumere una posizione preminente, della quale non è facile riconoscere la legittimità;

8) in sede atlantica fu riconosciuto il principio che il livello minimo al quale deve venire assicurata l'omogeneità nazionale è rappresentato dalla divisione. Peraltro nei riguardi dell'Esercito tedesco, per aderire alle richieste della Francia è rimasto concordato che in un primo tempo l'Esercito tedesco non potrà superare il livello del combat-team. Sono evidenti gli ostacoli che siffatta composizione oppone alla migliore coesione delle grandi unità, la quale, come già detto, dovrebbe venire assicurata almeno nell'interno della divisione. Per diminuire gli inevitabili inconvenienti, occorrerà comunque che le eventuali divisioni europee siano almeno costituite con combat-teams nazionali, ossia che i contingenti nazionali non vengano organizzati in unità inferiori al combat-team;

9) occorre insistere sui riflessi che la costituzione eterogenea delle divisioni può portare sulla loro efficienza combattiva. Non si dimentichi che la concezione europea non è oggi diffusa fra i popoli, che gli sforzi si concentrano oggi verso il consolidamento del dovere di difendere la patria e che non si portano unità alla guerra se queste non sono convinte della bontà dello scopo che si vuole raggiungere. L'Esercito europeo presuppone una mentalità europea di masse e non soltanto di pochi elementi che, pur guardando lontano, non vedono attorno a loro che l'apatia dei più, deplorevole, ma pure esistente, verso concezioni che sono molto elevate e perciò non troppo facilmente assimilabili;

10) serie difficoltà si incontreranno certamente per superare le differenze di lingua, di mentalità, di abitudini, di sistemi disciplinari, amministrativi, logistici, ecc., che potrebbero essere dominate a un livello divisionale o superiore, ma costituirebbero grave ostacolo nell'interno di una divisione, dove più combat-teams di diverse nazionalità dovrebbero strettamente cooperare sul campo di battaglia, avvicinandosi, scavalcandosi, talvolta frammischiandosi, senza l'intermediario di Comandi e di Stati Maggiori;

11) in linea generale le difficoltà ora prospettate suggerirebbero di differire a momento più opportuno la costituzione dell'Esercito europeo. Peraltro volendo venire incontro alla proposta francese, appare indispensabile limitare l'attuazione a un primo nucleo sperimentale con particolari cautele quali quelle suggerite nello schema annesso3, le quali sono intese soprattutto a salvaguardare le necessità della pronta costituzione delle forze integrate e ad evitare prevedibili difficoltà di ordine costituzionale e di ordine interno.

Minuta per la redazione del D. 220 con correzioni autografe di Sforza.

ALLEGATO II

SCHEMA DI PROGRAMMA PER L'ATTUAZIONE SPERIMENTALE DI UN PRIMO NUCLEO DI ESERCITO EUROPEO

Si premette che, in base anche al concetto nettamente espresso da parte U.S.A., la formazione di un Esercito europeo non deve in alcun modo ritardare o indebolire la costituzione delle forze integrate. È anche evidente la necessità che in questo campo assolutamente nuovo si proceda in via sperimentale, su una base necessariamente limitata.

Gli elementi da tenere come base per la costituzione di un primo nucleo di Esercito europeo potrebbero essere i seguenti:

1) per non ritardare la costituzione delle forze integrate, le nazioni partecipanti al previsto Esercito europeo non dovranno modificare il programma di allestimento delle grandi unità di cui, nelle recenti conversazioni con il generale Eisenhower, è stato annunciato il passaggio alle forze integrate entro l'anno 1951;

2) da parte germanica si dovrebbe dare inizio al più presto alla organizzazione delle nuove forze militari. In base alle decisioni prese dal Comitato militare, queste unità tedesche sarebbero provvisoriamente tenute al livello del combat-team. È prevedibile che non si possa arrivare alla costituzione di combat-teams tedeschi prima di un anno;

3) i combat-teams tedeschi verranno costituiti nel numero che sarà concordato sul piano atlantico; di essi soltanto una parte concorrerà a formare il primo nucleo dell'Esercito europeo, mentre i rimanenti verranno conglobati — come già convenuto — in divisioni per così dire atlantiche, insieme con unità di altre nazioni, ivi comprese la Gran Bretagna e gli Stati Uniti;

4) l'Esercito europeo sarà formato con elementi volontari, con ferma da determinare, e mantenuto con un bilancio comune, da costituire in base ad accordi, come del resto già è previsto dal progetto francese;

5) le unità delle varie nazioni partecipanti all'Esercito europeo avranno parità completa di diritti, indipendentemente dalla entità del loro contributo. Ciò anche, e in particolare, nei riguardi della distribuzione dei posti di comando e della parità di lingua (francese, italiana, tedesca);

6) è da esprimere il voto che anche altre nazioni, oltre quelle che aderissero inizialmente, entrino a far parte dell'Esercito europeo;

7) è sottinteso che l'Esercito europeo dipenderà dal Comando supremo europeo (S.H.A.P.E.), ciò che rende superflua la creazione di un ministro della difesa europeo e permette di inserire meglio l'Esercito europeo nelle forze integrate e dare agli U.S.A. le necessarie garanzie. Rimarranno da concordare le modalità amministrative.

Le condizioni sopra indicate, dopo un primo accordo di massima che potrebbe essere preso nelle imminenti riunioni, richiederanno conversazioni e trattative particolari, che peraltro non dovrebbero ritardare la costituzione delle prime forze europee, a condizione che da parte tedesca si ponga subito mano alla costituzione delle nuove unità.

Da parte italiana la costituzione con elementi volontari appare essenziale, in quanto eviterebbe le difficoltà di carattere politico che potrebbero derivare dall'invio di contingenti italiani all'estero. I volontari incorporati nelle forze europee, infatti non apparterrebbero all'Esercito italiano. Da parte nostra non verrebbe richiesta la presenza di alcuna unità europea in Italia.

Occorre tenere conto che in base alle decisioni prese in sede atlantica, soltanto le tre grandi nazioni occupanti in Germania avrebbero diritto di vigilare sulla costituzione delle unità tedesche. Sembra che tale vigilanza dovrebbe essere lasciata a S.H.A.P.E.

Per fissare le idee e tenuto conto che le forze tedesche da costituire non dovrebbero oltrepassare il quinto del totale delle forze atlantiche, si può pensare che la Germania possa in un primo tempo organizzare al massimo una ventina di combat-teams, dei quali cinque o sei en trerebbero a far parte dell'Esercito europeo in altrettante divisioni, mentre gli altri farebbero parte diretta delle forze integrate e quindi in combinazione anche con unità americane e britanniche.

Non è necessario che il contributo italiano sia della stessa entità; esso potrebbe anche essere ridotto, per esempio, a tre combat-teams. È bene inteso che l'armamento e l'equipaggiamento di queste forze dovrebbero essere standardizzati e regolati da disposizioni comuni e sul fondo comune.

221 1 Vedi D. 203.

221 3 Vedi Allegato II.

222

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1477/35. Mosca, 6 febbraio 1951, ore 14,40 (perv. ore 18,15). Mio telegramma n. 331 .

Mi è stata data conoscenza testo nota sovietica. Dal suo esame risulta confermato che Governo sovietico accetta estensione discussione ad altre questioni soltanto a patto che tali questioni vengano esaminate dal Consiglio dei ministri esteri nella composizione e nel modo previsto accordo di Potsdam. A tale proposito si dovette anzi richiedere direttamente a Vyshinsky chiarimenti sul significato esatto delle parole usate che letteralmente sembravano voler imporre tassativamente ordine delle questioni stabilite a Potsdam ossia precedenza questione del disarmo tedesco. Vyshinsky diede una interpretazione attenuata chiarendo che non si trattava dell'ordine ma più genericamente del modo o del quadro previsto da Potsdam. Comunque sembra chiaro che sovietici hanno usato volutamente espressione dubbia per riservarsi una certa elasticità di manovra ma intendono rimanere strettamente agganciati accordo Potsdam. Tutta la nota del resto mantiene nettamente al centro dei problemi da risolvere per la desiderata distensione internazionale la questione disarmo tedesco. Tuttavia tale questione è pure dalla stessa nota sovietica inquadrata in quella del generale riarmo europeo ed americano il che potrebbe offrire spunto potenze occidentali per porre a loro volta la questione sulla realtà e riduzione degli armamenti sovietici.

222 1 Del 5 febbraio, con il quale Brosio anticipava l'avvenuta consegna della nota sovietica di risposta a quelle di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti del 23 gennaio. La nota sovietica è edita in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 6, p. 106.

223

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 1510/59. New York, 6 febbraio 1951, ore 22,41 (perv. ore 8,40 del 7). Mio telegramma 541 .

Commissione oggi adottato — con spirito comprensione nostra posizione — nette disposizioni che danno Italia, tranne voto, stessa posizione membro effettivo Consiglio tutela ivi compresa eleggibilità in Commissioni (e in esse con diritto voto), diritto poter iscrivere questioni ordine del giorno e diritto presentare nostri progetti risoluzione e emendamento.

Emendamento Thailandia-Iraq è stato approvato in linea principio con importante nuovo emendamento favore nostro prevedente diritto partecipazione tutte sedute senza bisogno invito presidente (mio telegramma 60)1 .

Nel corso discussione tutti delegati hanno espresso loro opposizione a concessione diritto voto, cosa che ha raffreddato molto Munoz che tuttavia non ha ritirato suo emendamento.

Ho chiesto a presidente Saire essere autorizzato parlare prossima riunione ove porrò ufficialmente nostra richiesta riservandomi altresì proporla di nuovo in seduta Consiglio tutela.

224

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 559/177. Il Cairo, 6 febbraio 1951 (perv. l'8).

Ho presentato il sottosegretario Andreotti a re Farouk, che ci ha ricevuti in udienza particolare. Il sovrano si è espresso in termini estremamente amichevoli sull'Italia in generale, sulla collaborazione in atto fra Italia e Egitto in particolare. Ha molto gradito i doni molto opportunamente offertigli in questa occasione dall'on. Andreotti (i dischi di otto opere di Verdi; la bellissima edizione del Tucci sulla pittura tibetana).

Il pessimismo del sovrano nei confronti della situazione internazionale è rimasto immutato. La guerra sarebbe, a suo giudizio, pressoché alle porte. Non riesce sopra tutto a rendersi conto delle ragioni che dovrebbero persuadere la Russia ad attendere immobile che il massiccio riarmo atlantico in generale e americano in parti

colare entri in una fase avanzata. L'evidente declino dei partiti comunisti nel mondo libero e in specie in Italia e in Francia e il parallelo allontanarsi della speranza che la guerra possa essere vinta per linee interne e attraverso agitazioni e rivolte, dovrebbero rafforzare piuttosto che indebolire il proposito di bruciare le tappe.

L'Egitto è, a suo giudizio, minacciato come qualunque altro paese. Né è serio pensare che 50 o 100 mila inglesi possano difenderlo efficacemente. Londra dovrebbe dunque rendersi finalmente conto che è miglior cosa venire incontro alle esigenze nazionali egiziane e tagliar corto a quella anacronistica politica di dominazione che non ad altro approda se non a impedire che il mondo arabo si schieri senza riserva a fianco delle democrazie. Il sovrano si è espresso in termini pessimistici sulle conversazioni anglo-egiziane, che non sono — ci ha detto — giunte sinora ad alcunché di positivo e concreto e sono rimaste press'a poco immobili sui punti di partenza.

Abbiamo ringraziato il sovrano della sua pronta e cordiale partecipazione, sia alla commemorazione che alla serata verdiana ed alla Mostra del libro, partecipazione che ha effettivamente dato a codeste manifestazioni il maggior rilievo possibile. Ci ha risposto ch'egli è sempre lieto di fare cosa gradita agli italiani, in conformità del resto alle tradizioni della sua Casa, ch'egli tiene a rispettare, anche perché collimano con le sue idee personali. Inaugurerà dunque anche la Mostra dell'artigianato, che avverrà il 15 corr., con vivo piacere. «Codeste serie di manifestazioni — ha aggiunto — documentano in modo particolarmente evidente la vostra ripresa in tutti i campi, materiali e spirituali, ripresa che registro anche da parte mia con la più cordiale soddisfazione».

Anche il ministro degli esteri, da cui siamo stati ricevuti in udienza, si è espresso nei termini più cordiali nei confronti italiani. La collaborazione sempre più stretta fra i nostri due paesi — ci ha detto — è, e più diventerà in avvenire, una delle permanenti della politica estera egiziana.

223 1 Pari data, non pubblicato.

225

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 656/381. Londra, 6 febbraio 1951 (perv. il 12).

Nell'accusare ricevuta del dispaccio n. 105 (segr. pol.) del 17 gennaio u.s.1, ho l'onore di assicurare l'E.V. che mi atterrò alle direttive in esso impartitemi, nel senso di astenermi per ora dal farmi iniziatore di incontri in questo paese. Né evidentemente avrei pensato di effettuare sondaggi al Foreign Office senza avere precise istruzioni in merito da parte di V.E.

Desidero tuttavia chiarire alcuni punti, tanto più che ho l'impressione che un accenno contenuto nel mio rapporto 284/175 del 18 gennaio2 abbia potuto prestarsi ad un lieve equivoco. Quando parlavo di interrogazioni qui rivoltemi sul prossimo incontro italo-francese, non intendevo dire che a Londra si abbiano sospetti o mal fondate curiosità sugli scopi che ci proponiamo di raggiungere con tale incontro. La notizia ha destato interesse, ed era logico, tanto più che questo incontro sembra un passo per uscire, da parte nostra, da un periodo se non di ordinaria amministrazione, per lo meno di attività non appariscente.

Ma è ovvio che qui non lo si potesse interpretare come una mossa anti-britannica. Da parte nostra non si è mai pensato certamente di dargli un tale carattere, che sarebbe fra l'altro troppo contrastante con lo schieramento internazionale attuale. Né certo i francesi sarebbero stati disposti, per parte loro, a marciare in tal senso.

Mi rendo conto che, per taluni settori della nostra opinione pubblica, la visita a Londra potrebbe non suonare particolarmente gradita. Tuttavia le notizie date dalla nostra stampa sulla sempre maggiore vastità di consensi che riscuote in Italia la nostra politica atlantica mi fanno pensare che un rafforzamento dei rapporti con quella che senza dubbio è la seconda in ordine di importanza fra le potenze della comunità atlantica non dovrebbe logicamente essere causa di scontento o malumori.

Uno dei numerosi vantaggi che la venuta del presidente del Consiglio potrebbe avere è quella di dare a questi ambienti — attraverso una personale presa di contatto con gli esponenti di entrambi i principali partiti — un senso esatto delle proporzioni sul panorama politico italiano. L'E.V. sa meglio di me, ad esempio, che le simpatie laburiste per i movimenti socialisti italiani non sono soltanto il frutto di analogie ideologiche che esistono più nominalmente che di fatto, ma anche e soprattutto la conseguenza di frequenti contatti personali che mancano invece con altri settori.

Quanto all'importanza dei nostri rapporti con l'Inghilterra, mi sembra superfluo dilungarmi: basti tener presente che si tratta della seconda potenza atlantica, del centro del Commonwealth e dell'area della sterlina, della più importante potenza nel Mediterraneo e in quell'Africa nella quale stiamo faticosamente ritornando, e infine

— dal punto di vista economico — del nostro maggior mercato di sbocco.

A mio avviso l'opportunità di una visita del presidente del Consiglio in questo momento non dovrebbe essere in funzione di suggello a intese raggiunte; bensì dovrebbe costituire un punto di partenza per il potenziamento nel settore politico di rapporti che nel campo economico hanno già raggiunto risultati indubbiamente molto soddisfacenti e che sono ancora suscettibili di ulteriori interessanti sviluppi.

225 1 Vedi D. 199.

225 2 Vedi D. 170.

226

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 113/84. Parigi, 6 febbraio 1951 (perv. l'8).

Facendo seguito alle varie precedenti comunicazioni in argomento e con particolare riferimento, per le questioni minori, al mio telegramma odierno1, ritengo opportuno riferire sull'attuale stadio di preparazione dell'incontro.

Per quanto riguarda le questioni generali e internazionali, il lavoro di preparazione è forzatamente relativo, perché esse sono demandate, nell'atmosfera creata dal-l'incontro stesso, alle conversazioni tra presidenti del Consiglio e ministri degli esteri. Riprendo comunque domani le conversazioni con Parodi che, invece di ritornare con Pleven, si è fermato qualche giorno di più in America. Dirò intanto che:

1) Per l'Unione doganale da parte francese avremo una conferma delle intenzioni ed una esposizione dello stato di fatto attuale. Quanto alla nostra proposta di amichevole priorità reciproca da estrinsecare in istruzioni alle amministrazioni interessate, sul principio qui si è d'accordo: quale che è più complesso, è il trovarne la formulazione anche in vista della necessità da parte dell'esecutivo di non ripetere in Francia l'errore degli accordi dello scorso marzo2 provocando un reazione parlamentare la quale potrebbe disfare quello che è stato fatto pazientemente ed in silenzio.

2) Per le materie prime, da parte francese si assicura costanza nel sostenere le nostre partecipazioni e si preparano maggiori precisazioni per l'incontro ai fini delle questioni tecniche che più ci interessano. Per quello che concerne il trattamento preferenziale, anche qui sul principio si è d'accordo: si tratta di trovare la formula.

3) Circa l'Armata europea, lo stato di preparazione della Conferenza di Parigi è così indietro che con è possibile nessuna anticipazione per ora (vedi mio telespresso urgente n. 014 del 5 corr. e mio telespresso ris. 106/77 del 5/2)3. Ad ogni modo in tutte le conversazioni abbiamo qui battuto sul tema della nostra simpatia, ma soprattutto del nostro assoluto e deciso realismo di fronte al problema (dicendo cioè che noi rifiuteremmo qualunque iniziativa che rappresentasse ritardi o complicazioni sulle comuni necessità di difesa e sulle più positive formule atlantiche. In complesso si tratta di questione che difficilmente si può «preparare» nei dettagli. Si tratta cioè di uno scambio di vedute generali. A questo riguardo sarebbe opportuno da parte nostra si cercasse di valutare quale è l'evoluzione americana nel senso del raffreddamento degli entusiasmi primitivi circa il riarmo tedesco. Che ciò sia non mi sembra più dubbio: la ragione è la situazione tedesca: si tratta di valutarne la portata.

4) Circa l'entrata dell'Italia all'O.N.U., c'è da parte francese la massima buona volontà ed al momento opportuno si può contare su ogni appoggio, ma la que

2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 79, nota 1.

3 Non rinvenuti.

stione non può essere disgiunta dall'occasione, per cui oggi il tutto resta in uno stadio di amichevole accademia; certo si tratterà di affermare la volontà francese di sollevarla alla prima occasione favorevole o di provocare eventualmente tale occasione.

5) Per le questioni relative al piano Schuman e minerali nord-africani, ho svolto — come già comunicato — ogni pressione perché gli incontri degli uomini della Finsider con i colleghi francesi fossero anticipati prima dell'incontro. Per quello che riguarda i minerali, spero si possa prendere atto di un accordo già intervenuto.

6) Circa le forme costituzionali e istituzionali del piano Schuman, mi riservo riferire a parte, se ancora in tempo, perché anche qui si è in alto mare. Anche qui si tratterrà di esporre i rispettivi punti di vista.

7) Per il traforo del Monte Bianco, Schuman mi ha promesso di portare la questione al Consiglio dei ministri domani (salvo maggiori preoccupazioni per l'incombente crisi politica).

8) Circa le questioni emigratorie, vi è una tendenza a rinviare alcuni problemi alla seduta della Commissione mista di marzo, ma conversazioni sono qui in corso e spero che talune questioni, come quella delle cartes de travail, possa essere portata favorevolmente all'incontro.

9) Circa la questione libica, il punto di vista del Quai d'Orsay collima con quello di codesto Ministero: cioè possibilità di talune armonizzazioni italo-francesi, esame generale nell'incontro, conversazioni successive tra funzionari (mio telegramma di ieri) che dovrebbero anche includere un prolungamento delle conversazioni Tallarigo-Sabillaud circa danni di guerra di cui ignoro lo stato attuale.

10) Per le consultazioni preventive in tema internazionale, ne riparlerò con Parodi, ma comunque la cosa, essendo qui considerata strettamente impegno di Governo, potrà essere perfezionata soltanto a Paraggi. Sul principio Schuman è d'accordo.

11) Negli intensi scambi di idee e documentazioni che hanno avuto ed hanno luogo in questi giorni fra ambasciata e Quai d'Orsay, sono venute fuori tutte quelle questioni minori che permetterebbero appunto di «vuotare i cassetti» di gran parte delle questioni in sospeso. Sembrano piccole, ma molte di esse investono invece grossi interessi economici o punti di vista giuridici generali, per cui bisognerà vedere praticamente come finiranno. A tale proposito allego le liste già contenute nel mio telegramma odierno, ripetendo che l'idea sarebbe di sottoporle — durante l'incontro — più che ad un esame, ad una concertata dichiarazione con la quale le rispettive amministrazioni verrebbero così autorevolmente invitate a risolvere tali questioni presto, amichevolmente e positivamente sia nella forma di conversazioni successive tra funzionari sia col demandarle rapidamente a commissioni di conciliazione ed arbitrato.

ALLEGATO

Lista questioni suscettibili, per loro natura, di rinvio a proceduraarbitrale appare a tutt'oggi la seguente:

a) applicabilità legge francese profitti illeciti a cittadini italiani;

b) proprietà Ospizio Piccolo San Bernardo;

c) proprietà Orto Botanico Chanousia;

d) sorte dei beni dei Comuni di frontiera italiani e francesi in applicazione del trattato di pace;

e) questione ferrovia Gibuti;

f) regolamento di fatture relative a lavori eseguiti in Francia durante la guerra per conto dell'Italia;

g) controversia relativa ai carichi di Stati neutri consegnati all'Italia per un accordo del 1941.

Lista questioni da rinviare a contatti diretti Amministrazioni interessate:

1) determinazione sulla carta dei pascoli di Realdo di cui all'accordo 5 giugno 1950;

2) accordi locali per strade di frontiera (strada Breil, circolazione Briançon-Modane via Monginevro);

3) linea ferroviaria Cuneo-Ventimiglia via Francia;

4) adduzione acqua della Roja a Mentone;

5) emigrazione mille famiglie italiane;

6) nuova convenzione consolare;

7) nuova convenzione di stabilimento;

8) restituzione vagoni cisterna alle Ferrovie dello Stato;

9) diritti traduzione di opere francesi non tradotte nel decennio della concessione;

10) obblighi militari in caso doppia nazionalità.

226 1 T. segreto 1483/86-87, non pubblicato.

227

IL MINSTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. SEGRETO PRECEDENZA ASSOLUTA 984/17. Roma, 7 febbraio 1951, ore 23,30.

Suo 611 .

Ella vorrà, prendendo parola, ringraziare membri Comitato per comprensione dimostrata che viene da noi altamente apprezzata come nuova prova riconoscimento ingiustizia che ci viene fatta mantenendoci tuttora fuori dall'O.N.U. Farà poi rilevare come sia poco conforme equità che ad impegni ed a oneri e responsabilità da noi assunti con amministrazione Somalia non (dico non) debba corrispondere partecipazione a Consiglio tutela in condizioni parità con altri paesi che sono nelle stesse condizioni. Preciserà che ci rendiamo conto che sino a che dura nostra ingiusta esclusione O.N.U. appare giuridicamente difficile sanare questa situazione e che riconosciamo altrettanto difficile forzare interpretazione art. 86 per farci attribuire diritto voto. Richiamerà quindi attenzione membri Consiglio su art. 108 che dà modo legale esa

minare problema con spirito favorevole. Accenni qui a convenienza che art. 108 non rimanga lettera morta; esso è stato inserito nello Statuto appunto per consentire suo adeguamento a casi non previsti a momento redazione.

Ribadirà infine che Italia intende mantenere scrupolosamente impegni assunti con convenzione fiduciaria per Somalia, come pure può assicurare nostra collaborazione in seno Consiglio tutela e su piano generale. A questo proposito aggiunga però che sarebbe motivo per noi di grande soddisfazione se quest'ultima collaborazione potesse essere confortata sin d'ora dal sapere che nostra aspirazione ad una completa partecipazione a tale organo è tenuta nel debito conto, anche nello spirito del congiunto degli articoli 86, 89 (vedi suo telegramma n. 54)2. Cerchi avviare questione verso nomina Commissione di studio.

227 1 Del 6 febbraio, con il quale Mascia aveva riferito sulla conversazione avuta con il presidente del Consiglio di tutela, ambasciatore Sayre.

228

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO RISERVATO1 . Roma, 7 febbraio 1951.

Ho ricevuto alle 17 Mallet che sulla scorta di una comunicazione scritta del F.O. mi disse di essere stato incaricato dal premier Attlee d'invitare il pres. De Gasperi a incontrarlo a Londra per uno scambio d'idee sulle questioni internazionali e eventualmente su questioni più particolari di comune interesse. Si lasciava a me di decidere circa la partecipazione di altri membri di Gabinetto, in particolare del conte Sforza, mentre date le sue condizioni di salute, non si era in grado di assicurare la presenza di Bevin. La data potrebbe essere nella settimana del marzo che comincia con lunedì 5 (il sabato 3 Attlee è impedito) o in quella di lunedì 12. La durata potrebbe essere di un paio di giorni, agenda da fissarsi di comune accordo a mezzo delle ambasciate. De Gasperi ci dirà anche qualche suo desiderio circa il programma (visite, incontri).

Risposta: Grato dell'ispirazione amichevole che ha promosso l'invito, nella speranza che l'incontro possa essere giovevole per i due paesi. Parole di cortesia per la persona del premier, interessamento per Bevin. Per la data mi riservo di riflettere sulle possibilità del mio calendario. Naturalmente conto sulla competenza del conte Sforza che spero mi vorrà accompagnare. Comunque data e modalità si concorderanno con Palazzo Chigi. È utile esaminare in tale occasione ogni questione che fosse in sospeso. Bisogna però evitare ogni apparenza di connessione coll'incontro franco-italiano2, perciò la pubblicazione della notizia va ritardata.

Replica: Si può differire quanto si crede, purché la cosa non trapeli. Il Governo inglese vorrebbe in ogni caso avvertire, a una certa distanza di tempo, Francia e America. Si può trovare l'accordo su questo.

2 Vedi D. 233.

Concludo che di questa procedura Mallet ne parli con Sforza. Si conviene sul-l'opportunità di considerare la notizia come riservata. Il comunicato sull'invito quando si sarà d'accordo di darlo, verrà concordato fra il F.O. e Gallarati3 .

Domattina Mallet chiederà di vederti4 .

227 2 Del 6 febbraio, non pubblicato.

228 1 Autografo, in Archivio privato Sforza.

229

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 1596/94. Parigi, 8 febbraio 1951, ore 19,28 (perv. ore 1 del 9).

Schuman mi informa che Governo francese è di massima d'accordo: 1) circa consultazione preventiva da effettuarsi, normalmente, per via diplomatica; 2) circa «priorità» che due paesi dovrebbero concedersi reciprocamente nel campo economico e finanziario. Naturalmente con quelle riserve cui noi stessi abbiamo accennato in appunto codesto Ministero1 .

Dato che si tratta principio, specie il secondo, che è più facile esprimere che formulare, ci siamo trovati d'accordo con Schuman nel ritenere sia preferibile non firmare atti specifici ad essi relativi. Accettazioni principio di cui al numero 1 e 2 risulteranno da processo verbale incontro al quale farà fede impegno. A parte considerazioni di cui sopra ciò mi sembra preferibile perché evita pericolo tutto questo possa essere interpretato come «congiura» franco-italiana cosa che V.E. desidera giustamente evitare.

Mi sembra abbiamo così formula ad un tempo impegnativa ed elastica.

Quanto a formulazione precisa da darsi a processo verbale ci siamo parimenti trovati d'accordo sulla opportunità lasciarlo a conversazioni Santa Margherita.

228 3 Le conversazioni italo-britanniche ebbero luogo nei giorni 13 e 14 marzo, vedi D. 298. 4 Non è stato rinvenuto l'appunto relativo a questo colloquio, Sforza tuttavia ne comunicò il contenuto a Gallarati Scotti con lettera del 16 febbraio (vedi D. 238). 229 1 Vedi D. 175, nota 3.

230

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1607/857. Washington, 8 febbraio 1951 (perv. l'11).

Le informazioni raccolte in questi ambienti militari circa le impressioni del generale Eisenhower sulla sua visita a Roma non differiscono nel tono e nella sostanza da quelle fornite dal Dipartimento di Stato o dalle dichiarazioni pubbliche dello stesso generale.

In particolare, sembra che Eisenhower sia rimasto favorevolmente impressionato dal funzionamento dell'ordine pubblico e che egli abbia apertamente riconosciuto che il controllo delle manifestazioni di protesta indette dai comunisti in occasione della sua visita sia stato più effettivo in Italia che in Francia.

Il comandante supremo dell'esercito N.A.T.O. si è dichiarato inoltre soddisfatto delle assicurazioni del Governo italiano sulle intenzioni di completare la preparazione delle divisioni già esistenti. Eisenhower ha ricordato che a Roma gli sono state fatte presenti le limitazioni imposte al nostro paese dal trattato di pace e, in tale quadro, ha riconosciuto che va dato atto all'Italia del lavoro compiuto nella riorganizzazione delle sue forze armate date le particolari difficili condizioni nelle quali tale riorganizzazione si è iniziata.

231

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 1653/84. Londra, 9 febbraio1951, ore 20,42 (perv. ore 5,30 del 10).

Strang mi ha annunciato che Mallet — a nome di Attlee — ha rivolto invito a presidente Consiglio ed a V.E. per venire a Londra nel marzo prossimo, e che S.E. De Gasperi ha accettato1 .

Con l'occasione, il sottosegretario permanente mi ha fatto presente che Bevin (cui occorrerà lungo periodo di convalescenza), non appena ha avuto notizia delle istruzioni inviate a Mallet su ordine del primo ministro Attlee, ha espresso la propria profonda soddisfazione per l'iniziativa.

Strang mi ha assicurato che, onde confermarsi al desiderio che sarebbe stato espresso costì a Mallet, da parte inglese si conserverà carattere di massima segretezza alla questione.

231 1 Vedi D. 228.

232

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. Londra, 9 febbraio 1951.

Ti ringrazio molto della tua lettera del 2 corrente1, e sono assai lieto di constatare che condividi pienamente l'avviso di Sforza e mio che non vi sono oggi questioni basilari che ci separano dagli inglesi, ma che anzi abbiamo numerosi interessi fondamentali in comune.

Il prossimo incontro italo-francese non viene qui affatto visto con sfavore, e me lo si è detto nei più chiari termini. L'Inghilterra è troppo conscia dell'importanza vitale del problema della difesa comune per non auspicare la più stretta e cordiale intesa fra i paesi che a tale difesa danno tutto il proprio contributo.

Non è quindi per attenuare ombre che tale incontro potrebbe fare qui nascere, che ritengo quanto mai desiderabile una tua venuta in Inghilterra. Bensì è proprio per rafforzare quella piena reciproca comprensione, quella chiara visione della linea politica di entrambi i paesi sui problemi fondamentali, dalla quale solo può discendere una collaborazione sincera che si estenda anche ai più lontani settori periferici.

Se è utile di togliere ai nostri rapporti di amicizia con la Francia ogni traccia di monopolio confessionale, non meno importante sarebbe che gli esponenti politici britannici — intendo sia quelli del partito al Governo che quelli dell'opposizione — prendessero personale contatto con te. Le simpatie laburiste per i movimenti socialisti in Italia non nascono soltanto da una comunanza di ideologie che esiste forse più sulla carta che nella sostanza, bensì anche da una frequenza di contatti personali. Sarebbe bene ad ogni effetto che tra gli uomini politici inglesi l'Italia fosse veduta attraverso la persona del più alto esponente del suo più grande partito, attraverso la persona di chi da cinque anni ne presiede il Governo.

Ciò mi appare tanto più utile in quanto, nonostante i nostri sforzi, molte delle passate incomprensioni fra gli inglesi e noi sono nate dal diverso peso che reciprocamente attribuivano agli stessi problemi: così, ad esempio, mentre noi sostenendo la tesi dell'indipendenza per le nostre ex colonie avevamo di mira la tutela dei nostri interessi e delle nostre posizioni morali in quei territori, gli inglesi (ed anche i francesi) vedevano quasi esclusivamente le ripercussioni che il trionfo di tale tesi avrebbe sul mondo arabo e su altri loro possedimenti coloniali. E così via.

Dalla più stretta intesa con l'Inghilterra abbiamo tutto da guadagnare appunto perché dalla buona volontà inglese dipendono molte delle cose che a noi stanno a cuore e che per noi hanno una importanza fondamentale (se non altro per le loro ripercussioni politiche interne), mentre per gli inglesi esse sono relativamente secondarie.

Consentimi ora un cenno sommario ai punti specifici sollevati nella tua lettera.

Sulla questione delle materie prime ci stiamo battendo: sinora Londra non ci ha detto di no per alcuna delle cose per le quali Washington ci ha detto di sì; ed ha accettato la nostra inclusione in quattro dei sei comitati verticali. Per il Territori Libero, come sai, nulla vi è di variato.

Per la leale attuazione delle decisioni dell'O.N.U. su Eritrea e Libia non ho dubbio alcuno: le intenzioni al centro sono ottime, sempre che eguale lealtà sia dimostrata da parte nostra. Me lo ha confermato anche Matienzo dopo i colloqui che ha avuto qui. È da Londra che le istruzioni vanno alla periferia, dove indubbiamente vi è ancora qualche funzionario che deve «aggiornarsi»: e tanto più ferme esse saranno quanto più stretta sia l'intesa al più alto livello. Alla Cirenaica abbiamo ufficialmente rinunciato (come al Fezzan): sono convinto che, in un futuro forse anche prossimo, potremo tornare a penetrarvi economicamente; ma purché per ora non diamo l'impressione di pensarci in alcun modo. Così come sono certo che in Tripolitania (dove è stata riconosciuta l'importanza dei nostri interessi economici), anche la nostra influenza politica si potrà ben presto sviluppare con tanta maggiore efficienza quanto meno cercheremo di metterla avanti prima ancora dell'effettiva formazione del nuovo Stato.

L'incontro di Santa Margherita è il secondo che abbiamo coi francesi; ed è il suggello di una collaborazione che ha qualche anno di vita. Quello con gli inglesi dovrà essere il punto di partenza per estendere anche al campo politico quella cooperazione che nel campo economico ha già raggiunto i più promettenti risultati. L'intesa fra Stati Uniti e Gran Bretagna sulle questioni fondamentali, e specialmente sulla difesa europea, è così completa e salda che ogni rafforzamento dei legami italo-britannici non potrà non avere favorevoli ripercussioni a Washington dove si è anche molto sensibili al problema della sicurezza nel Mediterraneo.

Tu sai con quale animo attendo la tua venuta a Londra e le conversazioni che dopo vari anni potremo avere su quanto mi sta più a cuore.

232 1 Vedi D. 213.

1

PROCESSO VERBALE SEGRETO1 . Santa Margherita Ligure, 13 febbraio 1951, ore 10,20.

Le Président De Gasperi2 ouvre la séance à 10 heures 20 et remercie le Président Pleven et le Président Schuman d'être venus à cette rencontre. Il se félicite du tour d'horizon qui a été fait au cours de la réunion privée de la veille et qui a confirmé l'identité des vues franco-italiennes sur les questions essentielles de la politique et de l'économie.

Mais cette identité de vue a rencontré quelques obstacles: les vicissitudes de l'Union douanière, certaines difficultés d'ajustement du plan Schuman, la complication des problèmes internationaux sur lesquels il n'a pas toujours été possible de synchroniser les attitudes françaises et italiennes ...

C'est pourquoi les conversations qui ont commencé sont nécessaires et aboutiront, espère M. de Gasperi, à l'élimination de ces difficultés.

M. Pleven remercie le Président de Gasperi et le Comte Sforza de leur accueil, il se félicite également du tour d'horizon initial et exprime le voeu que la Conférence aboutira à des résultats substantiels.

M. Schuman suggère qu'il soit rédigé un procès verbal à l'usage interne et un communiqué destiné à la presse.

UNION DOUANIÈRE.

Les deux Délégations constatent avec satisfaction la remarquable expansion des échanges commerciaux entre la France et l'Italie depuis quatre ans. Ces progrès sont

2 Per l'apertura della seduta De Gasperi aveva di suo pugno scritto il seguente testo: «Aprendo questa seduta plenaria, ripeto qui al presidente Pleven l'espressione della nostra viva riconoscenza per aver preso l'iniziativa di questa riunione.

L'iniziale giro d'orizzonte che abbiamo fatto ieri ci ha riconfermato nell'opinione che una più intensa e possibilmente sistematica cooperazione franco-italiana è necessaria per faire face aux mêmes responsabilités et aux mêmes ou analoghe difficoltà politiche ed economiche. La Repubblica italiana si governa secondo i principi della libertà, della giustizia sociale e della cooperazione internazionale ed è logico ch'essa si trovi sullo stesso fronte di difesa dell'Occidente, in cui si trova la democrazia francese che ha seminato nella storia tanti germi di libertà e di sviluppo della dignità umana.

Mais les vicissitudes de l'union douanière, [parola indecifrabile] initiatives du Ct. Sforza, certaines difficultés d'ajustement pour le Plan Schuman dont nous avons ici l'honneur d'hospiter l'auteur illustre,les complications dei problemi internazionali nei quali non fu sempre possibile sincronizzare i nostri atteggiamenti rischiavano di vuotare di contenuto pratico il nostro impegno di cooperazione reciproca.

Noi dobbiamo dunque un particolare ringraziamento ai nostri collaboratori, specie agli ambasciatori, e ai nostri alti funzionari che con diligente preparazione, hanno ripassato in rassegna tutti i problemi particolari, di cui s'intessono i rapporti politici ed economici fra le nostre due nazioni e ci portano qui i risultati positivi del loro esame».

dûs, dans une large mesure, au projet d'union douanière qui a stimulé les efforts des deux Gouvernements, des Administrations et des milieux économiques, en vue d'une coopération toujours plus étroite.

La Délégation française indique qui le traité se trouve soumis à l'approbation du Parlement français, mais étant donné qu'il s'agit d'un acte particulièrement important, le Gouvernement français estime qu'en raison de la proximité des éléctions, sa ratification doit être laissée à la prochaine législature. La Délégation italienne comprend cette préoccupation.

Toutefois les deux Gouvernements feront en sorte que l'esprit et les buts du traité ne soient pas perdus de vue par les Administrations des deux pays, dans tous les services et à tous les échelons. Ainsi, en attendant le moment où les deux Gouvernements seront en mesure de traduire sur le plan juridique toutes les conséquences de l'Union, les relations entre les deux pays seront réglées par le fait qu'ils se trouvent dans une situation de «préunion», en vertu de laquelle ils doivent rechercher constamment les occasions de développer leur coopération économique et de s'assurer mutuellement tous les avantages compatibles avec leurs engagements internationaux.

Cette collaboration entre les deux pays doit se manifester à la fois par une harmonisation de leurs politiques économiques, de leur production en vue de l'exécution du programme de réarmement, de leur lutte contre l'inflation et la hausse des matières premières et par l'établissement de consultations entre eux sur les questions économiques.

POLITIQUE ÉCONOMIQUE CONCERTÉE.

Les deux Délégations estiment qu'il est souhaitable de maintenir et de renforcer la plus large collaboration dans les réunions et conférences internationales et de concerter, autant que possible au préalable, leur attitude. Il devra en être ainsi en particulier dans le domaine de la politique commune d'intégration européenne qu'ils s'efforceront de faire aboutir, notamment en concertant l'action définie dans les plans soumis à l'O.E.C.E. par MM. Pella, Petsche et Stikker.

Une consultation préalable devra avoir lieu chaque fois que l'un des deux pays sera amené à présenter un projet concernant les problèmes qui pourraient affecter les intérêts économiques de l'autre.

CONSÉQUENCES D'ORDRE ÉCONOMIQUE DU RÉARMEMENT ET COLLABORATION DANS CE DOMAINE.

Les deux Gouvernements sont pleinement d'accord sur l'intérêt d'une action concertée en matière de réarmement afin, d'une part, d'utiliser au maximum les possibilités de production existant dans les deux pays et, d'autre part, de lutter contre l'inflation et, d'une manière générale, contre la hausse des prix des produits, des services et des frets maritimes.

En ce qui concerne la production:

1) les deux pays échangeront des informations, soit par l'entremise de leurs Ambassades respectives, soit par contact direct entre les services intéressés, soit par l'envoi de missions de techniciens, sur les possibilités de production non utilisées existant chez chacun d'eux, ainsi que sur les besoins de chacun d'eux en produits et services;

2) les représentants des deux Gouvernements auprès du Comité de Production du Pacte Atlantique examineront les commandes pour lesquelles une répartition de la production entre les deux pays, ou une division des éléments à fabriquer peut être la plus efficace;

3) la Commission Mixte franco-italienne pour les Affaires Economiques veillera à l'exécution des décisions de l'organisation du Pacte Atlantique, et déterminera en particulier:

a) les travaux à façon qui pourront être exécutés dans un pays pour le compte de l'autre, afin d'éviter des reconversions, d'augmenter la production ou de la spécialiser;

b) les modalités selon lesquelles la capacité de production et de travail existant en excédent sans l'un ou l'autre pays pourra être utilisée avec la plus grande efficacité;

c) les arrangements directs qui pourront être amorcés ou favorisés en vue de coordonner la production, en particulier en matière de constructions navales, aéronautiques, ainsi que dans l'industrie mécanique, électrique, etc.

PLAN SCHUMAN.

a) Minerai de l'Afrique du Nord.

Les deux Délégations prennent acte avec satisfaction de l'accord intervenu en date de ce jour entre les Gouvernement français et italien au sujet de l'approvisionnement de la sidérurgie italienne en minerais en provenance de l'Afrique du Nord. La Délégation française précise que si le Gouvernement italien en exprime le désir, le Gouvernement français lui fournira toutes explications qui seraient à sa disposition, concernant le prix de vente de ces minerais.

La Délégation italienne fait connaître ses préoccupations pour le cas où la création d'installations sidérurgiques en Algérie viendrait a être décidée, en raison de la concurrence qu'une telle industrie risquerait de faire à la sidérurgie italienne qui se trouverait désarmée.

La Délégation française a indiqué que le projet de création d'une industrie sidérurgique en Algérie n'a jamais été examiné que sous l'angle de la défense nationale et qu'il est peu probable que les prix de revient d'une telle industrie seraient compétitifs. Toutefois elle a déclaré que le Gouvernement français serait prêt, dans cette éventualité, à se concerter préalablement avec le Gouvernement italien pour étudier quels seraient les meilleurs moyens, dans le cadre du pool charbon-acier, d'assurer les mesures de protection nécessaires.

b) Problèmes institutionnels.

Les problèmes d'ordre institutionnel ayant été soulevés par la Délégation italienne, la Délégation française a été amenée à indiquer que dans son ésprit l'un des éléments dont il devrait être tenu compte pour la constitution de l'Assemblée devra être l'importance relative de la population des pays membres.

Autografo di De Gasperi del D. 228.

MATIÈRES PREMIÈRES.

La Délégation italienne a exprimé ses remerciements à la Délégation française pour l'appui qui a été apporté par la France en faisant admettre l'Italie dans un grand nombre de comités de produits rares qui viennent d'être créés a Washington.

Les Gouvernements français et italien, qui ont non seulement le désir de recevoir des allocations de produits rares indispensables, mais encore la volonté de limiter les ravages que provoquerait dans leurs économies une hausse injustifiée du prix de ces produits, entendent marquer clairement leur intention d'obtenir rapidement une solution favorable de ce problème capital. A cet effet ils s'attacheront à renforcer le pouvoir réel du groupe central et pour cette raison le Gouvernement français pense que la composition de celui-ci devra si possible demeurer restreinte. Cependant le Gouvernement français, au cas où le groupe central devrait être élargi et comprendre un autre pays européen, déclare qu'il soutiendra la candidature de l'Italie.

Les deux Délégations, qui se sont trouvées d'accord pour affirmer leur totale solidarité dans ce domaine, ont décidé que, dans les Comités verticaux, les représentants des deux Gouvernements concerteront leur action. Dans le cas où le Gouvernement italien ne serait pas représenté, soit au Groupe central, soit dans un Comité vertical, le Délégué français se tiendrait en étroit contact avec la personne qui serait désignée à cet effet par le Gouvernement italien et défendrait, le cas échéant, le point de vue de l'Italie.

Au cas où la répartition de certaines matières premières devrait être effectuée par l'O.E.C.E., la politique de confiante collaboration qui existe entre les représentations italienne et française à cet organisme, devra être maintenue et accentuée.

Chacun des deux pays, dans la ligne de sa politique générale et en tenant compte de ses obligations internationales dans ce domaine, s'efforcera de fournir à l'autre les matières premières qu'il détient et en tout cas à ne pas réduire les courants commerciaux normaux existant entre eux.

EMIGRATION.

En abordant le problème de l'émigration, M. Schuman indique qu'il reconnaît que ce problème est important non seulement pour l'Italie mais également pour la France. Le Gouvernement français est désireux d'apporter son concours en facilitant dans toute la mesure du possible l'émigration italienne aussi bien dans le domaine agricole que dans le domaine industriel et pour la métropole aussi bien que pour certains des territoires d'outremer. Il attache un intérêt particulier à ce que l'émigration puisse être réalisée sous une forme familiale. En ce qui concerne la métropole, des obstacles existent et notamment les difficultés de logement, mais précisément ces difficultés pourraient être résolues par un effort commun. L'Italie possède des spécialistes du bâtiment réputés dans le monde entier. Ne serait-il pas possible d'examiner un plan de constructions dans certaines régions qui, pour des raisons objectives, seraient plus aptes à recevoir de la main d'oeuvre italienne?

Ces constructions, qui pourraient être réalisées aussi bien dans le secteur agricole come dans le secteur industriel, contribuiraient à résoudre les difficultés de logement des français. Il importe en effet d'éviter certaines critiques qui se produiraient si, à la suite d'un effort de construction réservé aux seuls immigrants italiens, ceux-ci se trouvaient à bénéficier de conditions supérieures à celles de la population. Les formules à trouver doivent associer les intérêts français et italiens.

Le Ministre précise qu'il s'agit encore à ce stade d'une simple suggestion, mais qu'il souhaiterait qu'une étude très rapide de ce genre intervînt, prévoyant un effort commun, même dans le domaine du financement. Une rencontre spéciale franco-italienne pourrait avoir lieu d'ici quelques semaines. Si les différentes études faites jusqu'ici sur le plan administratif ont surtout montré les difficultés, il existe pas moins

— selon l'opinion du Ministre — d'appréciables possibilités en France.

En ce qui concerne les territoires d'outremer, les résultats de la mission qui a été envoyée à Madagascar ont été décevants, et l'expert italien qui en faisait partie en a convenu.

Pour l'immédiat il n'est pas possible de prévoir que l'implantation d'un nombre très restreint de familles. Pour une implantation plus importante, il faudrait entreprendre des travaux d'envergure, qui exigeraient des capitaux considérables, mais nécessiteraient l'emploi d'une main d'oeuvre italienne et auraient pour résultat d'ouvrir pour l'avenir des perspectives plus larges. L'étude du problème de Madagascar sera activement poursuivie.

A la demande du Président Pleven, quelques précisions ont été fournies par la délégation italienne au sujet des possibilités de recrutement d'ouvriers spécialisés dans les secteurs de la metallurgie, du bâtiment, de l'artisanat agricole, possibilités qui apparaissent très larges.

M. Pleven a mis en évidence les avantages qui s'attacheraient à la constitution d'un organisme franco-italien destiné à favoriser, sur le plan tant général qu'individuel, la réalisation de l'émigration dans les secteurs particulièrement utiles à l'économie française. La collaboration d'oeuvres privées présentant toutes garanties morales pourrait également être précieuse.

Les Présidents Pleven et Schuman ont rappelé que tous les agents français dans les organismes internationaux ont reçu instruction de donner leur appui à toute solution propre à faciliter le règlement de l'émigration italienne, le problème du chômage européen, et surtout italien, intéressant directement la France. Ils prient leurs collègues italiens de leur faire part des manquements dont ils pourraient avoir connaissance à ce sujet. Des instructions du même ordre seront adressées à tous les représentants français à l'étranger. Le Gouvernement français fera tout son possible pour venir en aide à l'Italie dans le domaine de l'émigration, tant sur le plan international que dans la France métropolitaine et d'outremer.

Le Président De Gasperi remercie les représentants français de l'intérêt qu'ils portent à la solution positive d'un problème qui a une telle importance pour l'Italie. De son côté, le Ministre Sforza déclare d'une façon formelle que l'Italie envisage la solution des problèmes posés par son surplus de population dans un esprit de collaboration internationale, dépourvu de toute forme de nationalisme. Il est entendu que rien dans la législation ni dans la tradition démocratique italienne ne limite la liberté de l'émigrant italien de s'insérer dans la communauté française.

Le Président Schuman, en prenant acte de cette déclaration, précise que la France laissera toute liberté aux nouveaux immigrants.

Du côté italien, on déclare que l'Italie est très reconnaissante au Gouvernement français pour avoir pris l'initiative de porter sur le plan politique le plus élevé, à la Conférence des Trois de Londres du mois de mai 1950, les problèmes de l'émigration, ainsi que pour l'aide dont le Gouvernement français a assuré l'Italie sur le plan international, notamment au Comité Tripartite des Migrations européennes. En outre, le Gouvernement italien déclare accepter les suggestions françaises.

On n'exclut pas — du côté italien — la possibilité que des exploitants agricoles puissent émigrer en France avec des moyens destinés à faciliter le démarrage de leurs exploitations.

Enfin, la Délégation italienne tient à appeler l'attention du Gouvernement français sur l'intérêt qu'elle attacherait à ce qu'un effort d'information fût fait vis-à-vis de l'opinion publique française, notamment en province, et sur l'opportunité de régler certains problèmes de détail intéressant les émigrants italiens.

En conclusion, il est décidé que la suggestion de M. Schuman concernant un plan de constructions sera immédiatement mise à l'étude de part et d'autre et que, dans le plus bref délai possible un Comité d'experts français et italiens se réunira pour mettre au point ce projet, ainsi que pour étudier, sur le plan général, l'ensemble des problèmes posés par l'émigration italienne.

EXAMEN DE LA PROPOSITION ITALIENNE DE CONSULTATIONS PRÉALABLES SUR LES QUE STIONS POLITIQUES.

M. De Gasperi constate que l'on s'est mis d'accord pour prévoir des consultations préalables à toutes conférences économiques; il estime que ces consultations devraient s'étendre également aux conférences politiques.

M. Schuman l'admet. Par exemple, dit-il, je considérais comme normal et utile qu'avant la Conférence à Quatre, nous sachions vos idées et vous connaissiez les nôtres, en ce qui concerne notamment le problème allemand ou la Yougoslavie.

Mais il ne voit pas le nécessité de créer un organe spécial, la voie diplomatique normale lui paraissant suffisante, sauf à provoquer des rencontres spéciales dans certaines circonstances.

Il ne voit pas d'inconvénients à ce que l'on inscrive cette décision dans le Procès Verbal mais il préférerait qu'elle ne figure pas dans le communiqué, afin de ne pas heurter certaines susceptibilités.

M. De Gasperi l'admet mais il souhaiterait tout de même que le communiqué parle au moins d'un échange d'informations préalable aux conférences politiques. Il propose:

— -que le procès verbal prevoie des consultations préalables aux conférences économiques et politique; — -que le communiqué parle de consultations avant les conférences économiques;

— que le communiqué parle d'échanges d'informations et de contact avant

les conférences politiques. Il en est décidé ainsi.

QUESTIONS DIVERSES.

A) Questions de gouvernement.

1) Italiens détenus en France pour faits de collaboration.

La Délégation italienne, demande que les mesures de grâce et de mise en liberté provisoire prévues par la loi française d'amnistie soient appliquées le plus largement possible aux italiens détenus en France et en Afrique du Nord pour faits de collaboration.

M. Pleven fait remarquer que le droit de grâce appartient exclusivement au Président de la République, mais qu'il demandera au Président d'examiner les cas signalés par l'Ambassade d'Italie dans un esprit de bienveillance, mais qu'il est possible que dans certains cas la mesure de grâce doive s'accompagner du rapatriement.

2) Mont Blanc.

Répondant à la demande de la Délégation italienne, la Délégation française précise les conditions dans lesquelles le Gouvernement français envisage le financement de la participation française à l'entreprise du percement du Tunnel sous le Mont Blanc; elle exclut que les fonds puissent être fournis directement par l'Etat, qui serait disposé toutefois à donner une garantie d'intérêt à des capitaux fournis par des groupes privés ou des collectivités locales.

La Délégation française s'engage à faire savoir au Gouvernement italien aussi

rapidement que possible, si les capitaux en question ont pu être trouvés.

3) Chemin de fer Coni-Ventimille.

Les deux Délégations sont d'accord pour faire étudier par les administrations

compétentes ces deux pays l'éventualité du rétablissement de la ligne en question,

compte tenu de l'intérêt qu'y attachent les populations locales.

4) Danube Save Adriatique.

Le Gouvernement français souligne l'intérêt qui s'attache, aussi bien pour la situation des épargneants français que, pour l'élimination de tous litiges anciens entre le deux pays, à ce que le Gouvernement italien reprenne ses versements pour le servi-ce des obligations Danube Save Adriatique, tant au titre de l'arriéré que des annuités courantes.

Le Gouvernement italien rappelle les difficultés qui se sont opposées jusqu'à présent à la réunion de la Conférence prévue pour la révision de l'accord de Rome. Il se déclare cependant disposé, sans attendre cette révision, à effectuer par anticipation des versements provisionnels minime, qui seront ajustés rétroactivement dans un sens ou dans l'autre le jour où un nouvel accord interviendra entre tous les Gouvernements intéressés.

Afin de déterminer les sommes à verser ainsi par le Gouvernement italien, il est entendu que les représentants du Gouvernement italien (Ministère des Affaires Etrangères et Ministère du Trésor) et de la Compagnie se réuniront à Paris dans la seconde quinzaine du mois de mars avec les représentants du Gouvernement français et du Comité des obligatoires.

5) Confiscation des profits illicites. La Délégation italienne signale que l'application de la législation française sur les profits illicites a conduit parfois, à l'égard de certains ressortissants italiens, à des

conséquences peu fondées en équité qui ne semblent pas conformes à l'esprit même de cette législation. Elle demande si le Gouvernement français peut envisager une révision de ces décisions.

La Délégation française indique que la règlementation française a été récemment modifiée et que le Ministre des Finances a maintenant le pouvoir de transiger sur les pénalités encourues. En revanche il n'existe aucune possibilité analogue pour le principal même de l'impôt, qui avait un simple caractère fiscal.

Il est entendu que les services compétents fourniront à l'Ambassade d'Italie à Paris tout précisions sur les voies qui s'offrent ainsi aux intéressés pour solliciter la remise partielle des montants qui leur ont été réclamés.

B) Questions frontalières.

Les deux délégation décident de donner des instructions aux autorités locales pourqu'elles accélèrent la conclusion des questions suivantes:

a) facilités de circulation (ex.: Briançon, Oul, Modane-Route Coni Breil-Ventimille);

b) pâturages de Realdo;

c) eau de la vallée de la Roya.

C) Questions à soumettre à la Commission de Conciliation.

Les deux Délégations sont d'accord pour admettre immédiatement à une commission de conciliation franco-italienne, au moyen d'un compromis spécial, les affaires suivantes:

a) sort des biens des communes frontalières italiennes et françaises en application du Traité de Paix;

b) Hospice du Petit Saint Bernard;

c) Jardin de la Chanousia;

d) cargaisons neutres remises à l'Italie, en vertu de la Convention franco-italienne du 14 Août 1941.

D) Les deux Délégation sont d'accord pour hâter la conclusion

de la convention consulaire;

de la convention d'établissement;

de la convention sur les obligations militaires en cas de double nationalité,

pour hâter l'examen, par la Commission mixte prévue par l'accord culturel franco-italien, de la question des droits de traduction en Italie des ouvrages français et pour faciliter de toute manière les échanges de jeunesse estudiantine, ouvrière et rurale.

E) Chemin de fer de Djibouti.

La question, sur l'intérêt de laquelle l'attention de la délégation italienne a été attirée, sera reprise après l'examen que se résèrve d'en faire personnellement M. Schuman.

F) Centrale électrique du Mont Cenis.

La Délégation italienne ayant exprimé le vif désir qu'a le Gouvernement italien de voir régler cette question, la Délégation française a admis la nécessité de parvenir sur ce point à une coopération effective. En vue d'aboutir à une solution satisfaisante de part et d'autre, 1'examen en cours de la question sera poursuivi.

233 1 Si pubblicano qui i processi verbali delle due sedute del giorno 13 ed il comunicato per la stampa. Per la seduta del 12 pomeriggio non fu redatto alcun verbale mentre quella del 14 mattina venne interamente dedicata alla stesura del comunicato finale.

11

PROCESSO VERBALE SEGRETO. Santa Margherita Ligure, 13 febbraio 1951, ore 16,30.

La séance de l'après midi du 13 est ouverte à 16h.30 sous la présidence de Monsieur De Gasperi.

1) Conseil de l'Europe.

Il a été reconnu que rien ne doit être négligé pour renforcer les liens existant entre les pays européens qui se trouvent déjà rassemblés au Conseil de l'Europe. Les quatre Ministres ont été catégoriques à cet égard en soulignant que le développement de l'idée européenne et ses progrès sur le plan des réalisations pratiques seraient gravement affectés par un échec du Conseil. Tout en admettant que les travaux actuellement accomplis par le Comité des hauts fonctionnaires en vue de modifier le statut présentaient de l'intérêt, ils ont avant tout insisté sur certains aspects du problème, de nature à frapper plus particulièrement une opinion publique qui tendrait à se désintéresser des activités des organismes de Strasbourg, si ceux-ci s'en tenaient à des délibérations plus ou moins stériles.

Il a été déclaré notamment qu'il importerait de mettre l'assemblée de Strasbourg à même d'être véritablement, à l'avenir, un organe de consultation pour toutes les questions revêtant un aspect européen. Au lieu d'être seulement l'Assemblée consultative du Conseil au sens strict du terme, comme elle l'a été jusqu'à maintenant, elle deviendrait l'Assemblée consultative des pays de l'Europe et serait ainsi appelée; par exemple, à émettre des avis sur les accords qui grouperaient tel ou tel d'entre eux, Monsieur Schuman a indiqué qu'il serait prêt, pour sa part, à accepter que l'Assemblée fût obligatoirement consultée en ce qui concerne la France, si d'autres Etats prenaient un engagement analogue. Au cours de la discussion le projet de M. La Malfa a été évoqué.

Dans un ordre d'idées voisin, il a été indiqué qu'il convenait de retenir comme particulièrement intéressante l'une des recommandations de l'Assemblée concernant la possibilité pour celle-ci de saisir directement de ses suggestions et de ses propositions les différents Parlements nationaux.

Mention a été faite, d'autre part, des Compagnies européennes et de l'opportunité de définir leur statut. Monsieur Schuman a rappelé que le Gouvernement français avait, il y a un an, manifesté, par une communication adressée au Secrétariat Général du Conseil de l'Europe, l'intérêt spécial qu'il portait à cette question. Des études étaient en cours à Strasbourg; il importait de les accélérer et d'aboutir. Il s'agirait essentiellement, dans des domaines d'ailleurs très variés, d'accorder aux Compagnies envisagées un régime leur permettant d'échapper aux conditions particulières et aux fluctuations eventuelles des législations nationales. Monsieur De Gasperi a souligné, à ce moment, que le problème de l'utilisation de la main-d'oeuvre était un de ceux qui devraient retenir, en premier lieu, l'attention.

Il a été reconnu également que parmi les possibilités qui s'offraient aux pays européens d'intensifier leurs relations et de construire progressivement l'Europe sur des bases nouvelles il convenait de réserver une place de choix à la méthode consistant dans la création d'Autorités spécialisées d'un caractère supra-national. Un premier exemple était fourni par le projet concernant le charbon et l'acier qui était en voie d'achévement. Dans d'autres domaines, tel que celui de la défense avec la constitution d'une armée européenne, les transports, l'agriculture, l'électricité, un effort analogue allait être tenté. Il y avait donc lieu de prévoir que, dans un délai plus ou moins rapproché un certain nombre d'Autorités spécialisées existeraient côte à côte, en relation avec le Conseil de l'Europe et sur lesquelles de dernier s'appuierait. L'important est que les Autorités, par leur juxtaposition même, puissent transformer la structure de l'Europe, des liens exceptionnellement étroits sans précédents dans l'histoire des peuples, s'établissant entre les Etats membres. Le Conseil de l'Europe luimême serait appelé à bénéficier d'une telle situation. Monsieur Schuman a précisé, sur ce point, que le projet de traité sur le charbon et l'acier prévoyait des dispositions sur les relations du Conseil et de la future Autorité. Par cette voie indirecte, la coopération européenne s'affirmerait, en progressant d'étape en étape et en liant ceux des états qui sont plus particulièrement soucieux de trouver, pour résoudre les difficultés des présentes, des formules nouvelles.

Il a donc été convenu que les études devraient porter essentiellement dans l'avenir immédiat, sur trois ordres de questions, développement du rôle consultatif de l'Assemblée de Strasbourg; élaboration du statut des Compagnies européennes; création d'Autorités spécialisées en liaison avec le Conseil de l'Europe.

2) Armée européenne.

Monsieur Schuman expose le point de vue français sur la proposition de création d'une armée européenne.

Il s'agit, dans l'esprit du Gouvernement français, de créer une armée qui soit à la disposition d'une autorité européenne, laquelle aurait à veiller à son organisation et à son entretien. Les dépenses afférentes seraient couvertes par un budget commun. La conférence qui doit s'ouvrir à Paris le 15 février a pour objet d'étudier dans le détail les dispositions pratiques qui permettront la mise sur pied de cette armée européenne.

Le Ministre Français des Affaires Etrangères souligne que, seule, la création d'une armée européenne permettra de résoudre la question du réarmement de l'Allemagne. Etant donné, en effet, qu'il ne peut être question de créer une armée nationale allemande et que, d'autre part, l'Allemagne ne pourrait accepter de participer à la défense de l'Europe dans des conditions discriminatoires, il est nécessaire de prévoir une telle armée européenne qui lui permettrait de participer sur un pied d'égalité aux tâches communes.

Monsieur Schuman a notamment fait remarquer que la constitution d'une armée européenne n'était nullement contradictoire avec le Pacte Atlantique. Bien au contraire, l'armée européenne serait un des éléments de la force atlantique. Elle serait placés sous le commandement du Général Eisenhower.

Monsieur De Gasperi a indiqué que, en tout état de cause, il convenait de donner priorité à l'organisation de la défense dans le cadre du Pacte Atlantique qui a trouvé son expression dans la force intégrée et que l'organisation de cette défense était une tâche particulièrement urgente.

Monsieur Schuman s'est déclaré entièrement d'accord avec le point de vue du Président du Conseil Italien.

De part et d'autre, on a estimé qu'il serait souhaitable que, en principe, les deux pays puissent manifester leur coopération à la Conférence de Paris. Monsieur De Gasperi a toutefois souligné que le Gouvernement italien n'était pas encore au courant des projets français qui seront présentés à la Conférence. Monsieur Schuman a observé qu'aucune disposition de détail n'avait encore été communiquée et qu'il convenait de laisser à la conférence le soin de dégager les solutions possibles.

Répondant à une observation de De Gasperi, Monsieur Schuman a indiqué que l'accord et l'appui américain étaient indispensables à la constitution de l'armée européenne. Il a fait remarquer à ce sujet qu'un observateur américain suivrait les travaux de la conférence et que les projets élaborés seraient soumis au général Eisenhower.

3) Libye.

M. Schuman a brièvement indiqué les raisons pour lesquelles la constitution d'un Etat Fédéral en Libye est souhaitable.

A cet égard, il a souligné que les pouvoir de l'Autorité Centrale devraient être strictement limités à trois domaines: la défense en cas de guerre, les affaires étrangères et la monnaie, celle-ci devant être émise par une banque à la quelle l'Angleterre, la France et l'Italie fourniraient les moyens nécessaires.

Schuman a demandé si, dans ces conditions, le Gouvernement italien croyait pouvoir inviter son représentant au Conseil des Dix à s'entendre avec son collègue français sur une attitude commune.

Du coté italien il a été précisé que le Gouvernement italien, soucieux de sauvegarder les intérêts des Italiens en Tripolitaine et compte tenu des préférences manifestées par la majorité des populations locales, est disposé à favoriser un système fédératif qui permette une autonomie régionale même très large. Le Gouvernement italien donnera en harmonie avec l'accord des deux Gouvernements sur les principes ci-dessus exposés.

On a cependant fait remarquer l'intérêt qu'il y a à parvenir à ce résultat tout en ménageant certaines susceptibilités des Etats Arabes.

De même, on s'est déclaré d'accord sur le projet concernant la création en Libye d'un institut d'émission qui devrait être créé avec la participation anglaise, française et italienne.

Enfin, M. Schuman a déclaré que le Gouvernement français s'efforcerait de faciliter les contacts entre le Comité de Coordination et le Gouvernement italien.

4) Trieste.

Monsieur De Gasperi, après avoir souligné le caractère très délicat du problème de Trieste et l'importance qu'y attache l'opinion italienne, a demandé si le Gouvernement français, notamment dans le cas où la question serait évoquée à la Conférence des Quatre, serait disposé à réaffirmer la déclaration du 20 mars 1948.

Monsieur Schuman a répondu que le Gouvernement français restait fidèle à la déclaration du 20 mars et qu'il ne se refuserait pas à le rappeler. Ceci dit, il a fait remarquer que le problème de Trieste ne serait discuté à la Conférence des Quatre que si l'U.R.S.S. en demandait formellement l'inscription à l'ordre du jour. Le Gouvernement français, en particulier, n'accepterait pas que l'affaire de Trieste fût évoquée à propos du problème autrichien.

En tout état de cause, si la question de Trieste devait être discutée à la Conférence des Quatre, le Gouvernement français en informerait le Gouvernement italien en vue de consultations préalables.

En remerciant la Délégation française de sa déclaration, le Gouvernement italien tient à souligner que l'établissement de rapports féconds entre l'Italie et la Yougoslavie est une des données de sa politique extérieure.

5) Admission de l'Italie a l'O.N.U.

Le Président du Conseil italien a tout d'abord rappelé les dispositions de l'accord de Potsdam et du traité de paix avec l'Italie par lesquelles les puissances Alliées se sont engagées à admettre l'Italie aux Nations Unies. Monsieur De Gasperi se demande si, dans ces conditions, cette question ne pourrait pas être évoquée à la prochaine Conférence des Quatre, en tant que relevant de l'accord de Potsdam.

Il a d'autre part souligné que l'exclusion de l'Italie était inadmissible à tous points de vue. Il à également souligné la nécessité de ne pas perpétuer, au sein de l'O.N.U., certaines discriminations, étant donné que l'O.N.U. est par essence une organisation universelle. C'est pourquoi le Gouvernement italien saisit cette occasion pour demander au Gouvernement français, si l'occasion s'en présente, de soulever à nouveau la question de l'admission de l'Italie.

Monsieur Schuman a répondu qu'il ne pensait pas que la question serait évoquée à la Conférence des Quatre. Mais il a très fermement marqué que le problème de l'entrée de l'Italie à l'O.N.U. était, pour le Gouvernement français, une question non seulement de justice, mais d'intérêt et qu'il allait de soi que le Gouvernement français ne laisserait passer aucune occasion d'obtenir une solution favorable.

Monsieur Pleven a fait observer que, dans le cas où la question de l'admission chinoise viendrait à se poser en liaison avec l'affaire de Corée, il serait indispensable de réexaminer les autres candidatures non encore acceptées, notamment celle de l'Italie.

6) Coopérations des deux gouvernements dans le domaine de la sécurité intérieure.

Les deux Gouvernements sont d'accord pour coopérer dans ce domaine en organisant un échange permanent d'informations.

7) Dommages de guerre français en Libye.

Répondant à une question de la Délégation Française, la Délégation Italienne a indiqué que cette question était en cours de règlement dans des conditions satisfaisantes.

8) Yougoslavie.

Il a été convenu que les représentants des deux pays au Conseil des suppléants du Pacte Atlantique se tiendraient en contact au sujet du problème yougoslave, le Gouvernement italien portant lui-même le plus grand intérêt à la défense de l'indépendance yougoslave.

En outre, le Gouvernement français consent volontiers à fournir au Gouvernement italien des informations sur le problème yougoslave, dans le cas où celui-ci viendrait à être discuté en d'autres occasions.

9) Transfert de Londres à Paris des organismes du Pacte Atlantique.

La Délégation italienne a déclaré que le Gouvernement italien était tout à fait d'accord pour que ce transfert ait lieu.

10) Prochaine Conférence des Quatre.

Les Ministres français et italiens ont procédé à un échange de vues sur les problèmes qui pourraient être évoqués à la prochaine Conférence à Quatre, notamment la question allemande et le problème des états satellites.

111.

COMUNICATO3 . Santa Margherita Ligure, 14 febbraio 1951.

I presidenti del Consiglio ed i ministri degli affari esteri d'Italia e di Francia si sono incontrati a Santa Margherita Ligure il 12, 13 e 14 febbraio, per esaminare i problemi di interesse comune per i due paesi. È questa dopo il marzo 1948 la terza Conferenza tra i ministri degli affari esteri italiano e francese, ai quali, questa volta, si sono uniti i presidenti del Consiglio. Questi incontri, che sono destinati a rinnovarsi per il futuro, dimostrano con il loro ripetersi l'intenzione dei due paesi di coordinare periodicamente la loro politica nel quadro europeo ed atlantico.

Continuando l'opera incominciata con le Conferenze di Torino e di Cannes4, le cui conclusioni conservano per essi tutto il loro valore, i ministri hanno passato in rivista le principali questioni internazionali e lo stato dei rapporti italo-francesi.

In primo luogo hanno constatato che lo stato del mondo esige, da parte delle nazioni occidentali, ed in particolare dei paesi membri del Patto atlantico, la salda risoluzione di mantenere una intima solidarietà, al fine di sventare ogni manovra tendente a disgregare l'unità atlantica. Convinti che per questa via soltanto potrà essere salvaguardata la pace, il cui mantenimento è obiettivo comune loro e dei loro alleati, hanno convenuto di adoperarsi a risolvere di comune accordo i problemi che si porranno nel quadro del Patto atlantico per l'organizzazione della difesa comune e per il riarmo comune che essi intendono perseguire con la massima energia.

Per quanto concerne l'esercito europeo i ministri hanno constatato il considerevole interesse presentato dalla Conferenza che sta per iniziarsi su tale argomento a Parigi. Senza ritardare l'applicazione delle misure previste per l'organizzazione della difesa nel quadro del Patto atlantico, la felice conclusione di tale Conferenza sarà una nuova tappa importante per l'organizzazione dell'Europa.

La realizzazione dell'Europa, nella quale la Germania democratica troverà il suo posto, costituisce infatti, nel pensiero dei ministri, uno degli obiettivi essenziali e una delle direttive costanti della politica dei due Governi, che vedono in essa il mezzo più sicuro per garantire la pace ed il progresso economico e sociale con l'elevazione del livello di vita delle popolazioni. Essi hanno sottolineato che il Consiglio d'Europa non deve esitare a intraprendere nuove vie. Essi lavoreranno insieme per edificare progressivamente l'Europa particolarmente grazie alla creazione di autorità specializzate nei diversi campi: carbone e acciaio, agricoltura, trasporti, elettricità, ecc.

I ministri sono stati unanimi nell'augurare che l'Italia, la quale ha tutti i requisiti previsti dallo Statuto dell'O.N.U. sia ammessa alla Organizzazione delle Nazioni Unite al più presto possibile, affinché le sia assicurato un posto che è giustificato tanto dal contributo che essa ha dato durante secoli alla civiltà occidentale, quanto dalla efficace assistenza che essa presta in tutti i campi all'opera comune.

Essi si sono reciprocamente comunicati i loro punti di vista sulle questioni che potranno porsi nel corso della prossima Conferenza dei quattro ministri degli affari esteri.

A conclusione di questo esame delle questioni generali i ministri hanno riconosciuto la necessità per i due Governi di rimanere in contatto per mezzo di scambi di informazioni e di periodiche consultazioni.

Passando alle questioni più particolarmente italo-francesi i ministri hanno constatato che il progetto di Unione doganale tra l'Italia e la Francia, seppure non è stato ancora approvato dai Parlamenti, ha già portato ad un notevole sviluppo degli scambi commerciali tra i due paesi. Il commercio tra l'Unione francese e l'Italia dal 1947 al 1950 è salito da 13 a 147 miliardi di lire con profitto di entrambe le nazioni. Ad esempio per quanto concerne lo zolfo, così importante per la viticoltura francese, la Francia che ne aveva ricevuto 26 mila tonnellate dall'Italia dal 1950, ne riceverà 60 mila nel 1951. D'altra parte le relazioni tra le diverse categorie professionali si sono estese in misura considerevole.

Secondo il parere dei ministri, questa collaborazione tra i due paesi deve manifestarsi ad un tempo con una armonizzazione della loro politica economica, della esecuzione dei programmi di riarmo, della loro lotta contro la inflazione e l'aumento dei prezzi e con la istituzione di continuate consultazioni tra di essi sulle questioni economiche.

Per quanto concerne le materie prime, essi hanno sottolineato in maniera del tutto particolare la loro comune premura che l'organizzazione internazionale delle materie prime, la quale è in corso di attuazione, entri in azione nel più breve termine e sia dotata dei poteri necessari per assicurare una equa ripartizione di tali prodotti tra tutti i paesi interessati e per ricondurre i prezzi ad un livello ragionevole.

Avendo passato in rassegna la politica dell'O.E.C.E. hanno convenuto di perseguire la loro stretta cooperazione per attuare i progetti che tendono alla creazione di più vasti mercati.

I ministri hanno esaminato i problemi posti dalla firma prossima del piano Schuman. In tale occasione hanno preso atto con soddisfazione della conclusione nel corso della Conferenza di un accordo tra i due Governi per la fornitura di minerali di ferro africano alla siderurgia italiana.

Essi hanno esaminato un certo numero di questioni particolari, tra cui quelle che interessano le popolazioni di frontiera, ed hanno deciso di dare istruzioni alle amministrazioni interessate di accelerarne la soluzione. Hanno deciso che, trascorso un certo termine tali questioni saranno sottoposte alla procedura di conciliazione, in tutti i casi in cui tale ricorso è possibile. Hanno parimenti deciso di sollecitare la conclusione delle convenzioni generali (quali la convenzione di stabilimento, la convenzione consolare, ecc.) in corso di discussione.

Il problema dell'emigrazione italiana è stato esaminato. I ministri francesi, consci della sua importanza e dell'interesse che la sua soluzione presenta ugualmente per la Francia, si sono dichiarati pronti a facilitare tale soluzione, in tutta la misura del possibile, sul piano internazionale, e a studiare le possibilità di regolarlo esistenti nel territorio metropolitano e nell'Unione francese. Essi hanno presentato a tale proposito dei suggerimenti concreti in vista di istituire una collaborazione permanente ed organica; tali suggerimenti saranno sottoposti prossimamente allo studio di esperti italiani e francesi.

Infine i ministri hanno preso atto con soddisfazione dei risultati positivi della recente riunione, tenutasi a Parigi, della Commissione mista istituita dall'Accordo culturale italo-francese e degli importanti progressi nello sviluppo degli scambi intellettuali e artistici tra i due paesi. Essi hanno il fermo proposito di sviluppare gli scambi tra le gioventù studentesche, operaie e agricole delle due nazioni.

L'atmosfera di cordialità e di fiducia che ha regnato nel corso della Conferenza ha fornito una nuova prova del fatto che gli ideali dei due popoli non possono ormai essere soddisfatti che da una leale azione comune al servizio della democrazia, della libertà e della pace.

233 3 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 7, p. 122. 4 Vedi rispettivamente serie decima, vol. VII, D. 390 e serie undicesima, vol. I, D. 768.

234

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'ONOREVOLE TAVIANI, A PARIGI

T. 961 . Roma, 15 febbraio 1951, ore 10,30.

Ieri è stato firmato l'accordo concernente minerale del Nord-Africa da cedere all'Italia. Per corriere ne invio testo2. In processo verbale firmato dal presidente del Consiglio sono contenuti altri accenni a piano Schuman per quanto concerne garanzia prezzo equo, eventuali nuovi impianti nel Nord Africa. Invio mio estratto2 .

235

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BRUSASCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO 01125. Roma, 15 febbraio 1951.

Ho ricevuto stamane, accompagnato dall'ambasciatore Dunn, il sottosegretario di Stato Perkins, il quale, dopo aver premesso che riteneva utile metterci al corrente sulla sua recente visita a Belgrado, ha subito esplicitamente dichiarato che mai, nelle sue conversazioni colà, era stato fatto il nome di Trieste e che quindi non era mai venuta in discussione, anche indiretta, la questione relativa.

L'ho ringraziato vivamente di ciò, non nascondendogli che eravamo a questo proposito piuttosto preoccupati, soprattutto dopo alcune recenti informazioni ricevute dal nostro ambasciatore a Washington.

Il signor Perkins mi ha detto di aver constatato come a Belgrado l'atteggiamento sia generalmente incoraggiante e di relativa fiducia per il futuro, ma che non si può avere alcun dubbio sul fatto che si tratta di un regime comunista e che tale intende rimanere, anche se non di obbedienza moscovita.

2 Non pubblicato.

Gli ho chiesto se ritenga che ora il comunismo jugoslavo sia compatto intorno a Tito o se — come si crede da noi — vi siano ancora larghe ed influenti correnti cominformiste.

Il signor Perkins mi ha risposto di essersi trattenuto troppo poco tempo in Jugoslavia per poter rispondere a tale domanda: ha soggiunto di poter comunque affermare che, anche se intorno a Tito si trovano tuttora vari «dottrinari» comunisti, questi sono ormai già tanto «titoisti» che, essendo la frattura con Mosca molto profonda, anche un'eventuale scomparsa di Tito non potrà riportare automaticamente il Governo jugoslavo all'obbedienza a Mosca.

Ho fatto presente al signor Perkins come da parte nostra ci si preoccupi sempre che sorgano in Jugoslava complicazioni prima che sia preparata la nostra organizzazione difensiva, affinché non abbia a verificarsi che forze russe o di Stati satelliti vengano a premere sui nostri confini orientali e su Trieste.

A questo punto è entrato nella conversazione l'ambasciatore Dunn per dire che gli Stati Uniti apprezzano molto gli sforzi fatti dall'Italia per sistemare e migliorare i rapporti economici e commerciali con la Jugoslavia e il signor Perkins ha aggiunto che il suo Governo si augura che tutti i paesi d'Europa si convinceranno della necessità che la Jugoslava deve essere aiutata.

L'ho assicurato che da parte nostra si farà tutto il possibile affinché il miglioramento di rapporti economici e commerciali costituisca solida base per un miglioramento di quelli politici.

Dopo aver ricordato al signor Perkins il recente episodio dei due deputati comunisti italiani dimissionari del partito, gli ho detto che, dalle informazioni che si hanno in proposito, è lecito aspettarne notevoli sviluppi con conseguenze di larga portata per la solidarietà e la compattezza dell'organizzazione comunista in Italia.

Ho aggiunto che il movimento deviazionista potrà essere da noi aiutato quanto più toglieremo dalle mani del P.C.I. l'arma della disoccupazione e se potremo evitare di imporre al nostro popolo delle limitazioni che esso non possa tollerare.

Ho chiesto alla fine al signor Perkins se potevo concludere, da quanto egli mi aveva detto, che — quale conseguenza del suo viaggio a Belgrado — non vi saranno cambiamenti nella politica americana verso la Jugoslavia. Mi ha risposto di non essere in grado di dire quali siano gli sviluppi recenti della situazione, dato che è assente da Washington da circa tre settimane ma di ritenere che non vi sarà alcuna modificazione nella politica finora seguita.

L'ambasciatore Dunn ha precisato che la politica degli Stati Uniti e dell'Italia verso Belgrado sono sullo stesso piano e il signor Perkins, concludendo, ha tenuto a ripetere che si è recato a Belgrado senza alcun compito specifico e senza particolari istruzioni, effettuando un viaggio di studi e di orientamento in Jugoslavia, ritenuto utile ed opportuno dato che già si trovava a Parigi e a Francoforte.

234 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Parigi.

236

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 15 febbraio 1951.

Ho visto Perkins. L'ho messo in massima al corrente dei risultati della Conferenza di Santa Margherita1. Aveva già letto con Dunn il comunicato ed entrambi se ne sono mostrati molto soddisfatti. Ho promesso a Dunn maggiori dettagli.

Perkins, reduce da Belgrado, mi ha detto di non aver parlato con Tito di Trieste. Né Tito gliene parlò. Il suo viaggio aveva il solo scopo di rendersi conto della situazione jugoslava, della necessità jugoslava di aiuti e della disposizione di Tito a chiederli e a valersene secondo le aspettative occidentali.

Per quanto riguarda Trieste l'ho informato che nel corso della Conferenza di Santa Margherita i francesi hanno riconfermato la validità della Dichiarazione tripartita2 assicurandoci che l'avrebbero fatta valere qualora da parte sovietica tale questione dovesse venire sollevata nella Conferenza dei quattro ministri degli esteri. Gli ho esposto il punto di vista italiano, come il presidente del Consiglio lo ha esposto a Pleven ed a Schuman, ossia che se anche si dovesse addivenire da parte nostra ad intese con la Jugoslavia ed a qualche concessione, è sempre dalla base della Dichiarazione tripartita che si deve partire e che pertanto chiediamo alle tre potenze di mantenere ferma tale Dichiarazione.

Per quanto si riferisce alla situazione jugoslava ho chiesto a Perkins quale impressione egli avesse ricevuto circa il desiderio e l'interesse di Tito di schierarsi troppo apertamente con l'Occidente. Perkins mi ha risposto che questo argomento era stato quello più discusso nei suoi colloqui di Belgrado. Egli si rende conto, da molti punti di vista, dell'interesse jugoslavo (sottolineatogli da Tito) a non rischiare di precipitare la situazione con una troppo palese ed immediata collusione con l'Occidente. Egli condivide in parte tale preoccupazione; tuttavia deve tener conto della reazione del Congresso, il quale troverebbe difficoltà a fornire aiuti ad un paese il cui atteggiamento, almeno per l'uomo della strada, rimane, sia pure apparentemente, indeciso.

Convincente gli è parsa un'argomentazione di Tito secondo cui la Jugoslavia deve cercare di mantenere integra la sua posizione di Stato comunista indipendente per facilitare i movimenti comunisti nazionalisti che stanno sorgendo in altri paesi occidentali (vedi l'Italia) e che, secondo lui esistono anche negli Stati satelliti.

Meno convincente gli è parso l'argomento di Tito secondo cui egli non potrebbe sino da ora prendere un atteggiamento troppo apertamente occidentale anche per riflessi di politica interna jugoslava.

Nel complesso mi sembra che le osservazioni fatte a Perkins a Belgrado dovrebbero confortare la tesi da noi sostenuta nel Consiglio dei supplenti e cioè che sia utile aiutare il più possibile l'attuale regime jugoslavo a mantenersi al potere, ma che convenga nel contempo agire con prudenza nel promuovere un palese e definitivo schieramento del N.A.T.O. a fianco della Jugoslavia.

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

236 1 Vedi D. 233.

237

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 1229/47. Roma, 16 febbraio 1951, ore 16.

Per tuo orientamento ed in relazione tua lettera personale del 12 febbraio1, desiderio tu sappia che a Santa Margherita francesi ci hanno confermato loro piena fedeltà Dichiarazione tripartita per Territorio Libero assicurandoci che, ove questione dovesse venir sollevata da U.R.S.S. in Conferenza a Quattro, atteggiamento Francia sarebbe conseguente con Dichiarazione suddetta. Da parte nostra è stato dichiarato che tanto più ci sarà possibile qualche concessione in vista accordo diretto quanto più la Dichiarazione tripartita apparirà ferma. Nel che francesi hanno convenuto.

238

IL MINSTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA. Roma, 16 febbraio 1951.

Rispondo privatamente al tuo rapporto del 6 febbraio1 per metterti con maggiore semplicità al corrente di tutto.

Come sai, il presidente del Consiglio temeva una non felice interpretazione francese. Si è perciò che abbiamo profittato dell'incontro di Santa Margherita per far cenno ai due colleghi francesi del gentile invito al presidente del Consiglio e a me2; hanno promesso il più stretto segreto e condiviso la opportunità che si annunzi la cosa a una certa distanza dalla visita francese.

Con Mallet io non rifiutai; dissi solo che mi domandavo se era opportuno venissi perché la mia presenza poteva accentuare un sospetto di negoziato che era preferibile evitare. Gli dissi che gli darei al più presto una risposta definitiva. De Gasperi insiste perché io venga; ma io penso ancora che la mia prima impressione è esatta. Il «che si dirà» ha sempre avuto per me poca importanza.

P.S.: Dopo dettato questa lettera De Gasperi insistette di nuovo perché venga; personalmente lo farei con piacere; restano gli scrupoli precedenti. Tieni aperta la cosa; ti fisserò3 .

2 Vedi D. 228.

3 Con T. s.n.d. 2082/105 del 19 febbraio Gallarati Scotti rispondeva: «Ho ricevuto la tua lettera del 16 corrente che si è incrociata con la mia della stessa data [non rinvenuta]. Oso insistere sull'opportunità tua venuta con presidente del Consiglio. Strang oggi stesso nel confermarmi quanto Attlee apprezzerebbe la tua venuta mi ha sottolineato l'importanza che il Foreign Office attribuisce alla tua presenza».

237 1 Non rinvenuto.

238 1 Vedi D. 225.

239

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., MASCIA

T. 1264/24. Roma, 17 febbraio 1951, ore 19,30.

In mancanza passo americano preannunciato da S.V. con suoi 66 e 671 abbiamo preso noi iniziativa con questa ambasciata Stati Uniti pregandola intervenire presso Dipartimento Stato. Abbiamo chiesto che rappresentante americano in Consiglio tutela si adoperi perché nostra richiesta non sia lasciata cadere e si trovi modo mantenere aperta questione2 .

240

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 164/101. Roma, 17 febbraio 19511 .

Ieri, facendo al sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità la consueta visita del venerdì, ho creduto dovergli parlare della pastorale del card. Schuster, attenendomi alla versione fornitami dall'Ansa delle frasi riguardanti la disoccupazione ed il riarmo. Mons. Montini ha mostrato di accettare senza riserve la stessa versione ed averla per esatta.

Gli dissi in sostanza che, assai più di quanto il card. Schuster aveva espresso, destavano rincrescimento ed inquietudine le illazioni che ne traevano gli elementi di estrema sinistra e gli ingenui di ogni partito: illazioni certo ben diverse da quanto possiamo supporre fossero le intenzioni del cardinale. In altre parole: egli si era espresso, su argomenti così delicati e complessi, in un modo così semplicistico e sommario da indurre gli ignari a credere, e i furbi a fingere di credere:

primo, ch'egli movesse al Governo l'accusa di essere responsabile della piaga della disoccupazione, perché non vuole o non sa adottare i provvedimenti che la sopprimerebbero:

secondo, ch'egli rimproverasse al Governo di riarmare, anziché occuparsi del miglioramento delle condizioni di vita delle classi disagiate;

terzo, che, stante le condizioni disagiate del popolo, la politica di riarmo è inutile, quindi errata;

2 Con T. 2271/79 del 24 febbraio, Mascia comunicò l'approvazione della risoluzione argentina di deferire all'Assemblea generale dell'O.N.U. il problema della piena partecipazione dell'Italia al Consiglio di tutela.

quarto, ch'egli ritenga che le masse disoccupate agirebbero in certe contingenze, in funzione rivoluzionaria. Opinione, questa (aggiunsi) che, detta in quel modo e pubblicamente, diventa per molti un vero suggerimento.

Sull'ingiustizia e sulla illogicità di queste tesi dissi poi quanto era sufficiente parlando con un interlocutore così a giorno delle cose com'è mons. Montini. Più particolarmente mi trattenni sulla questione del riarmo: provvedimento a cui il Governo era venuto, come tutti sanno, perché parte necessaria, integrale, di una politica di difesa comune del mondo occidentale, contro nemici, dei quali non auguravo al cardinale di sperimentare l'odio e la violenza, se mai avessero a prevalere.

Mons. Montini si dichiarò in tutto e per tutto d'accordo con le mie parole. I passi in questione del card. Schuster avevano destato in Vaticano, appena conosciuti, una penosa impressione. I commenti delle sinistre, finora noti, bastavano a dimostrarne l'imprudenza e l'inopportunità. Addusse tuttavia, a scusa del cardinale il suo carattere impulsivo, l'assillo delle richieste di aiuti che letteralmente lo sommergono, la preoccupazione per le accuse che si muovono alla Chiesa, ecc.

Per concludere, gli manifestai la speranza che la Santa Sede, nel suo stesso interesse e in quello della religione, avrebbe provveduto a dare all'alto clero qualche direttiva di massima e qualche illuminazione di particolari: sicché più non si rinnovassero questi esempi di ecclesiastici, vuoi di secondo, vuoi di primissimo piano, che possono sembrare quasi volersi creare degli alibi, anziché assumersi la loro congrua parte delle difficoltà odierne.

Importa soprattutto ricordare che ogni frase di una lettera o di una omelia, se formulata in modo troppo tagliente, può essere staccata da un contesto, che magari l'addolcisce, e servita come sentenza a sé stante. Questo abuso, se pure indipendente dalla volontà di chi scrisse o disse il brano incriminato, non ne scusa l'imprudenza.

Mons. Montini mi fece intendere che al card. Schuster saranno fatte pervenire opportune osservazioni.

Non avendo avuto, per la strettezza del tempo, istruzioni formali, non sono andato oltre. Non ho tuttavia creduto di lasciar passare questa occasione della consueta visita del venerdì al sostituto, senza esprimermi subito su un fatto, che può veramente dirsi di qualche gravità; mentre il parlarne nel corso di una visita di tabella, toglieva al mio discorso il carattere marcato di un passo speciale.

239 1 Del 13 febbraio, non pubblicati.

240 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

241

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2069/50. Mosca, 19 febbraio 1951, ore 22,15 (perv. ore 23,30).

Nota verbale alleata che viene oggi consegnata a Vyshinsky1 comincia negare che il problema germanico sia causa esclusiva o principale attuale tensione la quale trova sua radice in politica post-bellica sovietica e nel grande squilibrio armamento sovietico da una parte e delle nazioni libere dall'altra che costrinse queste ultime ristabilire situazione rimediando loro stato di inferiorità. Dopo tale premessa nota considera che ogni riunione dovrà proporsi discutere di questa vera causa tensione mondiale ed aggiunge che avendo U.R.S.S. consentito trattare altre questioni oltre quella germanica ed inoltre attirato attenzione su quella degli armamenti, potenze occidentali considerato che esse non si oppongono alla redazione in incontro preliminare di una agenda comprendente cause tensione europea includendo esistente livello armamento, problema relativo Germania, trattato Austria ed altre eventuali. Nota conclude che se U.R.S.S. aderisce a tali basi riunione sostituiti potrebbe avvenire Parigi 5 marzo salvo poi convocare riunione dei ministri esteri quattro Stati a Wa shington nel caso sostituti trovino base mutualmente accettabile per tal riunione. Nota mi sembra ottimamente concepita per evitare insieme con accusa nuove dilazioni nonché equivoci su ampio campo discussioni. Essa accentua giustamente tema essenziale armamenti generali ossia anzitutto armamenti sovietici. Poiché essa non fa cenno accordo Potsdam né procedura in questo prevista potrebbe darsi che sovietici trovassero in ciò un grave ostacolo ma in tal caso essi dovrebbero assumersi iniziativa responsabilità rifiutare negoziati il che mi sembra difficile.

242

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2090/193. Washington, 19 febbraio 1951, ore 20,40 (perv. ore 7,30 del 20). Mio 1891.

Prime reazioni Dipartimento Stato a lettera Lodge (giuntagli inaspettata) possono cosi riassumersi:

242 1 Pari data, informava dell'invio ad Acheson della lettera del senatore Lodge qui commentata.

Governo americano concorda su constatazioni contenute in documento e principalmente seguenti:

a) U.R.S.S. ha violato trattati pace con Italia per mancata ammissione O.N.U. e con satelliti riarmandoli oltre limiti previsti;

b) considerare Italia come eventuale aggressore è assurdo;

c) limitazioni trattato riducono contributo potenziale Italia a difesa atlantica;

d) situazione sopradescritta è oggetto studio Dipartimento Stato.

Risposte a richieste giornalisti nonché forse a Lodge stesso daranno probabilmente atto di queste verità, ma saranno assai riservate circa seguito della questione.

Confidenzialmente Dipartimento aggiunge:

1) per quanto concerne forze terrestri questione è e sarà per qualche tempo accademica;

2) per quanto concerne riflessi politici e psicologici nonché produzione bellica, addestramento, forze aereonavali, ecc, questione potrebbe essere considerata attuale;

3) tuttavia denuncia clausole militari da parte potenze occidentali appare, attualmente, impossibile perché costituirebbe precedente gravissimo e perché Francia Gran Bretagna temerebbero reazioni sovietiche (al riguardo Dipartimento ha citato esempio difficoltà sollevate da U.R.S.S. in base a trattati alleanza con detti due paesi);

4) per tale motivo non (dico non) vi è stata finora consultazione con altri firmatari trattato e questione è studiata solo nell'ambito Dipartimento soprattutto nei suoi aspetti giuridici (clausola rebus sic stantibus, ecc.);

5) non è escluso che lettera Lodge offra Francia Gran Bretagna spunto per sondare Stati Uniti.

Ho prospettato Dipartimento ovvie considerazioni politiche ed ho raccomandato che Governo italiano sia tenuto pienamente al corrente sviluppo studi. Segue rapporto2 .

241 1 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 8, pp. 141-142.

243

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. SEGRETO 22/00499. Roma, 19 febbraio 1951.

Coll'annunciato ritorno in Europa del generale Eisenhower entreranno in una fase concreta i vari problemi relativi alla organizzazione dell'Esercito atlantico e tra questi anche quello della costituzione dello Stato Maggiore del comandante supremo. È evidente il nostro interesse ad avere in tale Stato Maggiore una posizione adeguata, come sono altresì evidenti i riflessi di ordine politico di una nostra eventuale esclusione. Non deve quindi ripetersi il caso dello «Standing Group». Contiamo dunque sull'azione dei nostri amici francesi e la prego di voler tempestivamente prendere con essi a tal fine contatto.

242 2 Vedi D. 254.

244

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 22/500. Roma, 19 febbraio 1951.

Le trasmetto copia di una lettera che il collega Pacciardi ha inviato al generale Marshall il 17 u.s. circa la partecipazione italiana allo Stato Maggiore del gen. Eisenhower.

La prego di adoperarsi costì col maggiore impegno nel senso indicato nella lettera stessa. La cosa ha per noi una importanza, anche politica, che certo non le sfuggirà.

ALLEGATO

IL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI, AL MINISTRO DELLA DIFESA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, MARSHALL

L. 100338/5. Roma, 17 febbraio 1951.

General Gruenther has informed our General Staff that Italy will not be suitably represented in General Eisenhower's General Staff.

According to my informations this would consist of a Commander, of Deputy-Commanders and of Assistants.

We would like to be represented among the Assistants. Not even this would be granted to us.

Our Minister of the Foreign Affairs will move the proper steps towards the State Department, but I allow myself to beg you, directly, to reconsider the question.

Objectively, I do not see any reason for such a sign of diffidence towards an Allied Nation which is endeavouring in every way to rebuild its Armed Forces and to make them available for the mutual cause.

Further more, I do not see even what advantage could come to the Allies from a decision which would have a very strong demoralizing effect on the Italian Nation and on her Armed Forces: Italy may not remain under the sensation of being a second rank Ally.

I am writing to you with the approval of the Prime Minister and in full agreement with the Minister of Foreign Affairs, and I beg you to accept, also on their behalf, the expression of the highest consideration.

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A GEDDA, TURCATO

T. 1329/9. Roma, 20 febbraio 1951, ore 15.

Suo 111 .

Ambasciatore Prunas su nostre istruzioni ha nuovamente insistito per stabilimento rapporti diplomatici con sottosegretario degli esteri yemenita di passaggio a Cairo. Cadi El Amri ha fatto presente che scambio rappresentanti diplomatici con Italia era stato già risolto in via di principio favorevolmente ma per ragioni di economia Governo yemenita doveva per ora limitare apertura sue rappresentanze ad Inghilterra e Stati Uniti salvo procedere in un secondo tempo ad apertura rappresentanze presso altri paesi.

Stando così le cose non avremmo difficoltà ad accreditare nostro inviato a Taiz anche senza reciprocità, come avvenuto con codesto Governo.

Comunicazione del genere, ove V.S. lo ritenesse opportuno, potrebbe essere fatta da Casali in occasione suo prossimo viaggio2 .

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 1332/55 (Londra) 64 (Washington). Roma, 20 febbraio 1951, ore 15.

(Per tutti) Con rapporto giunto stamani Carrobio informa avere osservato a Airey che taluni nuovi atteggiamenti del Governo alleato contrastano coi solenni anche recentemente confermati richiami alla Dichiarazione tripartita1. Opinione triestina allarmata dalla questione bandiera sulle navi, stemmi alabarda sostituenti improvvisamente gli italiani sulle rivendite, ecc.

Nella foga della polemica Airey s'è lasciato sfuggire che la Dichiarazione tripartita non era un impegno ma una promessa di trattare con Russia.

Carrobio ammette che Airey ha potuto sentirsi offeso da certe violenze verbali in pubbliche discussioni in Trieste ma trova che sarebbe stato gravissimo se la reazione del generale andasse fino a proporre, come risulterebbe, un appello all'O.N.U.

perché riconosca ufficialmente sovranità anglo-americana sulla Zona A. Vi sono supposizioni che ciò sia avvenuto.

È bene si sappia immediatamente costì che nessun Governo resisterebbe in Italia ove ciò si verificasse.

(Per Washington) Si informi se di tale passo sia giunta notizia costì e in tal caso esprima netto pensiero Governo della Repubblica2 .

245 1 Del 18 febbraio, con il quale Turcato chiedeva l'autorizzazione ad insistere per l'apertura di un nostro ufficio diplomatico a Taiz anche solo nella forma di incaricatura d'affari ad interim. 2 Vedi D. 367. 246 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

247

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2115/109. Londra, 20 febbraio 1951, ore 21,18 (perv. ore 5 del 21).

A seguito mio ultimo colloquio con Strang in cui avevo insistito su questione Dichiarazione tripartita (mio 62)1 Foreign Office mi ha oggi comunicato sua risposta. Punto di vista britannico è che questione Territorio Libero Trieste non deve essere in alcun modo connessa con trattato Austria: connessione più volta sostenuta da Mosca non è che un pretesto dilatorio come tanti altri. Governo inglese mantiene Dichiarazione tripartita e considera che eventuale diversa soluzione possa nascere solo da accordo fra due principali interessati cioè Italia e Jugoslavia. Qualora questione dovesse essere sollevata da U.R.S.S. in futura Conferenza a quattro atteggiamento inglese sarebbe conforme quanto sopraesposto2 .

2 Con T. s.n.d. per telefono 2161/114 del 21 febbraio Gallarati Scotti, rispondendo al D. 246, aggiunse: «Capo dipartimento politico competente Foreign Office ha riconfermato assicurazioni di cui a mio 109 circa Dichiarazione tripartita ad atteggiamento inglese in eventuale Conferenza a quattro. Ha manifestato poi completo stupore circa intenzioni attribuite ad Airey da voci che egli ha definito assolutamente fantasiose».

246 2 Con T. s.n.d. 2171/202 del 21 febbraio Tarchiani rispose:«Segnalazione di cui a suo 64 non (dico non) trova conferma presso Dipartimento Stato. Questo, pure escludendo che generale Airey possa nutrire seria intenzione richiedere da O.N.U. conferma cessazione sovranità italiana su Territorio Libero, ha ricordato che richiesta del genere potrebbe avvenire soltanto attraverso Governi inglese ed americano ed ha dichiarato che non (dico non) approverebbe siffatta iniziativa». Per la risposta di Gallarati Scotti vedi D. 247, nota 2.

247 1 Del 29 gennaio, non pubblicato.

248

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 769/247. Il Cairo, 20 febbraio 1951 (perv. il 22).

La conferenza anglo-americana di Malta; le grandi manovre del Mediterraneo; la visita del generale Robertson; la conferenza in corso ad Istanbul, hanno riproposto il problema della difesa del Medio Oriente, sin qui relativamente negletto, anche per la buona ragione che non si può fare tutto e tutto insieme.

I termini del problema sono relativamente semplici. Si tratta in sostanza di tamponare il vuoto strategico mediorientale. Tutti sanno poi che le riserve di idrocarburi del Medio Oriente rappresentano il 40% delle riserve mondiali di petrolio. E che sono per giunta vulnerabili: cioè a qualche ora di volo dalle basi sovietiche armene, come del resto quelle sovietiche a qualche ora di volo dalle basi aeree britanniche di Giordania e di Iraq. Le difese mediorientali salvo il bastione turco, del resto aggirabile, sono per ora inesistenti. Si tratta dunque di cominciare ad organizzarle e in quei modi e forme che possono dare maggiori garanzie di solidità.

È tuttavia chiaro che per organizzare codesta difesa e per organizzarla seriamente non bastano gli esperti militari, bensì occorre porre in ordine la disordinatissima casa mediorientale, pacificare i contrasti, ottundere la rivalità, infondervi insomma quel minimo di unità morale e politica senza la quale anche i bastioni più solidi non reggono o reggono male.

2. Sino ad ora, il lato più specificamente militare del problema è stato, come dicevo, negletto. Si è, soprattutto da parte americana, insistito sino a ieri piuttosto sulla preventiva necessità di assistenza economica, elevazione delle masse, aumento del tenore di vita ecc. come rimedi destinati a battere in breccia il comunismo meglio di qualunque altro farmaco e a consentire quindi la costruzione di quegli argini militari che resterebbero altrimenti campati in aria o su basi mobili e malsicure.

Si pone invece, oggi, l'accento sui mezzi più propriamente militari. Gli altri rimedi e formule — finanziare, economiche, sociali — non dico che saranno trascurate, ma esaminate in diretta funzione dell'obbiettivo principale che è quello della difesa.

Gli esperti sono concordi, a quanto pare, nel ritenere non essere possibile difendere il Medio Oriente mediante linee stabili, continue e fisse, bensì, e soltanto, mediante l'organizzazione di centri di difesa in località e zone prescelte. Si ritorna cioè, o par si ritorni, alle vecchie formule del Lawrence che appunto sosteneva la necessità di avere sottomano in quelle regioni formazioni di truppe d'elite, appoggiate dall'arma aerea. Concezione che fu poi ripresa e riesposta, in termini più aggiornati, dal maresciallo Montgomery nel 1946.

Si tratta dunque di localizzare le basi che dovranno costituire l'ossatura di codesta organizzazione.

3. Non credo affatto che Gran Bretagna e Stati Uniti — che sono le sole potenze che hanno qui, in queste regioni e dal punto di vista militare, voce in capitolo — vedano cotesto problema con gli stessi occhi. Vi è certo fra i due antagonismo, che naturalmente va inteso cum grano salis, ma che affiora appena si parli amichevolmente con un qualunque rappresentante britannico o americano nel Medio Oriente (l'ambasciatore Caffery mi diceva ier l'altro di avere da tempo rinunziato a capire che diavolo gli inglesi effettivamente vogliano nel Medio Oriente). Sicché, dicevo, è molto probabile che americani e inglesi concepiscano il problema della difesa mediorientale in termini differenti e che si lavori in questi giorni appunto per giungere a un accordo fra i due che ponga in piedi un programma e piano comuni o una divisione di compiti e di zone, o qualunque altro sistema che valga a coinvolgere le due forze in una stessa direzione e verso lo stesso obbiettivo.

Ciò che mi pare possa dirsi con relativa approssimazione a questo proposito è che Washington escluda almeno per ora l'impiego di forze terresti proprie. Ha già troppi e troppo grossi fastidi per l'impiego di truppe di terra in Europa, perché sia possibile presumere che si lasci andare ad impiegarle nel Medio Oriente.

Insisterà dunque, come di fatti avviene, sulla flotta da una parte, sulle basi aeree, sopra tutto, dell'altra. La dottrina Hoover applicata cioè al Medio Oriente.

Gli stessi esperti pare escludano, almeno allo stato attuale dei fatti e dunque ancora per un bel pezzo, che forze nazionali mediorientali (al di fuori naturalmente della Turchia) possano comunque, disorganizzate e primitive come sono, compiere quella sia pur modesta funzione ritardatrice che pareva sino a poco [tempo fa] assegnate alle scarse e deboli forze europee. Occorrono dunque forze terrestri alleate, piccole o grandi che siano, forze che, non potendo essere americane, non potranno di necessità essere che britanniche.

Ora io non so che cosa precisamente la recente conferenza del Commonwealth abbia deciso in proposito. Non so cioè se Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa abbiano davvero acconsentito all'invito di truppe nel Medio Oriente. Par comunque molto probabile, ed è certamente una grossa carta in mano britannica.

4. Dicevo in principio che, nonostante si sia oggi posto l'accento sul lato militare della questione, non bastano, a risolverla soltanto gli esperti militari, bensì occorre porre in ordine la disordinatissima casa mediorientale. Ed è qui, mi pare, che concezioni inglesi e americane, sopra tutto differiscono. Gli inglesi mirano certo a costruire solidi argini contro la Russia, ma tenendo altresì (mio rapporto n. 258/87 del 16 gennaio u.s.)1, com'è del resto naturale, a conservare le loro posizioni mediorientali, di cui erano sino alla guerra indisturbati padroni o a ricuperare le posizioni perdute anche nei confronti degli americani. Sono, come ognuno vede, dei problemi completamente differenti. Ora sta di fatto che gli sforzi britannici in quest'ultima direzione e senso rischiano di compromettere quelli intesi a raggiungere i maggiori obiettivi difensivi di interesse generale. Le formule e concezioni politiche britanniche nel Medio Oriente impediscono cioè, o meglio, hanno sin qui impedito (l'avvenire è nelle mani di Dio) lo stabilirsi di quel minimo di unità morale e politica, che è una delle condizioni essenziali senza la quale parlare di fronte comune nel Medio Oriente è chiacchiera senza costrutto.

Che cosa ha detto la Lega araba a conclusione della sua ultima sessione al Cairo? In parole povere questo: che gli Stati arabi non sono certo comunisti, né hanno voglia di

diventarlo. Che sono e restano fedeli agli ideali dell'O.N.U. e democratici. Ma che è da escludere che essi possano schierarsi a fianco dell'Occidente e tener fede agli ideali e impegni anzidetti sino a quando le loro aspirazioni nazionali non saranno tenute in calcolo ed accolte. Le parole sono chiare e chiaramente individuabile la potenza cui sono rivolte. Su sette Stati arabi, tre sono legati alla Gran Bretagna — Egitto, Iraq e Giordania

— da trattati ed accordi che assicurano agli inglesi vantaggi prevalenti. Tutti e tre in ordine decrescente — l'Egitto con voce stentorea, la Giordania melliflua — domandano la revisione di quei trattati che incidono ed appunto perché incidono sulla loro indipendenza nazionale. E che cosa d'altro domanda Cipro, che è anch'esso uno dei bastioni della difesa occidentale, oggi, e con la bocca più autorizzata, quella di Venizelos?

Certo, tutti quanti sosteniamo oggi, e gli Stati Uniti più di ogni altro, che codesto atteggiamento dei paese mediorientali rischia di fare il giuoco dei nemici della democrazia; incoraggia l'ondata neutralista che viene giù delle montagne della Persia sino alle coste dell'Oceano Indiano e del Mediterraneo, fa dimenticare che anche le questioni nazionali più delicate debbano cedere il passo dinanzi al pericolo maggiore che li sovrasta. Tutto questo è certamente esatto, specialmente per l'America che vede molte cose in termini di guerra santa. Ma quando tutto ciò sia stato detto ed ammesso, resta tuttavia il fatto che è sovranamente difficile assicurare un qualunque sistema di sicurezza collettiva, quando codesti sistemi possono essere interpretati, e di fatti sono, anche come tentativi di conservazione delle vecchie posizioni britanniche, o, meglio, delle vecchie posizioni imperiali britanniche. Cozzano cioè da una parte contro i nazionalismi che la guerra ha fomentato ed esacerbato e che non vi è ragione alcuna per attendersi che si fermino reverenti dinanzi alle porte britanniche, quando scrollano tutte le altre. Forniscono dal-l'altra agli avversari quella formula coniugata nazionale-proletaria che è in tutta l'Asia il mezzo propagandistico più esplosivo cui mai l'Occidente si sia trovato di fronte.

Può dunque dirsi con relativa certezza che le concezioni politiche britanniche nel Medio Oriente, non solo suscitano le reazioni delle popolazioni che vi abitano, ma pregiudicano appunto perciò il compito maggiore di sistemarle a difesa contro il pericolo più minaccioso e più grosso.

5. L'ambasciatore Peurifoy ha accennato al nostro ambasciatore ad Atene alle possibilità che gli inglesi tendano ad inserire la Grecia nella «zona Eisenhower» e ad assegnare invece alla Turchia compiti essenzialmente mediorientali, soprattutto orientati verso la difesa del Canale di Suez (telespr. n. 22/00402 del 9 febbraio)2. È un disegno di cui si è a un certo momento parlato anche qui. Ma, come molto giustamente nota Alessandrini, dovrei, per quel che so, escludere che la Russia — così decisamente orientata verso l'Europa — si lasci distrarre da compiti che giudica essenziali per confinare la sua azione entro limiti geografici differenti. Credo invece probabile che gli americani, sebbene si rendano perfettamente conto dei molti malanni e guai che la politica britannica nel Medio Oriente porta con sé, finiranno tutto sommato con l'accettarne all'ingrosso, bon grè malgrè i principî essenziali ma persisteranno tuttavia nell'idea di fare della Turchia — e della Grecia con essa — il bastione principale del-l'ala orientale atlantica, sia organizzandovi basi aeree supplementari, sia continuando a rafforzare, attraverso una maggiore assistenza, la struttura militare ed economica.

2482 Non pubblicato.

Che possano poi decidersi a includere i due paesi nell'orbita occidentale, sia ammettendoli nel Patto atlantico, sia dando, soprattutto alla Turchia, quelle assicurazioni più impegnative e formali che essa chiede da tempo, mi pare, per il momento, ancor dubbio. Quello che può dirsi con certezza è che i turchi continueranno a premere su quel tasto con ogni energia e che certo non si accontenteranno del rôle di portaerei cui, a quanto pare, gli americani vorrebbero soprattutto confinarli. Ciò che si è detto per la Turchia vale, a maggior ragione, per l'Egitto, nonostante che la sua eventuale inclusione nel Patto atlantico potrebbe certo giovare alla soluzione del contrasto con la Gran Bretagna. Un'intesa politica fra i paesi mediterranei — come mi pare che l'ambasciatore Tarchiani confermi — potrebbe, tutto sommato, suscitare a Washington maggiore interesse. E se McGhee, come si dice, verrà dopo Istanbul al Cairo, non vi ha dubbio che, pur energicamente cercando di persuadere gli egiziani a far passare i problemi nazionali in secondo piano di fronte al comune pericolo, cercherà in pari tempo di esplorare se e quali possibilità di compromesso vi siano per eliminare (anche mediante una qualche forma di sicurezza collettiva) il contrasto Londra-Cairo, che è il principale ostacolo per una franca adesione araba al sistema occidentale, e continuerà a fare del suo meglio per tentare di progressivamente giungere ad un riavvicinamento arabo-israeliano, che è condizione fondamentale per integrare tutto il Medio Oriente in un sistema difensivo omogeneo.

248 1 Vedi D. 166.

249

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI SFORZA

R. RISERVATISSIMO 131/100. Parigi, 20 febbraio 19511 .

Tanto al Comitato dei supplenti quanto al Convegno di Santa Margherita, in relazione all'eventualità di un attacco, sia diretto russo, sia indiretto dei satelliti contro la Jugoslavia, noi abbiamo sostenuta la tesi, del resto giustissima, che non ci dovrebbe essere una reazione N.A.T.O. in quanto tale, ma una reazione O.N.U.

È difficile fare delle previsioni oggi circa la possibilità, o meno, che questa nostra tesi prevalga: ciò dipende, fra l'altro, dalla circostanze in cui questo attacco potrà realizzarsi, circostanze oggi difficilmente estimabili.

Lo scopo di questa direttiva della nostra azione diplomatica è evidente e pienamente giustificato. Premesso questo, ritengo mio dovere segnalare a V.E. — come l'ho fatto personalmente al presidente del Consiglio — che, qualora questo attacco dovesse verificarsi, e qualora, come sembrerebbe sempre più probabile, ci sia una reazione americana, l'azione diplomatica meglio organizzata non servirà a toglierci dai pasticci.

Se gli americani decidono di intervenire, cominceranno coll'inviare le loro truppe a Trieste: in un secondo tempo verranno contingenti dall'Austria e dalla Germa

nia: in un terzo tempo, truppe dagli Stati Uniti. Queste truppe avranno bisogno di transitare per il territorio italiano, l'uso del territorio italiano ci verrà chiesto per l'aviazione strategica americana.

Ammettiamo che riesca quello che noi vogliamo: che l'azione sia decisa dal-l'O.N.U. Giuridicamente la nostra posizione potrebbe sembrare fortissima: noi non siamo membri delle Nazioni Unite, quindi una decisione delle Nazioni Unite non ci lega. Però per fondata che sia questa tesi, in diritto, ritengo più che difficile che noi possiamo farla accettare dagli americani, ed anche da molti dei nostri colleghi in

N.A.T.O. Vorrei vedere, in pratica come noi riusciremmo a fare capire agli americani che, per il fatto di non essere noi membri dell'O.N.U., i rifornimenti per le truppe combattenti in Jugoslavia debbono passare per i porti tedeschi o francesi e non per quelli italiani, e che la loro aviazione deve contentarsi degli scarsi campi di aviazione dell'Austria e di quelli lontani della Germania lasciando in pace i campi di Foggia.

Giuridicamente, ripeto, possiamo avere tutte le buone ragioni del mondo: voglio però vedere la reazione del Congresso e dell'opinione pubblica americana ad una nostra astensione dal conflitto. Sarebbe una crisi gravissima ed irrimediabile nei nostri rapporti coll'America, in tutti i campi. L'opinione pubblica americana non è un tribunale italiano: la logica di chi comanda può in certi casi anche essere illogica, ma questo non toglie che essa resta la sola logica che conta.

Ciò premesso, c'è una domanda che va posta: ci conviene di restarne fuori, visto che, tanto, passivamente, dobbiamo pure esserci?

Qui è in giuoco la questione di Trieste e dintorni. La nostra posizione era assai difficile al trattato di pace, perché ci trovavamo nella posizione del vinto di fronte al vincitore: oggi essa è un po' migliore in quanto siamo, più o meno, sullo stesso piede della Jugoslavia: restiamo sempre però nella situazione di non avere voce diretta in capitolo.

Se l'affare jugoslavo scoppia entro quest'anno, come per la Corea, il problema assillante sarà quello di trovare le truppe: se noi restiamo in posizione passiva, noi vedremo arrivare sul fronte jugoslavo truppe americane, inglesi, certamente francesi, probabilmente anche greche e turche. Siccome alla fine del conflitto, la questione di Trieste si porrà, se non altro perché le truppe di Tito avranno dovuto abbandonare la Zona B per andare alle frontiere, o si saranno rivoltate contro Tito, la nostra assenza dal fronte di combattimento, con una opinione americana che difficilmente apprezzerebbe le ragioni della nostra astensione, quindi irritatissima contro di noi, la questione di Trieste sarebbe risolta come questione fra terzi, con una forte pregiudiziale in nostro sfavore. Ben altra sarebbe evidentemente la nostra posizione se, nel primo momento critico, avessimo offerto, in appoggio all'America, una o due divisioni nostre, quel poco che abbiamo pronto sottomano.

Personalmente non sono tanto pessimista sull'affare jugoslavo: che la Russia si decida ad intervenire in prima persona, ci credo poco: che si decida ad esporre i suoi satelliti alla scossa interna di una guerra, mi sembra dubbio. Se la situazione interna jugoslava è realmente tanto cattiva come si dice, sarei piuttosto propenso a ritenere che i russi intensificheranno la loro azione all'interno, magari nel senso di provocare un movimento addirittura anticomunista: una Jugoslavia borghese sarebbe per lei un male molto minore che una Jugoslavia titista, ma sempre comunista.

Ma, comunque, è una eventualità che non si può escludere: è anzi la più plausibile sul fronte europeo.

Prego V.E. di credermi quando le dico che mi rendo conto di tutte le difficoltà interne nostre che provocherebbe anche la nostra sola partecipazione passiva al conflitto, non parliamo di un nostro intervento militare. Ma è per questo appunto che ritengo assai pericoloso cullarsi nell'illusione che con una azione diplomatica ben condotta noi possiamo cavarci di impaccio. Questo è proprio uno di quei casi, purtroppo frequenti nei tempi presenti, in cui l'abilità diplomatica non serve proprio a niente.

Siccome saetta prevista vien più lenta, è bene quindi che ci prepariamo fin da adesso alle eventualità reali che potrebbero presentarsi: prepariamo la nostra opinione parlamentare, prepariamo la nostra amministrazione a quello che può accadere. E siccome probabilmente la nostra preoccupazione sarà quella di sapere che cosa l'America, o gli altri, intendono fare per contribuire a coprirci da eventuali reazioni russe o satelliti contro di noi, in caso di nostro intervento passivo od attivo, ritengo che sarebbe opportuno che cominciassimo a parlarne a Washington, magari anche a Parigi, su questo tono, fino da adesso, per non essere poi presi alla sprovvista. Se aspettiamo a farlo all'ultimo momento, non potremo sottostare a tutte le pressioni che ci verranno fatte: e non avremo il tempo di mettere niente in chiaro. Per farlo però, bisogna che abbiamo deciso fin da ora che cosa siamo pronti a fare2 .

249 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

250

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 132/101. Parigi, 20 febbraio 1951 (perv. il 22).

Ho letto con molto interesse una serie di rapporti che V.E. mi ha cortesemente inviati in visione, circa il lavorio diplomatico e militare che inglesi, americani e turchi vanno preparando per l'organizzazione e la difesa del Medio Oriente.

Mentre mi riservo di comunicare a V.E. quanto ci diranno i francesi sull'argomento1, ritengo mio dovere sottoporle alcune considerazioni.

Per quello che posso giudicare da qui, condivido l'opinione espressa da Prunas2 , che sarebbe cioè un errore pensare che gli americani hanno abbandonato il settore agli inglesi. Gli inglesi hanno una rete di accordi politici, di basi militari ed aeree che gli americani attualmente non hanno. Ma gli americani hanno anche loro dei grossi interessi, basterebbe menzionare l'Arabia Saudita. E per ingenui che siano gli americani, penso che anche loro si accorgeranno che gli inglesi mirano, sì, ad organizzare la difesa di questa zona contro eventuale attacco russo, ma anche a conservare le loro posi

2 Vedi D. 166.

zioni: e non penso certo che i petrolieri americani non si rendano conto che abbandonare la zona agli inglesi significherebbe anche subordinare agli inglesi gli interessi petroliferi americani. Tutto fa ritenere invece che essi pensino seriamente a difendersi.

Quello che è probabilmente esatto è che gli inglesi hanno, di nuovo, convinto gli americani che, in quella zona, gli unici che possano dare loro un aiuto reale, militare e politico, sono loro, il che è anche vero: che mirano, e fin qui ci sono riusciti, a fare di quella zona un affare riservato anglo-americano, ad esclusione di qualsiasi altro. Ma gli americani restano — lì come altrove e non senza abilità — per trarre da questa situazione di preponderanza americana, il massimo dei vantaggi ed il minimo di danni, per loro.

Quello che è plausibile è che ci sia già un accordo di massima circa l'impiego delle forze: è possibile che ci sia una intesa, piuttosto che un accordo, nel senso che le truppe da inviare nella zona siano piuttosto inglesi che americane — è questione di allenamento e di esperienza. È ancora più plausibile che si sia detto che eventuali truppe canadesi saranno prevalentemente adoperate in Europa, mentre truppe australiane, neo-zelandesi, sud-africane, saranno prevalentemente adoperate in Medio Oriente. Ma più in là di questo non azzarderei ad andare.

Il suo dispaccio n. 2145/C. dell'8 corr.3 mi sembra esprimere il nostro desiderio di inserirci in questo sistema: l'argomento è stato anche toccato nelle conversazioni a quattro a Santa Margherita.

Non voglio parlare qui delle difficoltà che incontreremo. Non vedo che gli inglesi, che hanno messo tanto accanimento a levarci di mezzo dalla Libia e dall'Eritrea, si accomodino facilmente all'idea di farci rientrare nella zona per altra via. È un altro aspetto del problema che voglio toccare.

Ci sono qui in giro due differenti ordini di idee. Una estensione del Patto atlantico alla Grecia ed alla Turchia; la estensione dello stesso Patto atlantico, o di qualche cosa di simile, al Medio Oriente, almeno ai paesi arabi. Ed in ambedue queste combinazioni noi vorremo, evidentemente, esserci dentro.

Ora qui non si tratta di più o meno vaghe consultazioni politico-diplomatiche: si tratta di accordi militari. Volere parteciparvi significa dire se, e fino a che punto, e con che mezzi, noi siamo pronti a contribuire alla difesa della Grecia, della Turchia,

o degli Stati arabi in caso di attacco russo.

Questa idea, in sé, non mi spaventa affatto: anche se sono d'accordo con Prunas nella necessità, in caso, di non prendere delle posizioni in contrasto colla politica che cerchiamo di fare con gli Stati arabi. Sono anzi convinto che, nelle circostanze attuali, questa è, per noi, soltanto una politica di difesa, intesa nel senso intelligente della parola. Il Canale di Suez e anche la vallata del Tigri, sono, in realtà le porte di casa nostra non meno, e forse più di quanto non lo sia il Brennero, o le frontiere jugoslave.

Ma mi sembra che Governo, circoli politici, opinione pubblica siano ancora ben lontani da questa concezione lontana, o strategica, della nostra difesa. Noi continuiamo a dire che i nostri soldati combatteranno solo in difesa delle nostre frontiere: e per nostre frontiere, intendiamo soltanto le frontiere materiali del nostro paese, non le frontiere strategiche e lontane.

Non si tratta di considerazioni accademiche. Personalmente considero il Medio Oriente, dopo l'Estremo, il settore più pericoloso. Tutte le informazioni, anche le più recenti e precise portate agli americani da Karpinski, confermano che il vero bottle neck della economia russa è il petrolio: penso quindi che i russi, se realmente pensano alla guerra, non si decideranno prima di aver risolto, in loro favore, il problema del petrolio, mettendo la mano sui ricchi giacimenti del Medio Oriente. Pericolosa è soprattutto la posizione del Medio Oriente perché al di fuori di poche truppe inglesi, e dell'esercito turco che potrebbe però facilmente essere lasciato da parte, non c'è assolutamente niente che possa opporsi ai russi.

Gli inglesi faranno tutto il possibile per tenere noi e la Francia fuori delle combinazioni medio-orientali: ma se loro, ed ancora più gli americani, si decideranno un giorno a metterci nel giuoco, questo sarà soltanto se arriveranno alla conclusione che noi possiamo dare un appoggio militare alla difesa della zona. È del resto quello che i francesi intendono quando dicono di volere essere presenti: essi sono, per questo, pronti a contribuire con una parte importante delle loro forze presenti o future dell'Africa del Nord.

La nostra domanda di intervento nelle questioni del Mediterraneo orientale, od arabo, ha un senso, ed una possibilità di riuscita, solo se noi diciamo: abbiamo una, due o tre divisioni che sono pronte a partecipare alla difesa del Medio Oriente: divisioni che essendo, geograficamente, a piè d'opera, possono in un tempo brevissimo essere impiegate sul fronte.

Se questa è la nostra intenzione, e possiamo farlo, marciamo pure: diciamolo subito però: non avremo una risposta favorevole il primo giorno; alla fine si finirà per prenderci in considerazione. Ma se ci limitiamo ad invocare i nostri legittimi e tradizionali interessi, e che desideriamo che un nostro rappresentante sia autorizzato a dire la sua parola, magari saggia, sugli affari del Medio Oriente, V.E. mi creda, non otterremo un bel niente: nessuno sente il bisogno della saggezza italiana.

Ora siccome credo che questa concezione allargata della nostra difesa sia ancora ben lontana dalle nostre idee, e che prima di farla accettare al Governo italiano, all'opinione pubblica italiana, ci vorrà un bel po', mi permetterei di consigliare di andarci molto piano in questa nostra azione diretta ad inserirci nelle combinazioni medio-orientali4 .

D. 258.

249 2 Nelle istruzioni inviate a Gallarati Scotti (vedi D. 260) in vista delle conversazioni anglo-italiane di Londra (vedi D. 298) Sforza, a proposito della Jugoslavia, espresse le proprie considerazioni sul-l'argomento oggetto del presente documento.

250 1 Vedi D. 325.

250 3 Non rivenuto.

250 4 Il documento reca la seguente annotazione di Venturini: «Concordo con quanto scrive Quaroni. La politica della botte piena e della moglie ubriaca non ha senso». Per la risposta di Zoppi vedi

251

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 1351/58. Roma, 21 febbraio 1951, ore 15,30.

Suo 1101 e mio 552 .

Ben poco noi possiamo fare per modificare o attenuare comprensibile stato d'animo popolazione triestina, né costì si può pensare chiedere a Governo italiano di svolgere politica assopimento sentimenti nazionali triestini. Ma V.E. può assicurare che siamo stati assolutamente estranei ad atteggiamenti di punta verificatisi negli ultimi mesi in taluni ambienti (ad esempio avevamo riservatamente consigliato rettore3 a rinviare recenti manifestazioni).

Anche Governo italiano ha poi motivo di attirare attenzione codesto Governo su talune misure prese da G.M.A., che senza sostanziale ragione feriscono sentimenti italiani, come, ad esempio, questione bandiera, cambiamento insegne rivendita, apposizioni sigle speciali a vagoni ferroviari, o altre più serie come modifica marchio di fabbrica, tutte misure che in una popolazione provata da tante emozioni vengono interpretate come dirette a cancellare simboli visivi italianità Trieste. Si sta quindi creando situazione polemica tra G.M.A. e popolazione, che può portare, se non risolta in tempo, a molte complicazioni per cause e motivi spesso trascurabili.

Il generale Airey di cui ho sempre apprezzato le profonde qualità morali e politiche si renderà conto che non può considerare diretto contro di lui e sua amministrazione, ciò che non è, in realtà, che espressione di un naturale sentimento patriottico.

Ci spiace anche avere sensazione che si considera con una certa diffidenza, forse partendo da qualche aspetto superficiale ed esteriore, opera nostra missione a Trieste e si tende attribuire responsabilità alcune iniziative a collegamento — correnti locali — missione Governo.

Se richiamiamo francamente attenzione Governo britannico su questa situazione, è per evitare mali maggiori in seguito e perché ci sembra necessaria una tempestiva chiarificazione specie alla vigilia di una nuova campagna elettorale, durante la quale faremo il possibile per quanto dipende da noi, per evitare inutili attriti.

2 Vedi D.246.

3 Angelo Ermanno Cammarrata, rettore dell'Università di Trieste.

251 1 Del 20 febbraio, con il quale Gallarati Scotti aveva comunicato l'osservazioni del Foreign Office sull'inopportunità di alcune manifestazioni di insoddisfazione degli ambienti triestini nei confronti del G.M.A.

252

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PER TELEFONO 1131 . Londra, 21 febbraio 1951, ore 21.

Mi riferisco ai telegrammi di V.E. nn. 56 e 572 .

In odierno colloquio, Strang ha tenuto a confermarmi quanto vivo fosse l'apprezzamento del Gabinetto e del Foreign Office per il prossimo arrivo del presidente del Consiglio e di V.E. il 12 marzo quali ospiti del Governo britannico.

Le conversazioni avrebbero carattere informal ed il Foreign Office riterrebbe preferibile non si preparasse formale agenda affinché esse possano vertere su ogni questione si ritenga opportuno discutere in comune. A conferma di quanto testé telefonato, aggiungo che Strang ha manifestato netta preferenza si eviti indiscrezione giornalistica e che invece si dirami alla stampa, per pubblicazione venerdì mattina 23 corrente, comunicato concordato qui di cui domani telefonerò il testo3 .

253

IL MINISTRO A L'AJA, CARISSIMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2202/27. L'Aja, 22 febbraio 1951, ore 19,53 (perv. ore 24).

Ministro Magistrati di passaggio per questa capitale ha conferito stamane con ministro Stikker nei riguardi attuale situazione O.E.C.E..

Stikker ha confermato sua partenza sabato per Washington, dove insieme con segretario generale Marjolin inizierà conversazioni con Governo americano su problema materie prime e su organizzazione relativa. Egli sarà di ritorno qui primi di marzo per poi convocare a Parigi verso giorno 10 Consiglio dei ministri O.E.C.E..

Stikker ha riferito sua intenzione porre nuovamente in luce presso americani importanza dei risultati già raggiunti in questi anni da O.E.C.E. e conseguente necessità mantenere in efficienza predetta organizzazione europea. Imminente convocazione primi Comitati verticali a Washington non sembra comportare situazione nuova e tale da compromettere efficacia azione O.E.C.E. che anzi parallelamente potrà rendere utilissimi servizi anche in questo delicato settore.

2 Del 20 febbraio, non pubblicati.

3 Con T. s.n.d. 1463/65 del 24 febbraio Sforza rispondeva: «Sta bene. Con corriere lunedì le perverrà dispaccio con nostre osservazioni circa principali questioni. V.E. potrà valersene come orientamento per quelle conversazioni preliminari che siano opportune costà». Vedi D. 260.

Circa formazione definitiva del gruppo centrale di Washington Stikker pensa che ultima parola non sia stata ancora detta. Impressione riportata da Magistrati è stata che Stikker sia alquanto cauto circa eventuale sua azione impegnativa in argomento. Su questo punto comunque e su quelli precedenti, Stikker si è mostrato interessato nell'apprendere come nel recente Convegno di Santa Margherita Ligure1 ministri francesi abbiano dato una nuova assicurazione all'Italia di essere pronti a sostenere desiderata italiani perché nostri interessi siano tutelati nel migliore dei modi. Prego comunicare anche ministro Pella e delegazione O.E.C.E.

252 1 Dalla raccolta telegrafica dell'ambasciata a Londra.

254

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2227/1227. Washington, 22 febbraio 1951 (perv. il 25).

L'iniziativa del senatore Lodge1 in merito alle clausole militari del trattato di pace con l'Italia è stato opportuna perché ha costretto il Dipartimento di Stato a manifestare pubblicamente il suo pensiero (nella lettera di McFall, in risposta a quelle di Lodge e del deputato Morano, nonché nella dichiarazione di Acheson in conferenza stampa) su problema che attraversa presentemente una fase delicata.

Il Dipartimento di Stato ha adottato, nelle anzidette lettere di McFall, una formula assai prudente: ha constatato che il vasto programma italiano di riarmo assorbe, per il momento, tutte le nostre energie senza intaccare i limiti previsti dal trattato ed ha concluso con una frase, minuziosamente studiata in ogni sua parola, che sembra anodina e che apre la via a tutte le possibilità2 .

Naturalmente, la constatazione di cui sopra è vera soltanto in parte. La questione del superamento dei limiti del trattato di pace è accademica per quanto riguarda le forze terrestri nella prima fase del riarmo. Non lo è per quanto riguarda la seconda fase, nella quale, com'è noto, dovrebbero essere formate 17 divisioni; non lo è per la Marina e l'Aviazione; non lo è per la produzione di certe armi e per l'addestramento nell'uso delle medesime; non lo è, last but not least, dal punto di vista politico e psicologico.

In queste condizioni non è opportuno che la opinione pubblica americana assimili il convincimento che l'Italia è tanto poco armata e sta per migliorare così poco il suo armamento da rendere superflua ogni discussione sul trattato di pace; non è, di

2 La frase, riportata da Tarchiani con il T. segreto 2172/203 del 21 febbraio, era la seguente: «Problema creato in futuro da tali disposizioni presenta importanti aspetti politici e giuridici che debbono essere attentamente esaminati prima che possa essere fatta qualsiasi dichiarazione pubblica. Naturalmente siamo studiando continuamente ogni aspetto di tale questione».

conseguenza opportuno che il Governo sia costretto a fare dichiarazioni, atte a generare questo convincimento. Infatti, per le ragioni sopraddette, il Governo americano può essere chiamato fra breve a constatare una realtà del tutto diversa.

Gli stati Uniti avevano, finora, affermato che le clausole militari del trattato di pace non potevano né dovevano essere modificate. Essi, come ho segnalato più volte, intendevano essere sempre in grado di porre l'U.R.S.S. in istato di accusa per il riarmo dei satelliti, senza offrirle il pretesto per accusarli a loro volta di riarmare l'Italia. Le imminenti conversazioni quadripartite consigliano di usare, per qualche tempo ancora, questa cautela. Tuttavia, per parte loro, gli Stati Uniti riconoscono già che le clausole in questione, limitando il contributo italiano alla difesa dell'Occidente, danneggiano tutta la comunità atlantica; e pertanto, sono già orientati verso la revisione. L'ostacolo, che questa incontra, risiede dunque nell'atteggiamento di altri paesi.

In primo luogo, il Dipartimento di Stato si domanda se e fino a che punto la revisione sarebbe, oggi, gradita al Governo italiano, il quale si è valso delle clausole militari del trattato di pace per rassicurare taluni settori dell'opinione pubblica e del Parlamento sui limiti dello sforzo finanziario imposto al paese.

In secondo luogo, il Dipartimento di Stato è convinto che, presentemente, la Gran Bretagna e la Francia si opporrebbero alla revisione. L'una e l'altra sono, visibilmente, attente a non creare nuovi motivi d'attrito con l'U.R.S.S. nella fase iniziale del riarmo occidentale, che esse giudicano, a torto o a ragione, come la più pericolosa perché è quella in cui l'U.R.S.S. può convincersi che il tempo lavora a suo danno e quindi, può compiere qualche «colpo di testa». L'una e l'altra, sapendo che una modifica non consensuale del trattato di pace con l'Italia costituirebbe un importante fatto nuovo nei rapporti fra Oriente e Occidente, non le darebbero il loro consenso. Per questa ragione, gli Stati Uniti non hanno, finora, fatto né a Londra né a Parigi, sondaggi che avrebbero compromesso la soluzione auspicata da Washington (Il Dipartimento di Stato ha temuto che l'iniziativa di Lodge offrisse ai due Governi lo spunto per sollevare essi stessi il problema. A tutt'oggi, questo timore non è risultato fondato: le due ambasciate hanno chiesto se sia vero che Lodge ha scritto la sua lettera d'accordo col Dipartimento di Stato; ma, ricevuta una risposta negativa, non hanno insistito).

Il Governo americano ritiene che, fra qualche tempo, la situazione evolverà in senso favorevole. Da un lato, quando l'Italia sarà più vicina di oggi al limite previsto dal trattato, gli Stati Uniti potranno più facilmente dimostrare la necessità di un iniziativa coraggiosa. Dall'altro lato, quanto più il riarmo occidentale avrà progredito, tanto meno la Gran Bretagna e la Francia temeranno le reazioni sovietiche. Frattanto sarà fatto, qui, tutto il possibile affinché, in pratica ed ogniqualvolta non si cada in aperte violazioni del trattato, questo sia interpretato in modo da non intralciare il riarmo italiano.

Che questo sia l'atteggiamento americano, mi risulta in modo preciso dalle conversazioni di questi giorni col Dipartimento di Stato. Da tale atteggiamento possiamo, a mio avviso, trarre le seguenti conclusioni.

In primo luogo dobbiamo, fin da adesso, porre a noi stessi il quesito se la situazione politica interna italiana sia matura per affrontare una revisione delle clausole militari del trattato di pace. Su questo punto sarò grato a V.E. delle indicazioni che vorrà darmi per mio orientamento e per orientamento del Governo americano.

In secondo luogo, non ci conviene sollevare il problema né pubblicamente, né facendone oggetto di conversazioni approfondite a Londra e a Parigi, prima di essere sicuri che il pensiero di quei Governi abbia subito una sufficiente evoluzione. Soprattutto mi sembra che non convenga, in eventuali sondaggi a Londra e a Parigi, appigliarsi alla buona volontà americana. Infatti ciò, invece di forzare la mano agli Stati Uniti, potrebbe costringerli ad assumere una posizione di prudenza, solidale con quella degli altri firmatari del trattato e specialmente con la Gran Bretagna.

In terzo luogo, non ci conviene cercare «surrogati» della revisione, sotto forma di dichiarazioni o promesse pubbliche, singole o collegiali, le quali sarebbero inutili ai fini pratici e superflue ai fini politici.

È evidente, infatti, che lo spirito del trattato è morto, che nel mondo occidentale l'Italia può essere considerata soltanto come un paese alleato e che tale sua posizione è sancita solennemente dal Patto atlantico.

Seguirò, naturalmente, la questione e riferirò a V.E., ogni eventuale nuovo elemento3 .

253 1 Vedi D. 233.

254 1 Vedi D. 242.

255

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2236/56. Mosca, 23 febbraio 1951, ore 14,10 (perv. ore 16,20).

Numero 8 Tempi Nuovi testé uscito reca articolo sui risultati conversazioni franco-italiane S. Margherita1. Vi si ripete concetto già noto della stampa sovietica ossia che le conversazioni ebbero inizio per ordine di Washington, che esse ebbero essenzialmente contenuto militare e non economico, che si vuole mascherare riarmo aggressivo della Germania dietro apparenza organizzazione difensiva Europa, che si sta creando triangolo Parigi Roma Bonn in funzione ostile Inghilterra. Relativamente nuova è parte conclusiva articolo la quale sottolinea anzitutto particolare funzione Italia come cerniera non solo fra Francia e Germania ma anche fra mondo latino e Turchia e Grecia; e poi riafferma violazione trattato di pace da parte Italia in dipendenza attuale riarmo citando articolo giornale Popolo considerante trattato siccome morto ma non seppellito e situazione Patto atlantico «al di sopra del trattato di pace». Tali accuse potrebbero anche preludere a qualche altro futuro atto diplomatico nei nostri riguardi ma sempre con limitato valore preventivo e dimostrativo.

254 3 Per la risposta vedi D. 280. Zoppi aveva inoltre inviato alcuni chiarimenti con il D. 262. 255 1 Vedi D. 233.

256

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2244/122. Londra, 23 febbraio 1951, ore 15,05 (perv. ore 20).

A ricevimento iersera Buckingham Palace, re Giorgio ha con me manifestato proprio vivo compiacimento vedere prossimamente a Londra presidente del Consiglio e E.V. ed ha tenuto a sottolineare come egli giudichi importante franco scambio di vedute fra massimi esponenti dei due Governi.

Soddisfazione ambienti conservatori mi è stata calorosamente manifestata da Eden e Macmillan, mentre membri del Governo si sono meco espressi nei termini più lusinghieri.

Carattere che Governo intende attribuire alla visita, e su cui pienamente concordano esponenti opposizione, è non di conferenza destinata a conseguire soluzione qualche singolo problema, bensì di incontro fra esponenti due Governi e due popoli per raggiungere finalmente, attraverso aperto e fiducioso scambio di vedute sulla più larga base, un vero clima di intesa da cui scaturisca naturale in futuro una collaborazione sincera sui problemi concreti. Donde opportunità, qui rilevata, non essere legati da necessità diramazione ripetuti comunicati nel corso visita che non si vuole imbrigliare con programma rigidamente protocollare che possa intralciarne libero sviluppo.

257

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 410/210. Ankara, 23 febbraio 1951 (perv. il 1° marzo).

La difficoltà all'ammissione della Grecia e della Turchia al gruppo atlantico si sono venute accentuando quando dalle conversazioni sui criteri di massima svoltesi ad Ankara tra gli americani e il Governo turco si è passati a un esame tecnico approfondito del problema nella Conferenza dei diplomatici americani svoltasi a Istanbul dal 14 al 21 corrente sotto la presidenza del segretario aggiunto al Dipartimento di Stato McGhee.

Per precisare bene l'evoluzione in corso conviene tener presente quanto mi ha riferito l'ambasciatore greco Contoumas e cioè che nel corso delle conversazioni di Ankara gli americani si sarebbero impegnati ad appoggiare l'ingresso della Turchia e della Grecia nell'unione atlantica. Questo comunicò il ministro degli affari esteri Fuad Köprülü all'ambasciatore Contoumas. Alle insistenze di quest'ultimo per sapere quando approssimativamente poteva prevedersi che una decisione definitiva sarebbe stata presa, il Köprülü accennò a un termine massimo di sei mesi. Già la lontananza del termine era indizio delle difficoltà emerse durante tali conversazioni, come da me segnalato nel rapporto n. 391/199 del 17 corrente1 .

Era evidente infatti che, limitando la garanzia atlantica alla Turchia e alla Grecia, si sarebbe creato un divario fra il trattamento fatto a questi due paesi e quello da riservarsi a tutti gli altri paesi del Medio Oriente chiamati a collaborare con la Turchia in uno stesso sistema difensivo. Accennai in particolare alla situazione dell'Egitto. Non meno importante tuttavia è la situazione dell'Iran, che avrebbe avuto motivo, da tale esclusione, di considerarsi abbandonato alla sua sorte, mentre, come ho accennato nel mio rapporto n. 307/153 del 9 corrente2, la difesa del Medio Oriente si impernia sull'interesse anglo americano di difendere ad oltranza la Persia meridionale. Il problema dell'Iran si presenta di natura assai diversa da quello egiziano. Per l'Egitto, come per la Turchia e la Grecia, la garanzia, tanto che sia costituita dalla loro adesione al Patto atlantico, quanto da un sistema equipollente, rappresenta una contropartita a un contributo che questi paesi danno alla difesa del Medio Oriente, sia pure, come potrebbe essere il caso dell'Egitto, col solo fornire delle basi. Per l'Iran invece, dato l'atteggiamento di quel Governo, non può trattarsi che di una garanzia unilaterale, nel senso cioè che ogni violazione dell'indipendenza di tale paese sarebbe considerata dalle potenze occidentali come una minaccia alla pace del mondo e ne giustificherebbe l'intervento, indipendente dell'atteggiamento dell'Iran stesso.

Non meno delicata è la situazione dei paesi arabi. Questo rappresentante del Libano mi ha confidato che alle proposte presentate dal generale Robertson, la Siria e il Libano avrebbero obiettato in primo luogo che desideravano conoscere chi sarebbero stati gli altri soci. Intendevano riferirsi, evidentemente, a Israele col quale escludevano categoricamente ogni collaborazione. Ho chiesto al ministro del Libano se era sicuro che tutti gli Stati arabi avrebbero adottato un così intransigente atteggiamento ed egli ha convenuto che dovevano per lo meno nutrirsi dubbi sulla condotta dei due Stati hascemiti e particolarmente della Giordania. Nel Comitato politico della Lega araba il rifiuto della Giordania di aderire al patto di mutua sicurezza, che avrebbe dovuto costituire la piattaforma di un'azione concorde nei riguardi delle potenze occidentali, era stato interpretato come ispirato dall'Inghilterra.

Comunque, unanimi o no, i paesi arabi solleveranno delle forti difficoltà a far parte dello stesso aggruppamento con Israele. E perciò si profila sempre più precisa l'eventualità, da me accennata in precedenti rapporti, che con Israele si addivenga da parte degli anglo-americani e della Turchia a un accordo speciale. Ciò sarà tanto più necessario se, come sembra probabile, al sistema difensivo del Medio Oriente parteciperà anche il Pakistan, rafforzando il carattere prevalentemente mussulmano di tale coalizione con sempre più deciso sostegno della tesi araba.

2 Non rinvenuto.

Come vedesi, le difficoltà tendono a moltiplicarsi e i diplomatici americani, riuniti a convegno a Istanbul, non hanno potuto non porle in evidenza con precisione di dettagli, desunti dalla diretta conoscenza che essi hanno dei paesi in cui risiedono e con la chiara previsione delle conseguenze che un determinato atteggiamento è suscettibile di provocare. Come appare all'accluso programma dei lavori1 — ottenuto in via confidenziale da fonte bene informata ma non controllabile — la Conferenza di Istanbul ha per la prima volta discusso concretamente questi problemi facendo astrazione dalle formule generiche circolanti finora. È prevalso da queste constatazioni un preciso orientamento? È difficile dirlo. L'ammiraglio Carney alla conferenza-stampa, tenutasi al termine del lavori, ha accennato alla possibilità di un nuovo indirizzo. «Sono convinto — egli ha detto — che il Patto dell'Atlantico Nord debba far parte di una vasta organizzazione politica e militare nella quale devono entrare tutti i paesi che si oppongono all'espansione comunista. Non è necessario che essa sia una organizzazione unica, ma i suoi vari anelli — che è ancora difficile determinare — devono essere strettissimamente collegati».

Verrebbe preso cioè in considerazione non più un allargamento del Patto atlantico, che mal si presta ad inquadrare tanti e così disparati elementi quanti ne occorrono per assicurare la difesa del Medio Oriente, bensì la creazione di un organismo parallelo e analogo a quello atlantico, e legato ad esso in modo che l'uno e l'altro facciano parte di un complesso mondiale di forze destinate a combattere il comunismo. Domani, ad esempio, potrebbe inquadrarsi in tale complesso un analogo organismo del Pacifico.

Per ora, si tratta comunque più che di un orientamento, di un'ipotesi. Ciò che è evidente è che non si è ancora in presenza di una soluzione immediata. È comunque sicuro che le circostanze evolvono in favore della Turchia e che la sua posizione strategica forma oggetto di sempre maggiore interesse delle potenze occidentali tanto sul piano diplomatico che su quello militare. Nei sistemi difensivi che si vengono precisando la Turchia è destinata ad essere la forza centrale. Può perciò bene attendere e precisare le sue condizione come meglio riferisco nel rapporto separato sulla difesa del Medio Oriente3 .

257 1 Non pubblicato.

258

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 3/133. Roma, 24 febbraio 1951.

Non sono d'accordo con la impostazione che col tuo rapporto del 20 febbraio

n. 132/1011 dai alla questione di una nostra partecipazione al sistema difensivo del Medio Oriente. Innanzi tutto tu devi ben sapere che la diplomazia serve gli interessi

258 1 Vedi D. 250.

permanenti della nazione, i quali vengono di lontano e vanno lontano e superano quindi quello che è l'attuale stato d'animo della pubblica opinione e dei corpi che la rappresentano. Noi quindi dobbiamo lavorare anche tenendo presente che questi stati d'animo sono mutevoli e che comunque i nostri interessi non sempre collimano al cento per cento con essi. Non abbiamo agito in questo modo al tempo della partecipazione al patto atlantico combattendo su due fronti contemporaneamente quello esterno e quello interno?

In secondo luogo è certo che, appartenendo noi al gruppo atlantico E.M.M.O. finiremo in qualche modo per avere una parte in una eventuale organizzazione difensiva del Mediterraneo. Le isole, le basi, le scorte, ecc. serviranno appunto al fronte Mediterraneo (che vuol dire Mediterraneo orientale), non certo al fronte dell'Elba o del Friuli. Ora se avremo degli oneri — ai quali non potremo certo sottrarci — per-che non averli a titolo di compartecipi, di soggetti cioè e non di oggetti della organizzazione che venisse — e certamente verrà — messa in piedi?

Truppe da mandare a combattere sul Tigri e sull'Eufrate evidentemente non ne abbiamo oggi. Non è detto che in una diversa situazione non possano saltar fuori, o venirci in un modo o nell'altro richieste e che si trovi chi ci vada. Le possibilità e le eventualità sono tante e non è questo il momento né il caso di esaminarle: basta solo vagamente intuirle e, come ripeto, mantenere una posizione di soggetti (anche con poca voce in capitolo) e non di oggetti di politica mediterranea.

257 3 Vedi D. 275.

259

IL MINISTRO DEL TESORO, PELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L.1 . Roma, 24 febbraio 1951.

Desidero intrattenerti di una questione della quale mi sono permesso di accennare anche al presidente in relazione con il suo prossimo viaggio a Londra.

In questo caso, come a Santa Margherita, mi pare evidente che si dovrà parlare anche della politica dei due paesi nelle organizzazioni internazionali e più in generale nel campo della politica di cooperazione economica multilaterale. Nel verbale di Santa Margherita2, che ho avuto ora modo di studiare, ho rilevato più in dettaglio, a questo riguardo, certe differenze di impostazione (alle quali come ricorderai ho fatto già accenno in Consiglio dei ministri) rispetto alle linee che, d'accordo coi colleghi, avevo seguito da parte mia nel Consiglio di Parigi ed in genere nei miei contatti con

2 Vedi D. 233.

gli americani e con i ministri degli altri paesi dell'O.E.C.E. Così, ad esempio, nel metodo da seguire per l'integrazione economica europea.

Sono certo che concorderai con me sulla opportunità di parlare tutti uno stesso linguaggio in questioni di tanta importanza per noi, tanto più che sulla sostanza non dovrebbe essere difficile metterci d'accordo, se pure già non lo siamo. Ed a questo fine credo che gioverebbe assai che potessimo intrattenerci tempestivamente fra noi dei vari problemi, dopo una opportuna preparazione da parte degli esperti che assistono te e me in questa materia.

In relazione a ciò, vorrei accennarti anche al cosiddetto «pool verde». Un primo sguardo al documento preliminare lascia molto incerti sulla opportunità, sia per noi sia per l'Europa, di questa iniziativa francese nella sua forma attuale.

Petsche ne aveva preannunciata la presentazione in O.E.C.E., ciò che permetterebbe di inquadrarla nelle altre discussioni in corso sui metodi di integrazione, a cui, come sai, ci sforziamo di dare tutt'altro avvio. Ora, per ragioni che non conosco, si parla di una ennesima nuova organizzazione internazionale, ispirata ad un concetto «sezionale» e dirigistico, che dubito ci convenga favorire. Ritengo perciò che la cosa debba essere esaminata a fondo, e ti prospetto quindi l'opportunità di far giocare la clausola di consultazione preliminare convenuta a Santa Margherita, domandando senz'altro ai francesi di non presentare la cosa in campo internazionale prima di aver avuto con noi una discussione approfondita, sia sul merito sia sulla procedura organizzativa. Discussione che, naturalmente dovrebbe essere preceduta da un attento esame fra noi, al livello tecnico e politico. Fra l'altro sarei molto desideroso di sapere che cosa ne pensano i colleghi dell'Agricoltura e del Commercio estero.

Sono sicuro che interpreterai questa mia come dettata soltanto dal desiderio di assicurare fra noi la più completa unanimità di vedute in quel campo della politica economica internazionale, che è orami premessa ineludibile per la riuscita di quelle grandi direttive di politica estera che tu vai applicando con tanto lungimirante devozione alla causa italiana ed europea3 .

259 1 Pella inviò copia di questo documento a De Gasperi con la seguente lettera (L. 28118 del 27 febbraio): «Con riferimento al colloquio che abbiamo avuto sulle questioni relative alla integrazione economica europea, in rapporto ad alcune impostazioni risultanti dal verbale delle conversazioni di Santa Margherita Ligure, adempio al dovere di inviarti copia della lettera che oggi stesso trasmetto al collega Sforza al riguardo».

260

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

TELESPR. SEGRETO 299 SEGR. POL. Roma, 26 febbraio 1951.

Riferimento: Mio telegramma n. 65 del 24 febbraio u.s.1 .

Quel che noi ci proponiamo di raggiungere, nella prossima riunione di Londra, è uno scambio di informazioni e di vedute, quanto più possibile franco e completo, con gli uomini di Stato inglesi, su tutti i problemi di comune interesse, cioè tanto

260 1 Vedi D. 252, nota 3.

sulle questioni di politica generale quanto su quelle che hanno riflessi diretti sui rapporti tra i due paesi.

È in questo senso che noi intendiamo le espressioni usate nel comunicato o nelle informazioni date dalla stampa inglese: informal, current affairs, good will and courtesy visit. Cioè: non abbiamo nulla in contrario, e anzi riteniamo che possa essere vantaggioso, a che la Conferenza non abbia carattere formale con ordine del giorno prestabilito e concordato, e ampie conversazioni preliminari che mettano a punto ogni questione (del resto, anche la Conferenza di Santa Margherita2, nel suo effettivo svolgimento, ha avuto molto poco questo carattere). Ma ci sembra che sarebbe peccato limitare troppo la portata di questo incontro, e ridurlo ad un tour d'horizon in poltrona. Perciò ci consideriamo liberi di esporre chiaramente il punto di vista italiano su tutti i problemi di qualche rilievo e, qualora sembri opportuno o necessario, di sollevare questioni concrete precisando nostri eventuali desiderata.

Scopo di questo dispaccio è di dare a V.E. una prima idea sommaria degli argomenti principali che vorremmo discutere con i nostri colleghi inglesi. Dico principali, perché non è escluso naturalmente che nei giorni precedenti all'incontro non si presenti qualche altro problema che potrebbe essere interessante portare a Londra. V.E. vedrà se possa essere utile, o meno, che ella prepari la strada discutendo con i funzionari del Foreign Office l'impostazione delle questioni che verranno poi portate in Conferenza; ed egualmente V.E. potrà suggerire quali altri argomenti potrebbero eventualmente essere abbordati.

Per quanto riguarda le questioni di politica generale ritengo si possa prevedere un sostanziale accordo tra i due punti di vista. Il nostro sarà comunque esposto con tutta franchezza e può così riassumersi. Riteniamo che il dovere imperativo dell'ora presente, dovere che a parer nostro deve sovrastare ogni altra considerazione, sia quello di mantenere intatta ed operante la solidarietà dei paesi amanti della libertà e della pace; cioè di preservare ad ogni costo l'unità e la solidarietà atlantica. L'Italia ritiene di aver già fatto molti sacrifici per questo grande scopo; ha accettato soluzioni penose di questioni internazionali che appassionavano la nostra opinione pubblica; il Governo ha ingaggiato una lotta aperta, non solo contro i comunisti, ma anche contro tutti i dubbiosi e gli illusi; il paese ha infine accettato sacrifici finanziari gravissimi, i cui effetti sulla vita economica e sulla struttura dei prezzi si fanno già sentire. Perciò l'Italia ritiene di avere in cambio diritto di pretendere che non le vengano chieste altre rinunzie, non le vengano imposte altre esclusioni. Il popolo italiano è molto sensibile a situazioni di questo genere e le interpreta invariabilmente come un segno che l'antica qualifica di paese vinto non è ancora del tutto superata. La solidarietà atlantica esige concessioni reciproche, e nulla è più importante che conservare il morale di un popolo che si deve sentire alleato con piena parità di diritti degli altri popoli difensori della pace e della libertà.

Noi siamo inoltre fautori convinti delle organizzazioni internazionali sicuri che la convivenza e la cooperazione quotidiana negli organi collettivi che promuovono gli interessi comuni sia alla lunga la migliore garanzia di pace (è per questa ragione che l'opinione pubblica italiana risente così vivamente la nostra esclusione dall'O.N.U.). E

poiché il problema dell'Europa rimane aperto, ed è sentito dolorosamente da tutti i paesi continentali europei, siamo partigiani di ogni forma di organizzazione europea. Perciò abbiamo dato e seguitiamo a dare il nostro appoggio al Consiglio d'Europa e abbiamo accolto con interesse l'iniziativa francese per la creazione di un Esercito europeo. Intendiamo però l'organizzazione europea come un'articolazione, vivente e necessaria, della più vasta organizzazione mondiale, in modo particolare di quella atlantica. Siamo risolutamente contrari a qualsiasi tendenza che, nel campo politico, si illuda di fare dell'Europa una terza forza, nel campo militare cerchi di creare uno strumento militare a questa inesistente terza forza politica. Per quanto riguarda più precisamente l'Esercito europeo, le prime discussioni di Parigi ci hanno convinto che, con le necessarie modifiche che verranno fuori dalla Conferenza, c'è molto del buono nel progetto francese; ma se siamo disposti a procedere nelle trattative e a dare il nostro appoggio alla realizzazione di questo grande esperimento è soltanto a condizione, e lo abbiamo detto chiaramente ai francesi, che ciò non ritardi di un giorno la creazione della forza integrata.

In conclusione l'Inghilterra può star sicura che l'azione dell'Italia non servirà mai scopi particolaristici o regionali; appoggerà soltanto quelle iniziative che siano coordinate, in modo che sia al di sopra di ogni dubbio, al fine supremo della sicurezza collettiva.

Sulla Conferenza a quattro e sul riarmo tedesco ascolteremo sopratutto quello che i colleghi britannici avranno da dire. Sarà tuttavia interessante esplorare insieme le ripercussioni che potrebbero essere assai ampie e gravi, di un eventuale e non affatto impossibile insuccesso della Conferenza. E per quanto riguarda il riarmo della Germania la posizione italiana è nota e ci sembra si accosti notevolmente a quella inglese: lo riteniamo cioè necessario, deve essere circondato di alcune cautele, l'Esercito europeo offrirebbe una soluzione alternativa interessante che non deve essere affatto scartata a priori, tanto più che i tedeschi sembrano vederla con favore; il riarmo tedesco, comunque, in una forma o nell'altra non sembra affatto imminente — e di ciò forse non abbiamo a dolerci.

Due altre questioni generali che interessano vivamente l'Italia sono l'organizzazione della difesa nel Medio Oriente e la posizione della Jugoslavia. Per quanto riguarda il primo dei due problemi abbiamo notato la Conferenza anglo-americana di Malta, le grandi manovre nel Mediterraneo, la visita del generale Robertson, la Conferenza di Istanbul. Di tutto ciò siamo assai scarsamente informati, ma a tutto ciò portiamo un naturale e legittimo interesse. Consideriamo il problema della difesa del Medio Oriente, che coincide in sì larga misura con quello della difesa mediterranea, come uno dei più gravi ed urgenti. Una consultazione con l'Italia e con la Francia sarebbe opportuna anche se non la richiederemo formalmente in questa prima fase degli studi. E per quanto riguarda più particolarmente l'Italia confermiamo l'avviso che la Turchia e la Grecia potrebbero essere utilmente incluse nel Patto atlantico (o in una speciale organizzazione difensiva del Mediterraneo), e che in ogni modo gli svantaggi di tenerle fuori, più precisamente di tener fuori la Turchia, superano di gran lunga quelli che si avrebbero dalla loro inclusione.

Per la Jugoslavia, ci sembra che il recente viaggio di Perkins a Belgrado abbia sostanzialmente convalidato quello che è stato sempre il nostro punto di vista. Cioè che non vi sono segni sicuri, e tanto meno concordi, di un prossimo attacco alla Jugoslavia, che l'evoluzione politica di quel paese verso l'Occidente è stata sensibile ma è lungi dall'essere compiuta, che le forze militari di un paese la cui posizione politica è ancora poco consolidata lasciano tuttora perplessi circa la loro effettiva consistenza. Se l'attacco alla Jugoslavia si dovesse, dopotutto, verificare, dovrebbe entrare in azione il meccanismo dell'O.N.U. Ciò indipendentemente dal fatto se nel frattempo sia intervenuta o meno, in una forma o nell'altra, una garanzia delle grandi potenze che accentui e precisi la posizione già presa dal segretario di Stato Acheson. Vuol dire che se le forze militari jugoslave in campagna saranno sopravvissute alla procedura di Lake Success (e se così non fosse, non si vede come una qualsiasi altra forma di intervento potrebbe giungere in tempo a salvarle) si studierebbero il modo e i mezzi per venire eventualmente in loro aiuto. Poiché qualunque fosse la forma di questo aiuto, l'Italia, per forza di cose e di geografia, sarebbe chiamata a sostenervi una parte di primo piano, riteniamo di aver diritto di chiedere che ci si consulti preventivamente e che, anche nel planning di questa eventuale azione, si tenga conto di noi.

Vengono poi i problemi di specifico interesse italiano. I principali, e su alcuni di questi V.E. troverà qui acclusi degli appunti redatti dagli Uffici3, sono: trattato di pace, ingresso dell'Italia nell'O.N.U., posizione dell'Italia nel Patto atlantico, Trieste, ex colonie, emigrazione. Sono, questi, problemi in cui tutto l'essenziale è stato già detto e ridetto da tempo. Ma mai in occasione e sede così autorevoli. Ci limiteremo perciò, all'aspetto politico delle questioni, accennando cioè soltanto all'impostazione generale di ciascuna di esse.

Trattato di pace. È una questione di cui il presidente ed io ci riserbiamo, se del caso, di parlare in via confidenziale, senza farne oggetto di trattazione formale, analogamente del resto a quanto è stato fatto a Santa Margherita.

Ingresso nell'O.N.U. La questione è da tempo, purtroppo, immobile. Ha cessato anzi di essere, se mai lo è stata, questione di procedura, è divenuta problema politico, e come tale cristallizzato nel contrasto fondamentale tra i due maggiori antagonisti, e può trovare, al pari di tanti altri problemi, la sua soluzione soltanto nella premessa politica di una distensione generale. Perciò non la porteremmo sul tappeto se non ci fosse la Conferenza a quattro che prenderà il suo spunto, anche se non sarà ad esso ristretta come vorrebbero i russi, dall'Accordo di Potsdam. Ora quest'accordo prevede espressamente la ammissione dell'Italia tra le Nazioni Unite. Una Conferenza che miri a risolvere i problemi lasciati insoluti da Potsdam, e che non trattasse di questo argomento di interesse vitale per l'Italia, finirebbe col suonare convalida, in un certo senso, dell'ingiusta esclusione. Perciò chiederemo agli uomini di Stato inglesi di portare la questione in discussione nella Conferenza a quattro, e di sostenere il nostro buon diritto, pur rendendoci conto del fatto che i richiami giuridici, anche i più giustificati, valgono poco, e che una riparazione del torto subito può venire soltanto da quella distensione generale che pur tuttavia, anche se le prospettive attuali non appaiono molto incoraggianti, costituisce pur sempre l'obiettivo principale della Conferenza.

Posizione dell'Italia nel Patto atlantico. Dall'appunto accluso V.E. rileverà i termini della questione per quanto riguarda la nostra partecipazione al Comando supremo. Come impostazione politica essa si ricollega alle osservazioni formulate più sopra circa la reciprocità degli obblighi e dei diritti, quale noi la intendiamo, nel funzionamento pratico della solidarietà atlantica. Dopo tutto occorre non dimenticare che l'Italia parteciperà alla forza integrata con un numero di unità che inizialmente è uguale a quello della Francia, e non sarà mai molto inferiore; il rapporto è così evidente che in seno al Consiglio dei sostituti, tra le varie proposte formulate per la ripartizione dell'onere finanziario nel bilancio internazionale del N.A.T.O., la prima, americana, consiste appunto in una ripartizione su tre gruppi, di cui il primo composto dagli Stati Uniti, dall'Inghilterra, dalla Francia, dal Canada e dall'Italia con eguale percentuale per ogni singolo Stato del 14%. Per suo riservatissimo orientamento aggiungo che ci rendiamo conto di tutte le difficoltà che si frappongono all'assegnazione di un posto all'Italia, e che perciò solleveremo la questione senza tuttavia impegnarci in un atteggiamento rigido se gli ostacoli dovessero rivelarsi insuperabili.

Trieste: È di somma importanza che gli uomini di Stato inglesi si rendano conto dell'estrema sensibilità dell'opinione pubblica italiana di fronte a questo problema nazionale. In questo senso anche il falso allarme generato dall'interpretazione errata attribuita di recente alle parole del generale Airey, e siamo lieti naturalmente di constatare che c'è stato un equivoco, non è venuto tutto per nuocere. Ci sono due aspetti del problema di Trieste. Il primo è quello dell'avvenire del Territorio Libero, il secondo è quanto avviene a Trieste sotto il regime del Governo militare alleato. II primo è di gran lunga il più importante, sebbene anche il secondo non si possa del tutto separare da quello.

La posizione del Governo italiano è invariata: si basa sulla Dichiarazione tripartita, cioè sul riconoscimento del carattere italiano di tutto il Territorio Libero da parte delle tre grandi potenze amiche ed alleate. Questa base è l'unica che offra possibilità di trattative e di soluzione concordata con la Jugoslavia, quando anche Belgrado riconosca sostanzialmente tale premessa. In questa nostra posizione non c'è niente di intransigente, niente di negativo verso la Jugoslavia; tutta la storia di questi ultimi due anni, una storia di progressivo miglioramento e sviluppo delle relazioni economiche e politiche con il vicino orientale sta a dimostrarlo.

In una Conferenza a quattro, se ci sarà una tale Conferenza, è possibile che, malgrado il preciso consenso di respingere ogni connessione della questione del Territorio Libero con il trattato con l'Austria, si finisca col parlare, per insistenza dei russi, della questione di Trieste. Noi ci attendiamo a che le potenze firmatarie della Dichiarazione sostengano il loro punto di vista che è anche il nostro. In un certo senso, anzi, questa è proprio l'occasione prevista dalla Dichiarazione del 20 marzo 1948. Ai nostri colleghi inglesi chiederemo una assicurazione in questo senso, perché troveremmo inconcepibile che, proprio venuti a discuterne con la Russia, gli Alleati abbandonino o modifichino il loro punto di vista, e troveremmo inoltre inammissibile che essi Alleati si sentano liberi di farlo previa una semplice «consultazione» con l'Italia, senza cioè la nostra partecipazione.

Quanto avviene a Trieste, non siamo affatto disposti a esagerarne la portata. È in atto colà un doppio processo simultaneo ed inverso. Da parte italiana si cerca di accreditare la tesi giuridica che la sovranità italiana sul Territorio Libero non è mai cessata (tesi molto sostenibile, ma che tuttavia non è stata sinora mai fatta propria dal Governo di Roma), da parte anglo-americana si cerca di manifestare in vari modi l'esistenza di una specie di sovranità del Governo militare sulla Zona A. Il contrasto è apparso più evidente da un punto di vista formale, allorché è venuta in discussione la questione della Cassazione, e si è fatto più acuto in vista della campagna elettorale: e di ciò, nello sconsigliarla, avevamo avvertito gli Alleati come di cosa inevitabile e fatale contro la quale ben poco può il Governo ialiano. Ma, ripeto, non siamo affatto portati ad esagerare l'importanza di queste frizioni locali. Vorremmo soltanto che fosse raccomandato agli organi locali una maggiore prudenza nel varare provvedimenti vistosi, irritanti, ma di scarso contenuto reale. Due sole questioni sono realmente importanti, quella della Corte di Cassazione e quella della bandiera sui bastimenti mercantili. Qui il contrasto tocca le basi stesse di tutto il problema. Di chi sia la sovranità a Trieste e nel Territorio è questione in buona parte teorica; ma non è affatto teoria; è sostanza stessa della cosa, che il Governo militare, secondo gli articoli 1 e 10 dell'Allegato 7° del trattato di pace, abbia ad applicare le leggi e i regolamenti esistenti nel Territorio Libero al momento del-l'occupazione da parte delle truppe alleate, cioè le leggi e i regolamenti italiani. Lo stesso ministro di Stato, come le è noto, lo ha riconosciuto in una recente dichiarazione ai Comuni4 .

Ex colonie. È ancora, nonostante che la fase più aspra sia stata superata, speriamo, per sempre, il problema cardinale del rapporti italo-inglesi. L'opinione pubblica italiana non ha ancora del tutto superato l'amarezza di dover abbandonare territori fecondati dal nostro lavoro e popoli inciviliti dalle nostre leggi e che ritenevamo dover noi condurre all'indipendenza. Di questo forzato abbandono, a torto o a ragione, il nostro popolo attribuisce la principale responsabilità all'Inghilterra. La crisi è superata, e il Governo si impegna a fare, a continuare a fare, tutto il possibile per superarla — a una sola condizione: che cioè alle nostre comunità in Libia ed in Eritrea sia concesso di rimanere sul posto, di lavorare, di sopravvivere fisicamente ed economicamente. Se ciò non dovesse avvenire, e se il popolo italiano avesse il sentimento che in questo disastro l'Inghilterra, in forma attiva o passiva, avesse la sua parte di responsabilità, la crisi nei rapporti tra i due paesi, una crisi grave e di durata imprevedibile non potrebbe più evitarsi; e qualsiasi Governo italiano che tentasse di opporsi ad essa sarebbe spazzato via.

Per fortuna abbiamo molte ragioni per credere che il Governo di Londra si sia convinto di ciò. Non abbiamo nessuna specifica lagnanza di maggior rilievo da fare. Abbiamo anzi fiducia nell'avvenire, e se crediamo sia nostro dovere esporre i veri termini politici del problema, è unicamente allo scopo di dare una base sicura a quella lunga e intima cooperazione tra gli organi dei due Governi che sarà necessaria

ancora per molto tempo nei due territori. In buona parte si tratta di fare arrivare alle Autorità locali, non sempre altrettanto comprensive quanto quelle di Londra, istruzioni precise. Il primo compito è quello di tradurre in pratica la risoluzione dell'O.N.U., sui beni italiani in Libia, premessa fondamentale dell'esistenza economica delle nostre comunità. La solleciteremo nel prossimo incontro.

Emigrazione: Gli appunti acclusi illustrano il nostro punto di vista sui vari aspetti di questo problema, a nessuno secondo per la sua importanza e vastità. Qui preme soltanto rilevare due aspetti dell'emigrazione italiana in Africa, che è naturalmente il problema migratorio più propriamente politico. Il primo aspetto è che questa emigrazione non è un problema del tutto distaccato da quello di cui si fa parola più sopra; essendo evidente, sia detto tra di noi, che le nostre comunità in Libia e in Eritrea troveranno più facile respiro se in altre terre africane vivranno e prospereranno economicamente attivi nuclei di italiani; e viceversa.

Il secondo aspetto della questione è più generale. Noi consideriamo che il grande compito dell'avvenire è la messa in valore dell'Africa, una messa in valore che non solo non esclude ma anzi postula il progresso civile e politico delle popolazioni africane, ma che evidentemente non potrà essere realizzata che con il concorso dell'America e del-l'Europa occidentale. Riteniamo anche che escludere l'Italia da questo grande compito sarebbe non soltanto sommamente ingiusto ma anche praticamente impossibile. Il problema è politico perché, per avere in ciò l'appoggio dell'Inghilterra che ci è indispensabile, occorre siano dissipate le ultime ombre di sospetto e diffidenza, occorre che l'Inghilterra si sia convinta della lealtà delle nostre intenzioni, della fiducia assoluta che può avere nella nostra cooperazione. E siamo ancora lontani da ciò. Se tuttavia nel convegno di Londra al si sarà fatto anche un piccolo passo in avanti su questa lunga strada, lo considereremo, il presidente ed io, come il risultato più prezioso della nostra opera.

Di altre questioni più tecniche V.E. troverà qui acclusi degli appunti5 .

259 3 Non è stata rinvenuta una risposta di Sforza.

260 2 Vedi D. 233.

260 3 Non pubblicati.

260 4 Su questo tema Canali ha formulato la seguente precisazione: «Gli inglesi si schermiscono dicendo che la questione di Trieste non dipende solo da loro, ma da tutti gli Alleati (vedi notizia Ins. G[iornale] d'Italia). È vero: ma noi chiediamo che essi ci diano assicurazioni per la parte che li riguarda; come S.U. e Francia hanno già fatto senza esitazione». Ed ha anche suggerito la seguente aggiunta: «[fare] qualche accenno agli italiani nella Zona B».

261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. Roma, 26 febbraio 1951.

Valentina fu molto sensibile al pensiero di Lella. Ma, fra Fiammetta e Croce Rossa, ora proprio non può muoversi1 .

Circa le conversazioni va bene nessun ordine del giorno, e ancor meno verbali2 .

Ma quello che occorre assolutamente è che tu faccia subito sapere al F.O.:

— che noi pensiamo sia necessario che le conversazioni fondamentali siano almeno due (ciò è indispensabile se si vuole che Attlee capisca la posizione dell'Italia);

— che noi stessi desideriamo delle conversazioni del tutto confidenziali ma che desideriamo Attlee sappia di che cosa intendiamo conversare con lui:

a) necessità di agire per la pace;

b) necessità che le relazioni anglo-italiane in Eritrea e in Libia siano sicuramente conformi alla volontà dei due Governi, volontà di cui demmo, con abnegazione, ampia prova all'O.N.U. in dicembre;

c) relazioni italo-jugoslave e problema di Trieste;

d) difficoltà estreme nostre (come Governo) se non entriamo all'O.N.U. e se,

quindi, ci manca il modo di rompere la campagna neo-fascista e comunista che ci accusa di restare impotenti di fronte a un trattato di cui nel 1947 (quando lo facemmo approvare) adombrammo un sicuro futuro svuotamento.

Tutto ciò, ripeto, come informazione da parte nostra, perché Attlee sappia.

Non potremmo domandare di meno; perché non c'è miglioramento di atmosfera possibile là ove non fosse assolutamente franchezza.

Ti dico questo a sintesi e precisazione del dispaccio odierno3 ove a p. 3 troverai la formulazione esatta di ciò che si sente in Italia. Ma, nella tua precisa comunicazione, potrai benissimo limitarti a quanto ho qui accennato — come l'essenziale indispensabile.

260 5 Non pubblicati. 261 1 Si tratta, nell'ordine, della moglie di Sforza, della moglie di Gallarati Scotti e della figlia di Sforza. 2 Vedi D. 252 e 256.

262

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 3/143. Roma, 27 febbraio 1951.

In relazione anche a quanto hai riferito circa la mossa del senatore Lodge1, desidero darti, per tuo orientamento, alcune informazioni sugli sviluppi che viene qui avendo e potrà avere nel prossimo futuro, la questione della revisione del trattato. Seguendo l'evoluzione della opinione pubblica, e in vista anche dell'avvicinarsi del periodo elettorale (e quindi per quei motivi di ordine psicologico e politico interno cui nessun Governo democratico può sottrarsi) la questione diviene a poco a poco sempre più di attualità anche nella considerazione del Governo. La stessa evoluzione della situazione internazionale, e i sacrifici che facciamo pel riarmo, fanno apparire al Governo questa questione — nonostante la prudenza e la obbiettività con cui la ha sinora trattata malgrado le impazienze dell'opinione pubblica — come avviata a maturazione anche nei suoi aspetti formali e politici esterni.

Mi è parso dunque di cogliere nelle intenzioni del Governo e del presidente

— anche se sinora non espresse apertamente e non ancora formulate in termini preci

262 1 Vedi D. 254.

si — il concetto che, compiuto pel riarmo questo primo sforzo finanziario che ci porta ai limiti del trattato di pace, altri sacrifici sulla via del noto programma a «medio termine», che va oltre i limiti del trattato, non potrebbero essere proposti al paese se non decadessero contemporaneamente quei limiti.

Il Governo cioè non sarebbe incline, né per ragioni di dignità, né per le complicazioni cui ciò potrebbe esporci, ad avviarsi ad un superamento clandestino dei limiti del trattato come qualche volta i militari americani sembrano suggerire ai nostri. D'altra parte è da tener presente che il «piano Pleven» prevede per la Germania un apporto all'esercito europeo di 300 mila uomini (oltre le forze di polizia) e che i piani di riarmo del Giappone — sebbene non ancora formulati o a noi non ancora noti — è presumibile supereranno i limiti contemplati all'art. 61 del nostro trattato di pace. Noi verremmo quindi a trovarci penalizzati per esser stati i primi ad avere un trattato di pace quando siamo stati i primi appunto in considerazione dei meriti che ci eravamo acquisiti con la cobelligeranza, ecc. (v. dichiarazione di Potsdam).

Inoltre il riarmo dei satelliti sta creando una situazione nuova e del tutto diversa da quella prevista allora.

Vedo che il Dipartimento di Stato, sentendo anch'esso avvicinarsi il momento in cui la questione dovrà essere affrontata si è messo a studiarla. Anche noi la stiamo studiando in relazione all'atmosfera che si viene qui affermando e della quale ho voluto metterti al corrente perché tu sia in grado di prepararti e far mente locale al problema per quando si porrà in modo più concreto2 .

261 3 Vedi D.260.

263

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 518/152. Mosca, 27 febbraio 1951 (perv. il 7 marzo).

La ridda delle interpretazione più o meno sottili, talune troppo alambiccate, della intervista di Stalin1 si è ora quetata; la successiva nota sovietica di risposta all'Inghilterra (24 febbraio)2 ha consentito di intenderla meglio.

Certo Stalin non potrebbe desiderare un successo maggiore di quello che alle sue rare dichiarazioni politiche attribuisce la enorme eco immediata, lo sforzo di tutti i Governi, giornalisti, diplomatici ed uomini politici nel mondo di penetrare il recondito significato delle sue parole: ciò costituisce dimostrazione del suo prestigio e dà alle sue parole un immenso effetto di propaganda.

Cercando comunque di riassumere la sostanza delle più autorevoli ed informate opinioni qui raccolte, giungerei alle seguenti conclusioni:

1) La mia prima impressione (telegramma n. 45 del 17 febbraio)3 fu che la parte determinante della intervista a Stalin fosse la prima, quella cioè in cui egli rispondeva alla accusa di Attlee circa l'armamento sovietico. Successivamente invece sia la stampa sovietica, sia molte opinioni tendevano a porre l'accento sull'ultima parte, relativa alla evitabilità o inevitabilità della guerra, traendone illazioni spesso pessimiste (mio telegramma n. 53/54 del febbraio)3 .

Ora, vista anche alla luce della nota sovietica del 24 febbraio, debbo confermare che la prima parte dell'intervista di Stalin è almeno importante quanto l'ultima. L'una riguarda — pur senza menzionarlo espressamente — un episodio diplomatico attuale e in corso, ossia la proposta di trattative per la Germania; l'altra costituisce un apprezzamento di origine generale, destinato ad influire psicologicamente sui Governi e sulla opinione pubblica, e interpretabile un poco a volontà di ognuno, secondo le tendenze e le speranze.

Con la prima parte, Stalin ha sentito la necessità di rispondere alla giusta impostazione di Attlee: sa volete disarmare la Germania, date conto dei vostri armamenti. Egli ha risposto piuttosto causidicamente, limitandosi a dire di avere smobilitato (il che non significa niente circa la consistenza effettiva degli armamenti sovietici attuali); nella nota del 24 febbraio il Governo sovietico ha aggiunto che le forze armate sovietiche attuali sarebbero uguali a quelle del settembre 1939, e pari a meno della metà delle forze americane, inglesi e francesi riunite. (I sovietici sommano, non si sa bene con quale criterio, le forze di terra, di mare e dell'aria, e qui può stare una fonte di equivoci considerevole). Si tratta di affermazioni nuove, le quali vogliono offrire almeno l'apparenza di una certa buona volontà di discutere.

2) Corrisponde questa apparenza alla realtà? La domanda va posta, perché gli americani si sono subito domandati se la nota all'Inghilterra non implicasse una offerta di trattative separate — preoccupazione costante questa, per loro. Il fatto che Stalin ha polemizzato con Attlee e non con Truman, e l'altro che la nota sovietica termina dichiarando che «il Governo sovietico apprezzerà altamente ogni passo del Governo britannico, diretto a migliorare effettivamente i rapporti fra i due paesi» hanno dato appiglio a tale supposizione.

Si potrebbe anche aggiungere che il primo degli appelli del Consiglio mondiale della pace di Berlino, insistendo per un patto di pace fra le cinque potenze, potrebbe anche significare la volontà di superare la Conferenza a quattro.

Sono tutte induzioni sulle quali non vale la pena di insistere perché da un momento all'altro la risposta sovietica sulla riunione dei sostituti a Parigi scioglierà ogni dubbio. Per conto mio, ritengo del tutto improbabile che i sovietici vogliano far fallire la conferenza preliminare, e del tutto inverosimile che essi contino al riguardo su una manovra di separazione dell'Inghilterra dagli Stati Uniti, matematicamente destinata all'insuccesso, e di scarsa presa sulla opinione pubblica.

3) Piuttosto debbo dire che, accettando, a modo loro, di discutere sulla loro stessa forza militare, i sovietici non si limitano a seguire la tattica inglese. Essi cercano abilmente di approfittarne, ben sapendo che tali discussioni sugli armamenti possono

prolungarsi indefinitivamente senza mai nulla concludere. Essi sperano di trarne vantaggio al fine di sospendere, nel frattempo, il riarmo germanico, e di influire sui francesi e sui tedeschi soprattutto. Se sorge nei governanti e nella opinione pubblica un dubbio sulla effettiva potenza sovietica, perché affrettare il riarmo dei tedeschi, e perché i tedeschi dovrebbero affrettarsi essi stessi a riarmare?

Questo è per me il punto più insidioso della risposta sovietica: la quale mentre scende sul terreno proposto dagli inglesi, lo fa non solo per giustificarsi, ma anche e soprattutto per manovrare ad un fine solo: impedire o ritardare il riarmo tedesco. Bisognerà che le potenze occidentali stiano bene attente a non prestarsi qui al gioco sovietico: discutere sta bene, ma rinunciare o sospendere preventivamente la preparazione dell'Europa, Germania inclusa, sarebbe un grave errore.

4) Per ciò che riguarda poi l'ultima parte della intervista di Stalin, con le espressioni piuttosto delfiche sulla inevitabilità o non inevitabilità della guerra, pare a me che le parole più sagge siano state dette dal presidente De Gasperi: bisognerà attendere i fatti.

Indubbiamente Stalin ha voluto marcare un apprezzamento pessimistico: per la prima volta egli ha detto che la guerra non è sicuramente inevitabile, ma lo è solo temporaneamente. Egli si era espresso diversamente il 29 ottobre 1948, nella sua intervista alla Pravda, dicendo allora: «(la politica di aggressione e di scatenamento di una nuova guerra) non può che finire col vergognoso insuccesso dei guerrafondai. Churchill, principale guerrafondaio, è già riuscito a perdere la fiducia della sua nazione e delle forze democratiche di tutto il mondo. Lo stesso destino attende tutti gli altri guerrafondai. Gli orrori della guerra non lontana sono troppo vivi nella memoria dei popoli, e troppo grandi sono le forze sociali che stanno per la pace, perché gli allievi di Churchill nel-l'aggressione possano dominarle e volgerle dal lato di una nuova guerra».

Questo maggiore pessimismo non è del resto interamente nuovo: la propaganda sovietica va da qualche tempo ripetendo che il pericolo di guerra è oggi aumentato. Stalin lo sottolinea e lo accentua, dimostrando il suo scetticismo sulla possibilità di una distensione diplomatica, ed affermando la sua relativa fiducia soprattutto sui movimenti popolari e di opinione pubblica, organizzati attorno al Movimento della pace. Pare a me indubbio che Stalin, parlando alla vigilia del Consiglio di Berlino, intendeva riferirsi, nei riguardi dell'azione dei popoli che dovrebbero «prendere la causa della pace nelle loro mani» anzitutto all'azione contro il riarmo germanico e giapponese. Indubbiamente questo è e rimane per i sovietici oggi il pericolo più grande: e rispetto ad esso lo stesso problema dell'O.N.U. e della Corea assumono una funzione accessoria.

Dunque Stalin ha voluto dire, che le cose vanno peggiorando, e che specialmente il riarmo degli Stati Uniti, e della Germania, potrebbero rendere difficile evitare un conflitto. Più di questo nella sua intervista non vi è: allarmismi a breve scadenza in base ad essa sarebbero del tutto ingiustificati. Stalin si è ben guardato dal dire che sarebbero i sovietici a prendere l'iniziativa, nemmeno nel caso del riarmo germanico e giapponese: al riguardo si è tenuto nel vago, ha volutamente lasciato aperte a sé tutte le vie d'azione, ed ha calcolato l'effetto intimidatorio che la stessa genericità ed oscurità delle sue espressioni avrebbe potuto creare.

Non vi è dubbio d'altra parte, che la valutazione degli avvenimenti in corso, conduca, a scadenza relativamente lunga, a preoccupazioni estremamente serie. Il giorno in cui il potenziale militare e produttivo americano fosse pienamente in azione, e l'Europa fosse riarmata con l'inclusione dei tedeschi, naturalmente interverrebbe una crisi seria, ricca di alternative tutte difficili: o un ripiegamento sovietico, o un accordo sullo status quo, o uno stato di attesa e di mobilitazione permanente, o infine il conflitto generale. Tutto questo potrà avvenire fra due o tre anni da oggi, e Stalin non può non rendersene conto.

Ma per intanto, egli appare ancora disposto a discutere non meno che a minacciare. Anche nei riguardi dell'O.N.U., egli non ha detto di volerne uscire, pur constatandone la progressiva decadenza morale e preannunciandone lo sfacelo. Le stesse proposte di Nenni a Berlino e la deliberazione del Consiglio mondiale non hanno ancora abbandonato il tentativo di riportare la O.N.U. stessa sul terreno che i sovietici considerano giusto e legale.

Cauta ed abile preparazione attuale alla negoziazione, lotta psicologica contro il riarmo germanico e giapponese fatta di astuzie e di minacce, sullo sfondo di un marcato pessimismo a più lunga scadenza, queste mi paiono le conclusioni più attendibili che si possono trarre dai due più salienti fatti diplomatici dell'ultima quindicina.

262 2 Per la risposta vedi D. 288. 263 1 Si riferisce all'intervista a Stalin pubblicata sulla Pravda del 16 febbraio, edita in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 8, pp. 139-140. 2 Per un sunto della nota sovietica vedi ibid., n. 9, pp. 161-162. La nota britannica del 17 febbraio alla quale questa rispondeva è edita ibid., n. 8, pp. 140-141.

263 3 Non pubblicato.

264

IL CAPO DELL'UFFICIO COORDINAMENTO DELLA SEGRETARIA GENERALE, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 28 febbraio 1951.

D'Ajeta si è incontrato ieri con il consigliere giapponese che, come è noto, dopo l'8 settembre '43 è rimasto in Vaticano ove continua ad esercitare le sue funzioni, naturalmente a titolo ufficioso.

La conversazione si è svolta su di un piano più che cordiale e da essa d'Ajeta ha trattato l'impressione che il Governo giapponese non solo eviterà di sollevare questioni formali all'atto della firma del trattato di pace, ma è invece ben lieto di vedere fin da ora, nell'invio di un alto funzionario italiano, un atto amichevole nei suoi riguardi.

Ad ogni buon fine il consigliere giapponese riferirà subito al suo Governo in merito alla conversazione avuta con d'Ajeta e si manterrà con lui in contatto per quelle eventuali comunicazioni che potessero interessare il nostro nuovo rappresentante a Tokio, prima della sua partenza da Roma.

È da notare, fra parentesi, che il consigliere giapponese è fervente cattolico e quindi vicino a noi spiritualmente e anche le figlie del ministro Yoshida sono cattoliche.

Per quanto riguarda l'eventuale apertura di un consolato giapponese in Italia, d'Ajeta si è espresso nei termini convenuti ed ha avuto l'impressione che il Governo giapponese attribuisca a tale problema un certo interesse avendo intenzione di rimettere in efficienza la propria flotta mercantile.

265

L'ONOREVOLE TAVIANI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO. Roma, 28 febbraio 1951.

Come V.E. avrà potuto rilevare dalle notizie che ho finora trasmesso sui lavori della Conferenza, questi lavori, a due settimane dal loro inizio, sono ancora a uno stadio puramente preliminare. Ciò è dovuto in parte al fatto che il memorandum francese non è stato distribuito che il giorno stesso dell'apertura della Conferenza, ed è stato perciò necessario dare alle altre delegazioni il tempo per esaminarlo, in parte al fatto che la delegazione tedesca non ha istruzioni, e il signor Hallstein non ha ancora fatto ritorno da Bonn (dove egli si è recato per discutere con il suo Governo le ultime fasi dei negoziati per il piano Schuman), e in parte ad un generale atteggiamento di riserbo e di prudenza che le delegazioni hanno assunto.

Questo atteggiamento è stato evidente nel corso della discussione generale. Solo la delegazione italiana ha esposto il pensiero del suo Governo sulla impostazione del problema e ha presentato le sue osservazioni sul memorandum francese. Quella tedesca non ha fatto altro che formulare poche domande di chiarimenti, su punti secondari, limitandosi a due osservazioni di carattere generale: che l'opinione pubblica tedesca è favorevole a un Esercito europeo e che la Germania non potrebbe consentire all'invio di forze tedesche fuori dell'Europa. Quella belga, in un primo momento, non è intervenuta nella discussione. È intervenuta, in sede di Comitato di direzione, con alcuni rilievi, anche di notevole importanza, ma senza prendere in realtà posizione sulla sostanza del progetto francese.

Dei delegati presenti come osservatori nessuno ha preso la parola; e la stessa delegazione francese non ha esercitato alcuna pressione perché i lavori si svolgessero con maggiore alacrità. Tra una sospensione di lavori e l'altra, la Conferenza, nel corso di due settimane, non ha tenuto che quattro sedute, a conclusione delle quali sono stati previsti quattro Comitati — uno di direzione, uno militare, uno politico-istituzionale e uno finanziario — ed è stato redatto uno schema di problemi da esaminare da parte del Comitato politico e di quello militare, schema che trasmetto a parte2 .

Nella seduta prevista per giovedì 1° marzo, dovrebbe iniziarsi l'esame completo del problema. È dubbio tuttavia che questo avverrà, poiché la delegazione tedesca ha espresso solo la speranza, non la certezza, di essere in grado, a quella data, di prendere parte alla discussione, per la quale è comunque necessario attendere il ritorno a Parigi del signor Hallstein. Le prospettive della Conferenza sono dunque che essa lavori lentamente e a lungo mentre le basi di questo lavoro non sono ancora chiare, e neppure sono ancora chiare le condizioni nelle quali esso potrà svolgersi e le direttive dei Governi che vi sono rappresentati.

2 Non pubblicato.

Dalle dichiarazioni fatte in seno alla Conferenza dal signor Shuman e dal signor Alphand, e dalle conversazioni private avute con loro, la posizione francese appare sufficientemente chiara. La Francia — e su ciò il signor Alphand è stato tanto esplicito quanto categorico — non è pronta ad accettare il riarmo della Germania, altro che nel quadro di un Esercito europeo. «Noi non possiamo ammettere — ha detto in sostanza il signor Alphand — altra soluzione. Noi non vogliamo un Esercito tedesco e uno Stato Maggiore tedesco, che potrebbero farsi strumento di una politica tedesca di aggressione». In forma assai diretta nelle conversazioni private, in forma meno diretta, ma non meno chiara, nelle dichiarazioni in seno alla Conferenza, questo è stato il concetto fondamentale che egli ha espresso. Dal che dovrebbe dedursi che l'atteggiamento definitivo della Francia, di fronte al riarmo tedesco ed ai problemi tecnici di questo riarmo, dipenderà dalle prospettive che si avranno circa la costituzione dell'Esercito europeo. Sarebbe ora andare troppo innanzi, il ritenere che la Francia, ostilissima all'idea di costituire divisioni tedesche, sarebbe meno intransigente su questo punto qualora essa, con la costituzione dell'Esercito europeo, ottenesse l'assicurazione che tali divisioni non venissero incorporate in una organizzazione militare tedesca. Non vi è, per ora, alcuna indicazione di ciò. Ma l'iniziale intransigenza francese sui combatteams può anche essere una posizione tattica, salvo a transigere più tardi su questo livello, qualora l'Esercito europeo veramente si costituisse.

Se i francesi hanno il convincimento che, sotto le insistenze degli Stati Uniti, non si potrà evitare la costituzione delle divisioni tedesche, è logico che essi, calcolando di poter essere costretti ad accettare la divisione come unità elementare, esigano che essa sia inserita in un Esercito che sia organato sopra una base e dipenda da una direzione supernazionale. È una ipotesi ragionevole. Per ora tuttavia il fatto è che la delegazione francese si tiene e sembra intenda mantenersi sul terreno di divisioni miste, costituite da gruppi di combattimento, che rappresentino la massima unità omogenea quanto alla nazionalità delle truppe.

Su questo terreno non appare chiaro quale sia la posizione tedesca. Nel corso delle sedute, la delegazione tedesca, fuori dall'affermazione generica che il suo Governo e la sua opinione pubblica sono in favore dell'Esercito europeo, non ha dato indicazione alcuna. Nelle conversazioni private il pensiero tedesco, sia pure espresso come idee personali dal col. De Maizerie, esperto militare germanico, appare essere il seguente: la unità normale da combattimento dovrebbe essere la divisione, e dovrebbe perciò giungersi a questo. I gruppi di combattimento non dovrebbero pertanto essere costituiti che in via transitoria, per il periodo di diciotto mesi previsto come primo stadio, e comunque tali gruppi di combattimento dovrebbero essere, anche nel primo stadio, organizzati in maniera più completa per poter essere impiegati, se necessario, anche prima della costituzione delle divisioni. Tra l'altro dovrebbero essere dotati anche di reparti cacciatori di carri. Esercito europeo dunque sì, ma Esercito costituito da divisioni nazionali.

Nello stesso ordine di idee sembra la delegazione belga.

Circa l'atteggiamento della delegazione nordamericana, ho a riferire a V.E. un colloquio che ho avuto con l'ambasciatore Bruce. Ho desiderato, in questo colloquio, dare al sig. Bruce assicurazione che il Governo italiano non concepiva l'Esercito europeo che, politicamente e militarmente, nel quadro del Patto atlantico. Militarmente, poiché l'Esercito europeo avrebbe dovuto essere inserito nella forza integrata, politicamente poiché noi non concepivamo un regime di sempre più stretti legami tra gli Stati dell'Europa occidentale che entro il quadro della solidarietà atlantica. Ho riassunto al sig. Bruce la nostra posizione nei seguenti termini:

1) l'Italia è pronta a sviluppare al massimo possibile, e fino a dove gli altri Stati sono pronti a giungere, il processo di integrazione dell'Europa;

2) l'Italia non intende che questo processo presenti alcun elemento, sia pure sottointeso, di antitesi con la solidarietà atlantica; e respingerebbe qualunque interpretazione neutralista che si volesse dare alla costituzione di un Esercito europeo;

3) l'Italia vede nella costituzione dell'Esercito europeo un elemento, né isolato né isolabile, di un insieme di legami politici, ed è sopra una comune base politica che essa ritiene possibile la sua costituzione;

4) l'Italia nelle circostanze presenti non potrebbe accettare di sostenere soluzioni che pregiudicassero la difesa atlantica, o comunque complicassero i problemi politici a essa inerenti.

Il sig. Bruce, dopo avermi detto quanto apprezzava questa nostra posizione, mi ha esposto ampiamente il punto di vista del suo Governo, che credo si possa riassumere nei seguenti punti:

1) il Governo americano è favorevole a ogni iniziativa e ad ogni sforzo che si compia nel senso di una più stretta e più organica cooperazione tra gli Stati dell'Europa occidentale; e la politica della integrazione europea è da esso vista con piena soddisfazione, anche come rispondente alle esigenze dell'opinione pubblica degli Stati Uniti;

2) in conformità a queste direttive generali, il Governo americano si era dichiarato pienamente favorevole al piano Schuman per il carbone e l'acciaio;

3) circa l'Esercito europeo era questa una iniziativa che, rispondendo alle direttive generali della solidarietà europea, non poteva essere vista che con simpatia. Nello stesso tempo il Governo americano, che aveva mostrato tutto il suo favore per il piano Schuman, in materia di Esercito europeo desiderava mantenersi neutrale;

4) il Governo americano non poteva prescindere, nell'esaminare i vari problemi sollevati dalla proposta di un Esercito europeo e le soluzioni alle quali si potrebbe giungere, dal criterio della efficienza pratica di queste soluzioni ai fini della difesa atlantica, nelle presenti condizioni di pericolo e di urgenza.

Nel corso della conversazione il sig. Bruce ha avuto la massima cura nell'evitare qualunque espressione che poteva essere interpretata come di scarsa simpatia per l'idea dell'Esercito europeo, o per i lavori della Conferenza, e anzi egli ha deplorato che questi lavori fossero circondati da tanto scetticismo, come a lui era sembrato di constatare, ma è stato assai fermo nel ripetere che non era possibile allontanarsi dal criterio della efficienza pratica delle forze atlantiche, e dalla necessità di non intralciare e ritardare l'apprestamento di queste forze.

Abbiamo concordato con l'ambasciatore Bruce di tenere uno stretto contatto tra la delegazione italiana e quella degli Stati Uniti.

Questo è sommariamente il quadro nel quale si possono definire le posizioni delle varie delegazioni in questo periodo preliminare ed esplorativo. Sono ancora posizioni poco precise, e non è affatto sicuro che esse potranno precisarsi alla ripresa dei lavori, giovedì prossimo. A parte il fatto che la delegazione tedesca è tuttora senza istruzioni, vi è un altro fatto ancora più essenziale, ed è l'incertezza sulle condizioni nelle quali il negoziato potrà svolgersi. Il signor Alphand ha insistito nel concetto che questo negoziato verterà essenzialmente sulla definizione dell'unità massima omogenea. Ora proprio questo problema è attualmente oggetto di negoziati a Bonn tra le potenze occupanti e la Germania. Come sarà possibile negoziare sullo stesso oggetto contemporaneamente in due sedi diverse? Il signor Aphand, al quale ho fatto questa domanda, ha risposto che egli stesso si era posto questo problema, ma non sapeva quale risposta darvi. Il signor Riddleberger, delegato aggiunto americano, non solo ha rilevato questa grave difficoltà, ma ha aggiunto che i negoziati in una sede possono ritardare quelli che si svolgono in sede diversa. È infatti evidente che i tedeschi non avranno interesse a discutere dell'unità massima nazionale a Parigi, e essi pensano di trovare a Bonn un terreno più favorevole, e i francesi, se temono di trovare a Bonn minor favore per le loro concezioni, non avranno interesse a discutere là di questo problema, ma a Parigi.

Credo ovvio sottolineare che, per quanto ci riguarda, è nostro interesse che di tale vitale problema si discuta alla Conferenza di Parigi, dove siamo presenti, in condizioni tali da poter far sentire il peso del nostro orientamento e della nostra partecipazione alla soluzione del problema stesso.

265 1 Capo della delegazione alla Conferenza per l'Esercito europeo.

266

L'INCARICATO D'AFFARI A MADRID, CAPOMAZZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 678/181. Madrid, 28 febbraio 1951 (perv. il 6 marzo).

Riferimento: Dispaccio ministeriale D.G.A.P. Uff. I del 5 febbraio u.s. n. 11/01898/C. 1 .

Ho avuto una conversazione con questo segretario generale (Director de Politica Exterior) ministro Erice, circa l'opportunità di una eventuale riserva da farsi in merito alla nomina ed alla competenza del «custode» dei Luoghi Santi recentemente nominato dal Governo giordanico, secondo la proposta della nostra legazione in Amman.

Il ministro Erice che segue con personale interesse la questione dei Luoghi Santi — egli è fra l'altro l'autore, come riferivo col mio rapporto del 16 giugno '49

n. 2325/5762 del progetto spagnolo di internazionalizzazione — si è mostrato molto al corrente delle discussioni sollevate dalla nomina di Raghib Pacha Nachachibi e mi ha confermato quanto ci era stato detto recentemente dal direttore degli Affari d'Africa e del Vicino Oriente, che cioè il Governo spagnolo considera tale nomina una vio

2 Non pubblicato.

lazione dello statu quo ed ha approvato l'astensione del suo rappresentante dal partecipare alle cerimonie della presa di possesso del «custode».

Per ciò che si riferisce all'opportunità che i paesi cattolici facciano una espressa riserva circa la nomina stessa e la competenza del «custode» Erice mi ha detto di essere d'opinione che essa sarebbe destinata a restare lettera morta e che pertanto egli non vede, almeno per il momento, l'utilità di tale passo.

Nel prosieguo della conversazione che si è svolta oltre che sull'argomento dei Luoghi Santi anche su questioni generali riguardanti il Mediterraneo ed il Vicino Oriente, ho riportato l'impressione che l'atteggiamento reticente di questo Governo nei riguardi non solo della riserva ma anche di eventuali altri passi comuni va attribuito in primo luogo alla politica filoaraba che esso persegue ed in secondo luogo ad un certo generico risentimento nei nostri riguardi.

Tra i paesi arabi, poi, è specialmente alla Giordania, il cui re, come si ricorderà, ha dato con la sua visita a Madrid una consacrazione ufficiale della simpatia che nutre per il generale Franco, che vanno le particolari attenzioni di questo Governo.

È da ritenere pertanto che gli spagnoli non vogliano fare un gesto destinato a dispiacere a Abdhallah, sopratutto se tale gesto, come essi sembrano ritenere, non riuscirebbe a raggiungere lo scopo che ci si prefigge.

Non voglio con questo dire che la Spagna, messa colle spalle al muro e di fronte ad una effettiva e solidale azione delle potenze cattoliche rinuncerebbe, per non urtare gli arabi, al suo conclamato atteggiamento di paladina del cattolicesimo, ma ritengo che fino a quando si rimarrà nel campo delle discussioni più o meno accademiche, essa preferisca giocare a fondo la carta dell'amicizia per i paesi arabi, evitando di associarsi a passi come quello proposto.

Del resto le manifestazioni di amicizia per gli arabi oltre che quadrare con l'ideale di fedeltà ai paesi che hanno recentemente dimostrato il loro attaccamento alla Spagna, è anche considerata qui un elemento positivo della politica coloniale spagnola.

Infatti Erice, accennandomi all'atteggiamento anti-francese assunto dalla Lega Araba in occasione del recente conflitto tra la Francia e il sultano, ha tenuto a mettere in rilievo invece l'atteggiamento amichevole che la Lega stessa osserva nei riguardi della Spagna e della sua azione al Marocco spagnolo.

Continuando la conversazione il ministro Erice ha fatto poi un accenno alla proposta di conversazioni sul problema dei Luoghi Santi tra le potenze cattoliche non membri della O.N.U. da lui avanzata nel giugno del 1949 e da noi lasciata cadere, aggiungendo che egli si domandava quale potrebbe essere l'utilità di un passo concordato su una questione particolare come quella del «custode» dei Luoghi Santi quando non ci si era trovati d'accordo nemmeno circa l'opportunità di discutere insieme la questione nei suoi aspetti generali.

A tale proposito egli non mi ha nascosto che quel nostro rifiuto causò allora una certa amarezza.

Non v'ha dubbio che l'argomento dei Luoghi Santi, in cui i nostri interessi di potenza mediterranea e cattolica coincidono nelle grandi linee con quelli della Spagna potrebbe fornire terreno propizio per ricominciare a parlare con questo paese.

Faccio questa osservazione ispirandomi a considerazioni di carattere più generale, che certamente superano la questione del «custode» dei Luoghi Santi.

266 1 Con il quale Zoppi aveva trasmesso alle ambasciate a Bruxelles, Parigi e Madrid i telespressi del 17 e del 24 gennaio da Amman (vedi D. 188) richiedendo di conoscere: «quali riflessi abbia avuto costì l'iniziativa di re Abdallah e se codesto Governo intenda effettuare un passo e in che forma».

267

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2444/1344. Washington, 28 febbraio 1951 (perv. il 5 marzo).

Mi sono immediatamente adoperato circa la questione della partecipazione italiana allo Stato Maggiore del generale Eisenhower, nel senso indicato nella lettera diretta dal ministro Pacciardi al generale Marshall, trasmessami da V.E. con la sua

n. 22/500 del 19 corrente1 .

Mi è stato risposto che tanto il Dipartimento di Stato quanto queste autorità militari non erano ancora al corrente delle decisioni di Eisenhower sulla scelta dei suoi collaboratori, scelta per la quale il comandante supremo aveva assoluta libertà, soggetta naturalmente alla revisione del suo operato da parte dello «Standing Group» e degli altri superiori organi del N.A.T.O.

Risposta analoga è stata data anche al generale Frattini che ho subito interessato affinché svolgesse simile azione nel settore di sua competenza.

Al Dipartimento di Stato abbiamo detto che, per quanto Eisenhower potesse avere un'ampia libertà «tecnica» nella scelta dei suoi immediati collaboratori, su una scelta del genere pesavano delle considerazioni politiche che certamente non sfuggivano al Dipartimento di Stato e che, qualora trascurate, non avrebbero potuto non avere serie ripercussioni ai fini stessi della solidità della costruzione atlantica, dei cui aspetti tecnici tanto ci preoccupavamo. Non vedevamo pertanto come, sia in sede tecnica, sia particolarmente in sede politica, si potesse giustificare l'esclusione di un rappresentante italiano dallo Stato Maggiore del generale Eisenhower, quando per ammissione dello stesso generale il nostro sforzo per la difesa è apprezzato, le nostre risorse di potenziale umano sono notevolissime e la stessa consistenza numerica delle nostre unità non è inferiore, se non è addirittura superiore, a quella dei due altri maggiori membri europei del Patto ai quali, a quanto pare, verrebbero riservate le parti principali nel predetto Stato Maggiore.

Ci siamo inoltre richiamati alle recenti ripercussioni in seno al Parlamento inglese della nomina di un ammiraglio americano a comandante del settore nord-atlantico del N.A.T.O., rilevando come, a parte le giustificazioni tecniche della scelta, la stessa stampa americana aveva quasi all'unanimità ammesso l'opportunità di tenere conto, per lo meno nel futuro, dei sentimenti dell'opinione pubblica britannica.

Mi è stata data assicurazione che la questione avrebbe ricevuto l'attenzione che meritava: apprendo ora con piacere che essa è stata favorevolmente risolta e che un nostro rappresentante sarà incluso nello Stato Maggiore di Eisenhower.

Nel corso delle diverse conversazioni che abbiamo avuto su tale argomento presso il Dipartimento di Stato ci è stato domandato quale fosse l'opinione del Governo italiano sulla organizzazione del Comando aereo e navale del Mediterraneo.

In particolare, ci è stato detto, vi è ancora, fra i membri del patto e addirittura fra i vari settori dell'amministrazione americana perplessità se convenga subordinare al Comando di Eisenhower anche i settori aereo e navale del Mediterraneo o se non convenga invece che tali settori facciano parte di un Comando separato del tipo di quello dell'Atlantico del Nord.

Ci siamo riservati naturalmente di esprimere il nostro parere dopo aver ricevuto istruzioni da V.E.2. Rilevo da alcune comunicazioni di Alessandrini che la questione del Comando del Mediterraneo è d'attualità, sia pure attraverso la notevole confusione causata dalla divisione in Mediterraneo occidentale e Mediterraneo orientale e dalle connessioni di quest'ultimo eventuale teatro d'operazioni con tutte le speculazioni relative ad un eventuale patto mediterraneo.

Ritengo pertanto che la questione di cui sopra farà oggetto dell'ampio scambio di vedute che V.E. e il presidente De Gasperi si ripromettono di avere coi dirigenti inglesi.

Non credo vi siano dubbi che se si addivenisse ad un Comando separato aereo-navale per il Mediterraneo (poco importa che lo si chiami orientale o occidentale), tale Comando verrebbe affidato agli inglesi, anche per compensarli della mancata direzione del settore dell'Atlantico del Nord. Dopo l'incontro di Londra, ed il controllo delle intenzioni britanniche, potremo decidere se ciò ci convenga o meno. Nel caso che gli inglesi non fossero infatti disposti ad assicurarci una equa, e pertanto ampia, associazione in tale Comando separato, credo che ci converrebbe insistere perché i poteri di Eisenhower e quindi del settore meridionale dei suoi tre eventuali Comandi terrestre-aereo-navale (e precisamente di quello: Austria-Trieste-Italia, a quanto dice la stampa) si estendessero più a sud è possibile. E ciò nella speranza che in tale settore mediterraneo la nostra partecipazione fosse quella che una obiettiva valutazione della nostra situazione comporterebbe.

267 1 Vedi D. 244.

268

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESP. RISERVATO 157/122. Parigi, 1° marzo 1951 (perv. il 5).

Schuman, che non era al corrente della conversazione Zoppi–Fouques-Duparc, di cui alla lettera Zoppi 3/134 del 25 febbraio1 ha tenuto ad assicurarmi che da parte francese non solo non si avevano delle riserve nei riguardi della visita del presidente del Consiglio e di V.E. a Londra, ma che ci si rallegrava sinceramente che questo incontro avesse luogo e si esprimeva l'augurio che esso potesse servire a migliorare le relazioni italo-inglesi.

268 1 Non rivenuto.

Le relazioni con l'Inghilterra erano il maggiore rompicapo del Governo francese. L'Inghilterra laburista era in fatto il Governo più ferocemente nazionalista che la Gran Bretagna abbia mai avuto: non si può mai arrivare ad un risultato concreto con loro: sembra oggi di essere d'accordo ed improvvisamente ci si trova di fronte ad una posizione inglese completamente differente da quella già concordata. L'esempio più tipico lo si era avuto in occasione della questione del riarmo tedesco: Bevin, partito dall'Europa con delle idee molto simili a quelle dei francesi, a Washington si era improvvisamente rallié al punto di vista americano e non si era nemmeno dato la pena di dirne una parola ai francesi.

Comunque, il Governo francese era d'avviso che per difficili che fossero le relazioni con la Gran Bretagna e con il Commonwealth (ha deplorato incidentalmente che l'influenza della Gran Bretagna sul Commonwealth sia in quotidiana diminuzione), esse erano di tale importanza per i nostri paesi e per l'Europa che ogni sforzo doveva essere tentato per migliorarle. «Un successo italiano sarebbe stato a questo riguardo un successo anche per la Francia, così come un successo francese sarebbe stato un successo anche per l'Italia».

Ho detto a Schuman quali erano gli argomenti che il presidente del Consiglio contava trattare con gli inglesi. Schuman mi ha pregato di raccomandare a noi di parlare molto nettamente della questione di Trieste e di parlarne agli inglesi con la stessa semplice franchezza con cui ne è stato parlato con i francesi.

Ho chiesto a Schuman se c'era qualche argomento che da parte francese si desiderava particolarmente che noi trattassimo con gli inglesi sul piano della collaborazione stabilita a Santa Margherita2. Schuman mi ha detto che il Governo francese avrebbe avuto un particolare interesse a che noi, parlando della Jugoslavia, cercassimo di chiarire quali erano le intenzioni del Governo inglese. Da parte francese si era tentato di farlo da molto tempo senza però riuscire a sapere niente di preciso. Noi, data anche la nostra posizione geografica, eravamo in posizione migliore dei francesi per cercare di portare gli inglesi ad una precisazione delle loro intenzioni.

Mi ha poi ripetuto l'interesse che la Francia portava al Medio Oriente. Da parte francese, non si consideravano esatte le informazioni che erano state date loro sia da parte inglese che da parte americana sulla Conferenza di Malta. C'era stato evidentemente molto di più e, per lo meno, la Conferenza di Malta doveva essere inquadrata in tutto quanto un negoziato di portata assai più ampia e di cui la Francia non era al corrente.

Abbiamo parlato a lungo di questo argomento e ho potuto constatare anche presso Schuman che, nel complesso, le informazioni francesi coincidono con le nostre, ma che da fonte diretta non ne sanno più di noi. Su questo argomento Schuman mi ha ribadito che è ferma intenzione della Francia di non lasciarsi escludere dal Medio Oriente e di non lasciare che l'Italia ne sia esclusa. Schuman condivide abbastanza le mie preoccupazioni circa il settore del Medio Oriente e mi ha confermato quanto ci aveva detto Margerie in merito alle intenzioni francesi di preparare, al più presto possibile, i mezzi materiali per una eventuale partecipazione francese. Comunque, la Francia ci sarebbe stata grata se in occasione dei colloqui di Londra noi aves

simo sollevato presso gli inglesi anche questa questione. Ho detto a Schuman che avrei comunicato quanto precede a V.E. e gli ho messo in rilievo come V.E. venendo a Parigi, sarà in grado di informarlo ampiamente dei colloqui di Londra. Schuman me ne ha ringraziato, tenendo però a ripetermi che queste comunicazioni egli le intendeva sul piano dello scambio di informazioni previsto a Santa Margherita, e non nel senso che le conversazioni nostre con l'Inghilterra necessitassero comunque una spiegazione nostra al Governo francese.

267 2 Vedi D. 301.

268 2 Vedi D. 233.

269

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. RISERVATISSIMA 2469/1369. Washington, 1° marzo 1951

Col corriere odierno ho riferito ancora una volta sul problema della difesa del Mediterraneo orientale, come è visto da Washington1 .

Non ho motivo per modificare la mia precedente valutazione: il problema è allo studio, ma la sua soluzione non è immediata, in quanto subordinata a quella, tuttora così complessa delle questioni della difesa nordatlantica. Ho però motivo di ritenere che lo studio stesso sarà intensificato nei prossimi giorni. Nel corso dell' ultimo dei nostri giri di «esplorazione» al riguardo, ci è stato detto di riparlarne fra un paio di settimane quando le idee, almeno dei vari uffici del Dipartimento di Stato, fossero più chiare. E ci è stato di nuovo domandato se avessimo delle idee da comunicare.

Abbiamo ricordato quanto avevamo già fatto presente, sulle linee del telespresso ministeriale n. 22/206 del 24 gennaio u.s.2. Ma ho avuto l'impressione che ci si aspetti qualche cosa di più: qualche concreta idea sul come, sia pure a tempo e luogo, noi concepiamo l' organizzazione politico-militare del Mediterraneo orientale.

Mi rendo conto che date le nostre limitate possibilità militari e finanziarie, è difficile scendere a dettagli. Ma ho già espresso il parere che vale la pena, dato il preminente interesse che la cosa presenta per noi, di studiare concretamente i vari aspetti del problema, formulando qualche cosa di più specifico delle giuste linee generali già esposte.

Ho voluto scriverne personalmente a te perche, se i nostri uffici avessero già preparato qualche cosa, sia pure in via preliminare, ciò potrebbe servire a dare un nuovo contenuto allo scambio di idee col Dipartimento di Stato, che d'altra parte è necessario mantenere a punto per essere al corrente degli indirizzi che da parte americana si daranno allo studio della questione3 .

2 Vedi D. 186.

3 Per la risposta vedi D. 301.

269 1 Vedi D. 267.

270

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. PERSONALE 1618/74. Roma, 2 marzo 1951, ore 22.

Per tua norma di linguaggio.

Il presidente del Consiglio sente che ha agito con coscienza rifiutando ieri di aprire una eventuale crisi che potrebbe trarre seco molti pericoli interni ed internazionali. È evidente che l'opinione pubblica ha approvato la sua fermezza. De Gasperi vuole preparare il terreno mantenendo fermo lo spirito di tutti gli impegni internazionali e, per quanto concerne Italia, conservare intatta una compagine di tutte le forze di democrazia e progressi sociali. Ieri nel pomeriggio, nella riunione dei ministri, egli espose con estrema fermezza tali concetti.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2522/64. Mosca, 2 marzo 1951, ore 20,52 (perv. ore 24).

28 febbraio e 1° marzo si ebbero prime due lunghe riunioni fra delegati ed esperti sovietici e italiani circa riparazioni. Bogomolov era assistito da Zukovitski della Direzione beni sovietici all'estero nonché vari funzionari Ministero esteri. Ampie discussioni hanno portato chiarire rispettivi punti di vista rilevando serie divergenze e chiarendo abbastanza bene intenzioni sovietiche. Bogomolov ha insistito su due punti fondamentali ossia:

1) produzione corrente dovrà essere parte principale dei 100 milioni di dollari dovuti;

2) parte italiana deve anzitutto indicare quale importo produzione corrente intende fruire rimanendo valore beni stabilito per differenza.

Naturalmente non mi è stato difficile replicare dimostrando che tale rovesciamento procedura è nettamente contrario trattato di pace ed accordo Mosca. Finalità sovietiche reali non erano tuttavia giuridiche ma pratiche ossia mettere in chiaro che fino a quando noi non discendevamo sotto 100 milioni valutazione beni offrendo cioè qualcosa in produzione corrente essi non avrebbero migliorato loro valutazione. In tal modo essi intendono pure raggiungere ulteriore scopo creare basi di una media circa valutazione beni che rimanga inferiore o non superi 50 milioni. Per uscire dall'accademia e per fissare discussione su nostro terreno ho infine consentito a ridurre a 150 nostre valutazioni chiedendo contro offerta sovietica che è stata categoricamente rifiutata. Anche mio suggerimento lasciare agli esperti negoziazione cifre allontanando temporaneamente capi delegazioni fu nettamente respinta offrendo invece Bogomolov un eventuale incontro personale con lui se lo desideravo. Sovieti intendono così sottolineare che nostra riduzione non è sufficiente e che essi si muoveranno solo quando diventerà più notevole. Riunioni sono ora rinviate a tempo indeterminato in situazione indubbiamente delicata. Due vie si presentano possibili: o saltare il fosso facendo senz'altro riduzione che lasci margine produzione corrente ad esempio 90 irrigidendoci poi salvo ulteriori moderate riduzioni fino al limite già inteso. Tale soluzione offre vantaggio lasciarci in posizione brillante per eventualità rottura ma scredita opera nostri esperti e tattici facilitando sforzo sovietico verso una media finale e bassa. Oppure fare ancora unicamente per uscire da punto morto una riduzione a 140 o 130 che in colloquio preliminare con Bogomolov io chiarirei irremovibile fino controproposte sovietiche. Ciò darebbe ai sovieti indicazione media finale cui tendiamo e senza screditare nostra valutazione ci lascerebbe margine per trattative.

Sentito esperti ritengo che data mentalità e tecnica sovieti prima via sia rischiosa ed opino nettamente per la seconda. Incontrandomi con Bogomolov gli farei pure capire chiaramente che se vogliamo concludere debbono attribuire beni Balcani massima quota del totale. In caso di rottura potremmo ugualmente giustificare nostra posizione con acconcia dichiarazione che redigerò ove riaffermeremo che valutazioni sovietiche sono in netto contrasto con lettera e spirito accordo Mosca.

Aggiungo che Bogomolov sottolineato ripetutamente importanza politica accordo e sua influenza favorevole su relazioni italo-russe in generale ed economiche in specie. Su questo punto sembra tuttavia a me che influenza politica sarebbe insignificante e vantaggio economico sarebbe quanto meno reciproco. In assenza istruzioni contrarie riprenderò lunedì 5 corr. contatti con Bogomolov salvo chiedere poi ulteriori istruzioni prima addivenire eventuale interruzione trattative.

272

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2535/152. Londra, 2 marzo 1951, ore 22,10 (perv. ore 7,15 del 3).

Ringrazio V.E. per istruzioni comunicatemi1 di cui mi sono servito oggi in lungo colloquio avuto con Strang col quale ho passato in rivista argomenti principali che verranno discussi conferenza. Per parte sua Strang ha comunicato seguente elenco questioni:

1) Situation in the Far East and its bearing on general world strategy and defence in the West;

2) Four Power conference; 3) Rearmement of West with special reference to the United Kingdom; 4) German rearmement and European army; 5) Communism in Europe; 6) Italy's role in Africa; 7) Italo-yugoslav relations with special reference to the question of Trieste; 8) Use of italian man-power in the United Kingdom; 9) Raw materials distribution.

Come può rilevare tale elenco non differisce sostanzialmente da nostro. Riavrò settimana prossima colloqui con Strang e con funzionari Foreign Office onde continuare impostazione varie questioni.

Governo inglese desidera fermamente che conversazioni si svolgano su tutti i problemi di comune interesse in modo ampio ed esauriente. Elenco questioni sopra-trascritto è stato preparato da Foreign Office dopo riunione capi Dipartimento i quali dovranno entro martedì prossimo presentare singoli promemoria che primo ministro desidera ricevere per mercoledì.

272 1 Vedi D. 260.

273

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2578/155. Londra, 3 marzo 1951, ore 21,30 (perv. ore 5 del 4).

Nella mia lunga conversazione di ieri con Strang di cui mio 1521 circa questione di Trieste mi è parso che punto di vista inglese non presenti alcuna probabilità di contrasto con quanto comunicatomi da V.E. in sue ultime istruzioni2 .

Egli ha chiaramente espresso che era ormai impossibile pensare all'indipendenza od immaginare che si possa «ritagliare» un nuovo Stato libero dopo che era fallita la possibilità di dare vita al T.L.T. previsto nel trattato di pace.

Per quanto riguarda Dichiarazione tripartita3 sottosegretario permanente mi ha confermato quanto ho comunicato con mio 1094. Tuttavia mentre noi giustamente insistiamo su riaffermazione Dichiarazione da parte Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, gli jugoslavi stanno facendo tutte le pressioni perché tre potenze non ne tengano conto. Allo stato presente quindi la soluzione migliore del problema non potrebbe venire — egli ha dichiarato — che da un accordo diretto fra Italia e Jugoslavia. Appunto a tale scopo Strang è d'avviso che accento non debba essere appoggiato

2 Vedi D. 260.

3 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

4 Vedi D. 247.

troppo insistentemente su Dichiarazione tripartita e che le due nazioni interessate debbano — in via affatto confidenziale — prendere e nel modo più segreto in esame la possibilità di un compromesso il più favorevole possibile all'Italia5 .

273 1 Vedi D. 272.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Londra, 3 marzo 1951.

Oggi ho avuto una conversazione confidenziale con l'ambasciatore di Jugoslavia Brilej nella quale, a titolo esplorativo, abbiamo avuto uno scambio di idee in merito alla possibilità di una eventuale soluzione italo-jugoslava del problema del Territorio Libero di Trieste. Naturalmente Brilej ha, a sostegno della tesi jugoslava, sottolineato che — data l'importanza di Trieste — l'ottenere quella città era per noi moltissimo, tanto più che già eravamo in possesso di Gorizia. Ovviamente ho ribattuto con la massima fermezza ed ho attirato l'attenzione del mio collega jugoslavo sui gravissimi sacrifici che erano stati imposti all'Italia con la cessione di grandi città italiane quali Pola e Fiume e di tutta una fascia costiera sulla cui italianità non potevano esistere dubbi.

Senza dilungarmi a ripetere tutti gli argomenti da me addotti per dimostrare l'italianità della Zona B e in modo particolare della zona costiera, l'impossibilità per qualsiasi Governo italiano di accettare ulteriori rinunce a terre italiane ecc. indico sommariamente qui di seguito i principali elementi emersi dal colloquio:

1) il Governo jugoslavo è desideroso di poter fin d'ora esaminare il problema di una sistemazione territoriale del T.L.T. con la maggiore larghezza di vedute possibile e si rende conto dell'utilità di conversazioni esplorative e segretissime;

2) da parte jugoslava si sente che il momento politico e l'imminenza delle stesse conversazioni a quattro suggeriscono di accentuare il progressivo avvicinamento tra i due paesi sulle questioni essenziali;

3) perciò sempre più appare necessario di creare atmosfera di tranquillità, scevra di passioni partigiane, specialmente a Trieste e nelle Zone A e B;

4) la distensione verificatasi nei rapporti italo-jugoslavi ed il modus vivendi raggiunto dopo le nostre prime conversazioni con Brilej hanno dato i loro frutti negli accordi conclusi a Roma e a Belgrado; non bisogna quindi uscire da questa linea di reciproca comprensione e moderazione se si vogliono fare dei progressi;

5) la Jugoslavia non pensa alla costituzione del T.L.T. quale previsto dal trattato di pace. Le posizioni che possono essere ritenute indipendentiste, adottate dal comunismo titoista a Trieste, hanno valore locale e polemico e sono in corrisponden

za di altrettante posizioni non realistiche prese dall'altra parte; ciò è tanto vero che le conversazioni in corso si basano sul presupposto del riconoscimento, da parte jugo slava, del buon diritto dell'Italia a ritornare in possesso di Trieste;

6) in via di massima gli jugoslavi non si rifiutano a considerare un accordo ispirato alla linea etnica purché l'espressione vada intesa con una certa elasticità, dovendosi tener conto anche di altri elementi che non sono strettamente etnici ma sopratutto politici. Su questo punto la Jugoslavia vorrebbe che in Italia ci si rendesse conto che anch'essa ha difficoltà di opinione pubblica e che al popolo jugoslavo andava in qualche modo spiegato l'abbandono di parte della Zona B;

7) la linea etnica dovrebbe essere indicativa del criterio fondamentale da cui si parte nella ricerca di una soluzione che tenga nel maggior conto i sentimenti nazionali dei due popoli e richieda il minor sacrificio possibile dalle due parti quanto ad inclusioni ed esclusioni;

8) detto ciò resta il grosso problema di come tale linea vada ricercata e tracciata attraverso le due zone vincendo le resistenze che, non illudiamoci, sono forti da parte della Jugoslavia che già si è consolidata e si va consolidando ogni giorno più nella Zona B;

9) ritengo però che in via generica Brilej abbia ammesso il carattere italiano della costa mentre ha sempre difeso il carattere essenzialmente slavo dell'interno. Come prima ammissione di possibile estensione della zona di nostra pertinenza sul mare egli ha lasciato intendere che ciò che sarebbe facile è di allargare sulla costa la zona che potrebbe chiamarsi di complemento del golfo di Trieste, onde dare più largo respiro alla stessa città sul mare;

10) quanto alla continuazione della costa fino a Cittanova, Brilej, pur non lasciando illusioni sulla resistenza che opporrebbe l'opinione pubblica jugoslava ad una simile soluzione, mi è parso piuttosto disposto a non assumere atteggiamenti negativi di fronte a proposte che, sempre in via esplorativa, potessero essere avanzate da noi;

11) Brilej non pensa che, una volta risolto il problema del T.L.T. tra Italia e Jugoslavia, vi possano essere difficoltà per il mantenimento di truppe anglo-americane a Trieste. Una formula potrebbe facilmente trovarsi.

273 5 Il 5 marzo De Gasperi inviò a Sforza la seguente lettera: «Ho visto adesso Missiroli, il quale è del parere che se noi dessimo l'impressione di cedere sulla questione del T.L. Trieste, tutto il paese si solleverebbe. Bisogna che Gallarati se ne persuada».

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L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 456/237. Ankara, 3 marzo 1951 (perv. l'8).

Al termine delle visite del segretario di Stato aggiunto McGhee, del segretario di Stato Finletter, dell'ammiraglio Carney e del generale britannico Robertson in Turchia nel febbraio scorso1, ritengo opportuno fare il punto sui risultati raggiunti. Nessun impegno, neppure di massima, è stato preso nelle conversazioni predette. Si è trattato puramente di scambi di vedute, nei quali si sono passate in rassegna le possibilità offensive e difensive di questo teatro di operazioni. Si è esaminato in particolare quale potrebbe essere l'atteggiamento della Turchia nel caso di un attacco contro la Jugoslavia, come pure il contributo che la Turchia potrebbe dare alla difesa dell'Iran. L'ex ministro degli esteri Sadak, sempre bene informato, ha scritto sull'Aksam: «Dal momento che la Jugoslavia da una parte e l'Iran dall'altra costituiscono le due ali del blocco Turchia-Grecia, che deve formare la base del fronte del Mediterraneo orientale, la sicurezza dell'Iran e della Jugoslavia interessa seriamente gli americani».

In questo scambio di vedute ognuno ha presentato il proprio pensiero. È stato un incontro puramente esplorativo senza conclusioni precise e impegnative. Queste sono subordinate, come ho detto in altri rapporti, alla conclusione di un accordo politico di garanzia. Tutto è perciò rinviato. Le ragioni della lentezza con cui procedono i negoziati sono varie.

1) In primo luogo gli Alleati, pur desiderando dare ai paesi del Medio Oriente e in principal modo alla Turchia, prove concrete del loro interessamento, riservano l'assoluta priorità alla difesa dell'Europa occidentale. Essi sanno che per il momento non dispongono di forze da destinare a questo secondo teatro di operazioni e perciò sono costretti a dilazionare ogni soluzione. Ciò spiega perché, mentre questo ministro degli esteri afferma che «il pericolo è prossimo nel Medio Oriente», il signor McGhee dichiara ai giornalisti di non vedere «alcuna indicazione attuale che possa far credere a una guerra prossima nel Medio Oriente».

2) Manca fino ad oggi un piano approfondito. Esistono solo delle linee generali che contemplano varie possibilità a seconda dei paesi che saranno disposti a collaborare, e cioè a seconda delle forze disponibili.

3) L'impressione che predomina è che non solo manca un piano preciso, ma anche l'indispensabile coordinamento, nonostante i lavori del Comitato di difesa di Malta, tra le iniziative americane e quelle britanniche in questi contatti periferici. Ognuna delle due parti dà l'impressione, almeno in questa prima fase, di agire per proprio conto. La verità è che gli inglesi non nascondono una qualche insofferenza, talora qualche ironico commento sui metodi della diplomazia americana. Gira per tutta Ankara la battuta di sir Noel Charles, in risposta all'ambasciatore di Spagna che

gli aveva chiesto che cosa fosse venuto a fare il generale Robertson ad Ankara, «a mostrare che ci siamo anche noi nel Medio Oriente». Alla base di questo atteggiamento britannico v'è la tendenza a riaffermare la propria autonomia e il proprio prestigio. Da qualche tempo cioè è visibile lo sforzo della Gran Bretagna di mettersi su un piede di uguaglianza con l'America e di condividerne da pari a pari le responsabilità e la funzione egemonica.

4) La mancanza di questo coordinamento periferico tra le iniziative delle due parti solleva qualche preoccupazione per i pericoli ch'essa comporta. Giova tener presente al riguardo che le conversazioni di Ankara si sono riferite a due problemi ben distinti, ancorché connessi: quello del Mediterraneo orientale e quello del Medio Oriente. Il primo s'inquadra nella difesa balcanica e non può astrarre dall'equilibrio delle forze in quel settore. Perciò gli americani si preoccupano dei pericoli che minacciano la Jugoslavia. L'interesse invece della Gran Bretagna sembra concentrarsi prevalentemente sulla difesa del Medio Oriente, che ha il suo punto di gravità, come altre volte ho riferito, nella Persia meridionale. V'è il pericolo che si cerchi di assegnare alla Turchia una funzione più medio-orientale che mediterranea, orientandone le forze più verso il Caucaso e l'Iran che verso la Tracia e gli Stretti. In tal caso si verrebbe a colmare, almeno parzialmente, il vuoto nel Medio Oriente, ma si accentuerebbe quello, ancora più pericoloso, nel settore balcanico. Il che, come è chiaro, non può lasciare indifferente l'Italia. Sopratutto non può lasciare indifferente la Grecia, che si troverebbe isolata, alla sua mercé, mentre il suo evidente interesse è di inserirsi in uno schieramento concepito in modo che la difesa balcanica faccia corpo con quella contigua e integrativa del Medio Oriente. Qualche accenno in proposito mi è stato fatto dall'ambasciatore greco Contoumas, che in sostanza ha ripetuto le preoccupazioni già segnalate dall'ambasciatore Alessandrini. La questione merita, a mio avviso, di essere seguita sopratutto per il momento in cui il problema della sicurezza nel Mediterraneo orientale sarà discusso tra gli Stati Maggiori greco e turco e il Comitato mediterraneo del Patto atlantico.

5) Le preoccupazioni aumentano quando si constata che dagli scambi di vedute in corso, anziché risultare degli obiettivi limitati e precisi, si è passati a considerare un numero crescente di possibilità, non solo difensive, ma anche offensive, che non possono a lungo andare non suscitare le preoccupazioni e le contromisure dei russi. A queste possibilità ha fatto un recente accenno il corrispondente del Times a Istanbul, signor Mavroudis, che ha parlato non soltanto della necessità di «tenere» due fronti terrestri, i Balcani e il Caucaso, ma anche un terzo, nell'eventualità di un'avanzata russa attraverso la Persia. «C'è anche — egli ha detto — una frontiera marittima assai estesa lungo il Mar Nero. Inoltre, nell'eventualità di una guerra, una strategia puramente difensiva dovrebbe avere come complemento dei piani per un contro attacco e in questo caso la Turchia potrebbe servire da trampolino per una spinta contro i centri più vulnerabili e più vitali del nemico».

Di queste possibilità offensive contro il Caucaso, da me accennate nel rapporto

n. 416/216 del 23 febbraio u.s.2, si è effettivamente parlato nelle conversazioni qui svoltesi ed esse sono tenute presenti da questo Stato Maggiore. Me ne ha accennato

lo stesso ministro Fuad Köprülü, insistendo sull'importanza eccezionale della Turchia come base strategica per colpire al cuore la Russia, mentre un'offensiva condotta attraverso la Germania e la Polonia dovrebbe superare distanze e ostacoli immensi per vulnerare in punti vitali la potenza sovietica. Qui si osserva che la Germania, con l'offensiva su Stalingrado, mirava a rendere possibile l'avanzata sul Caucaso. Se l'U.R.S.S. ha potuto resistere, si dice, si deve al fatto ch'essa ha potuto disporre della via di rifornimenti del Golfo Persico. In altri termini tanto la Russia quanto i suoi ex alleati hanno esperimentato l'importanza di questa arteria. Può perciò prevedersi che l'U.R.S.S. farà tutto il possibile per impedire che gli anglo-americani possano costituire ai suoi danni un'importante testa di ponte nel Golfo Persico.

Sono questi alcuni degli spunti più importanti, secondo quanto mi risulta, di scussi negli scambi di vedute turco-americani e anglo-turchi. La Turchia si presta volentieri a tali discussioni e non esclude a priori alcuna di queste possibilità; per l'evidente interesse di accentuare l'attenzione dei Comandi occidentali su questo settore. Essa si lusinga, e non a torto, di divenire il centro di questo teatro di operazioni, di persuadere gli Alleati a concentrarvi i loro mezzi offensivi e difensivi, in una parola, di diventare essa la grande protagonista di questo vasto mondo con enorme accrescimento del suo prestigio e con audaci prospettive di larghi guadagni.

6) Naturalmente il problema si riduce a quello delle forze disponibili, tanto più numerose quanto maggiori e più importanti sono gli obiettivi cui mirare. Ora se esistono in larga misura le forze navali, e possono essere rapidamente aumentate quelle aeree, mancano le forze terrestri, le più essenziali. Si tratta di disporre di qualche diecina di divisioni alleate. E questa mancanza di forze militari è il grande ostacolo a concretare delle intese. Senza il loro concorso, la Turchia non si impegna. Non le bastano «ragionevoli speranze» come ha detto Fuad Köprülü, vuole garanzie concrete e cioè immediate.

7) Intanto la Turchia si attiene a piani strettamente difensivi proporzionati alle forze di cui dispone. In questi piani la priorità è data alla difesa del territorio anatolico, come desumesi dal fatto che nell'attuale dislocazione delle sue forze, le divisioni completamente equipaggiate con materiale americano sono tenute di riserva al centro del ridotto anatolico; quelle che dispongono per l'83% di armamento americano sono sulla frontiera verso il Caucaso e quelle armate solo per il 50% con materiale americano sono in Tracia.

8) Le impressioni riportate sia dal segretario di Stato Finletter sia dal generale Robertson sugli apprestamenti militari in corso in Turchia sono state favorevoli. Per quanto riguarda i paesi arabi il generale Robertson ha qui detto di non potersi considerare soddisfatto dei risultati della sua visita nel Libano e in Siria. Qui sopratutto ha riscontrato la più forte riluttanza ad assumere impegni. Prevale cioè una tendenza nettamente neutralista. In questi circoli si insinua che, qualunque sia l'atteggiamento degli arabi, non si terrà conto che delle esigenze militari. Al che gli arabi obiettano che l'Inghilterra si accorgerà della resistenza ch'essi saranno capaci di opporle.

9) Ottime sarebbero state le impressioni riportate dal generale Robertson sul-l'organizzazione militare israeliana. Tuttavia Israele ha messo come precisa condizione al suo concorso che venga regolato il suo conflitto con gli arabi. Ho accennato in precedenti rapporti che Israele si è assicurato l'appoggio della Turchia, che gli ha promesso di addivenire con esso a un accordo separato se non sarà compreso nell'organizzazione difensiva del Medio Oriente. So ora da fonte certa che Israele, per ottenere tale valido appoggio, ha promesso alla Turchia, qualora questa fosse attaccata, l'invio di suoi contingenti militari. L'invio è, come ho detto, subordinato a un regolamento del conflitto con gli arabi, giacché è evidente che Israele non può sguarnire il suo territorio fino a quando pesa su di esso la minaccia di una nuova invasione.

Questi progetti di collaborazione militare turco-israeliana spiegano il calore dei rapporti tra i due paesi e l'importanza dell'azione mediatrice che la Turchia si sforza di esercitare per la pacificazione del Medio Oriente.

10) Per concludere, le divergenze esistenti, le remore opposte dagli arabi, le condizioni a cui Turchia e Israele subordinano il loro concorso non lasciano prevedere per ora che decisioni concrete siano prossime.

275 1 Vedi D. 257.

275 2 Non rinvenuto.

276

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, IVEKOVIC

APPUNTO. Roma, 4 marzo 1951.

Accettata il 1° marzo una colazione dal ministro di Jugoslavia cui parteciparono gli ambasciatori di Francia e degli Stati Uniti e il consigliere britannico più vari italiani.

Dopo la colazione, in conversazione a metà ascoltata da altri, il ministro mi disse sperare che non sarebbe indiscreto chiedendomi se si parlerebbe di Trieste a Londra.

Io gli risposi che non avevo la menoma difficoltà a dirgli tutto il pensier mio: «a Londra parleremo di tutti i problemi in corso colla massima franchezza dai due lati; quindi anche del T.L.T. Accentueremo il nostro desiderio di creare con voi feconde relazioni di buon vicinato; ed è anche per ciò che insisteremo sul concetto consacrato dalla Dichiarazione del 23 marzo '481 .

Indurremmo in errore voi e gli Alleati se dicessimo che possiamo recedere in modo sensibile da quella dichiarazione. Certo, noi vogliamo il ritorno di Trieste all'Italia, ma teniamo anche a permanenti buoni rapporti con voi. Rendetevi dunque conto che noi non possiamo propugnare e accettare che ciò che sarà accettato di buona grazia dal nostro popolo. Capite una buona volta che per voi la Zona B è un modesto e poco importante territorio circa il quale voi, credo, siete in fondo disposti a riconoscere che tutta o quasi tutta la parte verso mare è italiana ma che il resto è popolato da slavi. E magari avrete ragione. Ma per gli italiani, anche i meno nazionalisti, il problema è diverso. Essi hanno dovuto rinunziare successivamente a Fiume, alla linea Wilson in Istria, a Pola e ora si dice: dopo anni dalla guerra, dopo che abbiamo dato la nostra fede al Patto atlantico, dobbiamo ancora rinunziare? Al T.L.T., in tutte le sue parti, noi non abbiamo rinunziato. Né rinunzieremo ora.

Ivekovic: Vi ringrazio della vostra chiarezza; ma allora non c'è speranza di intenderci?

Io: Sì, perché oltre correzioni di confine noi vi offriremo vantaggi di cui voi non immaginate quanto ne tirereste. Ma se pensate dover esigere quanto la nostra opinione pubblica non approverebbe, noi e voi non raggiungeremmo quella intesa che sarebbe utile a voi più che a noi. E in tal caso — credo che dica ancora lo stesso Tito — meglio aspettare.

Il ministro di Jugoslavia mi ringraziò e mi parve con franchezza, della mia sincerità che — disse — gli aveva mostrato punti di vista da lui finora non considerati.

Da parte mia replicai che ciò che occorreva fra noi era in ogni caso la schiettezza e il desiderio di parlare e di intenderci: «Dopo Londra — conclusi — venite a trovarmi e riprenderemo una conversazione che da parte mia sarà sempre amichevole».

Il pomeriggio ricevetti alla Camera il rettore dell'Università di Trieste, Camma-rata. Lunga conversazione, niente di nuovo, dimostrazioni giuridiche che sarebber vane ovunque e dannose a Londra. Gli posi varie domande cui lo pregai rispondermi per sì o per no. L'ultima fu questa: «Conto sul suo onore di italiano per dirmi se crede che il tempo a Trieste e in tutto il T.L. lavora per noi o contro di noi».

Egli capì ma rispose: «Lavora rapidamente contro di noi».

Io non commentai2 .

276 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. SEGRETO 1691/79. Roma, 5 marzo 1951, ore 22.

Riferimento suo telegramma n. 1581 .

Origine delle attuali preoccupazioni opinione pubblica per Trieste va ricercata in notizie su situazione tanto Zona A (per alcuni errori di carattere psicologico che Allied Military Government ha recentemente commessi) quanto in Zona B, dove recentemente sono state adottate, specie in campo scolastico, norme di scriminatorie.

A quanto sopra si sono venute ad aggiungere notizie New York Times circa pretese nuove delimitazioni territoriali, nonché timore che nella prossima Conferenza a Quattro questione possa essere sollevata ad iniziativa sovietica. Attuale stato d'animo può com

prendersi se si considera che tutto ciò è venuto maturando in clima preelettorale e alla vigilia del nostro viaggio Londra, mentre è nota presente titofilia dei britannici. Si tratta quindi di una realtà politica e psicologica che deve essere tenuta presente dai Governi alleati. Per quanto concerne la questione di fondo (e con riferimento particolare al suo telegramma n. 155)2 occorre confermare che nostro punto di vista rimane quello esposto nel mio telegramma n. 473. A Parigi tale punto di vista è stato compreso perfettamente4 .

276 2 Sforza inviò questo documento a De Gasperi in allegato ad una L. segreta del 5 marzo nella quale, richiamandosi alle indicazioni fornite da Gallarati Scotti (vedi D. 273) aggiungeva: «Anche in vista di quel che dovremo dire a Londra ho redatto per te e per gli archivi del Ministero un resoconto esattissimo di una mia conversazione col ministro di Jugoslavia il 1° corr.».

277 1 Del 4 marzo, con il quale Gallarati Scotti aveva riferito quanto segnalatogli da Brilej sull'opportunità di evitare polemiche o incidenti in un momento di progressivo miglioramento delle relazioni italo-jugoslave.

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

TELESPR. SEGRETO 347/C. 1 SEGR. POL. Roma, 5 marzo 1951.

Riferimento: Suo telegramma n. 472 .

In sede di esposizione del nostro punto di vista sulla questione jugoslava, sono state già indicate a V.E. le ragioni che, a nostro avviso, consigliano almeno per il momento di lasciare maturare per suo conto la situazione dell'Albania che, nell'attuale isolamento, non può costituire un serio elemento attivo di azione contro gli Stati confinanti, l'Italia e l'Occidente in genere.

V.E. potrà sottolineare quindi davanti al Consiglio dei supplenti le considerazioni qui appresso riassunte:

1) le informazioni diffuse dalla stampa internazionale (e portate di recente anche alla Camera dei Comuni) circa la presenza in Albania di formazioni militari sovietiche, l'apprestamento straordinario di mezzi d'attacco ecc. ci appaiono alquanto esagerate, mentre sono fondate quelle concernenti l'afflusso in Albania di elementi sovietici, politici e tecnici, e il loro insediarsi in tutti i gangli dell'Amministrazione albanese, in primo luogo dell'Esercito e della Polizia. Si ha nel complesso la impressione che lo sforzo organizzativo sovietico sia prevalentemente diretto a mantenere il paese nell'orbita cominformista e a porlo eventualmente in condizione di servire più che altro come base di disturbo della navigazione nell'Adriatico e se mai di difendersi contro attacchi provenienti eventualmente da Jugoslavia e Grecia per il tempo necessario ai suoi alleati cominformisti di accorrere in suo aiuto;

2) le impressioni sulla consistenza e orientamento della organizzazione militare in Albania corrispondono del resto alla posizione in cui quel paese è tenuto nei rispetti

3 Vedi D. 237.

4 In risposta ad analoga segnalazione di Martino (T. segreto 2574/69 del 3 marzo) Sforza ritra

smise questo telegramma a Belgrado con T. segreto 1692/45 del 5 marzo. 278 1 Inviato per conoscenza alle ambasciate ad Ankara, Atene, Londra, Mosca, Parigi e Washington, alle legazioni a Belgrado e Vienna e allo Stato Maggiore della Difesa. 2 Del 21 febbraio, non pubblicato.

del blocco cominformista. È noto che Enver Hoxha non è riuscito ad ottenere a Mosca la conclusione di un trattato di amicizia e mutua assistenza russo-albanese, sul tipo di quelli che legano l'U.R.S.S. a tutti gli altri Stati cominformisti. Il Governo sovietico si è per contro adoperato a far stringere rapporti politici e impegni di assistenza militare tra l'Albania e i paesi balcanico-cominformisti, in particolare con la Bulgaria;

3) situazione interna albanese si è piuttosto appesantita negli ultimi mesi. Il paese traversa una grave crisi economica ed anche alimentare. Per quanto il controllo sovietico sia stretto e rigoroso, sia nell'Amministrazione che nel Partito comunista, si ha l'impressione che eventuali emergenze balcaniche si rifletterebbero sulla situazione interna albanese tanto che non dovrebbe essere — in quel momento — difficile per le potenze occidentali prendere sotto controllo il paese, specialmente se saranno evitate autonome e intempestive iniziative jugoslave e greche che si urterebbero a reazioni e resistenze delle forze nazionali albanesi;

4) occorre a tale riguardo non dimenticare che il popolo albanese è fiero della propria indipendenza e ne sarebbe strenuo difensore. Pertanto se cresce attualmente la sua opposizione al giogo sovietico, ogni mossa da parte occidentale che desse l'impressione di un atteggiamento contrario alle aspirazioni indipendentiste del paese costituirebbe un errore psicologico e politico. In effetti Hoxha fa oggi anche leva su tali sentimenti per porsi come difensore dell'indipendenza albanese contro pretese mire espansioniste italiane, jugoslave e greche. Da parte italiana è ovvio che non esiste alcun programma di tale natura e ciò è già stato detto e ripetuto anche a Tirana. Permangono tuttavia colà diffidenze verso la politica degli altri vicini. Ogni chiarimento a tale riguardo non potrebbe che rafforzare la posizione occidentale in Albania.

277 2 Vedi D. 273.

279

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2694/162. Londra, 6 marzo 1951, part. ore 0,37 del 7 (perv. ore 7,30).

In seguito confronto fra elenco predisposto da Foreign Office e quello inviato da V.E.1 è stato ritenuto opportuno procedere a parziale fusione intesa dare massima organicità discussioni ed eliminare doppioni.

Questioni carattere generale che formeranno oggetto conversazioni presidente del Consiglio e V.E. con primo ministro e segretario Stato saranno quindi da parte britannica: 1) situazione Estremo Oriente e sue ripercussioni su strategia mondiale in

genere e difesa occidentale in particolare;

2) Conferenza a Quattro;

3) riarmo occidentale con particolare riferimento sforzo Regno Unito;

4) riarmo tedesco ed esercito europeo; 5) comunismo in Europa.

Da parte italiana: a) unità e solidarietà atlantica; b) organizzazioni internazionali ed europee; c) difesa Mediterraneo e Medio Oriente; d) Jugoslavia.

Questioni di carattere particolare comprendono da parte inglese: 6) relazioni italo-jugoslave (incluso Trieste); 7) utilizzazione mano d'opera italiana nel Regno Unito.

Da parte italiana: e) trattato di pace; f) ingresso O.N.U.; g) posizione Italia nel Patto atlantico; h) cooperazione in Libia ed Eritrea; i) contributo mano d'opera italiana in Africa; j) cooperazione economica ed industriale italo-inglese; k) materie prime.

Conversazioni mattina e pomeriggio martedì 13 saranno con primo ministro; conversazioni giorno 14 si terranno presso Foreign Office senza partecipazione Attlee. Attlee desidera peraltro che sua conversazione finale riassuntiva con presidente del Consiglio sia inserita fra colazione giovedì 15 e Conferenza Unione interparlamentare.

279 1 Vedi DD. 272 e 260.

280

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 22/714. Roma, 6 marzo 1951.

Esaminato il suo rapporto del 22 febbraio (n. 1227)1, posso assicurare V.E. che concordo col suo pensiero e con quello del Dipartimento di Stato salvo in un punto: là ove ella dice che «non ci conviene cercare “surrogati” della revisione, sotto forma di dichiarazioni o promesse pubbliche, singole o collegiali, le quali sarebbero inutili ai fini pratici e superflue ai fini politici».

Le comunico copia di una lettera, che desidero rimanga segreta, da me diretta il 5 febbraio al collega Schuman2. Essa le dà tutto il pensier mio cui il presidente del Consiglio si è pienamente associato. A Santa Margherita3 Schuman disse comprendere e condividere il nostro punto di vista; solo, non vedere come porre sul tappeto la questione; che ci rifletterebbe.

2 Vedi D. 220. 3 Vedi D. 233.

Il fatto che le accludo anche una letterale traduzione inglese della mia lettera4 le prova che mi affido alla sua discrezione per decidere se e come usarla e mostrarla.

È chiaro che, poiché «lo spirito del trattato» è morto, niente sarebbe più facile e più utile pei nostri tre Alleati che di formulare una dichiarazione scritta assicuranteci che essi considerano che il trattato dovrebbe essere annullato, sostituendovi la formula di cui nella mia lettera a Schuman o altri eventuali strumenti da discutere fra di noi.

Una dichiarazione del genere costituirebbe una formidabile arma pubblicitaria in Italia a favore della nostra politica di intesa coll'Occidente; e non solleverebbe neppure la questione dei limiti del riarmo, per ora almeno.

Studi, indaghi e mi riferisca5 .

280 1 Vedi D. 254.

281

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA PERSONALE 2702/1502. Washington, 7 marzo 1951.

Col rapporto n. 2227/1227 del 22 febbraio u.s.1, col quale commentavo l'iniziativa di alcuni parlamentari americani per una revisione del trattato di pace con l'Italia, segnalavo, tra l'altro, come il Dipartimento di Stato si domandasse se e fino a che punto la revisione stessa sarebbe oggi gradita al nostro Governo, il quale si era valso delle clausole militari del trattato di pace per rassicurare taluni settori dell'opinione pubblica e del Parlamento sui limiti dello sforzo finanziario imposto al paese.

Mi rendo pertanto conto dei motivi che hanno dettato il passo dedicato alla revisione del trattato di pace del discorso pronunciato ieri alla Camera dal ministro della difesa2. Mi domando però se, soddisfatte in questo modo talune esigenze di politica interna, non ci convenga, dal punto di vista dei nostri interessi internazionali, di evitare in futuro di prendere troppo aperta posizione circa tale problema.

Non credo di aver dato l'impressione di sopravalutare la portata delle recenti iniziative parlamentari americane al riguardo. Si tratta però di autorevoli senatori che non possiamo scoraggiare per considerazioni di politica sia internazionale sia interna, e comunque l'agitazione da essi prodotta nel Parlamento e nell'opinione pubblica americana, non dovrebbe recarci danno, sempreché interventi ufficiali nostri o del Governo americano non inducano, a loro volta, Londra e Parigi a mettere dei «precauzionali» bastoni fra le ruote.

Quello che a noi interessa è che questo Governo interpreti il trattato di pace in modo da non intralciare il nostro riarmo, specie nei settori della Marina e dell'Aviazione. Le attuali dichiarazioni favorevoli alla revisione non possono che confermare queste Autorità, sopratutto militari, nelle loro favorevoli intenzioni al riguardo. A noi, come ho detto, credo convenga non scoraggiarne gli autori, senza offrire al tempo stesso ad altri — all'interno ed all'estero — il movente per contromanovre.

Mi rendo conto che non è facile, ma è questa la linea che io mi riprometto di seguire qui, salvo sue contrarie istruzioni3 .

280 4 Non pubblicato. 5 Vedi D. 281, incrociatosi con il presente documento, e D. 309. 281 1 Vedi D. 254. 2 In Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 1951, vol. XIX, seduta pomeridiana del 6 marzo, pp. 26778-26841.

282

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 677. Belgrado, 7 marzo 1951.

Come le è noto durante le conversazioni che ebbi il luglio scorso1 a Bled con questo ministro degli esteri, Kardelj, questi suggerì l'idea che io mi incontrassi con questo ministro aggiunto Mates, allo scopo di esaminare insieme la possibilità di trovare una via per la soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste.

Autorizzato da S.E. il conte Sforza, feci sapere a Mates che a titolo personale non avrei avuto difficoltà ad intrattenermi con lui sulla questione, con l'intesa:

— -che le conversazioni segretissime dovevano essere del tutto private e confidenziali; — -che se fossero state diffuse voci di trattative in corso tra i due Governi lo avrebbero smentito; - — -che nessuna dichiarazione, ammissione od affermazione avrebbe in futuro potuto essere sfruttata come un precedente.

A seguito di ciò ebbi con Mates tre conversazioni e le riferii che in sostanza da esse non era risultato nulla di nuovo rispetto al punto di vista jugoslavo espressomi da Mates nel colloquio del 26 marzo 19502, di cui anche a suo tempo le comunicai il tenore.

Ritengo opportuno e doveroso, a distanza oramai di mesi, di inviarle il testo degli appunti che redassi, dopo le conversazioni avute il 20 e 28 luglio 1950 e 14 agosto3 con il ministro aggiunto Mates, testi che è tuttavia opportuno che restino riservati perché seppure riferentisi a tempo oramai passato eventuali indiscrezioni potrebbero renderli attuali.

2 In tale data Martino aveva ricevuto da Vejvoda la risposta al memorandum italiano di protesta per l'unione doganale tra la Zona B e la Jugoslavia (vedi serie undicesima, vol. IV, D. 85). Il richiamato colloquio con Mates, presente Vejvoda, ebbe invece luogo il 2 aprile (vedi ibid., D. 96).

3 Vedi Allegati.

Dopo quelle conversazioni non ebbi più occasioni di intrattenermi sul problema con questi dirigenti.

Soltanto pochi giorni fa4 questo ministro aggiunto Vejvoda, nell'attirare la mia attenzione sulla manifestazione romana pro Trieste annunciata per l'11 marzo, accennò ancora al problema in termini tali da riceverne l'impressione che il punto di vista jugoslavo non fosse mutato.

In sostanza il Governo jugoslavo persiste nella tesi di una spartizione del Territorio Libero, Zona A all'Italia e Zona B alla Jugoslavia, salvo rettifiche di frontiera.

Il Governo jugoslavo non ha alcuna intenzione di abbandonare la Zona B, né per effetto di persuasione né per minaccia o pressione.

La tesi della linea etnica, accennata a suo tempo da S.E. il ministro, non è accettabile per i motivi espostimi da Mates. Quindi, in sostanza, nessun passo avanti da parte jugoslava.

Vejvoda, constatando la divergenza tra i due punti di vista, ha riconfermato la opportunità, ancora una volta espressa recentemente dal maresciallo Tito, di accantonare il problema.

Ho sommariamente ripetuto a Vejvoda le argomentazioni già fatte presenti a Mates, aggiungendo tuttavia che se l'accantonare la questione doveva significare dimenticarla rischiavamo di nasconderla dietro un dito.

La questione infatti esiste e la sua esistenza è via via acutizzata dal comportamento delle autorità jugoslave della Zona B che non può non allarmare le popolazioni interessate e l'opinione pubblica italiana.

Ho ritenuto opportuno fare il punto a oggi della questione perché il Governo ne possa tenere debito conto in eventuali conversazioni sull'argomento a Londra.

ALLEGATO I

COLLOQUIO DEL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, CON IL VICE MINISTRO DEGLI ESTERI DI JUGOSLAVIA, MATES

APPUNTO. Bled, 20 luglio 1950.

Ore 12,30. Appuntamento con Mates alla sede estiva del Ministero degli esteri, «Rachia», e poi partenza per Pokliuka. Villetta isolata in una foresta di larici.

Dopo una breve conversazione di circostanza, rompo la reciproca riservatezza sull'argomento per cui ci siamo incontrati, accennando al discorso di Kardelj a Maribor5 .

In quel discorso il ministro degli esteri jugoslavo aveva detto che la Jugoslavia non intendeva abbandonare territori di popolazione slovena. Punto di vista, secondo me, dal concetto della «linea etnica» accennato dal nostro ministro degli esteri, quale base per la soluzione della questione del T.L.T.

5 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 48.

Mi era parsa invece fuori luogo la dichiarazione di Kardelj, alla Commissione degli affari esteri dell'Assemblea popolare6, che la Jugoslavia non intendeva barattare territori jugoslavi contro concessioni economiche.

In ogni accordo territoriale, quali sono spesso i trattati di pace, non si prescinde dalla valutazione di altri elementi, anche economici, che devono perciò essere presi in conside razione al fine di arrivare alla conclusione dell'accordo, e allo scopo di creare per l'avvenire buoni rapporti tra i paesi che lo stipulano.

Dopo queste premesse, su cui Mates sembra concordare, egli mi riassume il suo punto di vista sugli stadi cui bisognerebbe passare per giungere ad un accordo:

1) tracciare una linea etnica relativamente a tutto il T. L. T., e cioè Zona A e Zona B;

2) tracciata la linea, provvisoriamente ideale, vedere quanti italiani resterebbero da una parte e quanti sloveni dall'altra;

3) procedere, quindi, ad una specie di compensazione per colmare il supero che risulterebbe da una parte e dall'altra;

4) successivamente, se del caso, addivenire ad uno scambio di popolazioni, magari attraverso l'esercizio di un diritto di opzione.

Chiedo chiarimenti sul terzo punto, che Mates mi illustra durante la colazione.

Tracciando la linea etnica, dice Mates, possono crearsi situazioni che dovranno essere corrette. Per esempio, tracciando la linea etnica, la costa tra Monfalcone e Trieste dovrebbe considerarsi slava così come i sobborghi di Trieste. È evidente che una soluzione definiva che attribuisse queste parti alla Jugoslavia non sarebbe accettata dall'Italia e non sarebbe neppure conveniente. D'altra parte lasciare tale costa all'Italia, come eventualmente altre zone abitate da sloveni, costituirebbe un sacrificio per la Jugoslavia che l'Italia dovrebbe altrimenti compensare.

Quindi attribuendo all'Italia zone abitate da sloveni, dovrebbero essere, in compensazione, attribuite alla Jugoslavia zone abitate da italiani.

In sostanza, sempre secondo Mates, attribuendo all'Italia la costa tra Monfalcone e Trie ste e tutta intera la città di Trieste, l'Italia resterebbe ancora in debito cedendo anche tutte le città costiere della Zona B. Infatti, secondo Mates, solo a Trieste gli slavi sarebbero circa 80 mila mentre gli italiani in Zona B si aggirerebbero sui 15-20 mila.

Ha poi accennato al sacrificio della Slovenia abbandonando eventualmente la costa tra Monfalcone e Trieste, e cioè quello sbocco al mare che sarebbe una sua antica aspirazione.

Ho risposto a Mates che la sua esposizione era tutt'altro che convincente.

Anzitutto non ero d'accordo con i suoi dati statistici e gli ho ricordato che il nostro censimento del 1921 dava, nell'attuale Zona B, circa 50 mila italiani contro 20 mila slavi. Ma, a parte ciò, una base di discussione non potrebbe essere che quella di attribuire all'uno od all'altro paese quei centri i cui abitanti sono in netta prevalenza della nazionalità del paese cui dovrebbero essere attribuiti. Nella specie sarebbe un assurdo e una ingiustizia abbandonare centri italianissimi, quali le città costiere della Zona B per compensare delle minoranze che si trovassero in altri centri pure in grande maggioranza italiani.

Una frontiera in base al principio etnico viene necessariamente a sacrificare qualche aliquota di minoranze, ma ciò è una inevitabile conseguenza di un criterio che resta pur sem

pre il migliore. L'inevitabile inconveniente non potrebbe eventualmente essere corretto che accordando alle minoranze il diritto di opzione.

Se si parte quindi dal principio che il problema debba essere risolto in base ad una linea etnica, non si può a meno di considerare, a priori, i centri in prevalenza di una determinata nazionalità, salvo particolarissime circostanze, debbono attribuirsi al paese di quella nazionalità, e che pertanto nella specie, le città costiere della Zona B debbono essere attribuite all'Italia.

D'altra parte il popolo italiano non può a meno di ricordare i sacrifici già imposti col trattato di pace con la cessione alla Jugoslavia di territori abitati da italiani e nessun Governo italiano può consentire ad ulteriori sacrifici, che d'altra parte minerebbero in radice quelle buone relazioni tra i due paesi che dovrebbero invece costituire lo scopo principale di un eventuale accordo.

Mates osserva che, seguendo il mio punto di vista, l'Italia avrebbe tutto da guadagnare e niente da perdere, mentre un accordo dovrebbe inevitabilmente costituire un reciproco sacrificio. Aggiunge che io non gli avevo indicato quale sacrificio l'Italia sarebbe disposta a fare contro una eventuale rinuncia della Jugoslavia alla costa tra Monfalcone e Trieste. Ho risposto a Mates che le difficoltà stavano nella errata impostazione della sua tesi. L'Italia i sacrifici li ha già fatti col trattato di pace: avrebbe eventualmente potuto dimostrare la sua buona volontà nell'esaminare da un punto di vista strettamente etnico la situazione della Zona B. Mates ha insistito nella sua tesi concludendo che, dopo avere studiato a fondo il problema, egli non vedeva che due soluzioni:

1) o attribuire la Zona A all'Italia e la Zona B alla Jugoslavia;

2) o dare all'Italia le città costiere della Zona B, ma attribuire alla Jugoslavia la costa tra Monfalcone e Trieste nonché tutti i sobborghi di Trieste che sarebbero abitati in gran maggioranza da sloveni.

A questo punto Mates mi ricorda che la Zona B è già sotto amministrazione jugoslava e che, d'altra parte, le potenze occidentali non hanno fatto né faranno pressioni perché la Jugoslavia abbandoni detta Zona; e che, del resto, se anche ne facessero il Governo jugoslavo resisterebbe, dato che non si lascia intimidire da nessuno quando si tratta di difendere i propri interessi, come lo ha dimostrato ribellandosi alla Unione Sovietica.

Rispondo a Mates che la conclusione del suo discorso non apporta nulla di nuovo alla nostra conversazione del 26 marzo u.s.2; che dopo l'invito del ministro Kardelj ad iniziare conversazioni privatissime con Mates nel tentativo di trovare una via per una soluzione della questione, avevo legittimamente creduto che da parte jugoslava si fosse fatto almeno qualche passo avanti, tanto più che tale invito mi era stato rivolto dopo che il ministro degli esteri ita liano aveva accennato ad una possibilità di soluzione in base ad una linea etnica.

Gli faccio perciò comprendere che se le posizioni jugoslave sono ancora quelle del 26 marzo sarebbe stato vano continuare ulteriori contatti.

Mates mi ha allora detto che non bisognava scoraggiarsi. Egli mi aveva esposto il suo punto di vista, frutto di un esame della situazione etnica del T.L.T. Poteva darsi che una volta tracciata una linea etnica ideale avrebbe forse potuto scaturire una soluzione che al momento egli non vedeva. Mi ha perciò invitato ad esaminare a fondo il problema ed a tracciare detta linea che avremmo poi potuto esaminare insieme.

Su questa proposta termina la nostra conversazione durata praticamente fino alle 17.

Con la sua automobile mi accompagna alla mia residenza in Bled.

P.S. Durante la conversazione Mates ha avuto un fugacissimo e generico accenno ad una eventuale compensazione a favore della Jugoslavia con una rettificazione della frontiera del Goriziano.

ALLEGATO II

COLLOQUIO DEL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, CON IL VICE MINISTRO DEGLI ESTERI DI JUGOSLAVIA, MATES

APPUNTO. Bled, 28 luglio 1950.

Mi incontro alle 11 con Mates nella sede del Ministero degli esteri per parlare di alcune questioni ed in particolare della situazione in Zona B.

Indi Mates mi chiede se ho riflettuto sulla linea etnica di cui abbiamo precedentemente parlato7 .

Ho sommariamente esaminato la questione e potevo riferirgli qualche personale impressione. I maggiori nuclei slavi si trovavano nelle zone di Villa Decani, Maresego e verso sud di quest'ultimo. Astraendo da queste zone, gli slavi che si trovano nel resto della Zona B sono una minoranza, come risulta dal censimento del 1921.

Mates disconosce l'attendibilità del censimento del 1921, che sarebbe stato anche di sconosciuto da parte italiana al tempo della Conferenza della pace.

Osservo che se qualche studioso ha mosso critiche a tale censimento è anche vero che attraverso più rigorosi criteri è poi pervenuto a conclusioni, disconosciute da parte jugoslava.

In sostanza Mates muove al censimento le critiche della delegazione jugoslava alla Conferenza della pace.

Egli accenna al censimento jugoslavo del 1945, cui muovo le obbiezioni già sollevate a suo tempo dai membri delle tre potenze occidentali della Commissione di esperti nominata nel settembre del 1945.

Mates richiama allora il censimento austriaco del 1910, che se non può essere accettato in toto potrebbe essere preso come base. Secondo Mates anche quel censimento pecca in fatto di esattezza perché basato sul criterio della lingua d'uso, mentre, data la diffusione della lingua italiana in tutta quella zona del Mediterraneo, molti slavi parlavano l'italiano.

Quindi, in sostanza, Mates vorrebbe prendere come base il censimento del 1910, corretto tuttavia in senso favorevole alla Jugoslavia.

Rispondo a Mates che, senza entrare in merito ai singoli censimenti, e persino riferendoci a quello «privato» del 1945, da tutti appare che, eccetto nelle zone che gli ho prima indicato, la maggioranza della popolazione è italiana.

Aggiungo che è probabile che qualche minoranza debba essere sacrificata, ma che ciò appare assai più logico e naturale che non quello di sacrificare delle maggioranze.

Nel delimitare le frontiere, seguendo il principio etnico, laddove le popolazioni sono mescolate, è inevitabile il sacrificio di qualche minoranza. Se così non fosse non si spiegherebbe perché esistono in Jugoslavia minoranze bulgare, ungheresi, rumene, albanesi, ecc.

Mates accenna alla «etnicità» della Zona A ed in particolare del tratto tra Monfalcone e Trieste.

Osservo che verso la costa esiste solo qualche centinaio di slavi a Buino, mentre esistono pochissime migliaia di slavi in tutta la zona fino a Trieste.

A questo punto Mates mi dice che traccerà una linea etnica secondo il suo punto di vista.

Frattanto, secondo Mates, io dovrei pensare già a quale sacrificio l'Italia potrebbe essere disposta per compensare tutti gli slavi che si trovano nella Zona A. Aggiunge che, pur trattandosi di un criterio empirico, egli ritiene che non si possa non tener conto della «bilancia etnica», criterio seguito alla Conferenza della pace.

Osservo che trattasi di un criterio ingiusto che non tiene conto di una giusta linea etnica. Osservo ancora che, se quello fu il criterio seguito dalla Conferenza della pace, fu applicato in modo alquanto arbitrario, perché a trattato di pace concluso, risultò che il numero degli italiani dei territori ceduti era di gran lunga superiore a quello degli slavi rimasti in Italia. Faccio un accenno all'andamento delle opzioni.

La conversazione finisce con la promessa di Mates di inviarmi materiale illustrativo della tesi jugoslava.

Durante la conversazione Mates si è sempre mantenuto tranquillo e si è sforzato di essere duttile. In complesso non ho però notato che egli si sia spostato dalla tesi precedente. Mi è parso solo preoccupato di non assumere posizioni di «punta» e di lasciare aperta la strada ad ulteriori conversazioni.

Se da una parte il richiamo al censimento del 1910 potrebbe fornire qualche buon elemento alla nostra tesi (specialmente riguardo alla Zona B), tale richiamo non ci dà nessun vantaggio se collegato alla tesi della «bilancia etnica» in quanto quel censimento indicava in circa 60 mila gli slavi residenti a Trieste.

ALLEGATO III

COLLOQUIO DEL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, CON IL VICE MINISTRO DEGLI ESTERI DI JUGOSLAVIA, MATES

APPUNTO. Bled, 14 agosto 1950.

Conversazione con Mates alla sede del Ministero degli esteri dalle 11 alle 13.

Mates premette che dati i suoi molti impegni solo oggi ha potuto trovare un po' di tempo per conversare con me sul problema del T.L.T.

Indi si propone di fare il punto dopo le precedenti conversazioni8 .

Nell'ultima conversazione si è parlato di vari censimenti. Pur confermando il suo punto di vista in proposito, ritiene che con quella discussione si è andati al di là di un utile risultato. La questione potrebbe essere affrontata in un secondo tempo.

C'è invece un punto, più importante e preliminare, su cui bisogna porre tutta la nostra attenzione ed è quello del principio etnico su cui le nostre opinioni sono ancora discordi.

Il punto di vista di Mates è il seguente: volendo delimitare la nuova frontiera tra i due

paesi è opportuno cercare che essa sia la più breve possibile. A questo si arriva se si accetta il punto di vista jugoslavo di applicare il principio etnico sulla base della «bilancia etnica», e cioè se si tiene conto, bilanciandoli, degli sloveni che resterebbero in Italia e degli italiani che resterebbero in Jugoslavia.

Se si segue il principio della «linea etnica», la frontiera risulterebbe oltremodo lunga. D'altra parte la «linea etnica» non si può seguire senza riconoscere che il territorio costiero tra Monfalcone e Trieste dovrebbe essere attribuito alla Jugoslavia.

Secondo Mates il principio della «bilancia etnica», per quanto combattuto dalla dele gazione jugoslava alla Conferenza della pace, fu quello in definitiva applicato, e quindi non vede perché non lo si dovrebbe applicare anche ora. Firmando il trattato di pace i due paesi avrebbero finito per accettarlo e ad esso quindi dovrebbero restare fedeli.

In sostanza, Mates ritorna alla tesi già espressa secondo cui l'erogazione della Zona A all'Italia e della Zona B alla Jugoslavia sarebbe la migliore delle soluzioni.

Concordo con Mates che sia prematuro addentrarci nell'esame dei censimenti, fino a che, almeno, non si sia d'accordo sui «principi base» di una soluzione.

Non sono però affatto d'accordo sul principio della «bilancia etnica»: esso è empirico, contrario ad una soluzione di giustizia e di equità. È proprio perciò che probabilmente la dele gazione jugoslava alla Conferenza della pace vi era contraria. Se esso fu poi attuato ciò fu probabilmente dovuto alla circostanza che la stessa delegazione jugoslava non fu invece fedele al principio della «linea etnica», che avrebbe dovuto lasciare all'Italia Zara, Fiume, Pola, Rovigno, ecc. Nel delimitare la frontiera fra due paesi non vi è, in principio, miglior criterio che quello della «linea etnica».

Nella specie ciò è possibile in via di massima. Se non è possibile rispettarla alla lettera per il breve tratto di costa tra Monfalcone e Trieste, ciò rappresenta una difficoltà oggettiva che si può superare altrimenti. È evidente che non potrebbe attuarsi l'assurdo di separare Trie ste dal resto dell'Italia. Lo stesso Mates si rende conto di questo assurdo. Ma si tratta di poco territorio con una popolazione slovena minima per cui il preteso sacrificio jugoslavo sarebbe ben poca cosa.

Applicando il principio della «bilancia etnica», come proposto da Mates, si arriverebbe all'assurdo che per una minoranza vivente, e bene, a Trieste, l'Italia dovrebbe rinunciare a tutto un territorio peculiarmente italiano.

Ripeto il mio concetto che nel definire una linea etnica è inevitabile il sacrificio di minoranze che vivono mescolate a maggioranze di altra nazionalità.

D'altra parte il problema di queste minoranze può sempre essere risolto o con accordi per la tutela delle minoranze stesse, o mediante il diritto di opzione, o con vantaggi di ordine economico interessanti la Jugoslavia e di riflesso le minoranze nazionali.

Lascio intendere a Mates che ho l'impressione che egli si sforzi di sostenere dei principi che conducano alla soluzione che egli ha già in animo, anziché partire da un principio equo quale è quello della «linea etnica» che condurrebbe, qualunque essa fosse, alla soluzione più giusta.

Mates è rimasto naturalmente sulle sue posizioni.

Tuttavia ha aggiunto che anche partendo dal principio della «bilancia etnica» non è escluso che si potesse, in via definitiva, modificare l'attuale linea di separazione tra Zona A e Zona B, in relazione a quella parte della Zona B che venisse eventualmente ceduta alla Jugoslavia.

Mates ha concluso dicendo che come lui si era sforzato di esaminare il problema in base al principio della «linea etnica» io mi sforzassi di trovare una soluzione in base al principio della «bilancia etnica».

Ho risposto che purtroppo le conclusioni del suo esame mi sembravano del tutto negative, e che, con tutta la mia buona volontà, non vedevo come potesse portare ad un risultato pratico l'esame di un principio inaccettabile in generale e tanto più nella specie, quale quello della bilancia etnica.

È così finita la terza conversazione con Mates. In atmosfera cordiale e pacata. Conclusione non di rottura, ma che rende, almeno per ora, assai problematica una ripresa di conversazioni in argomento.

281 3 Vedi D. 280, incrociatosi con il presente documento.

282 1 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 309.

282 4 Il 3 marzo, vedi D. 277, nota 4.

282 6 Ibid., D. 236.

282 7 Vedi Allegato I.

282 8 Vedi Allegati I e II.

283

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 1784/C. Roma, 8 marzo 1951, ore 19,30.

Agenzia Ansa diramerà questa sera seguente informazione:

«Circa riarmo paesi satelliti e eventualità che esso sia preludio di una minaccia alla pace nel Balcani, Ansa è in grado informare che problema è da tempo attentamente seguito a Palazzo Chigi. Governo italiano, così come altri Governi alleati, è consapevole pericolo che per pace europea, supremo e comune interesse, è rappresentato da deteriorarsi situazione balcanica. Governo italiano vigila pertanto sviluppi situazione in quel settore nonché progressivo riarmo paesi d'influenza sovietica, anche sotto aspetto modificazione equilibrio militare e politico, quale previsto momento in cui fu concluso trattato di pace con Italia.

Ministero degli affari esteri si tiene in contatto su importante questione con altri Governi alleati»1 .

283 1 Con comunicazione immediatamente successiva (vedi D. 284) Sforza aggiunse le istruzioni per norma di linguaggio con i rispettivi Governi di accreditamento.

284

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. SEGRETO 1785/C. Roma, 8 marzo 1951, ore 20.

Seguito telegramma 1784/C. 1 .

Pregola dare notizia di quanto precede a codesto Governo aggiungendo che dichiarazione predetta è da porsi in relazione con analoghe dichiarazioni fatte in questi ultimi tempi in sedi diverse ma con uguale intento da Governi americano, inglese, francese. È infatti evidente che nostre preoccupazioni per eventuale aggressione a Jugoslavia sono identiche se non anche maggiori di quelle Alleati in ragione nostra posizione geografica. Abbiamo in pari tempo inteso sottolineare indirettamente incongruenza perdurare limitazioni trattato pace e nostro interesse e intenzione mantenerci in contatto con Cancellerie alleate su questione balcanica2 .

285

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2770/162-163. Parigi, 8 marzo 1951, ore 14,06 (perv. ore 17,30).

Quai d'Orsay mi ha immediatamente segnalato iniziativa Gromyko per questione Trieste. Riassunti stampa sono sostanzialmente esatti. Stamani ho avuto maggiori particolari da delegazione francese.

Nel corso seduta ciascun delegato ha preso due volte la parola rimanendo su proprio punto di partenza con negativa occidentale a qualsiasi connessione tra trattato austriaco e Trieste. Tre delegazioni non si sono ancora accordate per seduta odierna, se insinuare cioè altro argomento e continuare battaglia su argomento Austria.

Seduta ieri Gromyko ha voluto introdurre questione Trieste con evidente tentativo sopresa affermando che, contariamente a comune tendenziosa opinione occidentale, U.R.S.S. era perfettamente disposta a trattare questione austriaca, tuttavia, usando note argomentazioni «base» anglo-americana Trieste, reviviscenza nazismo in Austria, ecc. ha dichiarato che suo Governo vuole garantirsi da nuove violazioni occidentali impegni assunti e chiedeva iscrizione ordine giorno «osservanza» da parte anglo-franco-americani ed Italia clausole trattato pace italiano.

Per ora risposta occidentali in Conferenza sono state categoriche in argomento e vibrate. Parodi molto esplicito al riguardo sottolineando indiscutibile sabotaggio sovietico sinora compiuto contro trattato austriaco e analizzando favorevoli effetti perfezionamento trattato stesso su tenzione internazionale. Ha escluso logica di una qualsiasi connessione con Trieste. Davies l'ha definita «puro pretesto» e Parodi «connessione arbitraria».

In questo, ad impressione presenti, confuso e faticoso «palleggio», Gromyko ha pazientemente ripetuto identiche argomentazioni anche in secondo intervento. Devo tuttavia segnalare che, questa volta, egli avrebbe chiesto formulazione «esecuzione trattato con Italia per quanto concerne Trieste» con sfumatura di maggiore distacco da questione austriaca. In questo distacco, se verrà accentuato dai sovietici, sta maggiore pericolo potendosi, alla fine, giungere ad iscrivere Trieste senza apparente connessione con altri problemi, connessione cui occidentali si ribellano — anche senza pensare a noi — per natura e insofferenza accettare condizioni.

A quanto ho ragione di ritenere Dichiarazione tripartita1 non è stata sottolineata da Gromyko come accusa ad occidentali e da questi è stata citata soltanto per riferirsi ad argomenti contenuti in risposta a protesta sovietica di allora.

In breve seduta ieri, aggiungo che dichiarazione Parodi in fine seduta su smilitarizzazione Germania sarebbe dovuta a impressioni francesi, su informazioni che ignoro e secondo cui i russi si accingerebbero condensare propaganda in seguente affermazione: occidentali hanno già fin da inizio Conferenza respinto inesorabilmente tale possibilità.

Qui si riservano impressioni su aspetto tattico o invece strategico richiesta russa parlare di Trieste. Al Quai d'Orsay si teme comunque che reazioni stampa italiana ed, in bel altro senso, jugoslava sottolineino eccessivamente iniziativa sovietica che è troppo presto per giudicare. In contatti quotidiani mi propongo mantenere francesi su quanto concordato Santa Margherita2 in tema consultazioni ed atteggiamento su punto Trieste. Con esplicito richiamo Santa Margherita, del resto, delegazione francese mi tiene al corrente regolarmente principali vicende Conferenza.

284 1 Vedi D. 283. 2 Per le risposte da Londra, Washington e Belgrado vedi rispettivamente i DD. 292, 288 e 295. Non è stata rinvenuta una risposta telegrafica da Parigi.

285 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469. 2 Vedi D. 233.

286

L'AMBASCIATORE A WASHIGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2793/253. Washington, 8 marzo 1951, ore 13,37 (perv. ore 23,40).

Dipartimento Stato datoci stamane comunicazione dettagliato resoconto riunione ieri Conferenza Parigi specie per quanto concerne Italia.

Gromyko accusato occidentali violazione trattato pace Italia e dichiaratosi disposto accettare inclusione agenda questione austriaca «a condizione venga inserito anche argomento applicazione trattato pace Italia specie per quanto concerne Trieste».

Dopo prolungata discussione Jessup cui aderito Parodi dichiarato «riservarsi ogni diritto accettare o meno in un secondo momento inclusione Trieste, ma non poter in nessun caso ammettere interdipendenza fra questione austriaca e trattato pace Italia». Egli rilevato responsabilità Russia violazione trattati pace per quanto concerne diritti umani e riarmo Ungheria Romania Bulgaria e fatto riferimento tale riguardo articoli 103 e 107 carta Nazioni Unite.

Gromyko respinto tale accusa che ha ritorto nei confronti riarmo tedesco. Asserito poi che riferimento articoli predetti è piuttosto giustificato per quanto concerne questione Trieste.

287

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO, VITETTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2803/167. Parigi, 8 marzo 1951, ore 21,55 (perv. ore 1,30 del 9).

Oggi ha avuto luogo seduta plenaria della Conferenza, con partecipazione anche osservatori. Delegazione francese ha distribuito, ma a titolo non impegnativo, progetto convenzione che Alphand aveva preannunciato. Delegato tedesco ha fatto lunga esposizione punto di vista suo Governo circa Unità omogenea, sostenendo che tale Unità dovrebbe essere costituita da due Gruppi combattimento della stessa nazionalità, per una forza complessiva tra 10 e 12 mila uomini. Egli ha evitato parlare di Divisioni ma in pratica sua proposta equivaleva a costituzione Divisioni nazionali portando quindi integrazione livello Corpo armata. Alphand ha replicato in maniera molto decisa riaffermando rigidamente tesi francese. Generale Larminat ha replicato lungamente a delegato tedesco contestando argomenti che questi aveva portati contro Divisione mista.

Delegato tedesco ha quindi proposto che questione venisse esaminata da tecnici militari. Alphand si è opposto sostenendo che si trattava di una questione di principio che doveva essere decisa in sede politica. Sono intervenuto cercando di trovare una via di conciliazione. Ho detto che bisognava raggiungere un punto di equilibrio tra scopi politici ed esigenze tecniche militari. Non poteva dimenticarsi che il fine ultimo della Conferenza era di promuovere un regime di integrazione politica dell'Europa, e non potevano allo stesso tempo trascurarsi le necessità tecniche. Ho aggiunto che documenti distribuiti e ragioni addotte da delegazioni tedesca e francese andavano attentamente meditati, ed ho suggerito che, almeno in un primo tempo, la questione venisse esaminata dal Comitato direttivo. Delegato belga ha sostenuto tesi tedesca, circa rinvio questione a tecnici militari.

Nella discussione che è seguita Alphand ha attenuato sua rigidità iniziale, e delegato tedesco da parte sua ha dato alcuni chiarimenti che hanno valso a facilitare una via d'uscita. Alphand ha ripreso quindi mio suggerimento ed è stato deciso di sospendere lavori per una settimana e di riunire Comitato direttivo giovedì prossimo.

Invio per corriere documenti1 .

288

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2862/260. Washington, 9 marzo 1951, ore 14,48 (perv. ore 24). Suo 17851.

Fatto comunicazione tenendo anche presente lettera Zoppi, giunta stamane2 . Pensiero Dipartimento, espostoci dettagliatamente e con impostazione amichevole collaborazione, è seguente:

1) Governo americano si rende conto esigenze politico-giuridiche e tecnico-militari che rendono necessaria revisione talune clausole trattato pace. Studi relativi già compiuti vengono man mano aggiornati. Possiamo fare assegnamento piena comprensione problema da parte Stati Uniti;

2) posizione occidentale a Parigi è molto forte in quanto a violazioni trattati satelliti può opporsi rispetto trattato Italia. È pertanto «della massima importanza» mantenere inalterata tale posizione fino a chiusura Conferenza. In base risultati di questa sarà possibile riesaminare questione revisione con più concreta impostazione;

3) si condividono nostre preoccupazioni circa spostamento equilibrio Balcani. Peraltro da colloqui Perkins-Tito ed ulteriori informazioni non (dico non) deduce-si eventualità aggressione a Jugoslavia «entro prossimi mesi».

2 Vedi D. 262.

Ci è stato chiesto che significato debba attribuirsi dichiarazioni disinteresse per revisione fatta Pacciardi in Parlamento3. In risposta svolte considerazioni del caso e osservato che Governo italiano si consulta con Cancellerie alleate perché problema venga studiato tutti suoi aspetti e condotto suo logico svolgimento sul quale Governo americano, come ci viene ora confermato, concorda in via di massima. Ci è stato anche fatto osservare che proposte alcuni senatori americani sono soprattutto ispirate da desiderio «ridurre» peso economico-militare Stati Uniti difesa Europa. Chiestoci se Governo italiano tenuto presente ulteriore peso finanziario che deriverebbe da aumento sue forze militari. Abbiamo rilevato anzitutto natura morale e politica questione nonché possibilità avvalersi revisione senza che peso finanziario sia eccessivamente accresciuto anche perché, come per altri paesi Patto atlantico, a un maggior sforzo nostro deve corrispondere un proporzionale aiuto americano.

Ci è stato infine raccomandato far presente V.E. opportunità evitare per momento qualsiasi manifestazione che possa costituire intralcio al tentativo che per superiori interessi comuni viene attualmente compiuto Parigi.

287 1 Non pubblicati. 288 1 Vedi D. 284.

289

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, TASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2869/169-170. Parigi, 9 marzo 1951, ore 21,30 (perv. ore 2 del 10).

Leggera accondiscendenza Gromyko era stamane considerata Quai d'Orsay come «pas grand chose». Infatti, accettando aggiunta questione unità germanica, egli è restato terreno ordine giorno sovietico e suo lungo monologo ha rimasticato consueti motivi.

Seduta è stata avvocatesca e bizantina. Il tutto ha provato ancora una volta che non era possibile separare questione formale ordine giorno da questione sostanza. Tuttavia, in linea già segnalata con telegramma 1641 occidentali rinfacciano Gromyko (altri delegati russi sinora silenziosi) affrontare e pregiudicare problemi merito.

Di Trieste si è parlato soltanto inizio seduta. Gromyko non l'ha assolutamente più nominata. Occidentali (con maggior forza Parodi) hanno nuovamente negata connessione con Austria. Non hanno escluso Trieste possa venire inclusa, purché senza condizioni, in ordine giorno ed hanno preso tempo, questione sembra così, salvo rebondissements sovietici, accantonata. È tuttavia evidente sin d'ora che, potendo rinunciare facilmente sovietici a connessione formale con Austria e qualora si raggiunga accordo su redazione ordine giorno, Trieste vi ricomparirà. Impressione generale riassunta in titolo articolo Tabouis che trasmetto a parte2 «c'est l'Italie que Monsieur Gromyko a visée».

2 Non pubblicato.

Delegazione francese mantiene (in seduta) tonalità fiduciosa. Anche ieri Parodi ha dichiarato che distanza tra due progetti ordine giorno non è poi enorme (ma francesi di fatto non ci credono) e che occorre redigere a maglie larghe per lasciare libertà a ministri e giungere riunione ministri. Americani sembrano disposti a lasciare per ora correre francesi in queste sedute sulle quali mantengono loro estremo scetticismo. Per ora si è manovrato su tesi se riarmo tedesco sia origine o causa tensione internazionale. Tutto questo per definire portata articolo primo progetto occidentale e dodicesimo sovietico con sapiente quanto vana analisi due testi. Gromyko ammette comunque trattarsi di «vaso in cui possono mettersi cose buone o cattive» il che denoterebbe qualche elasticità. Davies si è ribellato chiedendo che progetto sia «cappello a falde più larghe possibili» con il che ha voluto combattere tendenza sovietica «concretizzare» ordine giorno quasi soltanto su riduzione armamenti.

Delegato russo ha trovato modo attaccare O.N.U. «che tutto seppellisce». Ha fatto impressione solenne avvertimento Jessup su dovere e volontà occidentali continuare riarmo difesa libertà finche libertà non sia sufficientemente garantita.

Non mi sembrano esserci, in questa prima immatura fase, contatti tra occidentali e sovietici dietro le quinte.

Dopo una settimana delegazioni occidentali si dichiarano assolutamente incapaci fare previsioni dinanzi serpeggiamenti sovietici. Sono già sostanzialmente stanche e attendono con fatalismo una «svolta» — se vi sarà — nella conferenza.

288 3 Vedi D. 281, nota 3.

289 1 Del'8 marzo, non pubblicato.

290

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2878/32. Bad Godesberg, 9 marzo 1951, ore 19,30 (perv. ore 7,30 del 10).

Sottosegretario Hallstein convocatomi oggi per informarmi che Governo federale ha notificato segretario generale Consiglio Europa suo desiderio essere ammesso come membro pieno diritto. Secondo informazioni giunte esisterebbe questo momento atmosfera favorevole. Hallstein aggiuntomi che cancelliere federale sarebbe assai grato V.E. se nella sua qualità presidente di turno ritenesse possibile prendere iniziativa1. Da conversazione con Hallstein avuto impressione che Governo federale annette notevole importanza accoglimento sua richiesta e che di ogni nostro appoggio sarebbe vivamente grato V.E.

291.

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 2879/33. Bonn, 9 marzo 1951, ore 21,15 (perv. ore 7,30 del 10).

Questo sottosegretario Stato degli affari esteri dettomi oggi che Governo federa-le indirizzato due note all'Alta Commissione alleata, per comunicazioni rispettivi Governi circa posizione Germania nell'attuale momento internazionale e sulle quali riferisco più ampiamente per corriere. Hallstein dichiaratomi che con primo documento Governo federale intende chiarire posizione Germania di fronte problemi in esame nei colloqui quadripartiti. In esso cioè si esprime profonda soddisfazione per eventuali tendenze eliminare cause tensione, affermasi che problema tedesco è uno dei più importanti elementi questa tensione, ma non il solo.

Vengono enunciate condizioni preliminari ritenute necessarie per conseguire unità tedesca, che non differiscono da quelle già segnalate codesto Ministero che per una loro più precisa formulazione.

Trattasi sostanzialmente periodo preparatorio nel quale conseguire attraverso adozione varie misure normalizzazione politica zona sovietica tale permettere raggiungere elezioni generali.

Sottosegretario di Stato attirato mia attenzione su altra affermazione contenuta in dette note quella cioè che soluzione problema tedesco non può essere trovata senza consenso popolo tedesco.

Circa seconda nota consegnata all'Alta Commissione e sulla cui opportunità sembravano esistere opposizioni francesi, Hallstein informatomi trattarsi di comunicazione ai Governi alleati delle mozioni votate oggi al Bundestag in una solenne seduta plenaria largamente diffusa dalla stampa e che ha ottenuto unanimità dei consensi con appoggio socialdemocrazia. Questa seconda nota va interpretata come partecipazione agli Alleati dell'approvazione plebiscitaria data dal popolo tedesco attraverso suoi rappresentanti alla posizione assunta da Governo federale sul problema dell'unificazione della Germania.

290 1 Con T. 1881/16 del 10 marzo Sforza rispondeva: «Dica codesto Governo che sono lieto poter far inscrivere questione di cui al suo 32 all'ordine del giorno Comitato ministri. Ella può verbalmente e confidenzialmente aggiungere che espressi a Schuman parere nettamente favorevole alla iscrizione e che egli consentì meco».

292

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2883/174. Londra, 9 marzo 1951, ore 21,15 (perv. ore 7,30 del 10).

A telegrammi di V.E. 1784/C. e 1785/C. 1 .

Fatta comunicazione al Foreign Office che ha accolto con interesse notizia nostra presa di posizione circa riarmo satelliti la quale corrisponde atteggiamento qui adottato al riguardo. Ci si pregherebbe tuttavia che nel commentare comunicato Ansa nostra stampa non desse rilievo questione revisione nostro trattato di pace sia per non porre imbarazzo Governo inglese fornendo argomento ad U.R.S.S. nel corso attuali conversazioni Parigi sia per evitare impressione che prossimo incontro a Londra abbia per scopo principale revisione nostro trattato di pace.

293

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 259/158. Roma, 10 marzo 19511 .

Riferimento: Mio rapporto 164/101 del 17 febbraio 19512 .

Monsignor Montini mi ha detto che il cardinale Schuster, nel corso della sua visita in Segreteria di Stato (com'è noto, il cardinale è venuto ultimamente a Roma), è stato da lui particolarmente intrattenuto sull'argomento della recente Pastorale di Quaresima, e dei rilievi a cui certe espressioni della medesima hanno dato luogo, sia nella pubblica opinione in Diocesi e fuori, sia in circoli responsabili della politica interna ed estera.

Se è proprio esatto quanto mi ha voluto precisare monsignor Montini, il richiamo fatto all'arcivescovo di Milano ha rivestito una forma abbastanza efficace. Gli sarebbe stato fra l'altro fatto osservare che certe frasi, anziché procacciare duraturi ed efficaci consensi nel popolo, sono raccolte accuratamente dai soli nemici che se ne giovano ai danni della stessa Chiesa; che non è conveniente approfittare della deferenza e del rispetto degli uomini di Governo attuali, per imbarazzarli con critiche e rimproveri, troppo facili a chi non ha la responsabilità dei provvedimenti, e tali da procacciar loro un discredito pericoloso per tutti; ed altre cose del genere, abbastanza calcate.

2 Vedi D. 240.

Il mio interlocutore mi ha poi detto che il carattere del prelato, per altre e numerose doti eminentissimo, lo porta spesso a dire e scrivere quanto sarebbe meglio o tacere o esprimere in modo diverso. E mi ha citato a tal proposito un certo severo richiamo alle A.C.L.I. della Diocesi, comparso a sua firma in un recente numero del Bollettino diocesano milanese, che è parso poco opportuno tanto a Milano quanto a Roma; tanto che il Santo Padre fu indotto ad una manifestazione di speciale benevolenza finanziaria verso il sodalizio redarguito, onde neutralizzare l'amaro di quella ramanzina.

292 1 Vedi DD. 283 e 284.

293 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

294

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 2966/77. Belgrado, 11 marzo 1951, ore 21 (perv. ore 2,30 del 12).

Permettomi riferire impressioni discorsi Kardelj e Tito telegrafati a parte1 .

1) Essi hanno evitato prendere posizione su questione Trieste come preannunziatomi Vejvoda limitandosi a confermare noto punto di vista su inattuabilità soluzione e necessità accordo fra l'Italia e Jugoslavia.

2) Affermazione Tito che questione può essere risolta in un giorno mi ricorda analoga dichiarazione fattami il 26 marzo formalmente da Mates2 alludendo spartizione Territorio Libero fra i nostri due paesi in base a statu quo.

3) Pertanto se punto di vista jugoslavo non è mutato è stato opportuno che questi dirigenti abbiano evitato assumere sostanzialmente posizione di fronte loro popolo.

All'uopo avevo fatto comprendere a Vejvoda pericolo dichiarazioni impegnative tanto più che manifestazioni italiane di cui si era lamentato3 non provenivano da Governo italiano.

294 1 Con i TT. 2957/74 e 2965/76, pari data, non pubblicati. 2 Vedi D. 282, nota 2. 3 Vedi D. 277, nota 4.

295

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 2999/79. Belgrado, 12 marzo 1951, ore 19,25 (perv. ore 24).

Ho fatto a Tito, che ha assunto interim Esteri, comunicazioni di cui a telegramma circolare 1764/C. e 1785/C. 1 .

Maresciallo ha espresso sua soddisfazione data situazione internazionale che interessa particolarmente nostri due paesi e sulla cui base è utile e possibile stretta collaborazione.

Durante la breve conversazione che è seguita a comunicazione ho ritenuto opportuno attirare l'attenzione maresciallo su insoddisfacente andamento opzioni e su situazione Zona B. Tali questioni riprenderò nei particolari con Mates che era presente conversazione2 .

Tito ha espresso opinione intempestività atteggiamento stampa italiana su questione Trieste.

In attuale situazione contrasti fra i due paesi non sarebbero utili che a U.R.S.S. Ho risposto essere tuttavia necessario eliminare motivi contrasti sopratutto attraverso politica jugoslava in Zona B.

Maresciallo ha concluso conversazione riaffermando sua tesi che problemi maggiori sovrastano a quello di Trieste il quale ultimo potrà essere risolto in altro momento.

296

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO1 . Londra, 12 marzo 1951.

È ben noto all'E.V. come la Dichiarazione tripartita del 20 marzo 19482 abbia avuto un'origine quasi improvvisa. Ricordo che, proprio nei giorni precedenti, avendo insistito presso Bevin sulla necessità che da parte delle potenze occidentali ci si

preoccupasse di contribuire al miglioramento della situazione italiana, egli mi assicurò che consultazioni erano appunto in corso fra Londra e Washington e che «qualcosa andava assolutamente fatto al più presto da parte delle tre potenze occidentali per paralizzare fin dove era possibile l'influenza sovietica in Italia». Nei giorni successivi l'incaricato d'affari americano, W.J. Callman, venne in ambasciata ad annunziarmi che era stata prescelta la dichiarazione sul T.L.T. come punto più sensibile per l'opinione pubblica italiana.

Con tale dichiarazione gli anglo-franco-americani esprimevano l'intendimento

— per parte loro — che Trieste con il suo piccolo hinterland (costituito dalle Zone A e B) ritornasse sotto la sovranità italiana.

Di Jugoslavia non si fece menzione nella dichiarazione, evidentemente perché faceva parte del blocco sovietico. Ma già il 16 aprile, avendo la Russia criticato la procedura suggerita, le potenze occidentali risposero che il protocollo aggiuntivo avrebbe dovuto essere approvato dalle ventun potenze che avevano partecipato alla Conferenza della pace di Parigi3 .

Il mancato accoglimento da parte sovietica della proposta anglo-franco-americana rese impossibile l'attuazione dei propositi formulati dagli Alleati. Intervenuta poi la secessione di Tito ed il progressivo avvicinamento della Jugoslavia al blocco occidentale era inevitabile, anche se per noi dannoso, che gli anglo-franco-americani cominciassero a tenere conto — nell'esame del problema — di quel fattore jugoslavo che la situazione internazionale esistente nel marzo 1948 aveva loro consentito di trascurare.

Quali ipotesi si possono formulare, nelle attuali circostanze, per una soluzione del problema del T.L. di Trieste?

1) l'U.R.S.S., alla Conferenza a quattro, insiste per la attuazione del disposto del trattato di pace con l'Italia relativo al Territorio Libero di Trieste. I casi che in tale ipotesi possono verificarsi sono due:

a) gli anglo-franco-americani, attenendosi a quanto hanno anche di recente assicurato, rifiutano di aderire alla proposta sovietica sostenendo che l'esperienza insegna che il disposto del trattato è praticamente inattuabile e non risponde al desiderio delle popolazioni interessate. In tal caso si rimane allo statu quo, con le conseguenze di cui si farà cenno in seguito;

b) gli anglo-franco-americani, pur di raggiungere una intesa generale con l'U.R.S.S., accettano di attuare il disposto del trattato di pace. Si verifica allora una situazione quanto mai imbarazzante. Delusione degli italiani che legittimamente attendono da anni il ricongiungimento di Trieste alla madrepatria, delusione degli jugoslavi che «per iniziativa sovietica» sarebbero chiamati ad abbandonare tutta la Zona B. Nasce un T.L.T. che costituisce ad un tempo un pomo della discordia fra Roma e Belgrado ed una fonte di attriti fra il gruppo anglo-franco-americano e, volta a volta, Roma e Belgrado a seconda che le tre potenze — per non urtare né l'una né l'altra delle due capitali — seguiranno nel T.L.T. i desiderata italiani o jugoslavi.

2) L'U.R.S.S. alla Conferenza a quattro annuncia il proprio intendimento di aderire al programma formulato nella Dichiarazione tripartita e si dichiara pronta a negoziare con Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Italia il protocollo addizionale che

restituirà tutto il T.L.T. all'Italia. Questa, apparentemente, sarebbe un'ipotesi favorevolissima dal punto di vista italiano. Ma lo sarebbe in pratica? È ovvio che, in un caso del genere, gli jugoslavi si rifiuterebbero di sgombrare totalmente la Zona B; è immaginabile che, nella situazione internazionale attuale, gli anglo-franco-americani sarebbero disposti a costringerli con la forza all'evacuazione? E d'altra parte come potrebbe un Governo italiano, dopo che anche l'U.R.S.S. dà il proprio assenso al ritorno integrale del T.L.T. all'Italia, sentirsela di rinunziare ad una parte della Zona B per non addivenire ad una totale rottura con la Jugoslavia e per non portare scompiglio in un settore così delicato ed importante per il mondo occidentale?

3) Permanenza dello status quo. Quali possono esserne le conseguenze? Non ritengo che vi sia alcun serio motivo di dubitare delle sincerità degli inglesi quando affermano — come ha fatto categoricamente con me sir William Strang — che non vi è intenzione alcuna da parte alleata di promuovere l'indipendenza di Trieste. Ciò non toglie però che, se non si addiviene entro un periodo di tempo relativamente breve ad una soluzione permanente del problema del T.L.T., si continuerà inevitabilmente ad assistere i vari ordini di fenomeni il cui sviluppo è già stato da tempo rilevato:

a) progressivo aumento del movimento indipendentistico triestino, imperniato non soltanto sull'azione svolta dalla Russia e dai suoi agenti, ma anche su quella crescente rete di interessi locali che si avvantaggiano dell'esistenza di una autorità costituita che non si identifica con quella italiana e degli stessi sacrifici economici che il Governo italiano giustamente compie per dimostrare ai triestini il costante interessamento e attaccamento della madrepatria. Donde la necessità da parte nostra di ravvivare la fiamma patriottica con discorsi e gesti che a loro volta riscaldano l'atmosfera, provocano spesso reazioni negative da parte alleata e comunque non rasserenano certo i rapporti fra Roma e Belgrado;

b) il prolungarsi indefinitamente di una amministrazione nata con carattere provvisorio fa sì che l'amministrazione stessa tenda inevitabilmente a darsi un assetto più stabile e adeguarsi sempre più ai criteri di coloro che le sono preposti; criteri che, trattandosi di cittadini anglo-americani (militari o civili che essi siano), differiscono molto dai nostri;

c) graduale slavizzazione condotta con crescente intensità dalle autorità jugoslave nella Zona B dove le capacità di resistenza degli italiani si andranno progressivamente affievolendo, talché si corre il rischio di veder scomparire poco a poco quegli elementi in base ai quali ancor oggi possiamo invocare una favorevole soluzione in base ad una linea etnica;

d) se il pensiero che ci troviamo ormai, in quest'anno 1951, in una atmosfera pre-elettorale a causa delle elezioni amministrative, potrebbe indurre ad attenersi al criterio quieta non movere, non ci si può nascondere che nel 1952 saremo ormai prossimi alle elezioni politiche che a maggior ragione indurrebbero ad ulteriori rinvii a tempo indefinito.

L'ambasciatore di Jugoslavia a Londra Brilej, nelle sue conversazioni meco dei giorni scorsi4 ha fermamente negato che il suo Governo sia a favore dell'indipendenza del T.L.T. e ciò in base a constatazioni che dovrebbero essere a suo avviso evidenti

anche in Italia: la costituzione del Territorio Libero significherebbe infatti un ritorno a posizioni che darebbero pretesto alla Russia per interventi ed intrighi in senso non certo favorevole al regime di Tito. D'altra parte, aggiungeva Brilej, il fatto che la Jugoslavia non si rifiuti a conversazioni esplorative in vista di possibili accordi con l'Italia per la soluzione del problema, denota implicitamente che essa riconosce il buon diritto dell'Italia su Trieste e la Zona A.

Da parte inglese non si desidera premere perché abbiano luogo trattative fra Italia e Jugoslavia in materia di T.L.T., si osserva tuttavia che per il momento non si vede soluzione migliore che non sia quella di intese dirette fra le due parti principalmente interessate. Si ritiene a Londra, e ho l'impressione che lo stesso sia il pensiero di Washington e di Parigi, che l'opera delle tre potenze meglio si esplicherebbe attraverso generiche benevole raccomandazioni che non mediante pressioni che susciterebbero immancabili complicazioni o reazioni fin troppo evidenti, e ciò in un settore delicatissimo dove gli interessi della comune difesa esigono che si attenuino, non che si resuscitino, i motivi di attrito.

Non so quale sia il pensiero del Governo circa l'opportunità di giungere in breve tempo ad una soluzione della questione del T.L.T. o di rinviarla ulteriormente.

Le considerazioni svolte più sopra mi fanno decisamente propendere per la prima ipotesi, tanto più che il trascorrere del tempo cristallizza una situazione di fatto in cui l'Italia è fuori sia dalla Zona A che dalla Zona B.

Per un accordo con la Jugoslavia il programma massimo sarebbe quello del ritorno alla nostra sovranità di Trieste e di tutta la Zona A e B. Una tale soluzione non sarebbe però certo accettata da Belgrado che già ha in mano una delle due Zone.

Il programma minimo potrebbe essere costituito dal ritorno alla nostra sovranità di Trieste e della Zona A. È ovvio che una tale soluzione non potrebbe essere accettabile per noi.

Rimane dunque da considerare una via intermedia, basata principalmente su quei criteri etnici ai quali il ministro Sforza si era richiamato nel suo discorso di Milano dello scorso anno5. La Jugoslavia, per essere indotta a concludere un'intesa che non solo la priverà di parte delle terre che già occupa ma che comporterà anche l'abbandono di ogni sua pretesa su Trieste, non potrà non esigere in ultima analisi di conservare almeno la porzione etnicamente slava della Zona B nonché di avere quei due o tre piccoli villaggi slavi della Zona A la cui acquisizione le consentirebbe di giustificare di fronte alla propria opinione pubblica le rinunce a cui volontariamente si sottoporrà. Indubbiamente non si tratterebbe di un facile negoziato, né per l'una né per l'altra delle due parti. Ma forse troveremmo gli jugoslavi più corrivi alle nostre richieste se si concludessero al contempo con loro degli accordi collaterali in materia portuale e di traffico.

Quanto alla forma dell'intesa con la Jugoslavia vi è da domandarsi se sia proprio indispensabile che, agli occhi delle opinioni pubbliche italiana e jugoslava, essa assuma il carattere di un accordo formale fra i due paesi. O se non sia invece preferibile che l'intesa stessa si traduca in un primo tempo in un accordo

fra Governo militare alleato e V.U.J.A. per modificare le rispettive zone di occupazione. In tal modo la successiva immissione dell'Italia nella zona di occupazione alleata avverrebbe senza che si potesse far carico al Governo italiano di avere direttamente «ceduto» alla Jugoslavia una parte della zona che essa occupa ormai da anni.

295 1 Vedi DD. 283 e 284. 2 Martino riferì sul colloquio avuto con Mates con il T. segreto 3098/84 del 14 marzo, non pubblicato. 296 1 Consegnato a mano a De Gasperi e Sforza a Londra, trasmesso a Roma con Telespr. 1332/776 del 13 marzo e ritrasmesso a Parigi e Washington con Telespr. segreto 503/C. segr. pol. del 1° aprile. 2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

296 3 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 561 e 573.

296 4 Vedi D. 274.

296 5 Discorso pronunciato all'I.S.P.I. l'8 aprile 1950, in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.

297

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Londra, 12 marzo 19511 .

Ogni conversazione italo-inglese intorno alla politica atlantica non può non tener conto di una premessa che, per esser taciuta o sottintesa dall'una all'altra parte non cessa dal costituirne un elemento essenziale. Tale premessa è che la politica atlantica — intesa come elaborazione di una linea di condotta comune nel settore diplomatico, militare economico — sta attraversando una fase critica, in conseguenza dell'acuirsi della crisi internazionale e del violento impulso impresso dagli americani alla preparazione bellica dell'Occidente.

Forti della loro enorme e rapida mobilitazione militare e industriale, signori del-l'arma atomica e delle armi segrete, arbitri del mercato delle materie prime, tenendo i cordoni della borsa degli aiuti militari e civili, gli Stati Uniti sono ormai in condizioni di esercitare una piena preponderanza sulla politica atlantica. Di tale preponderanza si servono con un certo rispetto delle forme e, spesso, con oculatezza. Non in tutti i casi, peraltro, avviene così, come è stato possibile constatare anche nel nostro paese. A nessuno degli uomini responsabili europei è potuto sfuggire il fatto che la mobilitazione economica americana e la politica da essi energicamente consigliata all'Europa hanno già avuto — ancora in apertura — pericolosi riflessi sulla stabilità economico-sociale dei paesi europei.

Gli inglesi si sono attribuiti fin dal 1945 il compito di esercitare un'influenza moderatrice sulla politica americana. È questa una delle giustificazioni che essi hanno dato al loro non voler impegnarsi con l'Europa continentale: per moderare bisogna essere in condizioni di mediare. È anche giusto che l'«onesto sensale» si aspetti un beneficio personale della sua opera di mediazione.

La Gran Bretagna ha quindi finora sempre preferito trattare la politica atlantica come un dialogo a quattr'occhi fra lei e gli Stati Uniti. Anche nell'Organizzazione atlantica gli inglesi non hanno mai tenuto a coordinare la loro azione con quella degli altri europei: non sempre, a dire il vero, per colpa loro. Da questo colloquio a due, il

N.A.T.O. è venuto a svuotarsi di una parte dell'azione di controllo e di remora esercitabile dall'Europa sulla politica americana.

L'accresciuta preponderanza americana (e specialmente l'aumento di influenza dell'elemento militare americano) comincia però a pesare sulla Gran Bretagna ancor più che sui minori paesi europei. Ogni crisi della politica atlantica viene a trasformarsi — proprio a causa del costante dialogo anglo-americano — in crisi dei rapporti fra Inghilterra e Stati Uniti. Né le ultime esperienze possono aver accresciuto la fiducia degli inglesi nella bontà del metodo. Tali esperienze sono state:

— -quella delle materie prime. Non è riuscito agli inglesi che in minima parte di scalfire la prassi dello stockpiling strategico americano; — -quella della distribuzione degli aiuti americani. La tesi inglese di una ripartizione concordata dello sforzo difensivo non ha incontrato il favore di Washington; — -quella della ripartizione delle alte cariche militari. L'assegnazione del Comando dell'Atlantico a un americano ha portato un duro colpo al prestigio del Governo laburista.

Si cominciano ad avvertire, sia nella stampa che in Parlamento, le preoccupazioni britanniche per questi sviluppi della situazione. Anche l'Inghilterra non è più abbastanza forte per guardare da sola negli occhi l'America. Si fa evidente il desiderio di compensare con mezzi politico-diplomatici l'inferiorità economico-militare britannica: così come riuscì al genio e al prestigio di Churchill durante la guerra.

Poiché Churchill non è attualmente al Governo (e anche se vi tornasse è dubbio che ritroverebbe la sua situazione personale dell'altra guerra nei confronti degli ambienti responsabili americani), è possibile — benché niente affatto sicuro — che il Governo laburista possa sentirsi indotto a coordinare un po' meglio la sua azione con quella degli altri paesi europei: per lo meno entro gli organi dell'Alleanza atlantica. È questa una disposizione che potrebbe essere cautamente esplorata, parlando agli inglesi da «europei» anche a proposito della politica del Patto.

L'assoluta necessità per noi di mantenere la più stretta intesa e la più leale collaborazione con gli Stati Uniti non dovrebbe costituire un motivo negativo per una politica che, entro il quadro dell'Alleanza, riuscisse per quanto possibile a impegnare i dirigenti britannici a una visione collettiva e non egoistica della situazione. Analogamente le nostre strette intese con la Francia non pregiudicano, ma caso mai rafforzano, la possibilità di un sincero chiarimento italo-inglese.

Abbiamo costantemente cercato di legare l'Inghilterra a una politica europea, riuscendovi solo in parte sia nell'O.E.C.E. che nel Consiglio d'Europa. La stessa azione non è stata ancora tentata (né da noi, né dai francesi) nel quadro dell'Alleanza. Riuscire in questo campo sarebbe ancora più proficuo: perché è quello che concerne non la politica intra-europea, ma la politica fra Europa e Nord-America, che è — in questo momento — vitale.

Un successo in questo senso dipenderà evidentemente in primo luogo dalla misura in cui gli inglesi si vorranno render conto della situazione. Ma che essi giungano a vedere la luce dipenderà anche dalla misura in cui noi e gli europei la vedremo: riconoscendo che — al momento attuale — non vi è possibilità di riequilibrare la politica atlantica se non con una piena collaborazione con l'Inghilterra.

297 1 Consegnato a mano.

1

VERBALE SEGRETO2 . Londra, 13 marzo 1951, ore 15,30.

Il primo ministro Attlee chiede con quale argomento il presidente De Gasperi desidera iniziare le conversazioni.

Il presidente De Gasperi propone Trieste.

Il ministro Sforza dichiara che l'argomento è stato discusso nella mattinata ma che sono state omesse le questioni di dettaglio.

Il ministro Guidotti dice che vi sono tre aspetti della questione:

a) l'effettivo contenuto politico della questione;

b) il funzionamento dell'amministrazione alleata e le frizioni locali;

c) possibilità di migliorare la situazione nella Zona B.

Per quanto riguarda il punto a) accenna alla Dichiarazione tripartita del 20 marzo 19483 che costituisce l'unica base per risolvere il problema. Sottolinea che non è questo un metodo negativo nei confronti della Jugoslavia. Nessun altro modo di affrontare il problema è possibile nelle condizioni attuali. Vi è già un miglioramento nei rapporti politici ed economici tra i due paesi. L'Italia desidera continuare sulla stessa strada e giungere ad un accordo più stretto. La Dichiarazione tripartita è l'unica base di discussione che si può prendere al riguardo. Quello che sta succedendo attualmente alla Conferenza di Parigi ne è la conferma. Mosca ha sollevato la questione di Trieste stabilendo una connessione arbitraria con il trattato di pace con l'Austria. Le potenze occidentali hanno respinto questa pretesa ma hanno accettato di includere nella prossima conferenza a quattro la questione di Trieste. Era certamente difficile fare altrimenti; del resto questo è proprio il caso previsto dalla Dichiarazione tripartita nell'ipotesi di una richiesta dell'U.R.S.S. di discutere la questione del Territorio Libero di Trieste. Sarebbe assai strano quindi che proprio ora che si avvera il caso previsto dalla Dichiarazione stessa, le tre potenze occidentali assumessero un'altra posizione. L'Italia gradirebbe un'assicurazione che le tre potenze mantengono la Dichiarazione del 20 marzo 1948.

2 Presenti per la parte inglese: il primo ministro Attlee, il ministro degli esteri Morrison, il sottosegretario permanente Strang, l'ambasciatore Mallet, Sir Pierson Dixon, Sir Andrew Noble, Mr. Bowker, Mr. Barclay, Mr. G.P. Young e Mr. Rickett. Presenti per la parte italiana: il presidente del Consiglio De Gasperi, il ministro degli esteri Sforza, l'ambasciatore Gallarati Scotti, il ministro Guidotti, il consigliere Theodoli, il dott. Mondello e il dott. Canali.

3 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

Il ministro Sforza precisa che tale assicurazione è richiesta proprio per poter fare delle concessioni nei negoziati con la Jugoslavia e per stabilire sani rapporti con detto paese.

Il ministro degli esteri Morrison dice di apprezzare il punto di vista italiano. Ne prende nota e promette di studiarlo più a fondo. Realizza in pieno l'importanza della materia.

Il primo ministro Attlee dichiara che il miglioramento dei rapporti fra Italia e Jugo slavia è soddisfacente. Certo è difficile conciliare le pressioni esterne ed interne con i desideri dei Governi. Vi era anche una tendenza di elementi estremisti di creare agitazioni ed impedire il raggiungimento di accordi. Il Governo inglese desidera che continuino tranquillamente le conversazioni tra Italia e Jugoslavia per giungere a un compromesso.

Il sottosegretario permanente Strang ricorda che sulla questione il Foreign Office ha avuto frequenti conversazioni con l'ambasciata. È buon sintomo che Italia e Jugoslavia mantengano un atteggiamento sereno e che siano in contatto per cercare la migliore soluzione. Parlando della Dichiarazione delle tre potenze ricorda che essa fu fatta in circostanze differenti dalle attuali ossia quando ancora la Jugoslavia non si era staccata dal Cominform. Il Governo inglese non abbandona tale Dichiarazione ma non può esercitare pressioni per il suo adempimento. Tale atteggiamento è condiviso dagli Stati Uniti e dalla Francia che parteciparono alla Dichiarazione stessa. In considerazione dei mutamenti verificatisi dal tempo della Dichiarazione in poi non è saggio forzare una soluzione su detta base. Abbiamo notato con soddisfazione la dichiarazione del maresciallo Tito nella quale egli disapprova qualsiasi agitazione sull'argomento e siamo tutti favorevoli ad una trattazione della materia quanto più possibile tranquilla, senza ribatterla in pubblico e senza manifestazioni o agitazioni popolari. Per questa ragione noi siamo un po' dispiaciuti della recentissima attività svolta dagli italiani nella Zona A, mirante ad intorbidare l'atmosfera. Si è detto che il Governo inglese voglia incoraggiare il movimento di autonomia nella Zona A. Ciò non è assolutamente vero. Il Governo inglese vuole solo mantenere l'atmosfera più tranquilla possibile al fine di facilitare la ricerca di una soluzione che è assolutamente necessaria per la pace del mondo.

Il presidente De Gasperi dice che non si tratta di forzare una soluzione ma soltanto di stabilire il punto di partenza per la ricerca di tale soluzione. Detto punto di partenza non può essere che la Dichiarazione delle tre potenze. Il Governo italiano è pronto a cercare un accordo con la Jugoslavia ma prima di iniziare le trattative deve sapere se la Gran Bretagna mantiene la Dichiarazione in questione come hanno già dichiarato da parte loro gli Stati Uniti e la Francia. Altrimenti la soluzione sarebbe molto più difficile. È vero che le circostanze sono mutate dal 20 marzo 1948, ma questo non scusa una differenza di linea politica; i dati di fatto obiettivi rimangono gli stessi. La creazione del T.L.T. fu un errore, commesso alla Conferenza della pace per mostrarsi conciliante con l'U.R.S.S. Tre linee erano state allora proposte. Perfino la linea inglese includeva Pola. La posizione italiana ha da allora progressivamente indietreggiato per quanto riguarda i confini territoriali. Pola e l'Istria sono già state abbandonate. Dobbiamo abbandonare il poco che ci è rimasto? Se il Governo italiano, dopo essere entrato a far parte del N.A.T.O., deve ammettere di aver perduto le posizioni preesistenti, esso non sarebbe in grado di presentarsi al paese. È importante prendere in considerazione il lato psicologico italiano della questione. È impossibile per me ritornare a Roma e dire che la questione è adesso peggiore di prima.

Il primo ministro Attlee ha chiesto di approfondire il punto se il Governo americano e francese avevano effettivamente confermato la Dichiarazione del 1948.

Il ministro Sforza dice che i francesi avevano confermato la Dichiarazione a Santa Margherita, riaffermando nello stesso tempo tutte le precedenti decisioni. Il Governo americano non ha seguito la stessa via delle pubbliche conferme ma il segretario di Stato Acheson ha detto all'ambasciatore d'Italia che egli è pronto a ripetere la Dichiarazione. Il ministro Sforza fa presente che in Italia egli è bollato come esponente del compromesso con la Jugoslavia e come colui che rinunziò alla Dalmazia che era stata assegnata all'Italia dal Trattato di Londra; ma non tutti gli jugoslavi

— egli prosegue — hanno capito il valore di questa rinunzia. Ora abbiamo perso anche l'Istria. La linea inglese originariamente tracciata alla Conferenza della pace ci assegnava Pola. La Zona B rappresenta ora un punto assai delicato. La tragedia della Zona B, che è solo dieci volte più grande di Hyde Park, è che la ferita della Dalmazia è sempre aperta. Vi è ora il pericolo che comunisti e partiti di destra possano prendere il sopravvento. In questo caso, cosa accadrebbe nel Mediterraneo?

Il ministro Morrison dice di rendersi conto della situazione italiana e di non giudicarla con incomprensione. La questione consiste ora nel determinare se e quando si debba prendere una qualche decisione. Se noi agitiamo la questione — o l'agita l'Italia — ci troviamo allora in mezzo all'altro dilemma del deterioramento dei rapporti italo-jugoslavi. D'altro lato se questi migliorano, è tutto l'aspetto generale della questione che migliora. Morrison aggiunge che in base alle informazioni in suo possesso Acheson non si è impegnato di fronte alla Dichiarazione del 1948.

Il ministro Sforza insiste che il Governo britannico deve ripetere nella stessa forma usata dal Governo francese la validità della Dichiarazione tripartita. Ciò non per forzare la soluzione, ma per consentire a Tito di porre il freno alle velleità dei suoi più estremisti seguaci. Se non si imbrigliano i nazionalisti jugoslavi, essi son capaci di avanzare rivendicazioni territoriali fino alle porte di Venezia. Noi vogliamo giungere a un compromesso con la Jugoslavia. Il Governo italiano non chiede la realizzazione della Dichiarazione tripartita ma la vuole come strumento col quale iniziare la propria lotta con qualche prospettiva di successo.

Il primo ministro Attlee dichiara di non credere che l'argomento possa essere sviluppato ulteriormente. Si rende conto molto bene della posizione italiana e cercherà di elaborare qualche compromesso. Concorda che i dati di fatto della situazione non hanno in sé molta importanza ma che importante è il sentimento che li anima.

Il ministro Sforza informa che tre giorni fa ad alcune donne italiane della Zona B che cercavano di optare per la cittadinanza italiana al fine di sfuggire alla persecuzione jugoslava — che non è nazionalista ma comunista — erano stati tagliati i capelli.

Il presidente De Gasperi dice che egli riuscì vittorioso nelle elezioni perché poté citare la Dichiarazione tripartita. I comunisti sostengono che si è trattato soltanto di un trucco elettorale. Se è vero che le circostanze sono cambiate per la Jugoslavia dopo il 20 marzo 1948, è altrettanto vero che sono cambiate per l'Italia, in quanto che ora l'Italia è membro del Patto atlantico. Volete forse dare all'Italia minor peso che alla Jugoslavia? È possibile pretendere che gli italiani combattano nel N.A.T.O. come alleati se la Dichiarazione viene ripudiata? Non si tratta di forzare una soluzione ma di riconfermare la Dichiarazione ora che la Russia ha messo la questione sul tappeto. Io ero a Santa Margherita e posso assicurarvi di quanto la Francia ha detto; quanto all'America la sua posizione è che essa non insisterebbe affinché gli italiani si basassero sulla Dichiarazione. E siamo d'accordo su questo punto. Ma non ci chiedete di rinunziare alla promessa di tre anni fa. Per guadagnare Tito volete perdere l'Italia? Credete di poterci avere amici se ritirate la vostra promessa?

Il primo ministro Attlee dichiara che la questione sarà attentamente esaminata.

Il ministro Morrison dichiara che il Governo inglese non ripudia la Dichiarazione tripartita. Apprezza il fatto che l'Italia ha già fatto una concessione con l'ammettere la possibilità di un compromesso. Il problema consiste ora nel trovare un compromesso che non ponga l'Inghilterra in conflitto diretto con la Jugoslavia. Morrison aggiunge che studierà ulteriormente e seguirà attentamente la questione.

Il presidente De Gasperi chiede il testo della Dichiarazione tripartita. Nell'attesa, propone che si passi a discutere il secondo punto ossia il funzionamento dell'amministrazione militare britannica di Trieste e i suoi rapporti con le autorità italiane.

Il primo ministro Attlee rileva che la politica attivista dell'Italia nel Territorio Libero non ha facilitato il compito del Governo Militare Alleato.

Il ministro Guidotti ammette che vi sono stati degli attriti. Il Governo Militare non è responsabile e il generale Airey ha compiuto un magnifico lavoro. Ma piccole numerose incomprensioni, probabilmente dovute ad azioni di ufficiali e funzionari subalterni del Governo Militare, hanno offeso i sentimenti italiani. Esempi erano: 1) il caso della Corte di cassazione; 2) quello della bandiera delle navi mercantili italiane; 3) il fatto che le insegne dei tabaccai erano state modificate sostituendole con l'emblema municipale della città; 4) la questione del marchio di fabbrica «Made in Trieste». Per quanto riguarda la Corte di cassazione il ministro Guidotti cita una risposta ad una interrogazione parlamentare alla Camera dei Comuni nella quale si dichiarava che le leggi italiane sono quelle attualmente valide a Trieste. Ne segue che i ricorsi in appello devono essere presentati alle Corti italiane. Qualsiasi altra soluzione sarebbe contraria al trattato di pace e al diritto internazionale. Lo stesso principio vale per la questione della bandiera che è una invenzione arbitraria.

L'ambasciatore Mallet fa presente che la questione della Corte di cassazione è stata discussa a Roma dal gen. Airey e da altri. Per quanto il diritto italiano a una Corte di appello non sia stato ammesso, si è raggiunto un modus vivendi in base al quale si è reso possibile soprassedere alla soluzione della questione. Si deve riconoscere il merito del gen. Airey nel lasciare cadere la proposta di una Corte di cassazione triestina per deferenza alle obbiezioni dell'Italia. Ammette gli inconvenienti di tale attuazione transitoria dal punto di vista giuridico, ma aggiunge che tutto è stato fatto al fine di evitare di provocare contestazioni. Circa le bandiere, il punto della questione è che gli jugoslavi non consentono alle navi battenti bandiera italiana di operare nei porti jugoslavi: gli armatori italiani hanno perciò inventato la bandiera di Trieste come un espediente a loro proprio vantaggio.

Il ministro Guidotti dichiara che in vista di queste spiegazioni tutta questa materia può essere lasciata in sospeso.

Il presidente De Gasperi dice che sarebbe meglio se consultazioni costanti potessero aver luogo fra autorità inglesi e italiane a Trieste prima che il Governo Militare prenda provvedimenti suscettibili di dar origine a contestazioni e malintesi.

L'ambasciatore Mallet concorda su ciò ma chiede che questo principio venga anche adottato da parte italiana. E ricorda il caso del prefetto Paludan.

Il presidente De Gasperi chiede come gli italiani possano restare tranquilli dati i continui soprusi verificantisi nella Zona B. Cosa possiamo fare insieme per alleviare la tragica situazione di quella zona? Vi sono nella Zona A 25 mila profughi provenienti dalla Zona B. Non potrebbe il Governo britannico fare qualcosa per convincere il Governo jugoslavo a prendere un atteggiamento più umano nei confronti di quella popolazione? È un peccato che non esista alcun testimone imparziale. Sarebbe di gran giovamento se una missione americana di assistenza Marshall potesse esistere nella Zona B. Si potrebbe mandare colà qualche osservatore neutrale?

Il ministro Sforza dice che ciò aiuterebbe in effetti anche il maresciallo Tito il quale, come Mussolini, non è al corrente di tutti i crimini commessi in suo nome.

Il primo ministro Attlee a questo punto legge la parte principale della Dichiarazione tripartita che — egli conferma — non viene ripudiata. La questione adesso è di trovare il modo e il momento migliori per agire sulla base della Dichiarazione stessa. Il Governo inglese non vuole una lite con la Jugoslavia.

Il ministro Sforza dice che è proprio la Dichiarazione tripartita il mezzo migliore per iniziare conversazioni con un Governo dittatoriale come quello di Tito.

Il ministro Morrison dice che gli americani hanno dichiarato che ove i russi chiedessero loro di abbandonare la Dichiarazione delle tre potenze essi non avrebbero aderito. Il Governo inglese non ripudia la Dichiarazione. Il Governo italiano considera la possibilità di qualche soluzione di compromesso?

Il ministro Guidotti dichiara che a questa si potrebbe addivenire solo partendo dalla Dichiarazione delle tre potenze. Altrimenti i negoziati si risolverebbero in un cedimento generale.

Il ministro Sforza dice di avere contatti segreti col maresciallo Tito e che tra loro due esiste l'intesa che si debba aspettare il momento opportuno per un regolamento della questione. Ma è essenziale che le basi esistenti non siano infrante. È sua ferma convinzione che la futura grandezza dell'Italia deve essere basata sull'amicizia coi suoi vicini orientali. In caso di attacco alla Jugoslavia da parte dei satelliti armati dall'U.R.S.S. la Jugoslavia avrebbe rinunziato a difendere le pianure ed avrebbe resistito sulle montagne. Chi allora potrebbe fermare i russi nella loro marcia verso l'Italia ed impedire che essi schiacciassero la resistenza dei paesi del N.A.T.O. in quel teatro bellico? È dunque necessario mantenere elevato lo spirito patriottico italiano in vista di un eventuale cimento.

Il ministro Guidotti dice che l'unica maniera di migliorare i rapporti italo-jugoslavi è quella di tenersi fermi sulla Dichiarazione delle tre potenze. Fino a che la questione di Trieste non è sistemata vi saranno buoni rapporti fra due paesi, ma non i migliori.

Il ministro Sforza informa che gli jugoslavi hanno proposto di elevare i rispettivi ministri d'Italia e di Jugoslavia a rango di ambasciatore. Egli ha replicato che nulla gli avrebbe fatto maggior piacere ove ciò fosse stato una manifestazione di accordo. Egli ha tuttavia declinato di aderire a una proposta che andava considerata mera formalità, per la ragione appunto che egli ha così vivo interesse per il miglioramento delle relazioni italo-jugoslave. Il ministro Sforza è grato per l'affermazione del ministro degli esteri britannico — di cui prende atto — che la Dichiarazione tripartita è valida per il Regno Unito come è valida per i Governi francese e americano, con l'intesa che essa debba portare ad una conciliazione.

Il primo ministro Attlee e il ministro degli esteri Morrison assentono.

Il ministro Guidotti passa a trattare la questione delle colonie italiane e dice di essere contento che una soluzione sia stata adottata a Lake Success. Questa non è tuttavia che la fine del primo stadio, e il secondo stadio potrebbe essere anche più lungo e altrettanto importante. La sorte delle colonie è stata decisa e il loro avvenire giuridico tracciato. Ma l'avvenire delle collettività italiane deve dipendere dalla cooperazione non solo del Governo di Sua Maestà ma delle autorità locali. La questione dei beni italiani è stata nelle grandi linee sistemata ma rimane ancora da prendersi tutta una serie di decisioni concrete. Vi sono ora a Londra degli esperti per discutere tali questioni. La risoluzione dell'O.N.U. ha stabilito che i beni statali debbano essere assegnati al nuovo Stato e i beni privati rimangano ai privati cittadini. Il Governo italiano desidera un'assicurazione che i casi dubbi sarebbero esaminati con la massima equità e benevolenza. Circa la futura sistemazione della Libia, i più recenti sviluppi fanno ritenere che il Governo britannico inclini ora verso una Federazione un po' meno «loose» di quanto non avesse dichiarato nelle ultime conversazioni di dicembre. Ciò può forse esser dovuto alla mancanza di comprensione da parte della popolazione locale. Il vero interesse del Governo è nella sopravvivenza della comunità italiana. Egli chiede l'appoggio inglese nei negoziati con gli Stati regionali in modo che l'Italia possa stipulare con essi accordi separati che non corrano il rischio di essere annullati da un eventuale futuro Governo unitario.

Il signor Bowker dice che per i beni italiani egli può dare assicurazione che i casi dubbiosi sarebbero benevolmente considerati attraverso l'attività del Tribunale delle Nazioni Unite incaricato di tale materia. Circa la costituzione libica il Governo britannico non ha mutato il proprio parere che la migliore soluzione consista in una «loose federation» con forte autonomia locale di ciascuna regione. Questa è anche la migliore soluzione, a giudizio del Governo di Sua Maestà per la collettività italiana in Tripolitania. Il Governo britannico deve naturalmente prendere in considerazione i punti di vista della popolazione libica che è direttamente interessata alla questione; ma riconferma le proprie preferenze per il sistema della «loose federation».

Il ministro Guidotti esprime la speranza che in vista dei cospicui interessi economici italiani in Libia il Governo italiano possa partecipare alla costituzione della Banca di emissione della futura moneta libica.

Il signor Bowker dice che questa ed altre questioni avrebbero formato oggetto di discussione ad una riunione indetta per il giorno seguente dal signor Pelt a Londra. Il Governo britannico ha suggerito che non debba esservi una Banca centrale di emissione ma un semplice Currency Board con una moneta «unificata». Il controllo dei cambi dovrebbe essere effettuato dal Governo libico. Dovrebbe esservi anche un ufficio di stabilizzazione per occuparsi dei principali problemi economico-finanziari. Si trattava comunque di problemi tecnici.

Il ministro Guidotti dice che vi sono anche aspetti politici e chiede quale copertura aurea avrebbe la nuova moneta.

Il signor Bowker specifica che avrebbe dovuto avere una copertura in sterline.

Il ministro Guidotti suggerisce che la copertura sia internazionale.

Il signor Bowker dice che ciò era stato proposto in un primo tempo ma doveva considerarsi non attuabile. Il problema sarebbe stato spiegato durante la riunione indetta dal signor Pelt alla quale il Governo italiano era rappresentato.

Il sottosegretario permanente Strang dichiara che la questione comunque poteva essere discussa il pomeriggio seguente in sede economica.

Il presidente De Gasperi chiede se non vi sia nulla da dire sulla questione del-l'Italia e delle Nazioni Unite.

Il ministro Morrison dice di essere animato dalle migliori intenzioni e di volere l'ammissione dell'Italia.

Il ministro Sforza dice che il punto da decidere sembra quello se si voglia accettare contemporaneamente l'ammissione dei satelliti della Russia.

Il ministro Morrison ammette che la situazione è illogica; l'Italia è nel Patto atlantico ma i suoi armamenti sono soggetti a limitazioni. Egli farebbe del suo meglio per risolvere la questione entro i limiti del possibile.

Il ministro Sforza dice che presto si dovrà decidere se il Consiglio d'Europa è destinato a diventare una palestra di discussioni accademiche; nel qual caso sarebbe un disastro.

Il ministro Morrison risponde che sarebbe un disastro ugualmente, ove il Consiglio d'Europa dovesse divenire un organo esecutivo. È una necessità essenziale che tale organo sia consultivo.

Il ministro Sforza dichiara che è importante rifornire il Consiglio d'Europa con alimenti che non siano veleno. Il ministro Morrison fa rilevare che l'argomento è incluso nell'agenda del giorno seguente.

Il presidente De Gasperi dichiara che non intende sollevare formalmente la questione del trattato di pace con l'Italia. Ma c'è la possibilità che le conversazioni di Parigi conducano all'esame della posizione dell'Italia ai termini dell'accordo di Potsdam secondo i quali all'Italia era riconosciuto il diritto di diventare membro delle Nazioni Unite dal momento che aveva instaurato un Governo democratico antifascista. L'ammissione alle Nazioni Unite era l'unico compenso dato all'Italia in cambio delle spiacevoli clausole del trattato.

Il ministro Sforza rileva il pericolo di considerare la revisione delle sole clausole del trattato riguardanti l'armamento ma non delle altre le quali, per quanto più o meno in disuso, rimangono come una maledizione biblica sull'Italia.

L'ambasciatore Mallet domanda a quali altri articoli il ministro Sforza si riferisce. Il ministro Sforza dice che, generalmente parlando egli pensa che il trattato di pace debba essere sostituito da qualche altro strumento o da diversi altri strumenti.

Il ministro Sforza passa poi a parlare dell'Eritrea, e dice essere motivo di massima soddisfazione che 20 mila italiani colà residenti si siano così presto persuasi del-l'opportunità della soluzione adottata. Al fine tuttavia di mantenere l'attuale soddisfacente stato delle cose era di primaria [importanza] che le relazioni con l'Etiopia cominciassero a normalizzarsi. Il Governo italiano ha avuto contatti con il signor Aklilou che ha promesso di proporre all'imperatore lo scambio di ambasciatori. Sarebbe utile che il Governo britannico potesse dare il suo appoggio allo stabilimento di relazioni diplomatiche. Egli crede che gli etiopici lo desiderino sinceramente.

Il sottosegretario permanente Strang dice che il Governo di Sua Maestà ha fatto per lungo tempo del suo meglio in tal senso. Il signor Aklilou si è ora ristabilito dalla sua malattia e sta per partire da Cannes per Parigi e di là per Addis Abeba. Strang aveva anche proposto ad Aklilou di venire a Londra nel periodo in cui vi erano i ministri italiani.

Il primo ministro Attlee promette di esaminare quel che si potrà fare al riguardo.

Il sottosegretario permanente Strang afferma risultargli che gli etiopici sono tuttora favorevoli alla ripresa di relazioni nello spirito della dichiarazione fatta a New York. Sarebbe stato molto utile se in tale occasione fosse stato da parte italiana compiuto qualche gesto quale per esempio la restituzione dei gioielli della Corona.

Il ministro Sforza assicura di prendere nota di tale desiderio etiopico.

La riunione si è aggiornata alle ore 5,30 p.m. fino alle 10,30 del mattino successivo.

298 1 Mancano i verbali delle conversazioni del 13 marzo mattina, alle quali parteciparono esclusivamente i due primi ministri e i due ministri degli esteri. Del contenuto di tali conversazioni Sforza informò Gallarati Scotti con il D. 330.

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VERBALE SEGRETO4 . Londra, 14 marzo 1951, ore 10,30.

Il ministro Morrison accenna alle proposte di cambiamenti allo Statuto del Consiglio d'Europa. Su molti punti il Governo britannico era d'accordo; ma ve ne sono alcuni che esso non può approvare, e rispetto a questi sarebbe grato dell'appoggio italiano. In effetti il Governo britannico si troverebbe in grande difficoltà se all'Assemblea venisse data la facoltà di adottare misure legislative vincolanti per i singoli Governi. Il problema immediato della riforma dello Statuto dovrebbe essere considerato in relazione alla graduale evoluzione del Consiglio d'Europa. È opinione del Governo britannico che il tempo del federalismo non è ancora giunto.

Il ministro Morrison afferma che egli non può accettare la distinzione tra gli aspetti politici della difesa e la difesa in senso proprio. L'organizzazione del Patto atlantico esiste ed include l'Italia. Prima di questa vi era l'Unione occidentale per la difesa; questa Unione è divenuta ora parte della organizzazione atlantica.

I problemi della difesa devono essere trattati dai ministri degli esteri dei paesi interessati. Le attività di questi ultimi vengono ovunque controllate molto da vicino in altra sede. I problemi della difesa erano stati espressamente esclusi dallo Statuto del Consiglio d'Europa; tuttavia essi sono stati improvvisamente discussi quando il signor Churchill sollevò la questione dell'esercito europeo. I francesi avevano proposto che vi fosse un ministro della difesa per tutti i paesi europei. Ciò fece sorgere molte difficoltà, ad esempio per quel che riguarda le paghe e le spese. Il Governo britannico non sarebbe disposto a porre l'esercito sotto l'autorità di un ministro della difesa europeo responsabile non al Parlamento britannico ma all'Assemblea di Strasburgo. Ci si è buttati su tutta la questione un poco a cuor leggero; il Governo britannico non può essere d'accordo. Esso, peraltro, può essere d'accordo con gli altri Governi europei circa l'istituzione di autorità specializzate purché i singoli Governi siano liberi di decidere se parteciparvi o no. Se i paesi dell'Europa continentale volevano queste autorità il Governo britannico non desiderava porsi attraverso la loro strada. Ma i diritti dei singoli Governi debbono essere mantenuti.

Il ministro Morrison era pronto a dare il suo assenso ad alcuni emendamenti allo Statuto miranti a farlo funzionare più efficacemente. Ed in effetti i ministri italiani erano, egli riteneva, d'accordo sotto certi aspetti. È importante che il Consiglio d'Europa non sia fatto naufragare. Esso deve procedere gradualmente ad aumentare la sua importanza, come organismo, nel futuro, ma se esso volesse marciare troppo velocemente ne deriverebbe la disunione e la esistenza stessa del Consiglio verrebbe messa in pericolo. La posizione britannica è piuttosto difficile, benché il Governo britannico abbia grande simpatia per il Consiglio d'Europa. Egli sperava che l'atteggiamento del Governo britannico, come sopra esposto, sarebbe stato apprezzato dal Governo italiano.

Il ministro Sforza ricorda al segretario di Stato il punto di vista che egli aveva espresso all'ultima sessione della Assemblea: che sarebbe stato un errore di accogliere in questa fase delle idee troppo precise circa le future funzioni del Consiglio d'Europa. Sarebbe disastroso se, ad esempio, tali idee portassero al ritiro del Regno Unito dal Consiglio. Il signor Bevin aveva definito molto bene la situazione quando aveva detto che il Consiglio d'Europa era come un grande circolo in cui vi era spazio per tracciare dei circoli più piccoli. Sarebbe un errore camminare troppo in fretta ed adottare dei principi di cui nessuno potrebbe mettere in dubbio il valore ma che potrebbero irritare la Gran Bretagna.

Il ministro Sforza fa riferimento all'improvviso accesso di pazzia che aveva preso l'Assemblea riguardo la mozione sul ministro per la difesa europea: il suo punto di vista personale era che l'albero deve venire prima del frutto. Egli non trovava nulla da rimproverare alla Gran Bretagna per i no che diceva; ma dava imbarazzo il fatto che i no erano pronunciati non come dispiacere ma con un poco di piacere sadistico.

Il ministro Morrison ringrazia il conte Sforza per il suo punto di vista che in linea di principio egli accetta.

Il ministro Sforza continuando afferma che il Consiglio d'Europa è divenuto una realtà per i problemi dell'Europa e che per esso si debbono trovare delle utili funzioni. Sarebbe molto dannoso se lo si lasciasse fallire; la propaganda sovietica non tarderebbe a sfruttare il simile fatto; esso deve essere tenuto vivo e deve essere guidato su adatte rotaie e con la giusta considerazione per i fattori storici. Un campo adatto per lo sviluppo delle attività del Consiglio potrebbe essere quello economico: è da considerare se una fusione dell'O.E.C.E. e del Consiglio d'Europa potrebbe avere luogo, per mezzo di qualche organo comune.

Il ministro Morrison afferma che mentre egli è da un punto di vista generale d'accordo con ciò che ha detto il conte Sforza vi è da ricordare che alcuni membri deliberatamente punzecchiano il Comitato dei ministri e che in tali casi si rende necessario per i delegati britannici di mantenere il proprio punto di vista. Il segretario di Stato accenna alle differenti maniere che hanno le diverse nazioni di fare dichiarazioni di ordine generale. I francesi per esempio sono spesso pronti di sottoscrivere ad un principio generale quando poi in pratica essi non sono più desiderosi di applicarlo di quanto non lo siano gli inglesi. D'altro canto gli inglesi non sottoscriverebbero mai ad un principio generale di cui essi non potessero vedere il modo di applicazione pratica.

Egli poi chiede a Sir Pierson Dixon di parlare sulla revisione dello Statuto.

Sir Pierson Dixon si riferisce ai punti del capitolo 3 del Rapporto degli esperti

— in cui questi non sono riusciti a raggiungere un accordo — i quali verrebbero ad alterare radicalmente la posizione dell'Assemblea. Essi muterebbero la situazione nelle seguenti maniere:

1) essi cambierebbero il carattere consultivo dell'Assemblea;

2) essi farebbero dell'Assemblea un'autorità sopranazionale;

3) ne risulterebbero in parte mutati i rapporti fra l'Assemblea ed il Comitato dei ministri.

Dei modi in cui il carattere consultivo dell'Assemblea verrebbe alterato il primo sarebbe quello relativo alla difesa. In primo luogo infatti è stato proposto di porre i problemi della difesa entro la competenza del Consiglio d'Europa; il Regno Unito non può appoggiare tale proposta. In secondo luogo è stato proposto che il Consiglio d'Europa abbia competenza a discutere gli aspetti politici della difesa; il punto di vista del Regno Unito è che gli aspetti politici della difesa non possono andare di sgiunti dagli altri. Tale punto di vista sembra che sia stato accettato dal signor Schuman. Era anche stato proposto di alterare il carattere consultivo dell'Assemblea associandola più strettamente con altri organismi internazionali ed in particolare con l'O.E.C.E. Sir Pierson Dixon si riferisce al suggerimento fatto dal ministro Sforza a questo riguardo ed afferma che il Governo britannico non si oppone all'idea purché essa sia considerata esclusivamente come una possibilità futura e non immediata. Un altro mezzo per una più stretta associazione è il suggerimento riportato nel cap. 2 del Rapporto che i membri del Consiglio d'Europa partecipino alle deliberazioni di altri organismi internazionali intergovernativi. Gli inglesi non pensano che una tale partecipazione sia possibile.

È stato proposto di fare dell'Assemblea una autorità sopra-nazionale in primo luogo permettendole dei contatti con i Parlamenti nazionali scavalcando il Comitato dei ministri; gli inglesi non possono essere d'accordo con una tale evoluzione che sarebbe inevitabilmente imbarazzante per i Governi. Un'altra proposta fatta a questo riguardo è quella appoggiata dal signor La Malfa; gli inglesi non possono aderire a tale proposta la quale in realtà significherebbe che ogni volta che un paese è impegnato in negoziati bilaterali con un altro paese esso dovrebbe tener conto dei punti di vista dell'Assemblea.

In terzo luogo gli inglesi si oppongono alle proposte di mutare le relazioni tra l'Assemblea e il Comitato dei ministri. Tali proposte tendono ad aumentare la pressione sul Comitato del ministri per fare ad esso accettare le raccomandazioni dell'Assemblea diminuendo il potere di resistenza del primo con l'abolire ad esempio il carattere segreto delle sue discussioni e la regola dell'unanimità nelle sue decisioni.

Il ministro Morrison afferma che già esistono soddisfacenti accordi per il collegamento tra il Consiglio d'Europa e l'O.E.C.E.; ciò a cui gli inglesi si oppongono è la subordinazione di un organismo all'altro.

Il ministro Sforza dice che egli è, in linea generale, d'accordo sui punti toccati da Sir Pierson Dixon, ma insiste che qualcosa si deve trovare — egli non sapeva neppure esattamente cosa — che il Consiglio d'Europa possa fare.

Il presidente del Consiglio afferma che devono essere sviluppate le attività d'ordine economico nel Consiglio d'Europa.

Il ministro Morrison dice che gli inglesi sono disposti che l'Assemblea discuta qualsiasi questione eccetto quelle riguardanti la difesa. Essi si oppongono solo alle sue pretese di dettar legge al Comitato dei ministri. Egli fa presente lo scopo originario per cui il Consiglio d'Europa venne formato e definito nello Statuto e mostra quanto i cambiamenti proposti porterebbero lontano da tale scopo. In conclusione egli trova che si è d'accordo in larga misura per quanto riguarda il Consiglio d'Europa.

Il ministro Sforza dice che come un amico ed in confidenza egli desidera far presente al ministro Morrison che se le deliberazioni dell'Assemblea continuassero a mancare di concretezza i membri italiani dell'Assemblea gli avevano detto che essi cesserebbero di partecipare alle sedute. Nei loro collegi elettorali essi sono presi in giro circa la loro attività a Strasburgo. Se per motivi di questo genere il Consiglio d'Europa si risolvesse in un fallimento si direbbe che questo è colpa della Gran Bretagna. Il ministro Sforza sottolinea che è nell'interesse inglese far sì che il Consiglio d'Europa non sia un fallimento.

Il presidente del Consiglio dice che l'internazionalismo è una forza potente in Europa e che esso non deve subire una delusione a Strasburgo. Egli sottolinea l'importanza di sviluppare le attività economiche del Consiglio d'Europa. Egli suggerisce che le proposte di notevole importanza tendenti alla cooperazione economica internazionale, quali i piani Stikker, Pella e Petsche, siano discussi dall'Assemblea. Nella loro forma iniziale tali piani erano più materia di opinione che di politica e nessun danno ne deriverebbe se l'Assemblea li discutesse.

Il ministro Sforza dice che il signor Adenauer gli aveva chiesto, nella sua qualità di presidente del Comitato dei ministri, di porre all'ordine del giorno la questione se la Repubblica Federale tedesca debba essere membro di pieno diritto o membro associato del Consiglio d'Europa. Data la sensibilità francese su questo punto egli aveva consultato il signor Schuman per via diplomatica al fine di indurlo a non ripetere gli errori di Poincaré. Presto o tardi la Germania sarebbe diventata un membro di pieno diritto e sarebbe stato meglio far sì che ciò avvenisse presto anziché tardi. Il signor Schuman aveva consentito che questo punto fosse posto all'ordine del giorno.

Il ministro Morrison chiede se la questione era che se i tedeschi fossero divenuti membri in pieno diritto essi avrebbero avuto un seggio nel Comitato dei ministri, mentre se essi avessero continuato ad essere membro associato non lo avrebbero avuto.

Il ministro Sforza dice che la questione è in questi termini.

Il ministro Morrison dice che egli non si oppone a che il problema sia messo all'ordine del giorno. Tuttavia egli doveva riservare l'atteggiamento del Governo britannico in quanto gli inglesi avrebbero consultato le altre potenze occidentali occupanti.

Per quel che riguarda le questioni generali sollevate circa l'atteggiamento del Regno Unito verso l'internazionalismo in Europa il segretario di Stato ricorda la parte di primo piano avuta dalla Gran Bretagna nell'istituire degli enti, quali l'O.E.C.E.; egli dice che questo è il solo modo con cui la Gran Bretagna cerca di realizzare i principî della cooperazione internazionale. Egli chiede se gli emendamenti allo Statuto sarebbero stati discussi uno alla volta al Comitato dei ministri.

Il ministro Sforza dice che così sarebbe avvenuto.

Il ministro Morrison chiede se il Governo italiano è d'accordo che il sistema di prendere decisioni all'unanimità nel Comitato dei ministri debba continuare. Gli inglesi hanno già consultato i francesi al riguardo ed essi pensano che l'unanimità

debba essere mantenuta.

Il ministro Sforza è d'accordo nel momento attuale.

Il ministro Morrison dice che è necessaria molta accortezza nel trattare il problema del comunismo in Europa e prega gli italiani di esporre il loro punto di vista.

Il presidente del Consiglio dice che questo è un problema importante per il Governo italiano data la forza del partito comunista in Italia; egli dice che sono state discusse con i francesi delle comuni misure da prendere per combattere il comunismo.

Il ministro Morrison chiede che cosa era stato deciso e se il Governo britannico poteva dare in qualche modo un contributo alle misure concertate per combattere il comunismo.

Il ministro Sforza dice che i problemi riguardanti la lotta contro il comunismo sono completamente differenti in Italia e nel Regno Unito; nella prima il partito è forte mentre nel secondo esso è poco numeroso. D'altra parte i problemi in Francia ed in Italia sono simili, ma forse l'Italia ha avuto più successo della Francia nel diminuire la capacità del partito comunista di sfidare il Governo. Egli fa notare che è più facile concordare delle misure con la Francia che con il Regno Unito perché le funzioni e i metodi dei rispettivi ministeri dell'Interno in Francia ed in Italia sono gli stessi mentre lo Home Office lavora secondo differenti linee. Sono stati presi accordi per una stretta cooperazione tra i due ministeri dell'Interno.

Il ministro Morrison dice che questo atteggiamento è del tutto soddisfacente.

Il ministro Sforza dice che se il Governo italiano può essere di aiuto al Home Office, dando ad esso ogni informazione di cui questo possa avere bisogno, ciò sarebbe stato certamente fatto.

Il ministro Morrison dice che in alcuni dei suoi recenti discorsi circa il comunismo egli aveva adottato il sistema di stabilire dei precisi paralleli tra aspetti similari della vita nell'Unione Sovietica e nel Regno Unito. Per esempio a Cambridge recentemente egli aveva posto a raffronto i sistemi dell'educazione superiore nei due paesi e dimostrato quanto reazionari e sterili sono i metodi sovietici in confronto a quelli inglesi. Egli è d'avviso che un tale metodo di trattare la questione è particolarmente efficace e tale sua opinione è rafforzata dalla vivacità della reazione comunista al suo discorso.

Il ministro Sforza è d'accordo.

Il ministro Morrison fa menzione delle accuse avanzate dai sovietici nelle conversazioni a quattro che tutti i paesi del Patto atlantico hanno intenzioni aggressive verso l'Unione Sovietica. Il Regno Unito aveva suggerito che gli altri paesi del Patto atlantico — a parte gli Stati Uniti, la Francia ed il Regno Unito — facessero qualche passo per controbatterle sia pubblicando delle dichiarazioni sia presentando una nota ai Soviet. Egli prega i ministri italiani di prendere in favorevole considerazione questo suggerimento.

Il ministro Sforza dice che dopo la riunione del Comitato dei ministri in Roma, Mr. Davies aveva redatto una dichiarazione sul comunismo, che venne pubblicata. Tale dichiarazione era eccellente. Tuttavia essa era passata inosservata. Egli dice che la morale che si deve ricavare da ciò è che un tale materiale deve essere più di natura attuale che puramente polemica.

Il ministro Morrison è d'accordo e ricorda di nuovo il metodo che egli ha prima suggerito.

Il conte Sforza dice che egli ha proposto al signor De Gasperi di preparare un appello ai satelliti nel quale dovrebbe essere sottolineato il maggior vantaggio che essi avrebbero unendosi all'Occidente anziché all'Oriente. Egli dice che quando la bozza sarà pronta sarà inviata a Londra perché il Governo inglese esprima la sua opinione.

Il presidente del Consiglio prega il ministro Guidotti di parlare al riguardo della cooperazione industriale.

Il ministro Guidotti dice che tale argomento è stato esaurientemente discusso al livello dei funzionari, ma il signor De Gasperi e il ministro Sforza desiderano che egli metta in luce molto brevemente l'importanza politica della questione. Egli dice che si era raggiunto un accordo circa la fabbricazione di aeroplani di modello britannico in Italia in base alla concessione di licenze. In particolare si produrrebbero Venoms e Vampires. Tuttavia la Società De Havilland ha recentemente comunicato di essere nell'impossibilità di consegnare alcune delle macchine e dei materiali promessi allo scopo di permetterne la fabbricazione in Italia a causa delle necessità del programma di difesa del Regno Unito. Difficoltà dello stesso genere si erano incontrate riguardo alla consegna di materiale radar per la difesa antiaerea. Se dei divieti di tale genere dovessero continuare, il programma italiano di riarmo verrebbe ad essere di sastrosamente manchevole. Egli dice che un memorandum al riguardo era in preparazione e sarebbe stato consegnato al Foreign Office.

Il ministro Morrison prende nota e suggerisce che la questione venga discussa nel pomeriggio.

Il ministro Sforza affronta la questione della distribuzione delle materie prime. Egli dice che l'Italia non ha obiezione da fare alla composizione del Gruppo centrale nel quale attualmente solo gli Stati Uniti, la Francia e il Regno Unito sono rappresentati. Tuttavia se fosse stato proposto di allargare il Gruppo includendovi, per esempio, rappresentanti dei paesi del Sud America e dell'O.E.C.E. egli pensa che anche l'Italia debba esservi inclusa in quanto essa è uno dei più forti consumatori.

Il ministro Morrison afferma che la questione della ripartizione delle materie prime è assai difficile e che, perché si possano prendere delle decisioni pratiche, è meglio che l'organismo esecutivo sia ristretto.

Il ministro Sforza dice che egli comprende che le note che sono state prese nella riunione non sono un processo verbale, ma che, per evitare confusione, sarebbe stato vantaggioso se ci si fosse trovati d'accordo sulle note prese dai segretari italiani e britannici.

Il ministro Morrison dice che ciò si può accettare, ma che in nessun caso le note si sarebbero dovute pubblicare. Il ministro Sforza è d'accordo e propone che i punti più importanti siano compresi nel comunicato. Il ministro Morrison conviene che una bozza di comunicato su queste linee venga stilato d'accordo fra l'ambasciata d'Italia e il Western Department. Il ministro Sforza dice che il comunicato dovrebbe contenere qualche riferimento su quanto si era rimasti d'accordo circa Trieste. Il ministro Morrison dice che gli inglesi sono d'accordo su ciò e che tale punto dovrebbe essere incluso nel comunicato.

111.

VERBALE SEGRETO5 . Londra, 14 marzo 1951, ore 15,35.

Il ministro Morrison, aprendo la seduta, comunica che il ministro del lavoro e il segretario di Stato per le colonie, presenti alla riunione, risponderanno ad ogni domanda relativa al contributo della mano d'opera italiana al Regno Unito e ai territori d'oltremare. Invita il ministro Sforza a prendere la parola.

Il ministro Sforza dichiara che, sebbene la cifra ufficiale della disoccupazione in Italia sia di due milioni, vi sono molte persone le quali, pur ricevendo il sussidio di disoccupazione, sono di fatto parzialmente impiegate e che quindi sarebbe più accurato limitarsi a dire che i disoccupati oltrepassano il milione. Il problema tuttavia rimane molto serio. Nei negoziati per la liberalizzazione degli scambi ecc. il Governo italiano aveva sempre insistito sulla necessità di provvedere anche alla liberalizzazione del movimento della mano d'opera. A Santa Margherita i francesi fecero presente che avrebbe potuto esservi qualche opposizione ad una larga emigrazione italiana nei territori confinanti con l'Italia, perché in alcune località si trovano già larghe popolazioni italiane. Si convenne pertanto di non dare ulteriormente luogo a flussi emigratori nel sud-est della Francia. D'altra parte i francesi dichiararono di essere in linea di principio pronti ad accogliere una più larga emigrazione italiana, ma il problema era quello delle case. Se il Governo italiano fosse stato in condizione di costruire alloggi per 100 mila lavoratori il problema avrebbe potuto compiere un notevole passo avanti verso la sua soluzione. A Santa Margherita si è pensato anche ad un piano internazionale di finanziamento per la sistemazione degli emigranti. Da allora qualche progresso è stato compiuto, e si sperava di ottenere impiego in Francia per circa altri 20 mila italiani.

Il ministro Sforza dichiara che il Sud Africa ha bisogno di tecnici specializzati, dottori e così via, ma che gli olandesi sollevano obiezioni alla immigrazione inglese e gli inglesi a quella olandese. In conseguenza gli uni e gli altri sono favorevoli alla immigrazione italiana. Egli, quindi, era fiducioso sulle possibilità emigratorie nel Sud Africa.

Circa le colonie africane della Gran Bretagna, egli si rende conto che non vi è posto per una emigrazione su larga scala. Ma qualche cosa può farsi per l'impiego stagionale o temporaneo, particolarmente in connessione con la creazione di grandi imprese in Africa. Egli chiede che tali possibilità siano tenute presenti e che si stabilisca una più stretta collaborazione in questo campo.

Anche nel Regno Unito non vi sono che scarse prospettive immigratorie salvo che nel settore minerario.

Il ministro del lavoro Bevan dichiara che il contributo che può essere offerto dal Regno Unito alla soluzione del problema dell'eccedenza di mano d'opera italiana appare necessariamente modesto di fronte all'entità del problema stesso. Il Governo

del Regno Unito ha facilitato l'afflusso dei lavoratori italiani venuti in Gran Bretagna su iniziativa individuale ed il Tesoro ha offerto buone condizioni per le rimesse alle famiglie in Italia. Ciò che non è di poco conto. Attualmente 1900 donne italiane sono impiegate nell'industria tessile e piccoli gruppi di milanesi nelle fonderie del Galles del Sud. Vi sono inoltre muratori ed anche specialisti nella fabbricazione di laterizi. Numericamente si tratta, tuttavia, di entità molto limitate.

Il ministro Sforza dichiara di apprezzare in pieno il fatto che il Regno Unito stia facendo quanto in suo potere.

Il ministro del lavoro Bevan, riprendendo la sua esposizione, invita a tener conto che il Regno Unito ha una popolazione molto densa, la più densa dopo il Belgio. Ciò nondimeno dal 1932 il Regno Unito ha assorbito proporzionalmente alla sua popolazione, più mano d'opera straniera di qualsiasi altro paese in Europa.

Dichiara quindi di essere interessato ad avere chiarimenti su quanto il Governo italiano sta facendo per proprio conto per risolvere il problema della disoccupazione e, a tale proposito, chiede se, debellata la malaria in Sardegna, non vi siano buone prospettive per l'assorbimento della mano d'opera in quell'isola.

Il ministro Sforza dichiara che gli sforzi per il riarmo italiano non hanno modificato il proposito del Governo italiano di portare avanti la riforma fondiaria e lo sviluppo agricolo dell'Italia meridionale. Questo proposito è stato perfettamente chiarito agli americani. Il riarmo senza riforme sociali sarebbe vano. La Sardegna era inclusa in questi piani di riforma così come vi erano piani di riforma agraria per l'Italia meridionale per i quali erano stati già effettuati i necessari stanziamenti attraverso una banca appositamente creata, la «Cassa del Mezzogiorno». I lavori sono stati già iniziati in Calabria. La Calabria ha un certo sviluppo agricolo ed industriale, mentre in Sardegna le condizioni sono più arretrate. Tuttavia nell'isola si sono recentemente sistemati numerosi gruppi di profughi dalmati anche se le condizioni di quella regione scoraggiano per il momento una immigrazione su più ampia scala. Comunque la Sardegna è inclusa nei progetti di sviluppo economico attualmente in corso.

Il ministro del lavoro Bevan ringrazia il ministro Sforza per la sua esposizione.

Il ministro Sforza ribadisce che si rende conto che il Regno Unito non può fare di più di quanto ha già fatto per assorbire l'eccedenza della mano d'opera italiana; egli avrebbe tuttavia voluto avere elementi sulle possibilità migratorie nelle colonie africane.

Il ministro delle colonie Griffiths spiega che vi sono scarse prospettive per una immigrazione su larga scala nelle colonie africane. In primo luogo vi sono difficoltà materiali derivanti dal fatto che solo qualche zona di alcune colonie si presta alla immigrazione europea. In secondo luogo vi sono difficoltà di carattere politico, derivanti dal consolidarsi di una coscienza politica tra gli africani. Gli stessi inglesi hanno difficoltà ad emigrare contro la volontà degli africani. Una ultima difficoltà deriva dal fatto che adesso viene curata l'educazione degli stessi africani in modo da avviarli a posti di carattere tecnico. Ciò corrisponde alla politica del Governo di S.M. che incoraggia l'educazione degli indigeni offrendo borse di studio statali. Non meno di 5 mila studenti africani attualmente ricevono queste borse di studio. Non si debbono quindi coltivare eccessive speranze su possibilità concrete di impiego di italiani nei programmi di sviluppo coloniale. Questi programmi nel passato avevano troppo spesso portato all'esclusione degli africani dalle terre buone. Se non si fa attenzione si possono creare situazioni pericolose, se non addirittura esplosive. L'importante è di tenere a mente che non vi sono prospettive di immigrazione su larga scala e che, in ogni caso, occorre la buona volontà degli africani.

D'altro canto esistono effettive possibilità di impiego di lavoratori specializzati, ingegneri, ecc. Vi è posto per imprenditori italiani in Africa. Il Governo britannico sa, per esperienza, che quando gli italiani sono stati impiegati, sia individualmente sia in gruppi, il loro lavoro è stato eccellente ed essi hanno saputo conquistarsi il rispetto tanto degli africani quanto dell'Amministrazione. Quindi si può sviluppare questo genere di collaborazione ed il Governo britannico si è preoccupato di incoraggiarlo ogni volta che si è presentata una favorevole occasione. Difatti istruzioni sono state impartite ai governatori di portare all'attenzione delle autorità italiane gli appalti per lavori in colonia o altre possibilità di impiego di mano d'opera specializzata. Questa procedura si attua mercé comunicazione ai consoli italiani. Quindi quello che può farsi viene fatto e sarebbe stato fatto anche in avvenire.

I problemi dell'immigrazione sono non soltanto di carattere tecnico ma anche politico. Si tratta oltre che di accertare dove vi sono possibilità di lavoro, di assicurare che quando il lavoro è offerto ad italiani o ad altre popolazioni europee non vi sia opposizione sul terreno politico da parte degli africani. È necessario ribadire che non vi è posto per una immigrazione su larga scala, ma per un impiego su scala più modesta, sì.

Il ministro Morrison ringrazia il ministro delle colonie e ribadisce come il problema è di massima importanza per l'Italia.

Il ministro Sforza ringrazia per le spiegazioni ricevute che egli definisce esaurienti. Chiede tuttavia se le circostanze esposte dal ministro delle colonie avrebbero potuto essere modificate — ed in che misura — dall'applicazione del Punto Quarto.

Il ministro delle colonie Griffiths dice che è difficile valutare gli effetti pratici

— ammesso che ve ne siano — dell'applicazione alle colonie britanniche del Punto Quarto. Comunque egli pensa che, terminato l'impianto idroelettrico di Owen Falls, l'impiego di energia elettrica renderà possibile lo sviluppo industriale dell'Africa. Per il momento questa è l'unica prospettiva di carattere concreto, mentre le applicazioni pratiche del Punto Quarto sono tuttora ipotetiche.

Il ministro del lavoro Bevan osserva che la cosa importante è che tra italiani ed africani non si creino contrasti. Bisogna avere in mente le possibilità emigratorie nel-l'America del Sud che sono maggiori e meno problematiche. Gli addetti del lavoro britannici nel Sud americano stanno di fatto esaminando il problema con ogni attenzione. Il Governo britannico raccomanda che i problemi dell'emigrazione vengano accentrati in una agenzia specializzata, ad esempio nell'Ufficio internazionale del lavoro. Se si vuole agire con serietà e decisione occorre evitare quelle innumerevoli conferenze che sono oramai divenute quasi un vizio. Non è poi sufficiente limitare le intese con i paesi di immigrazione al settore strettamente finanziario; è essenziale che gli emigranti siano anche politicamente accetti. In secondo luogo egli considera che il Governo italiano ha commesso un errore esigendo condizioni troppo favorevoli per i suoi emigranti. Occorre attenersi alla realtà delle situazioni.

Il ministro Morrison domanda al ministro Sforza se vi è altro da dire sull'argomento.

Il ministro Sforza dice che le dichiarazioni del ministro delle colonie coincidono con le sue informazioni e che egli non ha quindi nulla da aggiungere, ma si augura che venga fatto posto ad operai specializzati italiani dovunque ciò sia possibile.

Il ministro delle colonie Griffiths dichiara che questo veniva già fatto e sarebbe stato fatto anche in avvenire.

Il ministro delle colonie afferma che gli africani, a torto o a ragione, temono che l'immigrazione bianca significhi anche governo da parte dei bianchi. In passato lo stabilimento dei bianchi aveva portato all'esclusione degli africani dalle terre migliori. Comunque ripete che gli italiani si sono fatti la fama tra gli africani di buoni datori di lavoro e di buoni lavoratori, e questo è un buon auspicio per l'avvenire.

Il ministro Morrison domanda come procedono i progetti di impiego di minatori italiani.

Il ministro del lavoro Bevan dichiara che l'accordo è stato raggiunto ma il primo gruppo di lavoratori non era ancora arrivato. Bisogna andar piano per non creare conflitti con i minatori britannici ma non crede che vi saranno ostacoli gravi.

Il ministro Guidotti dice di aver saputo che il trattamento economico offerto ai lavoratori italiani non è molto attraente e ciò, a suo giudizio, potrebbe ostacolare il normale andamento del flusso migratorio. Egli suggerisce che siano istituiti premi d'ingaggio.

Il ministro del lavoro Bevan dichiara che quando aveva detto che gli italiani non debbono essere troppo esigenti a questo appunto intendeva riferirsi. Nei vecchi tempi l'ambizione di ogni operaio era quella di passare da una capanna di legno alla Casa Bianca. Oggi si vorrebbe avere subito la Casa Bianca. Il lavoratore italiano aveva lo stesso trattamento di quello britannico. Che cosa direbbero gli inglesi se gli italiani avessero un premio d'ingaggio e loro no?

Il ministro Guidotti dice di rendersi perfettamente conto della situazione, ma di volere fare due suggerimenti che, se presi in considerazione, potrebbero facilitare la realizzazione dei progetti di emigrazione. In primo luogo gli italiani vengono utilizzati soltanto al grado più basso tra le categorie di minatori. In secondo luogo, aumentando in numero, si potrebbe forse assicurare loro il tipo di vitto al quale sono abituati.

Il ministro del lavoro Bevan dichiara che la seconda proposta è ragionevole e che verrebbe esaminata. Quanto al primo punto la manodopera impiegata nelle miniere non è specializzata e quindi viene pagata nella medesima misura della manodopera non specializzata britannica. Il popolo britannico si risentirebbe se venissero offerte agli italiani condizioni economiche migliori di quelle dei lavoratori britannici. D'altra parte occorre tener presente che gli italiani in Gran Bretagna godono dei benefici del National Health Scheme. Essi in Italia non avrebbero una assistenza medica gratuita.

Fra lavoratori italiani e lavoratori inglesi non si era dato luogo a rivalità salvo quelle di ispirazione comunista. Nemmeno in avvenire avrebbe dovuto esserci motivo di attrito.

Il ministro delle colonie Griffiths domanda se circa il vitto degli operai non sarebbe possibile provvedervi attraverso gli spacci aziendali che i minatori frequentano al pari di tutti gli altri operai.

Il ministro del lavoro Bevan risponde affermativamente. Egli non vede difficoltà a che gli italiani abbiano il tipo di mangiare al quale sono abituati. Il ministro Guidotti dice che il livello delle conversazioni non consente di entra

re in dettagli tecnici. La risposta del ministro del lavoro è pienamente soddisfacente.

Il ministro Morrison chiede se vi è altro da aggiungere.

Il ministro Sforza risponde di no.

Il ministro Morrison ringrazia quindi il ministro del lavoro, il ministro delle colonie e Sir Myrrden Evans per la loro partecipazione alla riunione e fa presente che il loro intervento non è ulteriormente necessario poiché si passa adesso alla discussione dei problemi economici.

Il ministro del lavoro, il ministro delle colonie e Sir Myrrden Evans lasciano la riunione.

Il ministro Morrison invita gli italiani a trattare i problemi economici. Sir Roger Makins è pronto a fornire ogni delucidazione.

Il ministro Guidotti dichiara che i rapporti economici tra i due paesi procedono in modo soddisfacente. Il Comitato economico anglo-italiano si riunisce regolarmente e fa un buon lavoro. Vi è stato un costante e notevole aumento nel livello degli scambi commerciali. Possiamo quindi dichiararci soddisfatti sul generale andamento degli scambi. Vi è stata in passato qualche preoccupazione sulla misura alla quale era arrivato il saldo in sterline, ma esso sta adesso diminuendo.

Il ministro Guidotti parla quindi delle difficoltà che si incontrano nell'esecuzione da parte britannica di ordinazioni effettuate per il riarmo italiano. Nel 1949 De Havilland aveva concluso un contratto con la Fiat in base al quale quest'ultima avrebbe acquistato progetti britannici e questi progetti, insieme ad alcuni macchinari, sarebbero stati forniti entro un periodo di 2-3 anni. Analoghi accordi erano stati conclusi per il radar. Ma poco tempo fa De Havilland aveva informato la Fiat che si trovava nella impossibilità di esportare macchine utensili e materiali a causa delle direttive impartite dal Governo in relazione al programma di riarmo britannico. Ci si rende naturalmente pieno conto delle considerazioni generali che hanno ispirato tali direttive. Tuttavia l'atteggiamento del Governo italiano è in primo luogo che erano stati firmati regolari contratti e in secondo luogo che l'interruzione nelle consegne rappresenta un ostacolo molto serio al riarmo italiano, ciò che è contrario agli interessi non solo dell'Italia ma di tutti i paesi nord-atlantici.

Sir Roger Makins risponde che in linea generale egli conviene con quanto ha detto il ministro Guidotti sullo stato dei rapporti economici. Buoni progressi sono stati effettivamente compiuti. Ad un certo momento vi era stata qualche apprensione sul saldo in sterline ma negli ultimi due o tre mesi la situazione era migliorata.

Circa la fornitura di aerei e di macchinari la situazione è molto complessa. Occorre esaminare caso per caso. Per esempio per quanto si riferisce agli aerei, la maggior parte delle ordinazioni è in corso di esecuzione. Non vi è nessun ritardo nella fornitura di apparecchi Vampire da caccia diurna e da caccia notturna. La fornitura di Venoms non è urgente. È in corso di esecuzione la consegna di macchine Goblin. Il totale fabbisogno britannico di macchinari Chest non è stato ancora stabilito e quindi non possono fissarsi le date di consegna. Quanto alla fornitura di macchine utensili per motori Ghost, solo negli ultimi due giorni è venuto a conoscenza delle difficoltà accennate dal ministro Guidotti e il Ministero dei rifornimenti stava esaminando la questione con la De Havilland. Le preoccupazioni del Governo italiano saranno prese in seria considerazione, ma poiché la questione è ancora all'esame è impossibile dare subito una risposta. Lo stesso valga per il radar. L'operazione era stata predisposta in tre fasi, la prima non presenta difficoltà. Nulla ancora può invece dirsi circa la fase finale. Circa la possibilità di una maggiore cooperazione industriale, il Governo del Regno Unito era desideroso di piazzare ordinazioni nell'Europa occidentale a condizione però che prezzi e qualità fossero soddisfacenti. Una piccola missione, sotto gli auspici del Ministero dei rifornimenti, si trova adesso in Italia per effettuare ordinazioni di macchine utensili. Un'altra sarebbe andata a Milano entro il mese per considerare la possibilità di piazzare ordinazioni di veicoli militari. La missione non era incaricata degli acquisti, ma solo di studiare il mercato.

Il ministro Guidotti ringrazia Sir Roger Makins per la sua esposizione. Egli sottolinea che la fornitura all'Italia di macchine utensili è ancora più importante di quella dei motori finiti, poiché la prima interferisce con la possibilità di aumentare la nostra produzione. Egli chiede che questo problema sia preso in particolare considerazione. Noi teniamo anche ad una più stretta cooperazione industriale.

Sir Roger Makins dichiara di rendersi conto della diversa importanza che la fornitura di macchine utensili rappresenta di fronte alla fornitura di motori finiti. Tuttavia il problema della deficienza di macchine utensili è comune all'intera area nord-atlantica e preoccupa il Regno Unito non meno dell'Italia.

Il ministro Guidotti sottolinea che il materiale richiesto ha lo scopo di porre l'industria italiana in condizione di costruire, per suo conto, i mezzi necessari alla difesa.

Il ministro Guidotti chiede a questo punto di poter sollevare un argomento non incluso nell'agenda. Nel N.A.T.O. vi è una organizzazione che studia il controllo della marina mercantile in caso di guerra. Si era creato a questo scopo un Comitato esecutivo centrale, di cui fanno parte gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Norvegia e l'Olanda. Nonostante ripetute sollecitazioni, l'Italia non è stata ammessa a far parte del Comitato. Questo è motivo di seria preoccupazione per il Governo italiano. La posizione dell'Italia in primo luogo è analoga a quella del Regno Unito: essa è quasi un'isola ed ha quindi naturali interessi marittimi. In secondo luogo vi sono dei particolari problemi geografici connessi con la navigazione nel Mediterraneo in quanto l'Italia è il solo paese del N.A.T.O. interamente situato in quel mare. In terzo luogo l'Italia, per tenerci ad una valutazione dei programmi attualmente in corso la nostra posizione diverrà ancora più favorevole [sic]. Egli sottolinea che questa non è una questione di prestigio.

Il ministro Sforza concorda non trattarsi di questione di prestigio, ma di sostanza. Allo stato delle cose può accadere che la voce dell'Italia sia assente in questioni di massima importanza.

Il ministro Guidotti fa presente che il Governo italiano aveva proposto un altro piano, che prevedeva la suddivisione del Comitato in «unità» geografiche. L'Italia sarebbe stata rappresentata nell'«unità» mediterranea. Ma questo piano non era stato adottato e ciò aveva creato disappunto tenuto conto dei particolari interessi italiani nel Mediterraneo. Il Governo italiano aveva avuto la sensazione che la delegazione britannica era stata ostile al punto di vista italiano e comunque si era allineata con la maggioranza contraria alla nostra proposta. Si domanda se la questione non potrebbe essere riesaminata.

Sir Roger Makins dice che il Comitato di pianificazione aveva a lungo discusso la propria organizzazione e che era stato deciso che, entro la organizzazione generale, vi sarebbe stato un Comitato esecutivo di cinque membri. Poiché quindi il Comitato aveva carattere esecutivo esso doveva necessariamente essere limitato nel numero. Tutti gli undici membri dell'organizzazione, ad eccezione dell'Italia, avevano concordato sull'attuale sistemazione del Comitato. I cinque membri che fanno adesso parte del Comitato rappresentavano i paesi che hanno i maggiori interessi marittimi. Se il Comitato venisse allargato, altri chiederebbero di farvi parte. Ci si rende conto dell'insoddisfazione italiana, ma il punto di vista della maggioranza è stato accettato e questi quindi sono i termini della questione.

Il ministro Sforza dichiara che, poiché la questione non è stata posta all'ordine del giorno, egli non può attendersi che venga discussa nei dettagli. Abbiamo però voluto sollevare questo punto che potrà poi essere ripreso dall'ambasciata.

Il ministro Morrison ne prende nota. Chiede se da parte italiana si desidera di scutere la questione delle materie prime.

Sir Roger Makins domanda di sapere quale aspetto della questione siamo particolarmente interessati.

Il ministro Guidotti dice che l'Italia è anzitutto interessata ad ottenere la sua ammissione al Comitato esecutivo per le materie prime (Gruppo centrale di Washington). In secondo luogo esso desidererebbe una assicurazione che le necessità italiane di materie prime saranno prese in considerazione. Questo è di importanza vitale perché l'Italia è un paese molto povero in materie prime ed ogni scissione nei rifornimenti interferisce con la difesa e con le esigenze civili.

Sir Roger Makins dichiara che la composizione del Gruppo centrale era stata adesso definita. Il Gruppo sarebbe stato formato da dieci membri e l'Italia sarà invitata. Egli precisa che la trasmissione dell'invito era stata affidata al Governo degli Stati Uniti a nome delle altre potenze interessate. Il Gruppo verrà adesso costituito ed entrerà subito in funzione. Il lavoro verrà svolto attraverso Comitati per materie prime, sei dei quali sono stati già istituiti. Quindi la questione organizzativa è regolata.

Il ministro Sforza propone si menzioni nel comunicato che l'Italia è stata invitata a partecipare al Gruppo centrale.

Il ministro Morrison chiede a Sir Roger Makins che cosa ne pensi.

Sir Roger Makins sottolinea che gli inviti sono stati fatti in un quadro diverso da quello che forma oggetto delle presenti conversazioni.

Il ministro Morrison suggerisce che la questione sia esaminata dai funzionari. Egli dice che, poiché il ministro Sforza ha piacere che il comunicato menzioni l'invito rivolto all'Italia, egli spera che il suo desiderio possa essere esaudito.

Il ministro Guidotti suggerisce che venga inclusa nel comunicato una frase del seguente tenore: «Il ministro degli esteri italiano ha preso nota con soddisfazione del-l'invito rivolto all'Italia».

Sir Roger Makins, concludendo sull'argomento, assicura che da parte britannica verrà fatto il possibile perché il Comitato svolga un lavoro serio e concreto.

Il ministro Morrison accennando alla fornitura delle materie prime dichiara che il problema viene seguito anche dal Governo britannico con una certa preoccupazione. Esso aggiunge, però, in termini generici, che le necessità italiane verranno tenute presenti nel limite delle possibilità.

L'ambasciatore Mallet chiede se l'Italia non sarebbe in grado di aumentare le proprie forniture di zolfo.

Il ministro Morrison aggiunge che il Governo inglese apprezzerebbe la cosa. Accenna alle deficienze inglesi in tale settore.

Il ministro Sforza dice che prenderà nota.

298 4 Presenti per la parte inglese: il ministro degli esteri Morrison, il ministro di Stato Younger, il sottosegretario permanente Strang, l'ambasciatore Mallet, Sir Pierson Dixon, Mr. Barclay, Mr. Young, Mr. MacLehose e Mr. Spears. Presenti per la parte italiana: il presidente del Consiglio De Gasperi, il ministro degli esteri Sforza, l'ambasciatore Gallarati Scotti, il ministro Guidotti, il consigliere Theodoli e il dott. Mondello.

298 5 Presenti per la parte inglese: il ministro degli esteri Morrison, il ministro di Stato Younger, il ministro del lavoro Bevan, il ministro delle colonie Griffiths, Sir Makins, l'ambasciatore Mallet, Sir Evans, Mr. Young e Mr. MacLehose. Presenti per la parte italiana: il ministro degli esteri Sforza, l'ambasciatore Gallarati Scotti, il ministro Guidotti, il consigliere Theodoli, il dott. Mondello e il dott. Canali.

299

IL MINISTRO A LISBONA, DE PAOLIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 406/171. Lisbona, 13 marzo 1951 (perv. il 17).

Mi riferisco al rapporto della nostra rappresentanza preso l'O.E.C.E.1 trasmesso con telespresso n. 111 del 6 corrente.

Come ho fatto presente con telespresso del 9 febbraio u.s. n. 189/942, questo Governo è assolutamente ostile a qualsiasi progetto di unione europea e non ha né il desiderio, né l'intenzione di entrare a far parte del Consiglio d'Europa. Lo stesso Salazar lo ha più volte chiaramente affermato e non sembra probabile che egli sia per cambiare idea. Come ho già avuto occasione di riferire, tale deciso atteggiamento è una logica conseguenza delle idee direttrici e informatrici che sono alla base di tutta la costruzione teorica del sistema statale di Salazar. Il nazionalismo integrale e il principio d'autorità, inteso alla maniera di Maurras, grande ispiratore della concezione salazariana di Governo, escludono una collaborazione tra Stati sovrani, che non sia basata sul rapporto di scambi strettamente bilaterali, e sono incompatibili con le unioni e gli accordi multipli. Il concetto di federazione viene combattuto con ogni mezzo e considerato esiziale, come capace di determinare una sia pur minima cessione e rinuncia degli inalienabili diritti di sovranità. Vi è inoltre un altro motivo che rende irriducibile l'opposizione portoghese a simili progetti, in quanto si teme che una anche moderata e blanda forma federativa europea possa far sorgere nuovamente l'idea di quella Federazione iberica, che è stata a varie riprese avanzata, specialmente da baschi e da catalani, e a cui durante la guerra civile di Spagna si è pensato come possibile soluzione, e come eventuale sistemazione politica della penisola; e che, se la guerra fosse finita altrimenti che con la vittoria della fazione nazionalista e accentratrice, avrebbe trovato certamente maggiori adesioni anche in Portogallo tra gli elementi dissidenti. È vero che i portoghesi, eccetto nel periodo della dominazione spagnola, durata appena 60 anni e finita nel 1640, e nei pochi anni della confusa invasione napoleonica, hanno saputo sempre mantenere la loro indipendenza e il loro assetto statale, ma una federazione è ben diversa cosa di una sottomissione di un popolo ad un altro, e qualora il principio si facesse strada in Spagna, dove già varie regioni, prima fra tutte la Catalogna, hanno a varie riprese mostrato serie tendenze all'autonomia, potrebbe forse costituire una formula felice di definitivo ordinamento politico della penisola, nel quale il Portogallo verrebbe ad inserirsi a parità di diritti con le altre repubbliche iberiche. Per tutti questi motivi è da ritenere che l'irriducibile ostilità del Governo portoghese al Consiglio d'Europa non è da imputare soltanto al mancato invito a farne parte. È presumibile che il fatto di essere stati trascurati e il non aver ricevuto premure per entrarvi abbiano aumentato da parte dei portoghesi la natu

2 Non rinvenuto.

rale opposizione di principio, ma è più che probabile che un invito non sarebbe stato bene accetto. Dall'essere il Portogallo entrato a far parte del Patto atlantico non può desumersi un mutamento di direzione in senso democratico, in quanto si tratta di un raggruppamento di Stati determinato da ragioni di opportunità politica e avente finalità unicamente politiche, al quale la presenza di paesi non europei toglie ogni possibilità di costituire l'embrione di un più stretto raggruppamento federativo nel quale i vari membri fossero uniti da vincoli di contiguità geografica e di affinità di razza o di costumi. E ciò senza contare che il Portogallo, essendo sempre più attirato nell'orbita degli Stati Uniti, non poteva non aderire ad un sistema di cui gli Stati Uniti costituiscono il centro propulsore e regolatore. Ed appunto in tale preminente posizione del-l'America nel Patto atlantico i dirigenti portoghesi hanno visto la garanzia di conservare al Patto il suo carattere di transitoria alleanza politica tra Stati aventi comuni finalità transitorie per una difesa comune della propria integrità e della propria sicurezza.

Per concludere, nelle condizioni attuali, e permanendo in Portogallo il sistema politico vigente, si può affermare con sicurezza che l'opposizione al Consiglio d'Europa o a qualsiasi altro organismo avente finalità e scopi analoghi rimarrà intera e senza possibilità di compromessi.

299 1 Telespresso 667/441 del 6 febbraio a firma Cattani, non pubblicato.

300

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3097/83. Belgrado, 14 marzo 1951, ore 20,38 (perv. ore 23,40).

In questi giorni con Tito, Mates e con i miei colleghi stranieri ho sostenuto punto di vista su inconciliabilità tra tesi soprassedere soluzione questione T.L.T. e anormale situazione zona B che quella questione fa rivivere ogni giorno.

A colleghi occidentali ho ribadito mio punto di vista che esigere da Jugoslavia rispetto suoi obblighi quale potenza amministratrice Zona B in base trattato di pace non costituisce imposizione di condizioni politiche ad atteggiamento filo-jugoslavo ma richiesta minima che potenze occidentali possono esigere da potenza firmataria stesso trattato. Ministro del Brasile convinto mia tesi ha telegrafato in tal senso a suo Governo. Ambasciatore di Francia, venuto oggi visitarmi, mi ha promesso di telegrafare pure in tal senso a suo Governo augurandosi che anche Londra sia convinta stesse esigenze.

Allen assente da Belgrado.

301

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. SEGRETA 420 SEGR. POL. Roma, 14 marzo 1951.

Mi riferisco alla tua lettera n. 2469/1369 in data 1° corr.1 .

D'accordo col Ministero della difesa è stata redatta l'unita memoria che potrai consegnare al Dipartimento di Stato non appena te ne darò conferma, in quanto aspetto di conoscere se le conversazioni di Londra2 siano per apportare qualche variazione. Te la mando tuttavia sin da ora a guadagno di tempo. Naturalmente con l'occasione occorrerà insistere presso gli americani, come insistiamo a Londra d'accordo anche coi francesi, per essere «inseriti» nelle conversazioni relative alla questione3 .

ALLEGATO

MEMORANDUM SEGRETO

La questione della sistemazione difensiva del Mediterraneo e Medio Oriente è di inte resse fondamentale per l'Italia. Ciò perché anche a parte il vitale interesse italiano a salvaguardare il libero accesso alle materie prime originarie da quella zona (petrolio) e ai rifornimenti vari che le pervengono attraverso il Canale di Suez, tale difesa ha per scopo di preclu dere ad un eventuale aggressore gli accessi al Mediterraneo da nord e da est e quindi contribuire alla sicurezza dell'Italia.

Attualmente risulterebbe che la questione è stata esaminata fra inglesi ed americani, ma che nessun progetto definitivo sarebbe stato ancora concretato. Sarebbero state prese in considerazione le seguenti alternative:

a) se la Grecia, ed eventualmente la Jugoslavia debbano essere incluse in un sistema difensivo mediterraneo e medio orientale o se questo debba invece includere la Turchia, i paesi arabi, ed eventualmente l'Iran e il Pakistan;

b) se in conseguenza questo sistema difensivo debba essere orientato esclusivamente,

o principalmente, verso sud-est, per fronteggiare eventuali offese provenienti dall'Iran e dirette verso l'Iraq e la Siria; ovvero se debba essere orientato anche verso nord, e cioè verso il settore meridionale balcanico;

c) se i paesi arabi debbano o meno essere inclusi in forma «attiva» nel sistema, ovvero se sia preferibile lasciarli da parte. Ciò in quanto sul loro apporto militare non può farsi

2 Vedi D. 298.

3 Con il T. 2089/110 del 17 marzo Zoppi aggiunse: «Appunto può essere dato a Dipartimento di Stato come “verbalizzazione” sua esposizione orale nostro punto di vista in merito questione difesa Mediterraneo e Medio Oriente». Per la risposta vedi D. 320.

molto affidamento per lo stato di cronica disorganizzazione in cui si trovano, e per le rivalità esistenti fra essi, e fra di essi ed Israele e anche fra taluni di essi e alcune potenze europee.

2. -Secondo l'opinione italiana è indispensabile provvedere al più presto possibile a dare una soluzione concreta al problema di cui si tratta. Il modo di considerare questo problema non può però prescindere dalla situazione generale e dalle possibilità militari attuali del mondo occidentale. Queste possibilità non sono oggi quelle che potranno essere in futuro e pertanto la organizzazione della difesa del Mediterraneo o del Medio Oriente non potrebbe sin da ora essere concretata in un sistema rigido e definitivo. È evidente infatti che in uno stato di preparazione generale più avanzata, quando cioè una difesa dell'ovest potrà essere considerata anche con possibilità di reazioni controffensive coordinate, il settore greco-jugoslavo potrà essere più utilmente orientato verso nord ed essere considerato come l'estrema ala dello schieramento continentale europeo in modo da poter manovrare con questo sotto un unico comando. In tale stadio di preparazione avanzata, il settore turco-arabo potrà costituire, con funzioni difensive e controffensive un settore a sé stante fra il Mar Nero e il Golfo Persico principalmente orientato verso sud sud-est. - 3. -Resta a vedere quale sia la forma giuridica e la organizzazione militare da darsi a questo settore mediterraneo. Il Governo italiano ha più volte espresso avviso favorevole alla inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico. Ove tale soluzione non potesse prevalere si dovrebbe contemplare una soluzione che non è necessario assuma, come il Patto atlantico, la forma di un vero e proprio patto di alleanza. E ciò per evitare difficoltà costituzionali o ingiustificati allarmi e possibili reazioni da parte sovietica. Del resto, trattandosi di scacchieri che, se pure gravitanti concentricamente sul Mediterraneo, non sono tra essi direttamente interdipendenti, ciò che è necessario assicurare non è tanto un comune tempestivo intervento bellico, quanto un coordinamento nei servizi informativi, nei piani generali di difesa, di rifornimenti e di aiuti. Sembra quindi che questi fini possano essere assicurati almeno in un primo tempo anche mediante intese tecniche, più che politiche, in forma abbastanza loose, tale cioè da consentire la costituzione di uno Stato Maggiore coordinato e di compiere in comune gli studi relativi alle materie su indicate. Queste intese tecniche potrebbero comprendere i paesi del Patto atlantico (in particolare quelli del disciolto gruppo E.M.M.O.), la Grecia e la Turchia e rimanere aperti alla partecipazione dell'Egitto e di altri paesi arabi.

Dal punto di vista della organizzazione del settore mediterraneo — in relazione a quanto esposto nel punto 2 — gli organi militari italiani hanno già esposto in sede competente il loro punto di vista e cioè che si dovrebbe prevedere, alle dipendenze del Comando Supremo europeo affidato al gen. Eisenhower, la costituzione di un settore meridionale (ex E.M.M.O.) comprendente il Mediterraneo nel suo complesso. Questo settore — per il cui Comando siamo pronti ad offrire una località italiana (Napoli?) — avrebbe autorità sugli scacchieri italiano-greco-turco e medio orientale, attraverso singoli comandi regio nali, e sul complesso della difesa aero-navale del Mediterraneo. In caso di conflitto la Jugoslavia verrebbe compresa in questo settore costituendo in tal modo la saldatura fra l'Italia e la Grecia.

4. Appare però essenziale raggiungere una situazione di distensione nei paesi arabi e ogni sforzo dovrebbe essere compiuto a questo fine. Anche perché in caso di emergenza questi paesi verrebbero a costituire le retrovie se non addirittura il teatro di avvenimenti bellici ed è quindi indispensabile assicurare la loro cooperazione convinta e volenterosa. Inoltre il perdurare della attuale situazione di malcontento nei paesi del Levante musulmano crea condizioni favorevoli allo sviluppo della propaganda sovietica. Questa questione, se condo l'avviso del Governo italiano, il quale è riuscito ad instaurare coi paesi arabi amichevoli relazioni dopo chiusa la questione coloniale, merita la più attenta considerazione e il Governo italiano è pronto a prestare la sua collaborazione a questo fine.

301 1 Vedi D. 269.

302

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1924. Bad Godesberg, 15 marzo 1951.

Per motivi di delicatezza verso il Ministero ed allo scopo di evitare ogni possibile interpretazione personale mi ero finora astenuto dal riferire sul senso di attesa che vi è a Bonn circa una nostra decisione sulla ripresa di dirette relazioni diplomatiche col Governo federale, conseguente alla revisione dello Statuto di occupazione.

Non escludo, anche in base ad una notizia trasmessa da Radio Roma la sera del 13 corrente, che questa mia sia ormai superata dagli avvenimenti. Ritengo tuttavia doveroso unirti, in copia e traduzione, una lettera pervenutami oggi dal capo del Cerimoniale della Cancelleria federale1, nella quale il barone von Herwarth, nel darmi conferma della posizione del Governo federale sulla questione della ripresa dei rapporti diplomatici e della decisione ormai acquisita per il gradimento dei capi missione già in sede, non nasconde il desiderio del Governo di Bonn di riannodare sollecitamente dirette relazioni con l'Italia.

Poiché di ciò sono stato intrattenuto anche verbalmente, ho ritenuto di poter dire che una decisione del Governo in questa materia non era possibile fino al ritorno del presidente del Consiglio e del ministro degli affari esteri nella Capitale.

Oltre alla Santa Sede, l'India ed il Belgio hanno già annunciato di voler stabilire relazioni diplomatiche con Bonn. Altre missioni hanno già preso allo stesso scopo ufficiosi contatti con la Cancelleria federale. Ogni ulteriore ritardo da parte nostra rischierebbe di suscitare sfavorevoli reazioni negli ambienti politici meno direttamente informati e nell'opinione pubblica. Perfino negli ambienti alleati comincia ad esservi un senso di sorpresa per il nostro ritardo.

A parte la questione del titolare (i problemi personali dovrebbero rimanere in casi simili assai secondari) riterrei utile per le relazioni italo-tedesche che la decisione circa l'accreditamento di una nostra missione diplomatica presso il Governo federale non tardasse e mi venisse comunicata appena possibile per telegrafo2 .

302 1 Non pubblicato.

303

IL MINISTRO PLENIPOTENZIARIO VITETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 10/10. Parigi, 17 marzo 19511 .

Come era stato deciso nella seduta di giovedì [15], ieri ha avuto luogo una riunione del Comitato militare e oggi una riunione del Comitato istituzionale. Lo scopo di queste due riunioni era quello di procedere a un'opera di chiarimento delle varie questioni, che questi due Comitati avrebbero dovuto trattare alla ripresa dei lavori della Conferenza, ripresa fissata per il 29 marzo.

Nella seduta del Comitato militare il gen. de Larminat, che presiedeva, ha posto ai tedeschi una serie di quesiti, destinati apparentemente a precisare alcuni particolari del loro progetto di Unità tattica, in realtà a dimostrare che questo progetto mirava alla costituzione di vere e proprie Divisioni di nazionalità omogenea.

Con molta acutezza e con molta abilità, il gen. de Larminat ha proceduto a questa dimostrazione. Egli non ha affatto contestato che il criterio tedesco — Unità dotata di alta potenza di fuoco e di alta mobilità — sia un criterio giusto, ma ha contestato che gli effettivi (10-20 mila uomini) proposti dalla delegazione tedesca siano sufficienti al funzionamento di una Unità, così potentemente armata come quella disegnata nel progetto che la delegazione tedesca ha presentato. I suoi argomenti sono stati stringenti, né i tedeschi hanno saputo controbatterli. Alla fine il gen. de Larminat ha potuto con fondatezza dire: «Quello che ci proponete non è tecnicamente realizzabile. La vostra Unità andrebbe sviluppata. Sviluppandola se ne dovrebbe fare una vera e propria Divisione». Ha quindi aggiunto: «Per ragioni di opinione pubblica la delegazione francese non può ammettere la costituzione di Divisione tedesche».

Dal terreno militare si è così ritornati sul terreno politico, dove la discussione è bloccata dalla posizione pregiudiziale assunta dalla Francia. Che questa posizione sia modificabile o no, e sia stata assunta o no dalla delegazione francese per ragioni tattiche, non si può oggi dire. Quello che si può dire è che, alla ripresa dei lavori, il problema si porrà in questi termini: Divisione mista o Divisione omogenea? Integrazione europea — nei Comandi e nelle truppe — al livello della Divisione o al livello del Corpo di armata?

303 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

Da alcuni accenni fatti dal gen. de Larminat, sarebbe da ritenersi che i francesi pensino a una Divisione di maggiori proporzioni di quella originaria, una Divisione étoffée per usare le stesse parole del gen. de Larminat, che potrebbe anche costituirsi come un piccolo Corpo d'armata. Da questo potrebbe giungersi a un grosso gruppo di combattimento nazionale che fosse quasi una Divisione, e a una Divisione mista che fosse quasi un piccolo Corpo d'armata. Si tratterebbe di una soluzione non tanto militare, quanto politica, nella quale i francesi troverebbero soddisfazione con l'evitare le Divisioni nazionali, i tedeschi vedrebbero i gruppi di combattimento più forti, di quanto lo siano quelli attualmente previsti. Ma siamo pur sempre nel campo di soluzioni che non rispondono a sani criteri di organizzazione, sibbene ad accorgimenti dettati da considerazioni politiche, e non da considerazioni politiche positive che abbiano origine in un disegno di unità europea, sibbene in considerazione politiche negative che hanno origine nel disegno di contenere il riarmo tedesco. Questa impostazione sulla quale tanto Alphand quanto il gen. de Larminat hanno premuto la mano, non è certo la più adatta per promuovere la costituzione di Esercito comune, che, per essere supernazionale, deve trovare la sua corrispondenza politica in basi supernazionali, e non in sentimenti o diffidenze o preoccupazioni di uno Stato nei riguardi dell'altro.

Se questo vale per i problemi militari, vale anche naturalmente per quelli istituzionali.

Oggi, come dicevo, ha avuto luogo una seduta preliminare del Comitato istituzionale, dedicato a uno scambio generale di idee. Non si è proceduto a un esame del progetto francese, ma a chiarire i termini del problemi da affrontare.

Dalla discussione è emerso chiaramente che il progetto francese è mal congegnato. Esso ricalca il progetto carbone e acciaio, ma senza aderenza ai problemi che si pongono in materia di Esercito, e costituisce quindi una imitazione superficiale del progetto carbone e acciaio, che viene rimodellato negli organi istituzionali, mentre è evidente che andava rimodellato nel suo funzionamento e in relazione ai diversi scopi che esso ha. Il delegato belga è stato molto deciso nell'affermare che bisognava fondare il progetto sui problemi reali che presenta la costituzione di un Esercito europeo e non su quelli in qualche cosa simili, ma nella loro essenza diversi, che presenta la comunità carbone e acciaio. L'opinione contraria ha espresso il tedesco, il quale vede tutto il vantaggio che può trarne la Germania da una imitazione del piano Schuman, nel quale essa ha già acquisito una posizione di parità, che teme non possa avere nel-l'Esercito europeo, ed è di questo che soprattutto si preoccupa.

I maggiori difetti che sono apparsi nel progetto francese sono i seguenti:

a) mancanza di una definizione chiara delle funzioni e dei poteri dei vari organi;

b) mancanza di una impostazione organica dei rapporti tra le varie istituzioni e in particolare tra il commissario e il Consiglio dei ministri;

c) mancanza di una definizione circa la figura del commissario, che appare emerga come un capo amministrativo, ma non si sa da chi riceva le direttive politiche, e verso chi è responsabile;

d) confusione tra elementi costituzionali ed elementi amministrativi, i primi dei quali sono e devono essere convenzionabili, i secondi non sono convenzionabili;

e) mancanza di collegamento tra problemi militari e problemi economici.

Non è apparso che la delegazione francese abbia meditato su questi problemi, sui quali noi abbiamo richiamato la sua attenzione, e con più vigore ha richiamato la sua attenzione l'osservatore americano, molto ansioso di tenere fermo il principio che l'Esercito europeo deve essere organicamente inserito nel quadro atlantico, e che, ai fini di questo inserimento, i problemi dell'Esercito europeo non devono essere esaminati indipendentemente dai problemi dell'Esercito atlantico, e da quelli comuni del riarmo generale.

La delegazione francese ha accolto con molta comprensione le varie osservazioni formulate, e ha promesso di farne oggetto di studio. Il fatto è che il progetto francese è stato affrettatamente compilato, non è stato preceduto da alcuna discussione approfondita. È questa discussione che bisogna affrontare, prima di metterci alla redazione di testi, che devono riflettere soluzioni già adottate dei vari problemi. Allo stato attuale neanche la semplice definizione di questi problemi è stata oggetto di esame da parte della Conferenza.

302 2 Per la risposta vedi D. 310.

304

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3293/89. Belgrado, 18 marzo 1951, ore 15 (perv. ore 20).

Ieri mattina tre ambasciatori potenze occidentali sono stati convocati alla stessa ora ma ricevuti da tre diversi ministri aggiunti presso questo Ministero degli affari esteri. Ministri aggiunti pressoché con stesse parole hanno lamentato che Governi occidentali abbiano riconfermato Dichiarazione tripartita 20 marzo 19481, riconferma che secondo questo Governo sarebbe in contrasto con desiderio espresso da stessi Governi per intesa diretta tra l'Italia e Jugoslavia.

Mates avrebbe osservato ad ambasciatore americano che nuova dichiarazione sarebbe in contrasto con precedente opinione opportunità non sollevare questione Trieste. Allen ha risposto che essa si è resa necessaria in quanto questione è stata sollevata da Gromyko a Parigi.

Ambasciatore francese ha cercato a scopo esplorativo sondare atteggiamento jugoslavo qualora sviluppandosi favorevolmente Conferenza dei quattro ministri potenze occidentali dovessero finire per accedere a esecuzione trattato di pace circa

T.L.T. Vejvoda ha eluso domanda dicendo che tesi jugoslava è quella dell'accordo diretto con l'Italia sulla base dello statu quo.

Impressione ambasciatori è che Governo jugoslavo sia rimasto molto sorpreso e toccato da riconferma Dichiarazione tripartita.

Non ho ancora potuto vedere ambasciatore inglese.

Nostre ambasciate Washington Londra e Parigi potranno forse avere ulteriori precisazioni2 .

304 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469. Nelle conversazioni di Londra (vedi D. 298) era stata ribadita l'adesione britannica alla Dichiarazione tripartita, già riconfermata da parte francese a Santa Margherita (vedi D. 233), ed era stato auspicato un accordo diretto tra Italia e Jugoslavia. Il 14 marzo, inoltre, era arrivata la riconferma statunitense espressa dal portavoce del Dipartimento di Stato nel corso di una conferenza stampa (T. 3117/283 del 14 marzo da Washington, non pubblicato).

305

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3303/85. Mosca, 19 marzo 1951, ore 15,26 (perv. ore 17,30).

Oggi «Rassegna internazionale» settimanale Pravda tace della Conferenza Parigi sulla quale notizie scorsa settimana danno impressione che sovietici intendano arrivare negoziando lentamente e duramente ad un compromesso su ordine del giorno. Stessa rassegna contiene invece trafiletto «dietro le quinte delle conversazioni discussioni lunghe». Essa svolge tre concetti:

1) riunione Londra1 fu richiesta da De Gasperi dopo convegno Santa Margherita Ligure2 entro piano riavvicinamento franco-italiano nonché creazione asse Parigi-Roma-Bonn imposto da Washington.

Tale azione sarebbe fallita e Pravda lo desume dichiarazioni De Gasperi al Popolo secondo le quali a Londra non furono inaspriti i dissensi mentre a Santa Margherita Ligure accordo fu più facile;

2) unico punto di accordo fu Trieste nel senso di conservarla come base militare anglo-americana col consenso italiano e jugoslavo anche in vista progettato patto Mediterraneo;

3) conversazioni Londra e Santa Margherita Ligure confermano che il Governo De Gasperi infeudasi sempre più blocco atlantico ed assume atteggiamento revanchista.

Al riguardo Pravda ricorda articoli stampa destra italiana richiedenti denunzia trattato di pace nonché analoghe proposte parlamentari americane per concludere che l'Italia si dispone a dare sempre più carne da cannone agli Stati Uniti il che sarebbe confermato da crescenti spese militari.

2 Vedi D. 233.

304 2 Questo telegramma venne ritrasmesso a Londra, Parigi e Washington con il T. s.n.d. 2157/C. del 20 marzo. Per la risposta da Parigi vedi D. 314. Tarchiani rispose con il T. s.n.d. 3433/314 del 21 marzo: «Linguaggio dell'ambasciatore Stati Uniti viene in complesso condiviso. In sostanza opinione Dipartimento è che nei confronti Jugoslavia nulla di nuovo si è registrato in questi ultimi tempi circa preesistente e ben nota posizione Stati Uniti per quanto concerne Trieste. Non si vede quindi giustificazione passo jugoslavo». Gallarati Scotti comunicò (T. segreto 3463/198 del 22 marzo) che anche Brilej aveva espresso a Strang le lagnanze del proprio Governo soprattutto per la pubblicità data alla riconferma britannica della Dichiarazione tripartita.

305 1 Vedi D. 298.

306

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3347/90. Mosca, 20 marzo 1951, ore 18 (perv. ore 19,30).

Ieri sera, dopo altra discussione di un'ora e mezza, parte sovietica non si è mossa da sue posizioni. Malgrado cioè avvertimenti ripetutamente dati in precedenti sedute1 e in miei colloqui con Bogomolov questa insiste nel non considerare proposta trattabile quella che non sia inferiore ai 100 milioni. A nostra volta e con maggiore fondamento noi riteniamo che quella sovietica di 11,5 milioni non sia affatto una proposta trattabile ma un semplice irrigidimento sovietico sulla stima dei loro esperti. In sostanza sovietici vorrebbero in linea di principio che noi riconoscessimo nostri obblighi pagare riparazioni da due fonti ed in via pratica pretendere nostra offerta sotto i 100 sperando presumibilmente concludere su cifra produzione corrente non inferiore 50-60 milioni. Io non credo ci convenga deflettere da posizione presa perché scendendo unilateralmente sotto 100 milioni noi:

1) ammetteremmo principio sovietico obbligatorietà due fonti riparazione;

2) svaluteremmo opera nostri esperti;

3) pregiudicheremmo criterio valutazione stabilito accordo Mosca;

4) soprattutto in caso di successivo mancato accordo ci troveremmo in posizione debole per il futuro.

Proporrei quindi di fare in successiva seduta formale (manca) su schema discussioni da me preparato in collaborazione esperti in cui, ricapitolando discussioni e ricordando concessioni fatte nonché nostra dichiarata disposizione a concessioni ulteriori purché bilaterali, invocherei correttezza nostra posizione in base trattato di pace ed accordi Mosca ed inviterei sovietici a fare finalmente concessioni rigettando su di essi responsabilità eventuale sospensione trattative. Dopo di ciò richiederei visto esperti. È mia opinione e opinione esperti che dalla conseguente molto probabile rottura delle trattative non avremmo nulla da perdere né economicamente né come posizione giuridica politica morale2 .

306 1 Vedi D. 271. 2 Con T. 2297/37 del 24 marzo, ore 15, Sforza rispose: «Autorizzo V.E. adottare linea di condotta da lei suggerita».

307

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1417/831. Londra, 20 marzo 1951 (perv. il 23).

Ho inoltrato ieri per aereo i verbali nostri e del Foreign Office relativi alle conversazioni di Londra1 .

Come V.E. potrà rilevare, i verbali stessi si riferiscono alle discussioni del pomeriggio del 13 marzo e della mattina e pomeriggio del giorno 14, mentre nessun cenno è fatto agli argomenti trattati nelle conversazioni della mattina del 13, conversazioni alle quali hanno partecipato esclusivamente il presidente del Consiglio e l'E.V. da parte italiana ed Attlee e Morrison da parte britannica.

Data la portata dell'incontro, e tenuto conto del fatto che nelle conversazioni alle quali i verbali si riferiscono non sono stati trattati alcuni importanti problemi di carattere generale indicati nell'ordine del giorno, sarebbe assai utile per me di conoscere se gli argomenti stessi siano stati discussi nella riunione ristretta. Essi sono: Conferenza a Quattro, riarmo occidentale, riarmo tedesco ed esercito europeo, unità e solidarietà atlantica, difesa del Mediterraneo e del Medio Oriente.

Quello che particolarmente interesserebbe conoscere è fra l'altro ciò che è stato detto dall'una e dall'altra parte in materia di difesa e specialmente per i settori mediterraneo e del Medio Oriente. Ciò tanto più in quanto, come riferirà Tallarigo al suo ritorno costà, il futuro della Libia viene sempre più considerato da parte anglo-americana come un programma da esaminare sotto il punto di vista strategico e di difesa al quale finiranno quindi coll'essere subordinate le considerazioni di altro carattere.

Mi permetto di ricordare che già nel mese di dicembre scorso Bevin mi aveva accennato alla questione delle basi in Libia, manifestando l'intenzione di discuterne con l'E.V. a Bruxelles dove si sarebbero incontrati per la riunione del Consiglio atlantico (mio telegramma del 14 dicembre)2. Purtroppo la mancanza di tempo impedì che tale conversazione potesse avere luogo in quell'occasione. Dico purtroppo perché, mentre in fondo ciò che ci è stato riconosciuto da parte alleata sono i nostri interessi di carattere economico in Tripolitania, il discutere della questione delle basi implicava in un certo senso il riconoscimento che dovevamo essere sentiti anche per questioni esulanti dal settore economico.

Anche a questo effetto ritengo che sarebbe importante, per mia norma di linguaggio e per una più corretta valutazione degli sviluppi delle singole questioni, che io fossi a conoscenza di quanto ha formato oggetto delle conversazioni del 13 mattina e di ciò che è stato detto specialmente in materia di difesa del Mediterraneo3 .

2 Vedi D. 80.

3 Per la risposta vedi D. 330.

307 1 Vedi D. 298.

308

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 205/159. Parigi, 20 marzo 1951 (perv. il 23).

Riferimento: Telespressi min. 11/01898/C. del 5 febbraio1 e 11/03406 del 2 marzo2 .

Con riferimento agli ultimi paragrafi del telespresso ministeriale 11/01898 del 5 febbraio, s'informa che l'iniziativa di re Abdallah di nominare un custode giordanico dei Luoghi Santi non è certo piaciuta ai francesi i quali vorrebbero manifestare il loro scontento ma sono piuttosto indecisi circa il modo in cui procedere.

Il ragionamento dell'ufficio competente del Quai d'Orsay è il seguente: l'assenza dei consoli cattolici dalla cerimonia dell'investitura che ha avuto luogo il 15 gennaio è già stata una chiara manifestazione di protesta. Pertanto fare ora, a freddo e a parecchia distanza di tempo, una «riserva orale» e limitarsi ad essa non sembra tanto strettamente necessario ai fini di sottolineare la posizione dei suddetti paesi.

Certo, si dissiperebbe ogni minimo dubbio circa una qualsiasi acquiescenza ma, di fronte a questo limitato vantaggio, v'è un possibile inconveniente di maggiore portata: che il gesto riesca particolarmente sgradito alla Giordania al punto da precludere del tutto ogni possibilità di negoziato da parte delle potenze cattoliche com'è stato suggerito dal nostro ministro in Amman (v. pag. 3 del tel. 11/01898 del 5 febbraio u.s.).

Quanto sopra è stato anticipato, a titolo confidenziale, dal competente ufficio del Quai d'Orsay, il quale peraltro si riserva di far conoscere il suo avviso definitivo dopo che saranno giunte le risposte di tutte le rappresentanze francesi interrogate in merito, quelle ad Amman, Tel-Aviv, Gerusalemme e quelle presso O.N.U. e la Santa Sede.

Il Quai d'Orsay, infatti, si preoccupa, a proposito di eventuali transazioni con la Giordania, che queste possano non essere di gradimento innanzi tutto dell'O.N.U. e poi anche della Santa Sede che — a quanto qui affermano — sarebbe tuttora rigidamente intransigente per quanto si riferisce all'internazionalizzazione di Gerusalemme.

A questo proposito, si gradirebbe frattanto conoscere se il punto di vista vaticano permanga assolutamente immutato e, nello stesso tempo, quale sia l'avviso di Madrid. Per quanto concerne il Belgio, si prende atto di quanto comunicato a pag. 3 del tel. 11/03406 del 2 corrente: essere quel Governo del tutto indeciso circa l'opportunità o meno di formulare una esplicita protesta.

308 1 Vedi D. 266, nota 1. 2 Non pubblicato.

309

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE 3305/1855. Washington, 20 marzo 1951.

Sono lieto che ella approvi1 le conclusioni alle quali giungevo nel mio rapporto del 22 febbraio u.s.2 relativo alla revisione del trattato di pace perché, alla luce degli sviluppi verificatisi in queste ultime settimane, mi sembra che la valutazione della questione, almeno per quanto riguarda l'osservatorio di Washington non sia molto mutata.

Mi rendo però conto delle esigenze che, nell'interesse stesso di una sempre crescente e più effettiva partecipazione italiana alla difesa dell'Occidente, hanno dettato la sua lettera a Schuman del 5 febbraio3. Non dubiti quindi che l'obbiettivo della revisione del trattato di pace — o quanto meno di una possibile forma di «superamento» di esso — è sempre presente alla mia attenzione ed è oggetto di costante, anche se necessariamente generico e riservato, contatto col Dipartimento di Stato. Anzi sono stato io a meravigliarmi quando l'ho visto scartato o accantonato in discorsi in Parlamento che qui hanno fatto dire che il Governo italiano «non vuole la revisione».

Come ella avrà rilevato dai telegrammi che si sono incrociati o hanno fatto seguito alla sua lettera del 6 corrente (mi riferisco in particolare ai n. 260 del 94 e n. 300 del 19 corrente5) le prime reazioni del Dipartimento di Stato, per quanto soddisfacenti per lo spirito che anima quei dirigenti, sono tuttora piuttosto lontane dall'idea di una qualsiasi dichiarazione di superamento del trattato e comunque sono concentrate più che altro sul problema delle clausole militari, nei confronti delle quali vi è qui, per ovvi motivi, una maggiore sensibilità. Né ci conviene scoraggiare questa tendenza perché, pur avendo ben presente quanto importante sia la questione più generale della totale revisione del trattato, mi pare che il problema delle clausole militari potrebbe essere destinato ad attirare più di ogni altro l'attenzione della nostra opinione pubblica, allorché il Governo, completato l'attuale programma, fosse costretto a chiedere al popolo italiano uno sforzo addizionale per un riarmo che andasse al di là dei limiti imposti dal trattato.

Pur continuando quindi i contatti sul piano al quale il Dipartimento stesso li ha posti:

— studio delle clausole militari;

— rinvio di un concreto esame di soluzione ad un momento in cui le conversazioni quadripartite di Parigi siano giunte ad una qualsiasi conclusione;

2 Vedi D. 254. 3 Vedi D. 220. 4 Vedi D. 288. 5 Non pubblicato.

mi riprometto di sondare, al momento opportuno, il terreno sulle possibilità pratiche di dare seguito alle idee che ella ha esposto a Schuman. E a tale scopo mi sarebbe molto utile conoscere se questi, dopo Santa Margherita6, ha avuto occasione di tornare sull'argomento, nonché quanto a tale proposito sia stato detto agli e dagli inglesi durante l'incontro di Londra7. Per il momento, dati gli umori del Dipartimento di Stato (ho riferito a parte sul discreto ma chiaro intervento del Dipartimento stesso presso l'Ordine dei Figli d'Italia per un'attenuazione dell'attuale campagna parlamentare americana per la revisione del trattato) mi astengo dal fare uso del testo da lei cortesemente inviatomi.

Credo comunque sia soltanto una questione di tempi. Quando l'atmosfera sarà un po' più chiara, ci converrà senz'altro insistere contemporaneamente per una soluzione della questione col «superamento», o colla revisione, o coll'annullamento del trattato, spingendo per quella tra queste ipotesi che sembrerà più praticamente attuabile. Tale soluzione deve essere il logico riconoscimento di diritto di una situazione di fatto che, almeno qui, non si mette in dubbio e cioè che l'Italia con la sua adesione al Patto atlantico, ha riacquistato una condizione di piena partita politica con gli altri Alleati. Il trattato, conseguenza degli errori di un nostro momento storico, derivati in parte dalle esosità alleate del 1918-21, è un indubbio peso materiale e morale; è pertanto logico che noi se ne denunci, in ogni occasione favorevole, l'inutile e oggi dannosa bardatura.

Ma vorrei anche evitare di fare apparire, con frequenti auto-definizioni di «inferiorità», incerta o menomata la posizione fermamente conquistata con l'ingresso nel-l'Alleanza atlantica; né mi sembrerebbe utile accennare ad un isolamento che in effetti è cessato dal momento in cui la nostra politica estera si è decisamente orientata verso il mondo occidentale e ne ha un appoggio che, anche se lento, è concreto e sempre crescente8 .

309 1 Vedi D. 280.

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO

T. 2183/22. Roma, 21 marzo 1951, ore 16.

Ella può comunicare a codesto Governo nostra decisione accreditare codesta missione presso Governo stesso e che siamo d'accordo per ripresa relazioni diplomatiche normali a livello ambasciata1 .

Per suo orientamento la informo che è in corso provvedimento relativo cessazione formale stato guerra.

7 Vedi D. 298.

8 Il documento reca la seguente annotazione di Sforza: «Approvo in genere, si tratta di seguire gli eventi, non perdere occasioni, non dare importanza a frasi improvvisate in senso contrario».

309 6 Vedi D. 233.

310 1 Risponde al D. 302.

311

L'AMBASCIATORE AD OTTAWA, DI STEFANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. URGENTE 3445/25-26. Ottawa, 21 marzo 1951, ore 19,07 (perv. ore 7 del 22). Suo telespresso 339 del 5 febbraio scorso1 .

In relazione suindicate istruzioni di V.E. questa ambasciata si è opportunamente adoperata per assegnazione all'Italia materiale canadese N.A.T.O.

Dopo aver ottenuto ripetuti buoni affidamenti vengo ora informato che decisione «Standing Group» assegnarci armamento una Divisione è stata approvata stamane stesso da questo Governo. Ministro difesa ne darà probabilmente stasera annunzio alla Camera mentre Willgress ne informerà Consiglio supplenti Londra. Viene adesso telegrafato ad ambasciatore Desy darne comunicazione nostro Governo chiedendo nostra accettazione ufficiale.

Riassumo informazioni datemi da nota alta fonte militare: materiale assegnatoci includerebbe completo armamento divisionale compreso artiglierie e munizioni nonché cosiddetti ancillary depots (pezzi ricambio ecc.) ma non (dico non) parco automobilistico di cui questo Esercito non può privarsi.

Materiale può essere spedito in Italia non appena predisposto trasporto marittimo in base agli accordi da prendersi da questo addetto militare con Stato Maggiore canadese.

Informo addetto militare Washington2 .

312

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, GUIDOTTI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. RISERVATO 20/4416/C. Roma, 21 marzo 1951.

Con telespresso circolare n. 20/09310 del 13 maggio 19491 questo Ministero riassumeva lo stadio allora raggiunto dalla questione relativa alla revisione del trattato di pace e sottolineava la convenienza che la questione stessa non venisse lasciata cadere, in guisa da essere, nei modi che verrebbero suggeriti dalle circostanze, ripresa e dibattuta. «Nell'attesa — concludeva il telespresso su menzionato — converrà

che, ogni qualvolta se ne presenti l'occasione sia in conversazioni private che ufficiose, sia attraverso articoli di stampa, essa venga tenuta viva anche a cura dell'E.V.».

2. Da allora si sono avute, particolarmente in epoca recente, manifestazioni a favore della revisione del trattato, specie in connessione con la questione del riarmo, nel quadro degli impegni che l'Italia ha assunto con la sua partecipazione al Patto atlantico. Si citano in proposito le più salienti di tali manifestazioni:

a) la American Federation of Labor nel suo Congresso dell'ottobre 1950 ha approvato un programma di azione nel campo della politica internazionale nel quale, tra l'altro, si chiede «al Governo degli Stati Uniti e alle democrazie alleate di ... rivedere completamente il trattato di pace — estremamente ingiusto — imposto all'Italia nei giorni in cui gli Alleati perseguivano una politica di appeaseament verso la Russia imperialista»;

b) il 9 gennaio il rappresentante al Congresso U.S.A. Morano ha rivolto un appello al segretario di Stato perché prenda l'iniziativa per una sollecita revisione del trattato di pace con l'Italia;

c) il 18 febbraio il senatore H. Cabot Lodge jr. ha rivolto analoga sollecitazione al segretario di Stato; ha rilevato che le condizioni che esistevano al tempo della conclusione del trattato più non sussistono ed ha chiesto la urgente denunzia del trattato medesimo;

d) nel marzo corr. il senatore Watkins, congiuntamente ai senatori Bridges, Wherry, Dworshak, Kem e Malone, ha presentato una mozione per l'abrogazione del trattato. In tale occasione Watkins ha ricordato al Senato che quando il trattato venne presentato a quell'alto consesso, per la ratifica, gli stessi proponenti riconobbero che non era un «buon trattato» ma che la sua pronta ratifica avrebbe aperto la porta alla sollecita ammissione dell'Italia alle Nazioni Unite. Watkins ha poi dichiarato che il trattato di pace impedisce la effettiva partecipazione italiana al programma per la difesa contro l'aggressione. La mozione dice: «Considerato che il trattato di pace concluso tra l'Italia, gli Stati Uniti ed i vari altri paesi priva l'Italia del diritto di autodifesa; considerato altresì che il trattato impedisce all'Italia di adempiere agli obblighi stabiliti dal Patto atlantico e di contribuire al massimo delle sue capacità alla difesa dell'Europa occidentale; considerato che certe concessioni territoriali richieste all'Italia in base al trattato violano la Carta atlantica, il Congresso degli Stati Uniti dichiara che l'Italia è libera da tutti gli obblighi contratti verso gli Stati Uniti in base al trattato del 10 febbraio 1947 e considera che detto trattato non vincola più né il Governo né i cittadini degli Stati Uniti. Si chiede contemporaneamente al presidente di invitare gli altri firmatari del trattato a prendere le misure necessarie per sciogliere l'Italia dagli obblighi in base ad esso contratti ed invitarli inoltre ad unirsi agli Stati Uniti allo scopo di negoziare un nuovo trattato di pace con l'Italia»;

e) sempre nel marzo corr. il representative H. Poulson ha presentato analoga mozione ricordando alla Camera dei rappresentanti come il trattato di pace ci abbia imposto severi sacrifici economici e territoriali.

3. Si abbia inoltre presente che in connessione col piano francese per la costituzione di un Esercito europeo è previsto che nello stadio finale di applicazione di tale piano la Germania dovrebbe avere una forza terrestre di 300 mila uomini laddove il trattato di pace con l'Italia limita a 185 mila uomini gli effettivi delle forze terrestri italiane.

Infine risulta che non si prevede l'imposizione al Giappone di clausole limitative degli effettivi del suo futuro Esercito. Il signor Foster Dulles, consigliere speciale del segretario di Stato, cui è stato affidato il compito di prendere contatto con i paesi del Pacifico in vista della preparazione del trattato di pace con il Giappone, ha infatti dichiarato: «Il modo più sicuro per indurre al riarmo è quello di proibirlo. Restrizioni di questo genere non possono essere imposte se non per mezzo della guerra e sono anche non eque perché non rientrano in un generale programma di disarmo. Esse fanno pensare che si voglia sfidare la dignità e l'importanza di un paese. Danno ai dirigenti nazionalistici e militaristici l'occasione di incitare il popolo a provare che esso è libero ed eguale e quindi a spezzare ogni limitazione considerata ingiusta. Fu così che Hitler giunse al potere in Germania».

La questione — sempre per quanto si riferisce alle clausole militari del trattato — ha assunto un aspetto acuto anche in relazione al fatto, ormai provato, che i paesi cominformisti dell'Est europeo, cui erano state imposte analoghe limitazioni (Bulgaria, Romania, Ungheria) non vi si attengono, il che viene a creare nelle immediate vicinanze della nostra frontiera e in una zona notoriamente delicata, una situazione di «pericolosità» della quale il Governo italiano non può, a lungo andare, non tenere conto.

4. Il Governo italiano non ha fino ad ora sollevato ufficialmente tale questione in sede internazionale; tuttavia esso non è rimasto inerte — né lo avrebbe potuto — di fronte alla situazione di fatto su accennata, e alle sempre più chiare manifestazioni estere — specie americane — in favore di una revisione del trattato. In due recenti occasioni esso ha pertanto sottolineato che tale questione si porrà inevitabilmente in un prossimo futuro. Una prima occasione è stata offerta dai negoziati in corso a Roma per concretare gli aiuti americani ai nostri programmi di riarmo nel quadro del Patto atlantico. Alla parte americana è stato fatto amichevolmente osservare che difficilmente il Governo italiano potrebbe impegnare il paese e il Parlamento a ingenti sacrifici finanziari per il riarmo, oltre i 250 miliardi di lire testé stanziati, ove, raggiungendosi con ulteriori armamenti i limiti del trattato, non si provvedesse in modo adeguato, sia ad evitare reazioni da parte di taluni dei firmatari di detto trattato, sia a dare all'opinione pubblica italiana la soddisfazione morale che essa attende e reclama.

Più recentemente, in occasione delle dichiarazioni fatte da parte nostra circa la situazione balcanica (connesse con analoghe dichiarazioni fatte da Londra, Washington e Parigi) in vista di una eventuale aggressione alla Jugoslavia, è stato diramato a mezzo dell'Ansa un comunicato del seguente tenore:

[riproduzione del D. 283]. Tale comunicato è stato portato ufficialmente a conoscenza dei Governi americano, inglese, francese e jugoslavo2 .

5. Quanto precede per ciò che si riferisce alle clausole militari. Per quanto concerne le clausole di carattere economico, cui più particolarmente si riferiva il telespresso citato in riferimento, giova aver presente che se taluni Stati hanno rinunciato alle cosidette «riparazioni di guerra» essi hanno tuttavia incontrato maggiori e sinora non sormontate difficoltà, a non insistere per il pagamento da parte nostra delle

indennità spettanti ai loro cittadini per i danni da essi subiti in Italia (art. 78 del trattato di pace) alle quali quasi tutti i paesi hanno legato le questioni derivanti dall'art. 79. Si allega un prospetto degli oneri economici derivanti dal trattato di pace1. Tale valutazione reca la data del 1949; tuttavia la maggior parte delle situazioni ivi descritte è tuttora da regolare.

L'E.V./S.V. potrà valersi di tutte le considerazioni sopra descritte per sottolineare, ogni qualvolta se ne presenti l'occasione, il peso che il trattato di pace tuttora esercita sull'economia italiana, sulla nostra preparazione militare e sul morale del paese.

311 1 Non rinvenuto. 2 Con T. segreto personale 2251/8 del 23 marzo Sforza informava di aver comunicato all'ambasciatore Desy l'accettazione da parte italiana della cessione canadese. 312 1 Non pubblicato.

312 2 Vedi D. 284.

313

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO URGENTE 05.

Amman, 21 marzo 1951 (perv. il 24). Riferimento: Mio n. 170/31 del 17 gennaio c.a.1.

È venuto a vedermi questo ministro di Francia, il quale — in via strettamente confidenziale — mi ha letto, per sommi capi, un telegramma ricevuto dal Quai d'Orsay.

In esso si diceva che il nostro ambasciatore a Parigi aveva fatto un passo per sondare il Governo francese2 sull'opportunità di una riserva comune da parte delle nazioni cattoliche per la nomina del custode dei Luoghi Santi; che si sarebbe potuto giustificare l'assenza dei consoli alla cerimonia dell'investitura del sopradetto custode facendo rilevare la necessità per dette nazioni di essere in linea con le decisioni dell'O.N.U.; ed infine negoziare un accordo per ottenere delle garanzie sui Luoghi Santi dal Governo giordanico in cambio del riconoscimento dell'annessione della Palestina.

Da quello che mi ha detto Dumarçay ho l'impressione che si trattava, più o meno, di quanto avevo proposto a V.E. nel mio su riferito telespresso.

Il mio collega ha aggiunto che il Quai d'Orsay gli chiedeva il suo parere a riguardo, e — a mia domanda — ha riposto che egli avrebbe telegrafato in senso affermativo, trovando tale nostra proposta ragionevole e basata su di un fondo di realtà.

A sua volta Dumarçay mi ha chiesto se nel riconoscimento dell'annessione della Palestina, doveva includersi la zona di Gerusalemme, oppure eccettuarla come hanno fatto gli inglesi.

Io gli ho risposto che ignoravo il pensiero del mio Ministero al riguardo, ma che

—- in via del tutto personale — mi sembrava difficile ottenere delle garanzie da Abdallah senza comprendere in tale riconoscimento anche Gerusalemme. Si potevano però —- ho aggiunto — fare delle ampie riserve a nome dei diritti della Santa Sede, e dare

all'accordo anzidetto, un carattere di provvisorietà, e così si cercherebbe di salvaguardare per il futuro — in certo quel modo — la definitiva soluzione di Gerusalemme.

Come è noto i francesi si preoccupano e si agitano tutte le volte che qualche potenza tocca i Luoghi Santi, quasi che tale questione fosse loro esclusivo monopolio.

Quindi, per non farci prendere la mano in tale nostra iniziativa, sarebbe forse utile — sempre che V.E. decida di darvi seguito — o che io riceva istruzioni per via telegrafica di modo che prendiamo noi il passo sulla démarche da fare ai giordanici, oppure che Parigi dica al suo ministro di agire di concerto con me, onde mettere in luce presso i giordanici che il progetto è di marca italiana.

E, a proposito di tale accordo sarebbe anche il caso di decidere se limitarlo ad una semplice garanzia per i Luoghi Santi, oppure includervi anche la neutralizzazione della zona di Gerusalemme nonché una certa parvenza di amministrazione internazionale, più o meno come da me tratteggiato nello schema inviato sub n. 687/289 del 27 aprile 1950 a V.E.3 .

Tra le due formule mi sembra preferibile cercare di negoziare la più ampia, specie se V.E. entri nell'ordine d'idee di dare come «moneta di scambio» il totale riconoscimento della Palestina, cioè compreso Gerusalemme, ma, beninteso, con le opportune riserve per la Santa Sede e forse per l'O.N.U., e limitare nel tempo l'accordo, come accennato avanti4 .

313 1 Non rinvenuto ma vedi D. 188. 2 Vedi D. 308.

314

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 3469/202. Parigi, 22 marzo 1951, ore 20,48 (perv. ore 24).

Suo 2157/C. 1

Da informazione Quai D'Orsay, comunicazione jugoslava ad ambasciatore Francia esprimeva più che altro preoccupazione per forma usata da portavoce France in una risposta interrogazione corrispondente Tanjug. Egli infatti disse che Dichiarazione tripartita restava valida per Governo francese, senza commenti. Comunque ritiensi che passo jugoslavo sia stato provocato da inserimento questione Trieste in comunicato Londra. Qui in fondo sarebbesi ritenuto più producente far come Santa Margherita2, inserendo riconferma accordo tripartito in Conferenza e pubbliche dichiarazioni ma fuori comunicato. In sostanza pensasi che Dichiarazione tripartita è meglio per noi custodirla che sventolarla.

4 Vedi D. 368.

2 Vedi D. 233.

Comunque viene confidenzialmente (dico confidenzialmente) aggiunto che ad ambasciatore Francia in questa occasione è stato ripetuto da jugoslavi che massimo sacrificio è statu quo e che non è per essi possibile considerare possibilità abbandono Zona B. Hanno particolarmente insistito su ripercussioni che in Slovenia continuerebbe ad avere l'agitare così questione Trieste. In sostanza Quai D'Orsay considera passo jugoslavo come desiderio accantonare problema. Desiderio che evidentemente oggi trova i Tre pienamente consenzienti. Sulle possibilità positive di contatti diretti italo-jugoslavi si è qui naturalmente sempre favorevoli ma realisticamente scettici.

313 3 Non pubblicato.

314 1 Vedi D. 304, nota 2.

315

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 3489/41. Bad Godesberg, 22 marzo 1951, ore 22,20 (perv. ore 7 del 23). Suo 221.

Ho informato stamane sottosegretario Hallstein decisioni Governo italiano accreditare missione presso il Governo federale livello ambasciata.

Hallstein che aveva già accolto comunicazione con vivo compiacimento pregatomi successivamente, a nome di Adenauer, far giungere V.E. espressioni suo profondo apprezzamento e confermatomi accordo Governo federale su rango ambasciata rispettive rappresentanze diplomatiche.

Per quanto concerne provvedimento cessazione formale stato di guerra, del quale ho creduto fare verbalmente cenno ad Hallstein, permettomi richiamare considerazioni svolte mia lettera n. 4617 del 14 dicembre 19502 a segretario generale confermatemi da impressioni ricevute mio odierno colloquio.

315 1 Vedi D. 310. 2 Non rinvenuto.

316

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 720/251. Mosca, 22 marzo 1951 (perv. il 1° aprile).

Riferendomi al mio telegramma n. 851 unisco la traduzione italiana del trafiletto di V. Koronov sulla rassegna internazionale di Pravda del 19 c.m.2 .

Unisco pure, per identità di argomento e di polemica, traduzione di un analogo trafiletto comparso il 20 c.m. nella Rassegna internazionale di Stella Rossa2 .

È da segnalare come, in questi ed altri articoli, la stampa sovietica abbia sottolineato l'intenzione, manifestata da alcuni giornali italiani nonché da alcuni uomini politici americani, di denunciare il trattato di pace dell'Italia.

Dello stesso argomento si occupa pure la rassegna di Tempi Nuovi, nel numero del 21 marzo testé uscito, sotto il titolo «Nuova macchinazione dei guerrafondai americani».

Vi si ricordano le dichiarazioni del senatore Watkins, (6 marzo) invitanti a denunciare il trattato perché «priva l'Italia del suo diritto all'autodifesa» e «le impedisce di adempiere alle obbligazioni del Patto atlantico».

Così commenta Tempi Nuovi:

«Nel campo della violazione delle obbligazioni internazionali gli imperialisti americani si dispongono palesemente a battere i records stabiliti a suo tempo da Hitler. Essi hanno già convertito in pezzi di carta molti importanti accordi internazionali, sotto i quali stanno la firma ed il timbro degli Stati Uniti. Ora essi attentano al trattato firmato e ratificato, oltreché dagli U.S.A., da venti Stati. Bloccando la preparazione dei trattati di pace con la Germania e il Giappone, essi si sforzano di demolire le fondamenta di regolamento pacifico, poste dopo la fine della guerra.

Ma i signori senatori evidentemente sopravalutano le loro forze e possibilità. I popoli di Europa che hanno sofferto per la aggressione del fascismo italiano, interessati allo sviluppo democratico dell'Italia e ad assicurare la pace in Europa, daranno degna risposta alle nuove macchinazioni dei guerrafondai».

I sovietici, come è naturale, si dimostrano particolarmente sensibili alla questione: per loro la formale denuncia del trattato costituirebbe un aperto gesto di sfida, espressione di volontà di rivincita. Se fosse compiuto, naturalmente influirebbe in modo negativo sulle relazioni, non molto più che corrette, esistenti attualmente fra i due Governi.

Naturalmente, se fossero in gioco essenziali interessi nazionali non sarebbe il caso di lasciarsi impressionare dagli eventuali malumori e dalle male parole sovietiche: le reazioni dell'U.R.S.S. dovrebbe a questo limitarsi, perché sanzioni effettive contro di noi non potrebbero essere prese senza compromettere la situazione politica generale.

2 Non si pubblica.

Ma questi essenziali interessi nazionali, che impogono la denuncia del trattato, almeno nei riguardi italo-sovietici, qui da Mosca non si vedono.

Noi abbiamo già dato esecuzione alle clausole essenziali e più dure del trattato: abbiamo perso le colonie, i territori istriani, la flotta, le zone di confine italo-francesi, il Dodecaneso, etc. Anche le riparazioni, con la perdita dei beni in Bulgaria, Romania, Ungheria, sono in gran parte pagate. Il solo punto che ci interessa è quello di riavere le mani libere per il riarmo: ma al riguardo abbiamo due eccellenti ragioni per ritenerci liberi: la non ammissione all'O.N.U. ed il riarmo dei paesi satelliti. Il riarmo giustificato dalle altrui violazioni al trattato ha un carattere difensivo, quello clamorosamente dichiarato con la denuncia del trattato assumerebbe un colore diverso. Quindi, se non vi sono necessità essenziali derivanti dalla esecuzione di altre clausole

— specialmente economiche — del trattato, ho l'impressione che, nei riguardi italo-sovietici, sarebbe più prudente e più utile non denunciare il trattato, ma considerarci eventualmente liberi da quelle obbligazioni militari, rispetto alle quali possiamo fondatamente invocare la violazione altrui.

P.S. 24 marzo 1951. Dopo la firma del suesteso telespresso, e nell'imminenza della chiusura del corriere, i quotidiani sovietici (Pravda e Izvestija) pubblicano sotto eguale titolo «I militaristi italiani si acquistano meriti» notizia della recente nota del Governo italiano alle tre potenze occidentali ed alla Jugoslavia3, sull'argomento (vedi mio telegramma n. 95 in data di oggi)4 .

Ignoro le ragioni concrete che hanno reso opportuno e necessario il passo italiano, e perciò le mie impressioni di qui rischiano di avere un carattere piuttosto astratto. Ad ogni modo, secondo gli elementi a mia disposizione, mi pare che:

a) come ho già scritto nel telespresso suesteso, non solo il riarmo dei satelliti, ma anche e soprattutto la mancata ammissione all'O.N.U. ci danno eccellenti ragioni per sviluppare il nostro riarmo secondo le esigenze della nostra difesa: nulla ci impedirebbe quindi di procedere innanzi, e di rispondere ad eventuali attacchi, che daremo conto del nostro armamento quando saremo ammessi all'O.N.U. e quando i paesi satelliti avranno dato conto del loro.

b) Nel caso invece in cui un atto formale di denuncia (sia pure limitata alle sole clausole militari) si ritenesse politicamente più conforme alla posizione e alla dignità dell'Italia, non converrebbe in tal caso esaminare la convenienza di una aperta denuncia unilaterale, diretta a tutte le potenze firmatarie ed interessate.

Prospetto il pericolo che una richiesta di liberazione dagli obblighi del trattato, rivolta ad alcune soltanto delle potenze firmatarie, da un punto di vista giuridico-formale sarebbe priva di reale valore anche se accolta (mancando il consenso dell'U.R.S.S.), mentre dal punto di vista politico-pratico rischierebbe di accentuare inutilmente l'impressione di dipendenza verso le potenze occidentali, quasi convertendo in un concessione quello che dovrebbe essere riconoscimento di un nostro maturato diritto.

4 Del 4 marzo, con il quale Brosio aveva riferito la notizia, apparsa sulla stampa sovietica, della «presentazione nota italiana ai Governi Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Jugoslavia relativa revisione ed annullamento clausole militari trattato di pace, in conseguenza riarmo paesi satelliti».

Ad ogni modo, prego volermi cortesemente informare, per mia norma di linguaggio, sia della nota inviata, sia delle considerazioni e fatti che determinano il nostro atteggiamento5 .

316 1 Vedi D. 305.

316 3 Vedi D. 283.

317

IL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 2126. Bad Godesberg, 23 marzo 1951.

Non sapendo se il provvedimento sulla fine dello stato di guerra, al quale accennava il telegramma di S.E. il ministro n. 22 del 21 marzo1, potesse essere di imminente pubblicazione, ho creduto nella mia risposta telegrafica2 di richiamarmi subito alle considerazioni già esposteti nella mia lettera n. 4617 del 14 dicembre u.s.3 .

Avevo infatti la chiara sensazione che l'esistenza di un formale stato di guerra fra l'Italia e la Germania fosse molto poco conosciuta dai tedeschi e ciò per effetto dell'ermetismo creato dalla censura in Germania a quell'epoca, specie per quanto riguardava l'Italia. La mia conversazione di ieri con Hallestein mi ha illuminato ancora maggiormente su questo punto. Proprio per il dubbio infatti che una eventuale dichiarazione nostra di cessazione di stato di guerra riuscisse qui troppo una sorpresa, avevo ritenuto nel mio colloquio di ieri di farne una breve menzione a Hallestein. L'espressione del suo viso ha confermato ciò che io pensavo: o egli ignorava del tutto il fatto o lo aveva del tutto dimenticato. Ad ogni modo egli mi ha aggiunto testualmente: «sarebbe opportuno fare intorno a ciò il meno chiasso possibile perché la gente non ne sa nulla».

Vedrai tu stesso se sia possibile fare qualcosa nel senso indicato da questo sottosegretario di Stato nel profondo suo desiderio di non vedere sorgere alcun nuovo elemento di perplessità in questa opinione pubblica, proprio al momento in cui siamo all'inizio di una nuova fase dei rapporti italo-tedeschi4 .

2 Vedi D. 315.

3 Non rinvenuto.

4 Per la risposta vedi D. 333.

316 5 Per la risposta vedi D. 321 con L. segr. pol. 511 del 3 aprile Zoppi comunicava inoltre: «Con riserva di spiegazioni più dettagliate le mando intanto — in relazione al suo telespresso 720/251 del 22 marzo — alcuni documenti da cui ella vedrà come siano andate e stiano le cose circa “revisione trattato” e dichiarazione circa Jugoslavia. Non vi è per ora idea né di denuncia, né di altro, ma semplicemente si è inteso porre il problema anche per considerazioni di ordine politico interno».

317 1 Vedi D. 310.

318

IL CAPO DELL'UFFICIO COORDINAMENTO DELLA SEGRETERIA GENERALE, MACCHI DI CELLERE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 26 marzo 1951.

D'Ajeta si è nuovamente incontrato1 l'altro giorno con il consigliere giapponese rimasto a Roma quale rappresentante ufficioso suo Governo presso la Santa Sede.

Quest'ultimo, che aveva ricevuto istruzioni dal suo Governo, ha informato, nel corso di una amichevole conversazione, d'Ajeta di quanto segue:

1) la nomina di d'Ajeta è stata apprezzata dal Governo giapponese il quale è a conoscenza della preparazione tecnica e politica del nostro nuovo rappresentante in Giappone e del prestigio che egli gode negli ambienti anglo-sassoni.

2) Il Governo giapponese ha da tempo iniziato contatti ufficiosi con le autorità di occupazione in vista del futuro trattato di pace. Esso ritiene: a) che tali contatti potranno trasformarsi al 1° luglio in conversazione vere e proprie di carattere ufficiale; b) che un accordo potrà essere firmato in settembre; c) che questo venga ratificato in dicembre.

3) Il Governo giapponese si augura che il nostro rappresentante, per le esperienze fatte dall'Italia in questi ultimi anni su analoghi problemi e per la conoscenza che egli ha del mondo anglosassone, sia in grado di dare utili consigli nel corso delle future trattative e — se del caso — farsi intermediario fra le parti.

4) Il Governo giapponese desidera quindi che l'arrivo a Tokio del nuovo rappresentante italiano abbia luogo non oltre il 1° luglio.

D'Ajeta ha ringraziato il consigliere giapponese delle cortesi comunicazioni e gli ha dichiarato che egli intende partire per gli Stati Uniti il 23 aprile, fermarsi qualche giorno a Washington, e raggiungere il Giappone il 15 giugno.

318 1 Vedi D. 264.

319

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1379/444. Il Cairo, 27 marzo 1951 (perv. il 29).

Mi par che l'appunto annesso al telespresso della Segretaria generale n. 444/C. del 17 marzo1 (punto di vista italiano in merito alla difesa del Medio Oriente) sia dettato dallo stesso buon senso.

Sono cioè perfettamente d'accordo nel ritenere necessario adattare le concezioni politico-strategiche intese ad assicurare la difesa mediorientale a quelle che sono le effettive possibilità militari attuali dell'Occidente e alle circostanze politiche che attualmente prevalgono in quelle regioni. Quando queste possibilità e circostanze muteranno, nulla vieta che mutino anche quelle. Bisognerà anzi fare in modo che mutino. Per ora piani e progetti più ambiziosi condurrebbero sia a una dispersione di forze, sia a provocazioni inutili: ambedue pericolose.

Il facile rilievo che sbarrare le sole porte del Mediterraneo non significa affatto assicurare la difesa mediorientale, non è rilievo probante, essendo chiaro che nessuno pensa che l'assicuri. È vero invece che in assenza dei mezzi atti a predisporre l'intera e integrale difesa della regione e in mancanza — temporanea o permanente che sia — delle circostanze politiche che la consentano, bisognerà limitarsi a procedere passo a passo e settore per settore. Cominciare insomma a costruire il tetto, prima di curare le rifiniture.

Che la Turchia resti orientata verso il Mediterraneo (e naturalmente la Grecia) e sia a questo fine inclusa nel Patto atlantico, mi par dunque perfettamente ragionevole. Tanto più che la Turchia non domanda che questo. E se non lo domandasse, quasi bisognerebbe sollecitarla. Assegnarle compiti esclusivamente o principalmente mediorientali significherebbe invece — perdurando la carenza di efficaci aiuti occidentali — porre in piedi castelli di cartapesta.

2. Vedo che nell'appunto non si parla esplicitamente di accordo mediterraneo quantunque sia questa l'alternativa che più comunemente si pone qualora un'estensione del Patto atlantico sia, per una ragione o per l'altra, preclusa. Ma che si contrasta implicitamente quella soluzione quando si afferma non essere necessario che codesta alternativa assuma la forma di un vero e proprio patto di alleanza. Sono anche su questo d'accordo. Per la semplice ragione che la conclusione di un'intesa mediterranea, che sia veramente un'intesa, si è manifestata sin qui impraticabile e non vedrei come possa diventarlo in un avvenire immediato. Perché essa possa davvero entrare nel campo delle possibilità pratiche, bisognerebbe cioè dar per risolti problemi che non lo sono affatto e cioè, per elencare soltanto i maggiori: la controversia anglo-egiziana per l'evacuazione della zona del Canale e l'unità della Valle del Nilo; il conflitto arabo-israeliano; il dissidio anglo-iraniano e anglo-iraqeno; la rivali

tà degli Stati arabi fra loro; l'inserzione della Spagna franchista ecc. ecc. Tutte cose, come ognun vede, ancor di là da venire. Nell'appunto, in luogo di intese formali, si parla invece, almeno per un primo tempo, di intese tecniche, cui dovrebbero partecipare i paesi atlantici, la Turchia, la Grecia, e, se possono e vogliono, l'Egitto e altri paesi arabi. Qualche cosa, credo, di più di quello «strapuntino da osservatore» che fu già tempo fa accordato alla Turchia e alla Grecia e di cui peraltro né Turchia né Grecia sono affatto contente. Né soddisfatte certo saranno neanche delle intese tecniche da noi proposte ed è questo dunque un punto che mi lascia perplesso in quanto mi par si insista su una fase che dovrei ritenere superata. Ciò che Turchia e Grecia vogliono è, come è arcinoto, la piena, effettiva, formale garanzia americana. Che codesta garanzia sia loro consentita attraverso il Patto atlantico o la adesione americana al patto anglo-franco-turco, o altrimenti è questione — sia per Ankara che per Atene — subordinata e quasi irrilevante.

3. Ho detto altra volta che cosa io pensi della concezione britannica intesa a provvedere alla difesa del Medio Oriente e del Mediterraneo, attraverso soprattutto un sistema di basi già esistenti ed in via di progressivo rafforzamento e sviluppo. Sistema cioè inteso piuttosto che ad assicurare la difesa contro il maggiore pericolo, a conservare le posizioni imperiali britanniche e a perpetuarle, e, come tale, destinato a suscitare reazioni profonde e serie (come i casi iraniani oggi e domani irakeni e egiziani mi par dimostrino e dimostreranno ad abundantiam) e quindi a rendere più arduo quel compito generale di difesa che dovrebbe essere il nostro comune obiettivo. Sicché molto opportuna è l'osservazione conclusiva del nostro promemoria in cui appunto si insiste sulla necessità di raggiungere come che sia una situazione di di stensione nei paesi arabi. Distensione peraltro, a mio avviso, irraggiungibile sino a quando prevarranno i metodi britannici o questi non sieno temperati da soluzioni più conformi alle circostanze e allo spirito dei tempi.

Da quel poco che posso vedere da qui (il fitto mistero di cui gli anglo-americani avvolgono i lori progetti di sistemazione mediorientali e mediterranea è davvero grottesco, ed assurda la pretesa di regolare i destini di queste regioni all'insaputa proprio dei popoli che le abitano) dovrei infine aggiungere che si ha qui l'impressione che gli americani siano andati in questi ultimissimi tempi progressivamente avvicinandosi alla tesi dell'inclusione della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico, o, quanto meno, verso accordi particolari intesi a raggiungere quell'obbiettivo.

319 1 Ritrasmetteva il D. 269 e l'Allegato al D. 301.

320

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. SEGRETA 3587/2037. Washington, 27 marzo 1951.

Con l'odierno telegramma n. 3361 ti ho segnalato le preliminari reazioni del Dipartimento di Stato alla comunicazione da noi fatta, per il momento in forma verbale e confidenziale, del contenuto della memoria allegata alla tua lettera n. 420 del 14 del corrente2 .

Le nostre idee sono state ascoltate con interesse e ci è stato assicurato che nello studio,tuttora in corso, del problema mediterraneo non si mancherà di tenere il dovuto conto delle nostre considerazioni, con particolare riguardo al concetto di adeguare progressivamente l'ampiezza e la portata dell'eventuale sistema difensivo ai mezzi di cui si dispone.

Dalle conversazioni che sono seguite alla esposizione del nostro punto di vista non sono emersi elementi tali da indurmi a modificare la valutazione già fatta dell'attuale stadio del problema (telespresso di questa ambasciata n. 3347/1897 del 21 corrente)3 .

Da parte di qualcuno dei funzionari americani coi quali siamo in contatto si è addirittura accennato alla possibilità che non vi sia ancora qui unanimità di consensi sull'opportunità di modificare nel presente momento, i rapporti esistenti tra gli Stati Uniti da una parte e la Grecia e la Turchia dall'altra, basati ancora sulla nota «dottrina Truman». Personalmente ritengo che tale stadio sia ormai superato e che quindi la discussione verte oggi più sul «come» che sul «se» accordare alla Turchia, e di conseguenza alla Grecia, una addizionale garanzia.

È appunto in questo esame del «come» legare i due paesi al sistema occidentale che trova posto lo studio di quella più ampia collaborazione mediterranea e medio-orientale da noi prevista e che è del resto oggetto dell'attenzione del Dipartimento di Stato, pure colle limitazioni dettate, specie agli occhi di alcuni dei suoi uffici, dal persistere della pericolosa — e da noi ripetutamente lamentata — situazione di tensione tra gli arabi e Israele, e di incertezze e diffidenza tra gli stessi arabi.

Gli ostacoli che incontra una intesa tra i principali attori di una politica di alleanza, o anche soltanto di collaborazione, medio-orientale, rendono infatti particolarmente difficile la formulazione di un concreto, anche se elastico, piano di difesa mediterranea. Non mi meraviglierei quindi, se proprio a causa di questa incertezza, gli Stati Uniti si convincessero che per il momento il raggiungimento del massimo utile col minimo sforzo, in fatto di estensione della difesa mediterranea, è rappresentato dall'ingresso della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico. Ci siamo pertanto preoccupati di accertare se a tale eventuale ingresso ostasse, fra l'altro, il timore di ripercussioni sfavorevoli nei paesi arabi, provocate da un accentuarsi, almeno formale, della posizione marginale dei medesimi. Ci è stato risposto di no, ma ci è stato aggiunto come sia tuttora difficile prevedere quale sarebbe la reazione dei Governi e

2 Vedi D. 301.

3 Non pubblicato.

dell'opinione pubblica araba ad un più vasto, anche se volutamente non rigido, progetto di intese militari, che comporti una loro partecipazione.

Poiché nel corso di una delle conversazioni si era avuta l'impressione che il nostro favorevole avviso all'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto riuscisse nuovo all'interlocutore americano, per il primo dei due paesi, abbiamo precisato che per quanto le dichiarazioni di S.E. il ministro nel settembre scorso si riferissero più che altro al soggetto allora in discussione, e cioè alla Turchia, non si potevano, a nostro modo di vedere, separare le sorti dei due paesi. Mi sono inoltre preoccupato di accertare coi funzionari che seguono gli aspetti «atlantici» della questione se la precisazione di cui sopra, più o meno esplicitamente richiestaci, rispondesse ad una qualche idea americana di discriminare tra la Grecia e la Turchia. Ci è stato risposto che ciò non rientra nelle intenzioni del Governo americano che, per quanto incerto ancora sulla via da seguire, ritiene però che tale «via» debba essere la stessa per i due paesi.

Abbiamo naturalmente ripetuto il nostro interesse a partecipare, sin dall'inizio, alla formulazione di una concreta politica difensiva mediterranea. Come ti ho telegrafato, ci è stato dato atto di tale legittimo interesse, pur ritenendosi che un nostro «inserimento» potrà avere efficacemente luogo soltanto quando questo Governo avrà fissato la sua posizione.

Nell'occasione abbiamo constatato che effettivamente i francesi hanno espresso in modo abbastanza vibrato il loro malcontento per la loro presunta esclusione dalla «pianificazione» mediterranea. Si sa già del resto che Schuman approfitterà dell'attuale visita a Washington per rinnovare la richiesta di partecipazione francese.

Per quanto la ragione del malcontento francese viene qui ricercata soprattutto nei colloqui di Malta e, continuandosi a negare ad essi qualsiasi carattere «decisivo», si sia stupiti e seccati della reazione di Parigi, non ritengo di poter escludere, come ho segnalato col sopracitato rapporto del 21 marzo, che, a forza di lamentarsi, i francesi, non riescano ad ottenere il diritto a qualche consultazione particolare. Ritengo pertanto che sarà utile continuare a mantenere uno stretto contatto al riguardo con Parigi nel quadro, come ha detto Schuman a Quaroni, dello scambio di informazioni previsto a Santa Margherita4 .

Mi domando inoltre se il nostro interessamento al problema ed in particolare le nostre dichiarazioni a favore di una più sostanziale partecipazione greca e turca all'Organizzazione atlantica, non vada, nel modo più opportuno, valorizzato presso questi due Governi. Noi perseguiamo, infatti, con l'eventuale inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto, lo scopo di prolungare il fianco destro dello schieramento europeo e di procurarci così una ulteriore protezione delle nostre coste. Ma non dobbiamo d'altra parte perdere di vista il pericolo che ad un certo momento Grecia e Turchia, entrate nel Patto e forti, a torto o a ragione, di una favorevole considerazione delle loro possibilità militari, dovute in parte anche al contributo da essi dato nella guerra di Corea, non rischino di diminuire il peso più che altro «mediterraneo» della nostra già così scarsa influenza nel Patto. Non sarà allora male poter ricordare, almeno ai due nuovi soci, la parte da noi avute nella loro ammissione.

Per il momento mi sono limitato ad adoperare, nel modo più esauriente, il contenuto della memoria da te cortesemente inviatomi. Poiché, naturalmente, mi riprometto di ritornare sull'argomento ad un livello più alto di quello fino ad ora consulta

to, vedrò, in questa occasione, se sarà il caso di avvalermi dell'autorizzazione concessami col telegramma 110 del 17 corrente5 e lasciare un appunto scritto a documentazione di tali ulteriori contatti.

P.S.: L'ammiraglio Sherman mi ha dichiarato che gli americani nonostante ogni protesta britannica intendono avere il Comando navale nel Mediterraneo, anche perché sono meglio degli inglesi e con maggiori forze in grado di cooperare in perfetta intesa con noi. Il segretario dell'Aviazione Finletter di ritorno dal Levante mi ha detto essere esatto che gli Stati Uniti stanno preparando in quella zona, e particolarmente in Turchia, campi di aviazione ed apprestamenti che giustificano le vive apprensioni russe di questi ultimi tempi a tale proposito.

320 1 Non pubblicato.

320 4 Vedi D. 233.

321

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. SEGRETO 2355/40. Roma, 28 marzo 1951, ore 19,30.

La nota italiana di cui al suo 951 non esiste affatto.

Mi preoccupo ed agisco in via confidenziale di revisioni del trattato di pace ma ciò ha per ora niente da fare col riarmo.

322

IL MINSTRO A BEIRUT, CASTELLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 716/224. Beirut, 29 marzo 19511 .

Riferimento: Telespr. di V.E. 17 corr. segr. pol. 444/C. 2 .

Ringrazio per quanto comunicatomi con il sopracitato telespresso. Se mi è permesso dirlo, concordo perfettamente con le considerazioni e le conclusioni contenute nell'appunto allegato al telespresso stesso. In particolare per quanto riguarda l'orientamento libanese, posso aggiungere:

2) il punto di vista italiano coincide con quello del Governo libanese, quale mi è stato brevemente esposto alcuni giorni or sono da autorevole personalità di Governo: allo stato attuale della preparazione militare delle potenze occidentali, sarebbe pre

2 Vedi D. 319, nota 1.

maturo prendere decisioni definitive e concrete circa la difesa del Vicino Oriente; via che le possibilità delle potenze suddette verranno aumentando, si dovrà vedere quale potenziale bellico sarà disponibile per questo settore e studiare dei piani in conseguenza; per il momento la preparazione può limitarsi ad uno scambio d'informazioni, degli studi preliminari ed a contatti fra gli Stati Maggiori interessati. (Ma qui si aggiunge: naturalmente, ciò a condizione che nel frattempo non siano concessi rifornimenti ed aiuti ad Israele, mentre si lasciano gli arabi disarmati);

3) per quanto riguarda la forma giuridica attraverso cui concretare la organizzazione della difesa del Mediterraneo Orientale e del Vicino Oriente, come ho già riferito più volte, i libanesi non sono molto favorevoli né all'idea dell'inserzione dei paesi arabi nel Patto atlantico, né a quella di un patto mediterraneo; essi preferirebbero degli accordi individuali, di carattere tecnico più che politico, tali cioè da passare quasi inavvertiti.

Per la cronaca segnalo che in questi giorni la notizia di un progetto di accordo triangolare ispano-portoghese-americano non legato al Patto atlantico, ma ad esso in qualche modo complementare, è stata sottolineata e commentata da alcuni quotidiani locali di lingua francese, i quali hanno avanzato l'ipotesi che un accordo analogo l'America potrebbe fare con la Grecia e la Turchia, ed un altro, forse, con i paesi arabi;

4) Riconosco che condizione preliminare ed essenziale per realizzare un certo coordinamento nella difesa del Vicino Oriente sarebbe la distensione nei reciproci rapporti fra tutti i paesi di questo settore. Confesso però che, nell'attuale situazione, la cosa mi sembra enormemente difficile; perché lo spirito antagonistico ed i contrasti di interessi, non solo tra arabi e Israele, ma anche tra alcuni paesi arabi, sono oggi troppo profondi e troppo

vivi. Comunque, prima condizione perché ciò possa realizzarsi sarebbe quella che le grandi potenze occidentali si decidessero a fare una politica di comune accordo, sacrificando per il momento i propri particolari interessi e rinunciando ad ispirare o sostenere iniziative destinate a sabotare le posizioni di una potenza concorrente o che hanno come primo effetto di accentuare la reciproca diffidenza dei paesi del Vicino Oriente.

320 5 Vedi D. 301, nota 3.

321 1 Vedi D. 316, nota 4.

322 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

323

L'INCARICATO D'AFFARI A TEL AVIV, GASPARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 241/84. Gerusalemme, 29 marzo 1951 (perv. il 31).

Secondo quanto mi ha detto in via riservata questo console generale del Belgio, che lo ha appreso dal collega olandese, il ministro di Israele all'Aja, accreditato anche a Bruxelles, ha compiuto un passo presso il Governo olandese per sondare quali ne sarebbero le reazioni nel caso che anche Israele nominasse un «custode dei Luoghi Santi» corrispondente a quello giordanico nominato lo scorso gennaio1 .

Compito precipuo del nuovo «custode» sarebbe quello di mettersi in contatto con il collega giordanico per trattare le questioni di interesse comune concernenti i Luoghi Santi.

Secondo questo console generale del Belgio, gli israeliani avrebbero scelto il punto meno resistente, per presentare il loro progetto, che ha lo scopo evidente di aggiungere un altro fatto compiuto alla collana di quelli precedenti, e cristallizzare la situazione sullo stato di fatto attuale. È nota infatti la parte svolta dal Governo olandese con il progetto presentato all'ultima Assemblea delle Nazioni Unite, tendente a trovare una soluzione di compromesso alla questione di Gerusalemme, che respingendo il corpus separatum, accoglieva in gran parte i desiderata israeliani e riconosceva la situazione territoriale attualmente esistente, di divisione della città in due settori.

Sempre secondo Niewenhuys il Governo belga (e il francese) sarebbero nettamente contrari e in caso di nomina di un «custode» israeliano terrebbero lo stesso atteggiamento tenuto in occasione della nomina di quello giordanico.

323 1 Vedi D 188.

324

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

T. SEGRETO 2475/C. Roma, 31 marzo 1951, ore 16,30.

Richiesta Governo turco che garanzia Stati Uniti prenda forma di adesione trattato alleanza anglo-franco-turca del 1939 sembra aver riproposto alle Cancellerie occidentali questione connessione Turchia alla politica del N.A.T.O. Risulta da prime informazioni che nel Dipartimento di Stato si fa strada persuasione che ammissione Turchia al Patto atlantico sia da preferirsi oltre tutto perché cosidetta «clausola russa» conferisce al trattato tripartito una particolare fisionomia giuridico-politica e adesione nordamericana non potrebbe perciò non essere preceduta da precisazioni che, siano esse positive o negative, è dubbio convengano in questo momento.

Prego V.E. voler seguire da vicino atteggiamento codesto Governo nella questione facendo fin d'ora costì sentire che noi propendiamo per accessione pura e semplice di Turchia e Grecia al Patto atlantico per le stesse ragioni che ci consigliarono appoggiarne domanda fin dal primo momento, e ciò anche perché vogliamo sia evitato tutto quanto possa dare impressione o pretesto ad una ristretta «politica a tre» in Turchia e Mediterraneo orientale, in settori cioè dove interessi italiani non sono da meno di quelli di nessun'altra potenza1 .

(T. segreto 4090/221 del 6 aprile): «Foreign Office informa essere state scartate sia inclusione Turchia e Grecia Patto atlantico sia adesione Stati Uniti trattato 1939; ma non (dico non) considera eventualità patto mediterraneo orientale. Capo Dipartimento competente ha anzi precisato che orientamento attuale è verso formula convenuta Washington settembre scorso e cioè accordi fra Stati Maggiori greco e turco con Comandi Nato e Medio Oriente».

324 1 Per le risposte da Ankara e Parigi vedi rispettivamente i DD. 334 e 325. Tarchiani rispose con il T. segreto 3890/367 del 2 aprile, non pubblicato, ma vedi D. 320, mentre Theodoli comunicò

325

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 3871/225. Parigi, 2 aprile 1951, ore 20,55 (perv. ore 24).

Suo 2475/C. 1 .

La Tournelle mi ha detto che adesione Stati Uniti a trattato 1939 è stata definitivamente scartata per ragioni cui V.E. accenna; pure scartata è stata inclusione Grecia Turchia Patto atlantico cui americani sembravano favorevoli in vista opposizione recisa paesi scandinavi e Benelux. Ci si sta invece orientando verso formula transitoria che consisterebbe in patto mediterraneo orientale di cui farebbero parte oltre ai tre, Grecia e Turchia e che, per la parte militare, sarebbe anche esso sotto direzione «Standing Group» Washington, e per parte finanziaria e produzione sarebbe in qualche modo, non ancora precisato, egualmente in rapporto con altri organi tecnici Patto atlantico. Mi ha detto trattarsi attualmente solo idee allo studio ed ancora lontane loro precisazione.

Ho ricordato La Tournelle assicurazioni dateci da Governo francese prima e durante Santa Margherita2 appoggiare inserimento Italia politica Medio Oriente. Mi ha assicurato che tale resta intenzione Governo francese; non gli risulta che Schuman avesse parlato Washington specificamente caso Italia. L'ho pregato ricordare Schuman nostro interesse in materia; il che mi ha promesso di fare.

A mia impressione Schuman è riuscito Washington soltanto avere conferma impegno che questioni Medio Oriente sarebbero state trattate a tre, ma che siamo ancora abbastanza lontani da inclusione di fatto Francia in organizzazione militare anglo-americana in tale settore, che [è] in corso di studio. Francia è troppo occupata in questo momento cercare di ottenere sua non facile inserzione sistema politico anglo-americano perché si possa a mio avviso contare realmente su sua azione efficace nostro favore.

Sempre secondo quanto mi è stato detto, Schuman ha cercato di mostrare Wa shington che anche Francia può contribuire a migliore assetto militare Medio Oriente. Particolare insistenza è stata da lui messa su basi possedimenti francesi Africa, loro possibili risorse militari, ecc. Mi sembra di aver capito che Francia abbia dichiarato essere disposta fare qualche cosa di effettivo per organizzazione armamento eserciti Siria Libano e che quanto ha detto Schuman abbia in certa misura interessato americani.

Francesi stanno cioè cercando dimostrare americani che anche loro hanno possibilità volontà contribuire sforzo militare che è necessario in caso crisi Medio e Vicino Oriente3 .

2 Vedi D. 233.

3 Le notizie contenute in questo documento furono portate a conoscenza delle ambasciate ad Ankara, Londra e Washington con il T. segreto 2605/C. del 3 aprile.

325 1 Vedi D. 324.

326

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, ACHESON

L. PERSONALE. Roma, 2 aprile 1951.

We all agree that we must guide our thinking towards the problem of regaining the initiative on the world political and propaganda levels, while standing firm and going full speed ahead with our program of Atlantic rearmament.

In this connection, and for the purpose of doing something to strike a blow at communist propaganda and to try to give some contribution to the necessary activities aimed at recovering the initiative also in the psychological sphere, I have outlined a very general plan of a move which might fulfil these requirements. Of course, it is a plan which should be thoroughly studied in all its details in order to weigh its positive and negative facets. I have, however, deemed it advisable to forward this plan to you in a most personal manner, so that you may examine it and let me know your opinion.

In this spirit I beg you to take under consideration the attached memorandum which I must add I recommend solely to your judgement.

Your first reaction be perhaps one of perplexity. I must admit with you that more than once I felt the same way. However, when I think of the advantage which we could secure through the disorientation and surprise which would result at Moscow, I am convinced that the matter is really worth of consideration. What else could we do in the field of psychological war? I do not see.

That is why I venture to entrust to you — before anybody else — the scheme to which I gave my thoughts.

ALLEGATO

MEMORANDUM

1. It is advantageous to recognize that, in this latest period, the initiative on the threefold level, military, diplomatic and psychological-propagandistic appears to be in the hands of the

U.S.S.R. The Atlantic Powers have so far concentrated on the adoption of countermeasures aimed at replying to Moscow's moves, with the consequences that:

a) the choice of the moment and of the object of the various developments seems to be in the opponent's hands;

b) during the more or less short periods during which the countermeasures are worked out, prepared and enacted, difficult moments of inferiority are experienced;

c) it is necessary to make, in a short time, an exhausting effort, relatively greater than the opponent's, in order to restore the balance.

Hence, the advisability of wresting from the U.S.S.R. the advantages of the initiative by some sudden and unexpected move calculated to reverse the present situation.

2. -While the rearmament programs of the Atlantic Community represent the only countermeasure which it is possible to take in order to restore the balance on the military level, much is still to be done on the diplomatic and propagandistic planes which, although interdependent with the military factor, may present lesser difficulties of a material character and permit quicker results. On the propaganda level, the approach is solely to refute the arguments of the so-called «partisans of the peace» who charge the members of the Atlantic Alliance in general and the United States of America in particular with having aggressive aims and of stiffly maintaining dangerous war-furthering positions, whereas they really aim at wrecking the collective effort for the rearmament of the West, at creating perplexity in a part of continental Europe's public opinions and at arousing bones-of-contention among the various Allied Governments. It must not be forgotten that the campaigns for peace and against the atomic bomb, although they have not had the effects which the communist promoters desired, have not failed to make some inroad on European public opinion. Also, the slogan continually confirmed by communist propaganda, that the Atlantic Pact is an offensive means of aggression and that the United States particularly are not adverse, in the end, to bring about deliberately an armed conflict, exercizes some attraction also in some noncommunist circles. It must also be kept in mind that now and then the rumour (perhaps purposely circulated by communist elements) is heard that the U.S.S.R., in order to affirm her will to peace, has the intention to offer non-aggression pacts to some members of the Atlantic community. - 3. -Among the various moves which could be made in order to counter communist propaganda and possibly to restore the initiative to the Democratic world, the following plan is submitted, which, embracing at once the diplomatic and the psychological fields, seems to offer good prospects. This plan concerns the advisability of an offer by the Atlantic Alliance of a non-aggression pact to the U.S.S.R. and to the communist States. 4. -Before proceeding to a critical assessment of the positive and, possibly, negative elements to be found in the plan, it is well to attempt summarily to outline what could be the contents of such an offer the terms of which, once the general idea had been accepted, should be more thoroughly examined and therefore are here formulated merely in an indicative way. The test might run as follows:

a) Preamble — A re-statement of the desire for peace and international collaboration on the part of the propounders, with an express reference to the Charter of San Francisco.

b) Contracting Parties — On one part all the States which are members of the Atlantic Alliance and, on the other, the U.S.S.R. and all the other communist Powers.

c) Contents — A definition of the aggressor based upon, and improving, the doctrinal discussions and the subsequent experiences, of that which was inserted in the collective agreements of London of 1933 (Litvinov formula). The mutual undertaking: not to carry out any acts of aggression; not to interfere in internal affairs, to respect territorial integrity and national independence; not to try to modify the limits of the occupation zones of the territories of the former enemy States, which were established at the end of the se cond World War. An undertaking not to give any assistance whatsoever to an aggressor.

The validity of all pre-existing public agreements which are declared as incompatible. The immediate and collective denounciation of the Pact in case of acts of aggressions accomplished even by only one of the contracting parties against any State, even if it should not be a signatory of the agreement.

d) Duration — This might, for instance, be made to coincide with that of the Atlantic Pact.

5. The advantages of such a move should be examined in connection with the following four possibilities:

a) a simple refusal on the part of the U.S.S.R. and of the other communist States;

b) an acceptance-in-principle and the beginning of laborious inconclusive negotia tions;

c) an acceptance-in-principle and the conclusion of the agreement;

d) the conclusion of the agreement and its subsequent violation on the part of the

U.S.S.R.

A) In the case of a simple refusal on the part of the U.S.S.R., the advantages which would follow are obvious. The public opinions of the various countries which entered into the Atlantic Pact would see in the rejected offer of a non-aggression pact an extreme attempt at pacification; the confirmation of the pacific intentions of their own Governments and the revelation of Moscow's aggressive designs with the consequent debunking of her propaganda for peace and against the Atlantic Pact; the necessity of maintaining and accelerating the sacrifices which must be made in order quickly to carry out the rearmament programs which, in any case, must remain unaltered.

In case of a refusal, each Government of the Atlantic Community could therefore expect a greater internal and international compactness a factor not to be disregarded, which would be the result of the psychological effects of the showdown. On the diplomatic plane, in addition to recovering the initiative, they would immediately gain a valuable element for the assessment — including also the possibility of military action — of Moscow's immediate intentions. In effect the Soviet Union would, in all probability, take such a stand only in view of a short-term aggressive plan.

B) In the event of an acceptance-in-principle followed by inconclusive negotiations, it would be easy to maintain the internal propaganda initiative which has been set forth above, as the impellent of the negotiations would be an Allied proposal. It should not even be difficult to attribute the responsibility of a failure of the negotiations to the opponent. To the aforesaid advantages another should be added: the valuable time gained in furthering the military Atlantic preparation. The plan should, moreover, be formulated in such terms as — without compromising its propagandistic effects — would not be easily acceptable to the U.S.S.R., owing to their binding character (the introduction of a clause on the supervision of armaments perhaps would do). The Soviet Union would thus be made to face the dilemma of losing the cold war or giving some concrete guarantees.

C) The conclusion of the proposed pact would undoubtedly result in a more or less long period of relaxation of internal and international tension, which, apart from the possible positive developments which it is not possible to foresee now, would add the following benefits to those which have been already set forth above: the acknowledgment on the part of the U.S.S.R. of the non-aggressive character of the Atlantic Pact with the consequent crumbling of the greater part of the present hostile propaganda structure; the creation, for what value it may have juridically, of a supplementary undertaking, not to be disregarded for its moral effects, on the part of the U.S.S.R., and of her satellites, not to undertake any acts of aggression even against a third Power; an easier fulfilment, in the new atmosphere, of the present unaltered rearmament program and — consequently — an easier re-establishment of the international military balance. Furthermore, there would result a clear definition of the aggressor and a more precise undertaking to abstain from interfering in the internal political life of any State.

D) The fourth possibility, i.e. the conclusion of the pact and a subsequent act of aggression on the part of the U.S.S.R., would result, in addition to all the advantages listed above, in producing an easier focusing of the various public opinions, as Russia would, in such action, violate a formal agreement concluded — the first one after the end of the war — with the Atlantic Powers as well as the principles of the San Francisco Charter.

6. Apart from the expected difficulties in the formulation of the text of the agreement, the chief objections against such an offer of a non-aggression part to the U.S.S.R. could be summarized in the following points:

a) Preoccupations about the danger of internal and external interpretations to the effect that such an offer is an indication of the weakness of the Atlantic Community. This is a problem of some weight — perhaps not very different from that of stating plainly the low level of our armaments compared with that of the Communist States — but, after a careful examination, it does not seem so great as to nullify the positive aspects of the initiative. The propaganda aspect of the offer should, of course, be well considered, because it would be ne cessary from the start to express explicitly the will to carry out the rearmament plan integrally. It should also be avoided that one country or another, instead of the whole Atlantic Community, appears as responsible for the initiative or its realization.

b) Misgivings about a possible weakening of the U.N.O., inasmuch as the Charter of San Francisco already contains a series of undertakings concerning non-aggression, the respect of the territorial integrity and of the national independence, the noninterference in the internal affairs, etc. As a matter of fact, such misgivings do not appear to have any foundation, just as the Atlantic Pact has not weakened the obligations already undertaken by the contracting parties in the Statute of the U.N.O. as regards sanctions against an aggressor. The new pact would lead to a more exact definition of the aggressor and to a completion of the existing undertakings concerning the safeguarding of the internal affairs of the contracting parties, which comes within the framework of the regional agreements contemplated and advocated in the San Francisco Charter. It is obvious, on the other hand, that, in terms of the propaganda aims which are sought, the offer of a non-aggression pact should only indicate some essential principles, such as those which have been set forth above, leaving a certain margin for the future negotiations. Since no final draft of the agreement would be presented, it appears unlikely to incur any concrete criticism and, much less, contradiction, as a result of a superimposition on the U.N.O. undertakings.

c) Preoccupations about a possible juridical and political incompatibility of such a pact with the Atlantic Alliance. These, too, appear to be easy to overcome from the juridical standpoint in view of the contents of the pact itself above indicated. The treaties of alliance at present in force between Great Britain and France and the U.S.S.R. are the witnesses of a positive practice in this connection. From the political point of view, any danger of incompatibility would disappear if the offer were made — as is contemplated — only collectively by all the members of the Atlantic Community which, by acting corporately, would indeed see its own personalty reinforced.

d) Preoccupations concerning possible misgivings or uncertainties in some democratic countries which do not belong to the Atlantic Community. This possibility really exists, especially at the start, but it is just for this that it should be quite explicitely declared from the beginning that the non-aggression pact would be denounced in the case of an aggression against any third Power. On the other hand different juridical positions already exist between the various Democratic Powers. Therefore this is no new problem, but a solution of the old one should be contemplated, which also takes this fact into account.

7. Notwithstanding all this, it is important to stress once more that the attempt to recover the advantages of the diplomatic and psychological initiative lies at the basis of this proposal. This move, in addition to what has already been pointed out, would also have the merit of dispelling the danger of having at a certain moment to face the serious embarrassment of a similar plan coming from Moscow. In this event, apart from any consideration of merit, all the psychological advantages would automatically go to the U.S.S.R. regardless of the reply of the Atlantic Community.

In pursuing our objective this plan has been studied as a contribution to the discussion of the most effective means of blocking the diplomatic and the propaganda action of the Communists. Although it may, at first sight, appear to be a bold and perhaps shocking move, the simple reflection on the disorientation and surprise which this move, having been made by her opponents, could arouse in Moscow, appears to justify thorough examination.

327

L'AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 1074. Madrid, 2 aprile 1951 (perv. il 9).

Ho rimesso oggi a questo ministro degli affari esteri copia delle lettere credenziali. Il signor Martin Artajo che avevo conosciuto a Roma mi ha accolto con viva cordialità formulando fervidi voti per la mia missione. Si è detto sicuro della sempre maggior comprensione fra i nostri due paesi, sicuro di un fecondo comune lavoro ispirato ai legami storici e culturali che uniscono la Spagna all'Italia. Ha chiesto a più riprese notizie del presidente del Consiglio e di V.E. ricordando i colloqui romani. Si è dichiarato felice di vedere finalmente a Madrid l'ambasciatore di un paese che egli ama e ammira e di iniziare con lui una collaborazione leale e cordiale nell'interesse delle nostre nazioni e in difesa della stessa civiltà e della stessa cultura.

Riprendendo io l'accenno alla civiltà latina che ci unisce e unisce a noi le nazioni «ispano-americane» e rilevando quanto preziosa possa divenire una intesa su problemi di base tra le nazioni latine e l'importanza della Spagna come ponte per le nazioni latine d'Europa verso quelle d'America, Martin Artajo mi ha ricordato che sempre, ogni volta che rappresentanti di paesi ispano-americani si erano rivolti a lui per consiglio circa questioni in dibattito all'O.N.U., egli li aveva persuasi di sostenere il punto di vista italiano; per naturale solidarietà, ha aggiunto, e per spirito di giustizia.

Ho lasciato Artajo portare il discorso sul Patto atlantico. Ha rilevato e criticato ma con distacco e senza amarezza l'atteggiamento ostile alla Spagna di Parigi e di Londra. Ne ho preso occasione per smentire, citando le istruzioni di V.E., la informazione telegrafata al Tempo da Tomajuoli circa un analogo atteggiamento italiano. Artajo ne ha preso atto con soddisfazione. Parlando con franchezza amichevole mi ha detto che il suo Governo considera l'adesione o meno al Patto come una questione strumentale. Non poteva dire oggi di esservi favorevole o contrario data l'opposizione delle maggiori potenze europee, considerava tuttavia che parlare di unione difensiva europea senza la penisola iberica era un concepirla in modo incompleto e diminuirne la portata e la forza: che era assurdo poi accennare ad un patto mediterraneo ignorando la Spagna. Questa seguiva serenamente gli sviluppi della situazione convinta che essi le avrebbero dato pienamente ragione.

Mi ha dichiarato Artajo:

«Nel caso di un conflitto generale è assolutamente certo che la Spagna sarà con l'Europa per difendere la libertà dei suoi popoli, il loro modo di vita, la loro cultura. Se la Spagna non ha partecipato all'ultima guerra si è perché questa si era espressa in un conflitto di interessi politici ed economici che non coinvolgevano la vita e l'avvenire della penisola. Dovrebbero sapere a Londra e a Parigi, come ritengo si sappia a Roma, essere nostro assoluto interesse che la difesa dell'Europa si concreti il più possibile al Nord sull'Elba o sul Reno: è certamente contrario agli interessi spagnoli che la guerra giunga ai Pirenei, e mi sembra strano che giornalisti e anche uomini di Stato ne dubitino.

Allo stato delle cose, nell'incerto gioco che si disegna in Europa per motivi, penso, di politica interna, noi non possiamo che rimanere fermi e aspettare. Ma aspettare armandoci: dobbiamo rafforzare la nostra preparazione militare aggiornando gli armamenti e i mezzi di comunicazione e per questo dobbiamo contare sull'America. Non è una tonteria l'ipotesi che la Russia possa tentare nei primi momenti un attacco alla Spagna per cercare di dividerla e sollevarla, sbarcando emissari ed armi da sottomarini che infesterebbero i suoi mari, facendo scendere con paracadute nuclei di truppe specializzate nelle più diverse regioni. È necessario essere pronti ad affrontare qualsiasi eventualità, e purtroppo non abbiamo né aeroplani, né efficiente difesa antiaerea, né armi moderne.

Tenuti lontani dal Patto atlantico per l'ostilità di alcuni suoi membri, è naturale e logico che la Spagna guardi agli Stati Uniti. Essi sono stati i primi a riconoscere il loro errore di impostazione e di valutazione. Essi riconoscono oggi il grande valore strategico della Spagna, il valore dei suoi 400 mila uomini di prima linea che, dotati di armi modernissime, conterebbero tre volte di più. Dobbiamo perciò pensare ad una intesa sempre più stretta tra la Spagna, il Portogallo e gli Stati Uniti che potrebbe evolvere in un patto accessorio di quello atlantico. Posso dirvi che i nostri rapporti con Washington sono eccellenti e che la nostra difficile situazione viene colà esaminata con simpatia e comprensione: ci rendiamo tuttavia conto che gli Stati Uniti sono enormemente impegnati sia per la loro preparazione militare che per il riarmo dell'Europa».

Ho tratto l'impressione dal discorso di Martin Artajo che l'ostilità franco-britannica alla partecipazione delle Spagna al Patto atlantico faccia in questo momento il gioco di questo Governo contrario in principio ad impegnare fin da ora il paese in un conflitto europeo. E mi pare di aver notato una sorridente soddisfazione nel ministro degli esteri per essere stato liberato dall'imbarazzo di dir di no o di trovare una vaga formula non impegnativa per un qualsiasi suggerimento od invito. Le sue dichiarazioni tuttavia a differenza di quelle dell'ambasciatore Sangroniz delle quali feci parte a V.E., mi sono sembrate volutamente tali da lasciare una qualche possibilità di esame e di discussione. Perciò ho espresso al ministro i miei dubbi sulla realizzazione della desiderata intesa ispano-portoghese-americana: Washington non potrebbe non rendersi conto dell'inutilità di un patto accessorio pesante e ingombrante che non mancherebbe di sollevare risentimenti e reazioni. Washington era sempre d'accordo con Londra sulle più importanti questioni di principio: una soluzione avrebbe forse potuto esser cercata da Washington a Londra. Credevo di interpretare il suo vero sentimento e quello del suo cavalleresco paese augurandomi che, risolte le attuali difficoltà, la Spagna possa con parità di diritti e doveri partecipare pienamente alla difesa della nostra civiltà.

Uniformandomi alle istruzioni di V.E. continuerò a mettere in luce un tale punto di vista. Ma è da tener presente come oggi esso sia infirmato dall'atteggiamento franco-britannico e come esso dia modo alla diplomazia spagnola di farsene uno schermo e di crearsi con esso il motivo principale e necessario del suo orientamento verso gli Stati Uniti.

Tornerò a riferire appena avrò avuto la possibilità di sondare in merito questo ambasciatore d'America.

328

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4009/52. Atene, 4 aprile 1951, ore 24 (perv. ore 7,50 del 5).

Vice presidente Consiglio Papandreu è venuto questa sera informarmi che egli partirà domani per Parigi per riunione O.E.C.E. e che sarebbe disposto venire a Roma per qualche giorno prima di rientrare ad Atene. Ciò allo scopo intrattenere Governo italiano con piena franchezza e con autorità derivante dalla sua carica di ministro coordinamento, in merito all'accordo collaborazione, alla sua applicazione, e sviluppo.

Egli mi ha detto con molto calore essere suo intendimento sormontare ogni difficoltà sorta da parte Grecia affinché applicazione accordo per corrente anno avvenga in maniera rapida e sicura, sia per quanto riguarda forniture materie prime sia per quanto riguarda integrale restituzione beni. Aggiunto essere inoltre suo proponimento prospettare al Governo italiano possibilità semplificare struttura accordo e snellire applicazione in modo renderlo conforme presente situazione e caldi sentimenti amicizia Governo greco che egli si propone testimoniare durante la sua visita. Ho risposto suo passaggio Roma sarebbe stato certamente gradito e che utilità franco scambio di vedute sui principi essenziali accordo è indubbia. Ho aggiunto essere tuttavia mio dovere far presente che data sua personalità nostro Governo potrebbe forse ritenere necessaria previa preparazione in modo evitare che visita si risolva in un puro scambio di cortesie.

Ho altresì aggiunto che problemi politica interna in questi giorni assorbono forse gran parte attività membri del Governo italiano. Papandreu mi ha pregato telegrafare all'E.V. per chiedere se la sua visita in questo momento sarebbe o meno ritenuta opportuna incaricandomi di trasmettergli poi a Parigi risposta di V.E. In caso affermativo egli verrebbe a Roma mercoledì 11 corr.

Nel trasmettere proposta vice presidente faccio presente che si tratta personalità di ben altra competenza e autorità di Politis. È anche mio dovere segnalare che, a parte opportunità o meno del momento, un diretto scambio di vedute con Papandreu il quale è considerato qui forse il più capace e autorevole uomo politico sarebbe certamente di indubbia importanza per regolarizzazione questioni che ci interessano. Sarò grato a V.E. se vorrà impartire istruzioni telegrafiche prima di martedì 10 corr.1 .

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 05098/C. 1 . Roma, 4 aprile 1951.

Com'è noto, per recente decisione dei Governi francese, inglese e americano, in conseguenza delle variazioni apportate nello Statuto di occupazione della Germania, il Governo di Bonn è stato autorizzato a riprendere relazioni diplomatiche dirette e normali.

Poiché per il 4 aprile p.v. è stata predisposta dal cancelliere Adenauer la presentazione collettiva delle credenziali al presidente Heuss da parte dei rappresentanti esteri, si è reso necessario dar corso alla ripresa di normali relazioni diplomatiche

tra Roma e Bonn, fin da quella data, diversamente dalle tre potenze occupanti che mantengono nella Repubblica Federale i rispettivi alti commissari e una situazione politica e giuridica del tutto particolare. Il Governo italiano si trova quindi anche nella necessità di non attendere nel far cessare nei confronti della Repubblica Federale lo stato di guerra il quale derivava dalla dichiarazione del 13 ottobre 1943 fatta al Governo tedesco pel tramite dell'ambasciata a Madrid2. E ciò tanto più in quanto tale situazione non era stata per noi attenuata neanche dal regime armistiziale. Si ricorderà infatti che alle nostre insistenti richieste per essere parte — a puro titolo giuridico — in tale regime, gli Alleati non avevano mai dato seguito alcuno (Londra, Mosca, Parigi e Washington vedano al riguardo il telespresso ministeriale

n. 3/1068/C. del 30 giugno 1945)3. Ne derivava che sino ad ora hanno continuato a sussistere nei confronti dei cittadini germanici le disposizioni della legge di guerra che hanno reso impossibile persino l'applicazione di talune delle clausole degli accordi italo-tedeschi dell'8 novembre 19504, situazione questa che diveniva incompatibile con la ripresa di normali rapporti diplomatici.

Con decreto del capo dello Stato, già predisposto e di cui si allega copia3, si dovrà pertanto provvedere a sanare tale situazione. È del resto intenzione del Governo italiano di non dare a tale atto eccessiva pubblicità. Anche per questa ragione si è provveduto a conferire al provvedimento un carattere puramente giuridico ed amministrativo. Il decreto di cui trattasi infatti si limita ad abrogare le disposizioni del Regio Decreto 8 luglio 1938 n. 1415 concernenti lo stato di guerra, che erano ancora in vigore nei confronti della Germania.

Il decreto non specifica che la sua applicazione ha luogo soltanto nei riguardi della Repubblica di Bonn, in quanto da precedenti consultazioni con gli altri Governi interessati, ivi compresi i principali Alleati, risulta che nella maggioranza dei casi i predetti Governi useranno di proposito nei loro analoghi provvedimenti il termine generico «Germania», in modo da non fare sul piano politico alcuna discriminazione tra le due Germanie, di cui una è riconosciuta e l'altra, per le note esplicite intese, continua ad essere ignorata.

In sede poi esecutiva sarà possibile fare quelle discriminazioni necessarie, tra l'altro, per tutelare i nostri interessi nei confronti della Germania orientale.

Prego l'E.V. di volerne dare verbalmente conoscenza a codesto Governo, nei modi che riterrà più indicati, sottolineando ancora una volta la nostra intenzione di poter addivenire al più presto possibile alla emanazione del decreto di cui trattasi5 .

vol. LXXIII, cit., pp. 562-617. 5 Si pubblica solo la risposta da Bonn, vedi D. 369.

328 1 Per la risposta vedi D. 338.

329 1 Indirizzato anche all'ambasciata a Bruxelles, alle legazioni a Copenaghen, L'Aja, Lussemburgo, Oslo e alla missione diplomatica italiana a Bonn.

329 2 Vedi serie decima, vol. I, DD. 35 e 45. 3 Non pubblicato. 4 In MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati,

330

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 05157/44. Roma, 4 aprile 1951.

Rispondo al suo rapporto del 20 marzo, n. 1417/8311 .

Nella mattina del giorno 13 marzo, a Londra, le conversazioni, come ebbi, credo, occasione di accennarle a voce, si svolsero nei termini più franchi, da una parte e dal-l'altra e furono toccati tutti gli argomenti interessanti i rapporti fra i due paesi.

Da parte nostra, fu esplicitamente messo in chiaro che pietra di paragone per giudicare della sincerità e buona volontà britannica di ristabilire i rapporti con l'Italia su un piano di fiduciosa comprensione, sarebbe stato l'atteggiamento nei riguardi degli italiani rimasti nelle antiche colonie o aventi colà beni ed interessi. Feci presente che, fatte salve queste elementari esigenze, noi eravamo disposti a collaborare con la Gran Bretagna, cordialmente, sia allo sviluppo che alla difesa dello Stato libico. Osservai che avevamo fiducia assoluta negli affidamenti degli statisti britannici; ma meno assai, purtroppo, nella costante osservanza delle istruzioni del Governo da parte dei super-zelanti agenti periferici sempre convinti di avere a «salvare» l'Impero, dovunque. Ciò fu detto in tono in apparenza scherzoso; i nostri due colleghi ammisero volentieri che talvolta avveniva proprio così.

Quando peraltro passai al più vasto tema della difesa del Mediterraneo e del Medio Oriente, da parte britannica fu intenzionalmente lasciato cadere l'accenno e si passò ad altri argomenti.

Per quanto riguarda il tema dell'Esercito europeo, ebbi cura di chiarire agli interlocutori britannici il perché la nostra primitiva diffidenza e avversione si era mutata in una aperta adesione. Spiegai come quello che avevamo temuto da principio fosse un espediente escogitato per impedire il riarmo tedesco, ci apparve poi, dalle successive spiegazioni francesi, come un sincero tentativo di dare un inizio pratico al principio dell'unità europea occidentale, anche se, per ciò fare — come ebbi io stesso ad osservare agli amici francesi — sembrasse volersi così cogliere il frutto prima di aver piantato l'albero. Comunque, le nostre ultime obbiezioni erano state disperse dall'assicurazione francese che tale iniziativa non avrebbe in nulla interferito con la costituzione delle «forze integrate» occidentali e che l'Esercito europeo sarebbe agli ordini del generale Eisenhower.

Mi pare di avere così accennato ai principali argomenti trattati nelle conversazioni del 13 mattina, delle quali è da rilevare il tono generale di franchezza e cordialità reciproche.

330 1 Vedi D. 307.

331

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, THEODOLI

L1 . Roma, 4 aprile 1951.

Tempo fa mandai a M. Schuman la lettera qui acclusa2, non tanto per sollevare proprio ora la questione del nostro trattato di pace quanto perché conoscesse il pensiero intimo del popolo italiano e del suo Governo. Successivamente ne ho fatto tener copia a Mr. Acheson3, allo stesso scopo.

Preparando la nostra visita a Londra, pensai che avrei potuto dare conoscenza di quel documento anche a codesto segretario di Stato; ma il nostro tempo fu tutto preso a Londra da problemi più immediati; cosicché non ebbi tempo per una questione che poteva aspettare.

Ma mi pare ora necessario che Mr. Morrison non sia all'oscuro di cose da me dette ai nostri due colleghi, anche perché possono leak out, e mi spiacerebbe che il

F.O. fosse informato da altri prima che da me. Si è per ciò che la prego rimetter copia al F.O. della lettera che diressi a M. Schuman4 .

332

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA, MARRAS

L. SEGRETA URGENTE 514 SEGR. POL. Roma, 4 aprile 1951.

Ti ringrazio per la tue lettere del 17 marzo n. 31220 con allegato relativo ai primi tuoi contatti con l'addetto militare greco1. Siamo favorevoli a che si continui ad approfondire l'argomento se non altro per affermare il nostro interesse e la nostra partecipazione alla organizzazione difensiva del Mediterraneo. Per parte nostra non avremmo difficoltà a che i greci siano messi al corrente delle nostre idee in proposito quali risultano dal promemoria inviato a Washington d'accordo con lo Stato Maggiore generale e allegato alla mia lettera al ministro Pacciardi n. 445 del 17 marzo u.s.3 .

2 Vedi D. 220.

3 Vedi D. 280.

4 Con T. segreto 4126/224 del 6 aprile Theodoli comunicò che la lettera era stata consegnata quello stesso giorno a Pierson Dixon. Per le reazioni britanniche vedi DD. 357 e 361. 332 1 Vedi Allegato. Nella lettera a Zoppi Marras aveva precisato: «... Il ministro è d'accordo.

Anche da parte militare americana si è favorevoli ai diretti contatti».

2 Vedi D. 301, Allegato.

3 Non pubblicato.

ALLEGATO

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA, MARRAS, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

APPUNTO RISERVATO. Roma, 12 marzo 1951.

L'addetto militare di Grecia ha sollecitato da me un colloquio che si è svolto stamane.

Egli mi ha passato i saluti del generale Papagos capo di S.M. ellenico, il quale lo ha incaricato di esprimermi la sua ammirazione per l'opera di ricostruzione militare compiuta dal-l'Italia e di prendere contatti diretti a stabilire una collaborazione militare tra i due paesi. Il ge nerale Papagos si riferisce alle conversazioni svoltesi a Roma e ad Atene nel campo diplomatico, e come premessa pone in rilievo la importanza e la comunanza di interessi nel Mediterraneo come pure le strette correlazioni nella organizzazione della difesa nei riguardi del comune avversario che minaccia l'Occidente. Tutto ciò premesso, il generale Papagos mi chiede se non sia possibile avviare una cooperazione militare fra Italia e Grecia. Ove da parte italiana si riconoscesse tale convenienza, verrebbero concordati i limiti e gli oggetti della cooperazione.

Ho risposto esprimendo i ringraziamenti per il generale Papagos e il favorevole apprezzamento generale delle considerazioni che accompagnano la richiesta, e mi sono riservato di dare risposta alla domanda concreta che ha formato l'oggetto essenziale del colloquio, sulla base delle decisioni della S.V.

Per mia parte sono favorevole — in tutto ciò che non contrasti con gli accordi atlantici — alla collaborazione proposta, la quale è suggerita da comuni interessi dei due paesi e dalla convenienza di assumere nel Mediterraneo una parte corrispondente alle nostre naturali funzioni.

È superfluo mettere in evidenza la opportunità di una sollecita risposta.

Nel corso della conversazione l'addetto militare ellenico mi ha accennato alle incertezze sulla organizzazione militare del Mediterraneo e agli scarsi risultati delle conversazioni svolte ad Ankara tra il sottocapo di S.M. dell'Esercito greco e lo Stato Maggiore turco. Ha anche detto che la ripresa delle relazioni con la Jugoslavia non ha attenuato la forte diffidenza reciproca.

331 1 Minuta autografa.

333

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL CAPO DELLA MISSIONE NELLA R.F. DI GERMANIA, BABUSCIO RIZZO

L. SEGRETA 523 SEGR. POL. Roma, 4 aprile 1951.

Rispondo alle tue lettere n. 4617 del 14 dicembre u.s.1 e n. 2126 del 23 corrente2 relative alla cessazione dello stato di guerra fra Italia e Germania.

Abbiamo sempre tenuto presente quanto ci hai segnalato circa l'opportunità di non dare eccessiva pubblicità alla cosa e ti confermo che siamo anche noi del parere

2 Vedi D. 317.

di farla passare per quanto possibile inosservata. Ti renderai però conto che il decreto in questione occorre farlo per normalizzare la situazione giuridica ed evitare gli inconvenienti di varia natura, nel campo amministrativo e in quello giudiziario, che altrimenti non mancherebbero di verificarsi.

333 1 Non rinvenuto.

334

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 666/353. Ankara, 4 aprile 1951 (perv. il 12).

Ho fatto visita stamane al ministro degli esteri Fuad Köprülü e gli ho precisato ed illustrato il punto di vista del Governo italiano per quanto riguarda la forma della garanzia alla Turchia e alla Grecia in conformità alle istruzioni impartitemi col telegramma n. 2475/C. del 31 marzo u.s.1 .

Ho messo sopratutto in rilievo la coerenza dell'atteggiamento italiano fin dal momento in cui si cominciò a discutere del Patto atlantico. Noi abbiamo sempre sostenuto che il problema della difesa del Mediterraneo va considerato nella sua unità e che perciò non v'è posto che per una sola organizzazione difensiva, quella atlantica. Tutti i paesi mediterranei hanno uguale interesse e diritto di partecipare alla difesa comune su un piede di perfetta parità.

Il ministro Fuad Köprülü mi ha immediatamente risposto che la politica della Turchia coincide esattamente, nello spirito e nella lettera, con la politica italiana. Egli teneva a ringraziare vivamente il Governo italiano della comunicazione fattagli ed in modo particolare V.E., che non solo aveva sempre sostenuto la tesi dell'ammissione della Turchia e della Grecia al Patto atlantico, ma aveva avuto il coraggio di difenderla nelle riunioni diplomatiche e dinanzi all'opinione pubblica.

Anche il Governo turco ha l'impressione, mi ha detto il ministro, che il Dipartimento di Stato si orienti verso l'inclusione della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico e che venga scartata un'adesione americana al Tripartito del 1939 per il motivo da me accennatogli, e cioè di evitare delle precisazioni in merito al Protocollo aggiuntivo n. 2 relativo alla Russia.

Scendendo nel fondo della questione, specialmente per quanto riguarda il ritardo a risolvere il problema della garanzia, il ministro Köprülü mi ha detto che tale ritardo è imputabile alla mancanza di senso realistico in alcuni Stati del Patto atlantico. Su questo punto egli si era aperto francamente con McGhee e vi aveva altresì accennato nelle recenti dichiarazioni all'Assemblea nazionale, da me riferite in separato rapporto.

«Noi non siamo affatto contenti, mi ha detto testualmente Fuad Köprülü, del-l'atteggiamento che i nostri alleati, Inghilterra e Francia, tengono verso di noi. La loro condotta non è del tutto corretta, né essi sono stati del tutto franchi con noi. Essi non ci hanno detto interamente ciò che pensavano, mentre il nostro contegno verso di loro è stato pienamente leale. La verità è che a determinare l'atteggiamento inglese intervengono motivi di rivalità, preoccupazioni di prestigio ed interessi imperiali assolutamente anacronistici, giacché l'Inghilterra non ha la forza per giustificare e sostenere un tale atteggiamento. Perciò tutto è paralizzato. Me ne sono lamentato vivamente col generale Robertson. Una posizione di tal genere si giustificava cinquant'anni fa, oggi non più. In particolare l'Inghilterra vuole eliminare la Francia dall'organizzazione del Medio Oriente. La Francia critica aspramente l'Inghilterra, ma essa è animata dalle stesse preoccupazioni di interessi particolari. Su questo punto parlerò chiaramente a Morrison e a Schuman quando mi recherò a Strasburgo. Questa situazione non profitta che alla Russia. Guardate cosa sta succedendo nell'Iran. Se non si arriva ad un accomodamento con quel Governo, tra sei mesi la situazione sarà compromessa. L'Inghilterra ha commesso errori gravissimi. Dopo gli accordi dell'Aranco con l'Arabia Saudita non aveva fare altro che imitarne l'esempio.

Noi non abbiamo di vista che l'interesse generale della comune difesa. Questo interesse coincide col vostro. Ciò spiega la chiarezza delle nostre vedute e la sincerità della nostra politica. Ciò spiega altresì perché c'intendiamo così pienamente con voi.

Noi desideriamo, in conformità all'interesse generale, agevolare una politica di consolidamento nel Medio Oriente. In questo nostro atteggiamento si sospetta da alcuni una mira di egemonia e di prestigio. Noi non abbiamo in vista che la comune utilità. Oggi i nostri rapporti con gli arabi sono eccellenti. Essi hanno fiducia in noi. Possiamo perciò esercitare nei loro riguardi quell'azione comprensiva e chiarificatrice che né inglesi né francesi possono svolgere per il sospetto che suscitano le loro iniziative. V'è stato un momento in cui si sono verificati degli screzi tra noi e i paesi arabi al momento della nostra elezione al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. Dissi allora ai paesi arabi che col tempo avrebbero potuto giudicare della lealtà e sicurezza della nostra amicizia. Io sono paziente e tenace. Oggi gli arabi sono convinti di questo nostro atteggiamento. Tra breve verrà da noi Azzam pascià. È lui lo ha chiesto e la sua visita è stata voluta dal re Faruk. Noi ci varremo dell'occasione per esercitare un'azione moderatrice. E tale azione nel mondo arabo sarà tanto più efficace quanto più forte sarà la nostra posizione. Questo abbiamo spiegato agli americani e in particolare a McGhee, al quale abbiamo fatto comprendere che, una volta inseriti nel Patto atlantico, la nostra forza di attrazione nei riguardi dei paesi arabi sarebbe di gran lunga più efficace».

Per chiarire questo punto devo aggiungere che questo Ministero degli affari esteri, ed in particolare il segretario generale Akdur, ha sempre sostenuto che, una volta consolidata la Turchia con la sua appartenenza al Patto atlantico, essa costituirebbe per i paesi arabi un sicuro baluardo cui appoggiarsi in ogni evenienza. Sembra cioè ben chiaro che la Turchia vagheggi la possibilità, una volta inseritasi nel sistema di difesa occidentale, di assolvere la precisa funzione di centro di attrazione e di coordinamento dei paesi arabi, mediandone gli interessi con le potenze occidentali e diventando l'elemento stabilizzatore del Medio Oriente. Per questo motivo tiene alla presidenza della Commissione di conciliazione per la Palestina. Per questo essa intende stabilire dei rapporti diretti con la Lega araba. Né perde di vista la possibilità di estendere il suo raggio d'azione al più vasto complesso dei paesi musulmani, per sottrarli alla politica di adescamento comunista. A tal fine il Governo turco ha invitato a visitare la Turchia il presidente del Consiglio del Pakistan, Liyaquat Ali Khan.

Sono linee ancora vaghe di una politica che da tempo è presa in attenta considerazione, ma che attende, per tradursi in realtà, che sia definita la posizione della Turchia nei confronti delle potenze occidentali. Ora gli avvenimenti dell'Iran fanno sentire a questo Governo la necessità di affrettare questo lavoro di consolidamento e di coesione del mondo arabo, e possibilmente di quello musulmano, e perciò si accresce il disappunto di questi uomini politici per l'atteggiamento di alcuni paesi occidentali e specialmente dell'Inghilterra che, mentre provoca coi suoi errori un aggravamento della situazione in Iran, ritarda per ragioni di prestigio e di interessi imperiali, l'improrogabile organizzazione di questo pericolante settore.

A questo riguardo il ministro Fuad Köprülü mi ha segnalato l'articolo di fondo comparso sullo Zafer di questa mattina, facendomi chiaramente comprendere che esso è di ispirazione ministeriale. Lo Zafer è, come si sa, l'organo ufficiale del partito di Governo. L'articolo è una precisa accusa alla Francia e all'Inghilterra di essersi opposte, contrariamente allo spirito dell'alleanza, all'inclusione della Turchia nel Patto atlantico. Accludo il testo dell'articolo che è ben significativo degli umori di questo Governo2. In contrasto con l'atteggiamento dei due alleati, viene esaltata con parole di eccezionale rilievo la comprensiva politica di V.E. E questo riconoscimento dello Zafer è la conferma, anche sulla stampa, di quella piena coincidenza tra la politica turca e quella italiana, sulla quale ha così vigorosamente insistito stamane il ministro Fuad Köprülü. Questi mi ha pregato di ripetere fedelmente a V.E. quanto egli ha tenuto a dirmi, con lo stesso calore dei sentimenti che lo animano, verso il nostro paese e verso V.E. per l'appoggio che diamo, in queste difficili circostanze, alla Turchia.

334 1 Vedi D. 324.

335

IL SEGRETARIO GENERALI AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

TELESPR. SEGRETO 534/C. SEGR. POL. . Roma, 5 aprile 1951.

A seguito della lettera n. 511 del 3 aprile2 si comunicano le seguenti informazioni supplementari:

In data 22 marzo 1951 l'ambasciata a Washington informò che l'Associated Press aveva pubblicato la notizia che «il Governo italiano aveva fatto presente alle

335 1 Diretto per conoscenza alla Direzione generale degli affari politici. 2 Vedi D. 316, nota 4.

potenze occidentali che il riarmo dei satelliti balcanici aveva creato una situazione pericolosa per il Mediterraneo. Esso aveva in pari tempo suggerito indirettamente la revisione delle clausole militari del trattato di pace. Il Dipartimento di Stato, interpellato dalla stampa, rispose di condividere le preoccupazioni italiane per l'illegale riarmo dei satelliti, ma di non considerare questo il momento opportuno per qualsiasi discussione su eventuali rettifiche del trattato di pace. La risposta americana ha lasciato tuttavia strada aperta per abolizione clausole militari in un secondo momento ove Conferenza Parigi fallisca».

L'ambasciata a Washington confermò che era vivo desiderio del Dipartimento di Stato di non sollevare la questione della revisione, in considerazione della Conferenza dei sostituti a Parigi e di mantenere anzi il massimo riserbo al riguardo.

Abbiamo aderito al desiderio del Dipartimento di Stato di mantenere, per ora, il riserbo sulla questione; ma l'ambasciata a Washington fu pregata di invitare il Dipartimento di Stato a tenere presenti le reazioni sfavorevoli che susciterebbe in Italia una qualsiasi dichiarazione in senso negativo o che potesse come tale venire interpretata, data l'estrema sensibilità esistente nel paese su tale delicato argomento.

Il Dipartimento di Stato, rendendosi contro della delicatezza della questione, fece presente di aver voluto appunto perciò astenersi da qualsiasi dichiarazione negativa.

In data 2 corrente il Senato americano ha approvato la nota mozione Watkins, per la revisione di tutte le clausole militari del trattato del seguente tenore:

«È intendimento del Senato che gli Stati Uniti cerchino di eliminare dall'attuale trattato con l'Italia tutte le norme che impongono limitazioni alle forze militari italiane e che impediscono all'Italia di adempire agli obblighi nascenti del Patto nord-atlantico, di contribuire alla difesa dell'Europa fino al massimo delle sue capacità».

Si ricorda che nelle recenti conversazioni di Londra3 è stata ammessa, da parte inglese, la illogicità della situazione del nostro paese che, pur essendo nel Patto atlantico, è soggetto a limitazioni nel suo riarmo; c'è stato promesso di cercare di risolvere la questione nei limiti del possibile.

Nella stessa occasione è stato rilevato, da parte nostra, il pericolo di considerare la revisione delle sole clausole del trattato riguardanti l'armamento ma non delle altre, le quali presentano per noi importanti aspetti di ordine morale, ed è stato accennato che, generalmente parlando, il trattato di pace dovrebbe essere sostituito da altro strumento o da diversi altri strumenti.

334 2 Non si pubblica.

335 3 Vedi D. 298.

336

L'AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 1111. Madrid, 5 aprile 1951 (perv. il 9). Mio rapporto n. 1095/270 del 5 corrente1 .

Il colloquio con il generale Franco, insolitamente lungo e cordiale, ebbe come premessa da parte del Generalissimo la sua viva soddisfazione per vedere finalmente riportati alla normalità i rapporti con un paese che egli particolarmente amava e per il quale sentiva ed avrebbe sentito per tutta la sua vita riconoscenza profonda poiché gli era stato vicino nei momenti più difficili della sua lotta per ridare alla sua patria unità e libertà.

Aggiunse che vivamente sperava che a questa ripresa seguisse una più intensa collaborazione in ogni campo tra le due nazioni, unite da antichi indistruttibili vincoli e da un'amicizia che nessun mutamento politico o momentanee diversità di giudizio avrebbero potuto turbare mai. Il suo attaccamento all'Italia infatti non era stato mai intaccato da critiche che erano state fatte alla sua opera da uomini e giornali italiani, perché sapeva che la grande maggioranza della nazione italiana comprendeva il suo difficile compito e la sua opera, diretta sopratutto alla difesa della comune civiltà cristiana.

Entrando nell'argomento della difesa della nostra libertà e della nostra religione, accennò all'unione europea ed io sottolineai come tale idea fosse stata sostenuta sin dall'inizio dall'Italia e come ad essa il Governo italiano desse il più generoso appoggio al fine di ottenerne quella coesione delle nazioni europee indispensabile per resistere alla marea comunista.

Il Generalissimo Franco dimostrò subito il suo scetticismo per un assetto di «Stati Uniti d'Europa»; riteneva quanto mai difficile raggiungere un'unione concreta tra le nazioni europee specialmente nel campo economico. Vedeva come possibile soltanto un'unione ideologica che avrebbe dovuto permeare tutti i popoli senza snaturarne lo spirito nazionale. Quasi tutti i popoli erano stati per necessità primordiali legati a fattori che traevano origine dalla qualità della terra e dalla razza: non si poteva prescindere da tali necessità e bisognava basarsi tuttora sullo spirito nazionale e su quegli scambi che permettano di stabilire un sistema di vasi comunicanti tra i diversi paesi. Vi erano frontiere insopprimibili create dalla geografia e dalla storia, dall'economia e dalle qualità di razza.

Il problema più importante che assillava l'Italia e che accomunava l'Italia alla Spagna era per lui quello della sovrappopolazione, problema che non sembrava possibile risolvere soltanto con le forze nazionali, ma che doveva essere trasformato in un problema mondiale. Era necessario che tutte le nazioni (parve accennare all'O.N.U., ma si ritrasse) partecipassero allo studio del problema accentrando le loro forze sacrificando parte dei loro interessi pur di risolverlo.

Era questione di giustizia internazionale e di solidarietà umana. Per questo egli, in pieno accordo con i membri del Governo, ed accennò a Martin Artajo, aveva sempre dimostrato ai suoi amici dell'America latina la necessità di sostenere la tesi italiana nelle questioni coloniali, ed aveva considerato inopportuno e miope l'atteggiamento negativo della Gran Bretagna. Era assurdo voler mettere fine violentemente alla grande opera che l'Italia aveva svolto il Libia ed in Eritrea; era sommamente ingiusto non tener conto dell'opera civilizzatrice svolta dall'Italia nelle sue colonie e dei sacrifici di sangue e di denaro che tale opera le era costata. Territori portati ad un grado elevatissimo di civiltà sarebbero tornati indietro di 50 anni togliendo all'Italia uno sbocco per la sua sovrabbondante popolazione.

Mostrò d'interessarsi vivamente ai rapporti economici tra la Spagna e l'Italia pur sapendo che le due economie sono similari. Disse a Martin Artajo che bisognava trovare il modo di attivare gli scambi fra i due paesi per rendere effettivi gli accordi commerciali esistenti. Mi domandò cosa la Spagna potrebbe dare a compenso di macchine utensili e di altro materiale italiano, ed io accennai ai minerali del Marocco e delle Asturie.

Ritornati a parlare della difesa della comune civiltà accennai che anche la Spagna come il resto dell'Europa avrebbe dovuto premunirsi contro ogni prospettiva di aggressione. Egli riluttante sfiorò appena l'argomento. Si limitò a dire che se l'Europa si fosse veramente unita nella stessa ideologia verso lo stesso fine non vi sarebbe mai stata né aggressione né guerra. Una resistenza naturale e insormontabile sarebbe venuta dall'unione spirituale che avrebbe creato la necessaria reazione materiale. Era suo avviso che il pericolo vero, più che nei carri armati e nelle truppe di Stalin, fosse nella sua propaganda e nella forza propulsiva delle sue idee. Occorreva contrapporre ad esse idee nostre, ispirate ad un nuovo assetto sociale, basato anziché sul materialismo, sullo spirito e sulla morale del cristianesimo. Bisognava affrontare questo problema senza esitare con decisione e con coraggio; ad esso egli dava tutto se stesso quantunque incontrasse difficoltà che spesso sembravano insormontabili.

Parlò a tale proposito, apprezzandola, della politica della Democrazia cristiana italiana che sotto le guida del presidente De Gasperi aveva il coraggio di affrontare, in opposizione ai gruppi conservatori, problemi sociali di importanza decisiva. Accennò a tale proposito (e nelle sue frasi sembrava affiorare timido un accenno alla sua persona) che nei momenti difficili della loro vita i popoli dovevano affidarsi a pochi uomini che sapessero dirigerli con sincerità e disinteresse.

Volevo portare il Caudillo a parlare dei problemi più urgenti che assillano oggi la Spagna: quello della miseria del suo popolo, quello del suo riarmo. Ma egli schivava i due argomenti. Disse semplicemente che avrebbe fatto ogni sforzo per migliorare il tenore di vita del suo popolo per non far mancare all'operaio il necessario. Per anni e anni era riuscito a farlo, e da solo, non disperava del futuro. E mi chiese cosa facesse l'Italia. Risposi che il Governo nel quadro del piano Marshall faceva il massimo sforzo con i massimi sacrifici avviandosi a far da sé con risultati, specialmente nella ricostruzione, che meravigliavano il mondo. Il Governo italiano come il Governo spagnuolo voleva sopratutto dare dignità di vita al suo popolo, voleva che esso non mancasse mai del necessario. Ricordai una frase che il presidente De Gasperi disse al generale Mar shall: «Siate certo che il comunismo non trionferà mai in Italia se il nostro popolo operaio avrà sempre il suo pane quotidiano». Franco mi fece ripetere la frase.

Per portarlo a parlare, sia pure indirettamente, del Patto atlantico e di una partecipazione della Spagna alla difesa europea non trovai altro espediente che quello di accennargli alla recente rivista militare che aveva messo in rilievo la perfetta disciplina ed il comportamento marziale delle sue truppe. Il viso del caudillo si illuminò di colpo: disse che l'Esercito spagnuolo era efficiente e preparato, eccellente il soldato, l'ufficiale il migliore che si potesse desiderare. Tutti gli ufficiali erano stati passati al vaglio, i più erano stati sottoposti a rigorosi esami; a molti erano stati fatti ripetere i corsi dell'Accademia e della Scuola di guerra. Poteva dire con orgoglio che l'esercito spagnuolo aveva un inquadramento migliore di qualsiasi esercito europeo. Gli obiettai che le armi purtroppo non sembravano essere della stessa qualità degli uomini ed egli lo ammise, ma a malincuore. Poi avendogli dimostrato la necessità dell'America di fornire alla Spagna armi modernissime che raddoppiassero e triplicassero l'efficienza del suo Esercito, egli lasciò cadere il di scorso, notando soltanto con ingenuità forse voluta come durante la guerra civile l'Esercito spagnuolo impossessatosi di carri armati russi aveva saputi adoperarli contro i comunisti.

Il generale Franco portò poi il discorso su un piano ideologico-filosofico. Rilevò che le guerre non si erano mai concluse con una vera vittoria nel senso dell'ottenimento di un benessere e di una pacifica comprensione; che nell'ultima guerra la vittoria europea era naufragata in una sconfitta come era facile dimostrare che pertanto occorreva con ogni mezzo, a qualunque costo, facendo ogni sacrificio per il benessere dei popoli evitare nuovi conflitti che avrebbero avuto il solo risultato di nuove spaventose miserie; che egli pertanto faceva appello ad una comprensione e ad una cooperazione sincera fra le nazioni, alla generosità delle nazioni privilegiate verso quelle bisognose di aiuto per concretare una intima intesa, la sola che possa difendere la pace.

Questo il colloquio, che il Caudillo concluse con rinnovate dichiarazioni di amicizia e di buon volere verso l'amica nazione italiana e con auguri per il presidente della Repubblica, per il presidente De Gasperi e per tutti i suoi collaboratori nella sua difficile opera di Governo.

Rilevo mentre chiudo questa nota, e ho ancora nell'orecchio la sua voce bassa e soave, che la parte del discorso che più mi impressionò e che mi rende pensoso è quella che egli svolse con una strana forza di persuasione circa l'inutilità delle guerre.

Il Caudillo parlava con una incredibile serenità e con assoluto distacco come se tra gli altipiani della Nuova e Vecchia Castiglia protetti dalla catena dei Pirenei e il resto dell'Europa esistesse un insormontabile abisso: come se la Spagna appartenesse a un altro continente. E ricordando le dichiarazioni di due giorni fa di Martin Artajo2 e avendo sotto gli occhi le notizie dei giornali stranieri che parlavano ancora di una partecipazione attiva della Spagna alla difesa europea, mi pareva strano, quasi incredibile, trovare il capo dello Stato spagnolo nel suo spirito di neutralità e deciso

— così lo sentivo — con la sua abilità consumata a far l'impossibile perché la Spagna non rinunzi a quella sua tradizionale neutralità che per più di un secolo l'ha tenuta, talvolta con suo danno, fuori di ogni conflitto internazionale.

La mia impressione del Generalissimo Franco è quella di un uomo colto, al corrente d'ogni problema, rotto a tutte le astuzie, diplomatico raffinato, di grande vitalità sotto un calma assoluta e serena, di una ispirazione ascetica, che fa pensare più che a un generale ad un uomo di chiesa delle più grandi e antiche tradizioni.

Si ha l'impressione sinché si è con lui che il suo ottimismo sia basato su dati che egli crede incrollabili e ch'egli veda le cose dall'alto e che si senta guidato dal-l'alto, e che il compito di salvare la Spagna sia ancora soltanto il suo nel periodo di crisi che il mondo attraversa, e che egli voglia dare l'impressione che la politica attiva è fatta dai suoi collaboratori, che egli non ne è che il consigliere spirituale, mentre in effetti, usciti dal palazzo, e ripresi i contatti con l'industriale con il diplomatico e con l'uomo della strada, si sente che egli è la sola volontà che regge questo paese.

336 1 Riferiva sulla cerimonia della presentazione delle lettere credenziali.

336 2 Vedi D. 327.

337

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA 3985/2285. Washington, 5 aprile 1951.

Con mio rapporto n. 22731, ho cercato di tratteggiare vari colloqui avuti nel corso di questa settimana sul programma degli aiuti americani, e in particolare le conclusioni raggiunte da Webb e da Foster in relazione a tale programma dopo l'esposizione da me fatta loro degli elementi politici ed economici in gioco.

A lei tengo a dire che non mi sembra si possa ottenere di più da questo Governo, almeno nell'attuale fase. Gli amici americani hanno cercato di venirci incontro con una formula atta a dissipare le preoccupazioni dei nostri organi tecnici e confidano che essa possa servire ad incoraggiare il nostro Governo in quella continuazione di iniziative e di sforzi che è qui considerata come condizione essenziale per un adeguato potenziamento delle nostre forze armate e per una relativa corresponsione di aiuti da parte americana.

Ho tentato con tutti gli argomenti di ottenere una qualche dichiarazione di impegno per cifre maggiori e mi sono avvalso a tale riguardo anche del recente voto del Senato relativo alla revisione del trattato di pace e al riarmo italiano. Ho trovato purtroppo i miei interlocutori convinti della fondatezza delle loro cifre.

Del rapporto che ho sopra citato vorrei peraltro menzionare in particolare gli accenni a noi fatti alla somma di aiuti che stiamo ricevendo quest'anno e che riceveremo nel prossimo anno finanziario. Si tratta, in quest'anno, di più di 120 milioni già ricevuti e di 100 milioni assicurati a tutto il 30 giugno, per gli aiuti economici puri e semplici. Alla somma di circa 220 milioni deve aggiungersi quella relativa agli invii di materiale bellico manifatturato (i cosidetti end-items) per circa 300 milioni. Nel

l'anno fiscale prossimo si prevedono, tra aiuti normali (275 milioni) e end-items (600-625 milioni) circa 900 milioni di aiuti. Mi rendo conto che quelli in end-items, non entrando nel ciclo economico, sono facilmente dimenticati dai nostri organi finanziari. Purtroppo però, ci osservano gli americani, non altrettanto può dire il contribuente negli Stati Uniti che deve pagare per gli uni e gli altri tipi di aiuti.

Credo sinceramente, sopratutto dopo avere sviscerato a fondo il problema, con Foster e con Webb, che un nostro rifiuto di assumere un qualche minimo impegno per la continuazione dello sforzo, susciterebbe altrettanta sorpresa e reazioni nettamente negative. Non mi è possibile di qui giudicare le conseguenze di ordine tecnico ed economico che potranno derivare da nostri ulteriori impegni. È mio dovere soltanto segnalare i sentimenti di questo Governo che potrei così riassumere:

— piena comprensione degli aspetti economici e politici della situazione italiana;

— -convinzione che le nostre richieste corrispondono a una impostazione troppo pessimistica dei problemi tecnici e a una valutazione troppo ottimistica delle reperibilità delle materie prime sul mercato americano; — -desiderio di venirci incontro con una formula basata su criteri di flessibilità, che potrà rendere attuabile qualche revisione nell'ammontare degli aiuti, se necessario; — -desiderio che lo sforzo italiano venga concepito da parte nostra con una proiezione nel tempo non limitato ai prossimi 12 o 18 mesi.

Giudicherà lei sull'opportunità di recare tali concetti nettamente espressimi nei colloqui di questi giorni, nell'attenzione del presidente e degli altri nostri ministri competenti.

337 1 Non pubblicato.

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

T. 2708/42. Roma, 6 aprile 1951, ore 17,30.

Suo 521 .

Visita Papandreu avrebbe luogo durante mia assenza da Roma dovendomi recare Parigi 11 p.v. per negoziato finale piano Schuman. Beninteso venendo egli potrebbe avere contatti con ministro industria ed eventualmente altri ministri tecnici che saranno molto lieti incontrarlo.

V.E. tenga comunque presente e lasci costì comprendere che desiderio «semplificare struttura accordo e snellirne applicazione» non potrebbe condurre rinuncia da parte nostra neppure per anni prossimi a fornitura effettiva materie prime, in quanto ciò costituisce base essenziale per funzionamento accordo stesso2 .

2 Per la risposta vedi D. 341.

338 1 Vedi D. 328.

339

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON E ALLA LEGAZIONE A BELGRADO

T. SEGRETO 2709/C. Roma, 6 aprile 1951, ore 19,45.

(Per Belgrado) Ho telegrafato Londra, Parigi e Washington quanto segue:

(Per tutti) In eventuali colloqui costì circa questione albanese sollevata da stampa e Governo jugoslavo con fantastiche e inopportune accuse anche contro Italia pregola tener presente recenti dichiarazioni fatte da Rossi Longhi al Consiglio sostituti e istruzioni impartitegli da questo Ministero1 in vista stesse dichiarazioni. Da tali documenti risulta tra l'altro che nostro punto di vista collima sostanzialmente con quello jugoslavo circa convenienza che non si turbi situazione Albania. Saremo anche di sposti assumere iniziativa proporre che paesi N.A.T.O. dichiarino essere loro intenzione rispettare in ogni evenienza indipendenza e integrità Albania confidando che Jugoslavia e Grecia si associno tale dichiarazione.

340

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1025/424. Belgrado, 6 aprile 1951 (perv. il 9).

Durante una conversazione con questo ministro aggiunto Vejvoda, avente per scopo altri argomenti, questi ha accennato alla questione di Trieste in relazione alla eventuale conferenza dei quattro ministri degli esteri. Vejvoda ha prospettato la possibilità, che in mancanza di un accordo diretto tra Italia e Jugoslavia, i quattro ministri degli esteri potrebbero accordarsi per l'esecuzione del trattato di pace, e perciò per la effettiva costituzione del Territorio Libero di Trieste con la conseguente nomina di un governatore, soluzione, ha aggiunto Vejvoda, non conveniente in sostanza, né all'Italia né alla Jugoslavia.

Ho avuto l'impressione che Vejvoda abbia appositamente accennato a questo pericolo come «leva» per spingere il Governo italiano ad accettare la soluzione jugoslava del problema.

Vejvoda ha cercato, in sostanza, di «mettere le mani avanti», perché in definitiva, pensavo dentro di me, in una soluzione del genere avrebbe più da perdere la Jugoslavia che lascerebbe definitivamente la Zona B.

Una «leva» del genere sarebbe quindi assai più efficiente nelle nostre mani.

Mi sono limitato a rispondere a Vejvoda che indubbiamente un accordo diretto sarebbe desiderabile, ma che d'altra parte esso non era possibile se il Governo jugo slavo non avesse riesaminato il problema sotto l'aspetto della indubbia italianità, quanto meno della maggior parte, della Zona B.

Vejvoda ha accennato allora alle tesi care a questo Governo, bilancia etnica, colonie costituite in terra jugoslava, isole circondate da slavi, ecc.

È noto che, per giuocare particolarmente sulla fantasia americana, qui si suole fare il parallelo tra la massa degli italiani che vive a Brooklin e quelli che si troverebbero in Istria, e cioè in terra straniera. Come è noto il Governo jugoslavo respinge la tesi della «linea etnica» per sostenere quella della «bilancia etnica» che, secondo lui, dovrebbe portare al pari e patta attraverso l'assegnazione della Zona B alla Jugoslavia e della Zona A all'Italia.

Vejvoda mi ha accennato, come qualche altro in passato, che il Governo jugo slavo alla Conferenza della pace aveva sostenuto la tesi della «linea etnica» che però non era stata accettata.

Ho risposto a Vejvoda che ho l'impressione che quella tesi sia stata sostenuta in modo alquanto strano altrimenti la Jugoslavia avrebbe dovuto essere d'accordo nel lasciar all'Italia Fiume, Pola e perlomeno tutta la costa istriana: al che Vejvoda ha fatto richiamo usata ed abusata tesi delle colonie, delle isole, che evidentemente do vevano essere lasciate fuori dal computo.

La conversazione è poi tornata sugli argomenti oggetto della mia visita.

Come si vede, non vi è, almeno per ora, il minimo indizio di resipiscenza da parte jugoslava.

La questione si è invece piuttosto aggravata perché, a seguito delle recenti manifestazioni triestine e romane per il ritorno del T.L.T. all'Italia e della riconferma della Dichiarazione tripartita, mentre da parte responsabile jugoslava non si sono prese pubblicamente posizioni definitivamente intransigenti, nelle località principali della Zona B sono state tenute assemblee, con conseguenti messaggi a Tito, sulla volontà di quelle popolazioni di non staccarsi dalla comunità jugoslava, affermando fra l'altro che quelle terre non torneranno mai più all'Italia.

339 1 Vedi D. 278.

341

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4155/54. Atene, 7 aprile 1951, ore 14 (perv. ore 17). Mi riferisco al telegramma n. 42 della E.V1 .

Ho comunicato al presidente del Consiglio ellenico il benestare del Governo di Roma per la visita di Papandreu facendogli, naturalmente, presente le riserve contenute nel citato telegramma.

Sono stato ringraziato dal presidente del Consiglio, il quale mi ha detto che riterrebbe opportuno un previo incontro a Parigi di Papandreu con V.E., poiché infatti il ministro del coordinamento è sopratutto incaricato di esaminare le linee generali dell'esecuzione dell'accordo, il che importa ovviamente scambi di vedute con V.E. Qualora da tali incontri emerga la convenienza di ulteriori contatti del ministro del coordinamento con i nostri ministri tecnici, Papandreu si recherà successivamente nella capitale italiana.

Telegraferò nel senso sopraindicato a Papandreu a Parigi2 .

342

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 4174/57. Bad Godesberg, 7 aprile 1951, ore 18,25 (perv. ore 23).

Blankenhorn dettomi che Adenauer partirà per Parigi via aerea mercoledì in tempo per aver luogo scambio di idee con Schuman prima di inizio conferenza che avrà luogo giorno seguente. Confidasi che lavori potranno procedere abbastanza rapidamente e concludersi periodo quattro cinque giorni. Punto più delicato prossime trattative considerato questione Saar. Blankenhorn dettomi che Governo federale non solo considera inaccettabile ammissione Saar firma piano Schuman, sia pure come membro associato, ma esclude anche semplice menzione Saar protocollo finale Unione carbone-acciaio. Caso ratifica non solo blocco social-democratici ma anche defezioni suo stesso partito.

Con preghiera mantenere notizia strettamente confidenziale Blankenhorn ag giuntomi che Monnet, con il quale questione è stata discussa in questo senso in questi

giorni, resosi conto situazione e dichiaratosi favorevole esclusione Saar da firmatari piano Schuman. È probabile che si arrivi, e su ciò Governo federale sarebbe d'accordo, redazione protocollo separato nel quale Saar verrebbe dichiarata parte integrante territorio unione mineraria con rinvio definizione sua posizione al trattato di pace.

Circa progetti ventilati in ambienti politici tedeschi, e da me riferiti, intesi ad ottenere stabilimento in Germania capitale piano Schuman, Blankenhorn dettomi che trattasi aspirazioni assolutamente irrealizzabili e che Governo federale non prende nemmeno in considerazione.

Blankenhorn confermato vivo compiacimento Adenauer occasione che gli si presenterà incontrarsi con V.E.

341 1 Vedi D. 338. 2 Con T. 4207/55 del 9 aprile Alessandrini confermava la decisione di Papandreu di recarsi a Roma dopo aver incontrato Sforza a Parigi.

343

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL MINISTERO DEGLI ESTERI DI FRANCIA

NOTA. Parigi, 9 aprile 19511 .

Le Gouvernement italien remercie le Gouvernement français d'avoir bien voulu lui faire connaître, à l'avance, certaines idées au sujet des problèmes d'organisation du Plan Schuman qui doivent former l'objet de la prochaine réunion des Ministres des Affaires Etrangères.

Dans le même esprit, le Gouvernement italien croit de son devoir de porter à la connaissance du Gouvernement français les considérations qui se sont dégagées à ce sujet de la discussion au sein du Gouvernement même:

1) Conseil des Ministres.

Le Gouvernement français pense que, au sein de ce Conseil, les Ministres devraient avoir des voix pondérée, à savoir, deux voix pour la France et l'Allemagne et une chacun pour les autres pays.

Le Gouvernement italien est prêt à étudier toute formule qui puisse donner aux Gouvernements français et allemand, les plus grande producteurs d'acier sur le continent, toute garanti de protection de leurs intérêts, mais il craint de ne pas pouvoir accepter une formule d'après laquelle il serait pratiquement établi que les différents pays ont une autorité différente.

Le Conseil des ministres est la représentation directe des Gouvernements: or, dans toutes les institutions internationales, un principe est généralement accepté: que chaque pays, quelle que soit son importance, n'y dispose que d'une voix: le Comité des ministres du Pool charbon-acier ne saurait pas déroger à ce principe.

2) La Haute Autorité.

Le Gouvernement français pense que la Haute Autorité devrait être composée de cinq membres, dont quatre nommés d'accord par le Conseil des ministres et le cinquième choisi par cooptation.

Le Gouvernement italien croit de son devoir de faire savoir au Gouvernement français qu'il lui serait très difficile d'accepter n'importe quelle formule pour la Haute Autorité qui n'assurerait pas la présence d'un membre italien dans la Haute Autorité même. Il se rend compte qu'en réduisant à quatre le nombre des membres de cette Autorité il serait difficile de lui assurer cette présence: il serait donc d'avis que le nombre des membres devrait être porté à sept.

Le Gouvernement italien croit aussi devoir faire toutes ses réserves au principe de la cooptation.

Il est entendu que les membres de la Haute Autorité ne doivent pas être des représentants nationaux et doivent être des personnalités indépendantes. Ce principe a été adopté déjà par d'autres organismes internationaux, tels que l'U.E.P. et le Conseil exécutif de l'UNESCO: nous savons par expérience que, quelles que soient les qualités des personnes, ce principe peut, en fait, jouer seulement dans certaines limites.

Le Gouvernement italien a été, dès le début, d'accord sur le caractère supranational de la Haute Autorité. Mais le Gouvernement italien pense aussi qu'il s'agit d'un but à atteindre et qui difficilement pourrait être atteint dès le commencement. L'esprit supranational et européen est à faire. Le Gouvernement italien est sûr que la Haute Autorité saura, dans un délai très rapproché, s'assurer une position d'autorité au-dessus de tout intérêt purement national: mais, au moment actuel, la Haute Autorité doit encore se faire cette position.

Le Gouvernement français n'ignore pas toutes les oppositions qui existent, en France même, contre l'idée de l'autorité supranationale. Le Gouvernement italien estime qu'à ses débuts il serait, à toutes fins, utile de donner à la Haute Autorité une composition telle qui puisse donner une certaine assurance que les intérêts nationaux réels ne seront pas sacrifiés. Ceci est d'autant plus nécessaire pour les pays, comme l'Italie, dont la production d'acier et de charbon est relativement faible et dont la crainte de voir leurs intérêts sacrifiés à des intérêts plus puissants est facilement explicable. De l'avis du Gouvernement italien, il est nécessaire de tenir compte, dans l'intérêt même du succès du Plan, au début au moine, de tous ces éléments: les institutions du Pool charbon-acier pourront d'autant plus facilement être réarrangées dans la suite, au fur et à mesure que l'opinion publique et les intéressés se seront accoutumés à sa présence et à son fonctionnement.

3) Assemblée.

Le Gouvernement Italien est d'accord sur les idées du Gouvernement français.

En portant à la connaissance du Gouvernement français les considérations qui précèdent, le Gouvernement italien tient à assurer le Gouvernement français de son attachement à l'idée et au succès du Pool charbon-acier. Mais le Gouvernement italien tient surtout à s'assurer que le Pool charbon-acier, une fois signé, sera aussi ratifié par le Parlement italien. Or, il croit de son devoir d'attirer l'attention du Gouvernement français sur le fait qu'un pacte dans lequel les points 1 et 2 seraient maintenus d'après les idées formulées par le Gouvernement français a très peu de chances d'être ratifié par le Parlement italien.

343 1 Consegnata da Quaroni al ministro Charpentier.

344

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1515. Il Cairo, 9 aprile 1951.

Due parole sulla proposta La Terza di riconoscimento della Palestina araba alla Giordania, in cambio di effettive garanzie sui Luoghi Santi (telespresso urgente di Amman n. 05 del 21 marzo 1951)1 .

Dubito in primo luogo molto che re Abdallah possa decidersi a dare garanzie davvero effettive. Avete in secondo luogo tenuto conto delle inevitabili reazioni arabe? Le quali sarebbero certo vivaci. Vedo che La Terza non fa cenno di questo aspetto del problema. Sicché mi interesserebbe conoscere se effettivamente avete dato corso alla proposta, come parrebbe dal telespresso citato, ed in quali termini e con quali eventuali risultati2 .

Io sarei, tutto sommato, salvo circostanze che ignoro, per lo statu quo, o, se mai, per una semplice riserva comune da parte delle potenze cattoliche per la nomina del custode dei Luoghi Santi.

345

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 97/92. Londra, 11 aprile 1951, ore 18,30.

Il Rappresentante americano in seno al Gruppo di lavoro politico ha comunicato un telegramma da Belgrado secondo il quale la propaganda di Hoxha accuserebbe gli americani di connivenza con i greci per l'opera sovvertitrice contro l'attuale regime albanese. Il medesimo ha smentito tali accuse come prive di qualsiasi fondamento.

2 Vedi D. 368.

Da parte mia prendendo spunto dalla suddetta comunicazione ho creduto opportuno (anche in base alle istruzioni date all'ambasciata di Londra con il telegramma di

V.E. n. 2709/C.)1 di intrattenere personalmente Spofford per riconfermare il nostro punto di vista circa la situazione interna albanese e quanto riteniamo pericoloso l'ulteriore aggravamento della situazione stessa non soltanto perché ne seguirebbe una repressione sempre più radicale da parte di Hoxha ma anche perché da parte sovietica si potrebbe trarne un pretesto per l'ulteriore immissione e finanche intervento.

Spofford mi ha chiesto di voler comunicare al Consiglio dei sostituti non appena ne fossi in grado, quanto ci risulti circa le caratteristiche e gli sviluppi dei movimenti anti-Hoxha e la reazione del Governo albanese.

Qualora l'E.V. ritenesse opportuno aderire, gradirei avere delle informazioni in merito.

344 1 Vedi D. 313.

346

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA

TELESPR. RISERVATO 559/C. SEGR. POL1 . Roma, 11 aprile 1951.

Riferimento: Da ultimo telespresso 11/04498/C. del 23 marzo u.s. di questo Ministero2 .

Si trascrive qui di seguito, quanto l'ambasciata in Parigi, la legazione in Amman ed il consolato generale in Gerusalemme hanno rispettivamente riferito circa gli ultimi sviluppi della questione di Gerusalemme:

[riproduzione dei DD. 308, 313 e 323.].

Da quanto precede e dai precedenti rapporti in argomento, appare chiaramente che l'opportunità di una «riserva» da parte delle potenze cattoliche alla nomina del guardiano giordanico dei Luoghi Santi, ha lasciato molto perplesse le autorità di Parigi, Bruxelles e Madrid.

In tali circostanze e dato il tempo ormai già trascorso sembrerebbe che sia da scartarsi da parte nostra la formulazione di una semplice riserva, e ciò tanto più che l'astensione dalla cerimonia di investitura ha già costituito di per se stesso un non riconoscimento della nomina del guardiano.

Poiché, tuttavia, la situazione della Città Santa sembra essere sempre più pregiudicata anche in considerazione dei propositi israeliani di procedere ad una nomina analoga di un «custode» per i Luoghi Santi compresi nell'area della Città Nuova, ed in carenza di decisioni dell'O.N.U., si potrebbe forse prendere in considerazione l'opportunità che le principali potenze cattoliche, uscendo dalla posizione d'attesa

2 Non rinvenuto.

sinora mantenuta, si concertino per cercare di giungere ad una soluzione d'accordo con la Giordania e con Israele, prima che la situazione sia definitivamente pregiudicata. L'eventuale accordo potrebbe poi sempre essere riconosciuto dall'O.N.U.

Si prega codesta ambasciata di voler sondare il pensiero del Vaticano al riguardo e in particolare far conoscere quale accoglienza troverebbero presso la Segreteria di Stato una iniziativa del genere, che avrebbe lo scopo di tentare di salvaguardare gli storici diritti sui Luoghi Santi ereditati dalla Cristianità, permettendo al Vaticano di mantenere intatto il suo noto atteggiamento in favore dell'internazionalizzazione di Gerusalemme3 .

345 1 Vedi D. 339.

346 1 Diretto per conoscenza alle ambasciate a Bruxelles, Madrid e Parigi.

347

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 586/215. Amman, 11 aprile 1951 (perv. il 14).

Riferimento: Mio telespresso urgente n. 05 del 21 marzo c.a.1 .

Raghib pascià Nasciascibi — «custode» dei Luoghi Santi — è morto ieri a Gerusalemme, dopo lunga malattia.

Sorgerà così il problema della sua sostituzione.

Questo ministro degli esteri — in una conversazione avuta tempo fa col mio collega francese durante la quale si era parlato dell'eventualità di una successione di Raghib pascià — lo aveva assicurato che, in caso di morte del «custode», lui cercherebbe di non farne nominare un altro, almeno per un certo tempo.

Invece stasera già si fanno alcuni nomi fra i quali, si dice, sarà fatta la scelta del successore del defunto Nasciascibi.

Cadono così di colpo le nostre speranze di un lungo interregno nella nomina di un nuovo «custode» dei Luoghi Santi. Abdallah e gli inglesi proseguono imperterriti nel loro cammino di indebolire sempre più la posizione dei cattolici in Oriente.

Mi sembra, quindi, ora più che mai urgente di prendere netta posizione per evitare un maggiore sgretolamento dei nostri diritti su Gerusalemme.

Se mi è concesso avanzare una proposta, mi permetterei di suggerire di tenere la seguente linea di condotta:

1) dare istruzioni al nostro console di Gerusalemme di insistere presso i suoi colleghi rappresentanti di potenze cattoliche perché si astengano dall'intervenire alla cerimonia di investitura del futuro nuovo «custode», cerimonia che sarà indubbiamente fatta a tempo di record subito dopo la nomina, per evitare ai consoli di mettersi in contatto con i rispettivi Governi;

347 1 Vedi D. 313.

2) fare subito presso il Governo giordanico la protesta in via orale per la creazione e la nomina del «custode», e contemporaneamente iniziare le conversazioni per un accordo sui Luoghi Santi e Gerusalemme, come da me proposto in precedenza nella soluzione n. 2 del mio telespresso 170/31 del 17 gennaio c.a.2 .

346 3 Per la risposta vedi D. 351.

348

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A DAMASCO, NATALI

T. 2862/8. Roma, 12 aprile 1951, ore 20,30.

Suo 131 .

Sono state impartite istruzioni nostro ministro Tel Aviv dare consigli moderazione quel Governo, analogamente quanto fatto da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna.

V.S. voglia nei modi e limiti che riterrà più opportuni fare altrettanto qualora le consti che sia stata svolta costà simile azione.

349

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 4419/259. Parigi, 12 aprile 1951, ore 20,50 (perv. ore 21,30).

Stamane conversazione confidenziale con Schuman cui spiegai nostra assoluta necessità essere presenti Alta autorità. Non ne fu stupito. Lo parve invece per le mie obiezioni alla disuguaglianza formale dei ministri nel loro Consiglio.

Questo pomeriggio riunione plenaria che seguendo moda di Santa Margherita e Londra1 si trasformò presto in riunione segreta di noi sei. Salvo Adenauer, che parlò solo della Saar, gli altri tre espressero pensieri analoghi a quelli di me stamani seppure con minor fermezza.

Mia impressione è che Schuman comprese forza delle argomentazioni mie e dei miei colleghi. È vero che Monnet era fuori della stanza. Ti avverto che sulla riunione odierna ci siamo impegnati al segreto.

348 1 Del 6 aprile, con il quale Natali riferiva sui recenti scontri siro-israeliani. 349 1 Vedi DD. 233 e 298.

347 2 Non rinvenuto.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. 4495/263. Parigi, 13 aprile 1951, part. ore 8,19 del 14 (perv. ore 9,15).

Anche oggi lunga laboriosa seduta durante la quale spero aver strappato assenso generale alla soppressione della progettata disuguaglianza dei ministri nell'istituendo Consiglio ministeriale. Ma poiché ciò rimane connesso con gli altri problemi rimasti tutti finora sotto vivace discussione occorre conservare stretto silenzio.

Puoi far dire che la discussione prosegue intensa ma con reciproca leale franchezza.

351

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 388/230. Roma, 14 aprile 1951 (perv. stesso giorno).

Riferimento: Telespresso ministeriale 11 aprile 1951, segr. pol. 559/C. D.G.A.P. Uff. I1 .

L'idea di un passo collettivo delle potenze cattoliche presso il Governo di re Abdallah, relativo alla nuova carica di custode dei Luoghi Santi creata dal detto Governo, ha incontrato il favore della Segreteria di Stato.

Questa non dà grande importanza, per sé, al fatto che sia stata istituita la carica e perfino alla denominazione, per sospetta che sia, di cui è stata insignita: ma sarebbe costretta a dar la massima importanza, invece, a qualsiasi provvedimento, anche piccolo, che il nuovo custode prendesse nei riguardi delle regole che sono attualmente in vigore nei Luoghi Santi stessi, e principalmente di quelle che stabiliscono le proprietà, gli usi e i diritti delle varie confessioni cristiane che hanno adito culturale ai Santuari. Qualsiasi intromissione del custode in tale delicatissimo viluppo, anche se puramente confermativa di quant'ora è in vigore e non innovatrice, darebbe luogo ad un immediato intervento della Santa Sede.

Così fu, mi ricordò mons. Tardini, all'epoca del mandato britannico, quando una chiesa protestante, credo l'anglicana, che non aveva nessun posto nel culto dei Santuari, cercò di ottenerlo, valendosi delle autorità della potenza mandataria. La Santa Sede protestò presso il Governo di Londra, sostenendo che il mandato britanni

co era subordinato alla conservazione integrale dello status quo in tutti i Luoghi Santi; ed ottenne pieno riconoscimento della sua tesi.

È quindi naturale che la Santa Sede veda di buon occhio qualsiasi intervento di potenze, che tenda a riaffermare il principio dello status quo, mentre rimangono in sospeso, ma sempre valide, le decisioni dell'O.N.U. sull'internazionalizzazione della zona di Gerusalemme.

Ciò potrebbe, come ben si comprenderà, diminuire il pericolo che il custode giordanico si lasci andare a qualche provvedimento inaccettabile, ponendo la Santa Sede nella necessità, da lei sinceramente deprecata ma ritenuta inevitabile, di protestare.

E, a ben chiarire il pensiero della Segreteria di Stato, specifico che quest'ultima permane ben ferma sull'opportunità di mantenere intatto il progetto della internazionalizzazione. Non si tratta quindi di ottenere dal re Abdallah concessioni che rappresentino una variazione in progresso su quanto è attualmente in vigore, perché ciò costituirebbe un pregiudizio pericoloso per la validità della formula della soluzione integrale: si venderebbe la primogenitura, se pur incertissima, per un piatto di lenticchie. Basterebbe che il passo delle potenze fosse congegnato di maniera da provocare una risposta del Governo giordanico che costituisca un impegno diretto o indiretto, che il custode non si deve intromettere per nulla nelle questioni del regime attualmente in vigore dei Santuari.

Sarà possibile ottener ciò che, in definitiva, svuoterebbe formalmente la carica del signor Nasciascibi, di ogni contenuto che non sia quelle sorveglianze di natura poliziesca che tutti i Governi, e il turco più egregiamente forse di tutti, hanno esercitato fin qui?

Vien suggerito, dalla nostra rappresentanza, di negoziare e magari pagare questo vantaggio. Mons. Tardini mi disse, a tal proposito, che non era di sua spettanza dare consigli: ma compresi ch'egli, da esperto diplomatico, non ritiene facile la cosa; perché Abdallah non accetterebbe il poco, mentre il molto (p. es. il riconoscimento della Palestina annessa) comporterebbe ripercussioni tali, nel mondo arabo, nell'israeliano e fra le potenze più interessate, che renderebbe difficile, se non impossibile, gli inizi, non dico la felice conclusione, della pratica.

Ho raccontato a mons. Tardini le voci correnti su un passo israeliano all'Aja, per saggiare il terreno circa l'accoglienza che potrebbe trovare la nomina di un custode israeliano, come contrapposto al giordanico, per i Santuari che trovansi nella zona israeliana della Città Santa. La cosa lo interessò ed inquietò alquanto, se pure non sembri di attuale realizzazione. Espresse il parere che le voci sulle intenzioni dell'Israele potessero forse fornire lo spunto per l'intervento delle potenze cattoliche. Gli parlai anche di una specie di agenda e programma per la Settimana Santa, pubblicata dal custode giordanico, in arabo ed in inglese. Non la conosceva, e mostrò curiosità di esaminarla, per vedere se vi potesse trovare la causa e il pretesto per protestare contro l'attività del custode stesso. Questa agenda mi era stata passata in visione dall'ufficio cui mi rivolgo, e l'ho restituita. Sarei grato se mi potesse venir rimessa temporaneamente, per mostrarla alla Segreteria di Stato e studiarla insieme. A me, da un esame superficiale, non parve offrisse cagioni di critica. Tuttavia, se la si facesse spunto a una nota al Governo giordanico, è probabile che questi risponderebbe, difendendosi, che non v'è nulla, nell'opuscolo, che costituisca un'interferenza del custode nelle regolamentazioni e statuti vigenti dei Santuari; e tale negativa verrebbe ad essere un'ammissione indiretta che il custode non può variare nulla a ciò che esiste; mentre se avesse l'imprudenza di sostenere dei diritti del custode, ciò lo metterebbe in cattiva postura. Se non rispondesse, resta la nota che ha il proprio valore intrinseco.

Il mio collega di Francia, d'Ormesson, ha avuto con mons. Tardini una conversazione sul medesimo argomento. Gli ha comunicato che il Governo francese sarebbe in linea di massima disposto a fare una nuova manifestazione per lo status quo dei Santuari di Gerusalemme, riferendosi alla nomina od attività del custode; purché, d'accordo col Governo italiano, si trovasse il modo e l'addentellato opportuno. Si chiederebbe poi l'adesione dei Governi cattolici, in primo luogo Bruxelles e anche Madrid. Non credo che sarebbe poi difficile avere il Portogallo e l'Irlanda, se la Santa Sede ci mette una parola; e, con l'intervento del nunzio, Madrid dovrebbe superare le reticenze causate dalla sua politica araba e all'amicizia con Abdallah2 .

P.S.: Mi perviene in questo momento la notizia che Raghib Nasciascibi è morto. La nomina di un altro custode suo successore potrà forse dare lo spunto che cerchiamo al passo.

351 1 Vedi D. 346.

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. PER TELEFONO 4564/266. Parigi, 15 aprile 1951, ore 24.

Oggi aspra seduta dalle quindici a mezzanotte senza mai uscire. Urto finalmente avvenuto sopra scelta e numero dell'Alta autorità. Niente è deciso formalmente ma è acquisita di fatto la adozione di sette membri, il che garantisce l'italiano. Occorre domani trovare una transizione fra i sopra nazionali immediati e coloro che si oppongono troppo duramente. Per una formula da me adombrata Adenauer e Schuman mi hanno detto loro personale adesione. È molto ma era mezzanotte e già tutti in piedi. Domattina ho Consiglio d'Europa che permetterà loro di cercare una intesa in mia assenza. Conclusione forse domani notte.

Mi pare che puoi considerare acquisita la uguaglianza dell'Italia con Francia e Germania nel Consiglio dei ministri e la presenza di un italiano nella Alta autorità.

Ti prego di ordinare il segreto.

351 2 Per il seguito vedi D. 401.

353

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

T. 2980/44. Roma, 16 aprile 1951, ore 15,30.

Con corriere aereo inviasi documentato dispaccio relativo visita Papandreu e colloqui dal medesimo avuti a Roma, nonché con S.E. il ministro a Parigi1 .

Pregasi V.E., che vorrà utilizzare all'uopo elementi forniti da questo Ministero, far conoscere telegraficamente esito conversazioni ulteriormente tenute con codeste autorità e particolarmente se e quando (come richiesto con telespresso 04903 del 3 corrente)1 ritenga opportuno che accordo sospeso ricominci a funzionare2 .

354

IL MINISTRO A DAMASCO, NATALI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4596/14-15-16-17. Damasco, 16 aprile 1951, ore 19,25 (perv. ore 23,30). Suo telegramma n. 81 .

Cinque corrente questo presidente del Consiglio ha [convocato] rappresentanti diplomatici Stati firmatari dichiarazione tripartita2 e Stati arabi per denunziare aggressione sionista (mio rapporto n. 700/278 dell'8 corrente)3 .

Due giorni dopo ministri Francia e Inghilterra si sono recati da lui per dare, su istruzioni rispettivi Governi, consigli di moderazione. Il ministro americano Cannon, che aveva di sua iniziativa raccomandato prudenza e moderazione, non ha creduto ripetere raccomandazione stessa avendo constatato ferma e sincera determinazione da parte della Siria di evitare in ogni modo inasprimento conflitto.

Consigliere politico Commissione armistizio, che, in assenza presidente e vice presidente, entrambi ammalati, ha condotto trattative tra le due parti, attribuisce ad Israele responsabilità conflitto. Egli ha visitato, insieme osservatore politico, zona smilitarizzata dove ha constatato distruzione intero villaggio e atrocità danni locale popolazione araba. I predetti hanno dichiarato di avere trovato fin dall'inizio piena comprensione e arrendevolezza a Damasco; assoluta malafede e irriducibilità a Tel Aviv.

Questo Governo pur di giungere ad un accomodamento sarebbe stato disposto, previo ottenimento alcune legittime soddisfazioni, ritirare denunzia presentata

O.N.U. ed a rimettersi alle decisioni che potranno essere prese Commissione armistizio. Israele persiste invece su atteggiamento negativo e chiede innanzi tutto che zona smilitarizzata sia riconosciuta come facente parte suo territorio e quindi sottoposta sua esclusiva sovranità; richiesta questa che non può essere accolta da Commissione armistizio perché assegnazione territori compresi in tale zona sarà decisa solo in sede di regolamento generale dell'intera questione palestinese. Israele conta evidentemente su appoggio Stati Uniti d'America. Sarebbe però, a mio subordinato parere, nuovo grave errore se nel quadro politica americana venisse negata giustizia alla Siria colla quale solidarizzano, senza eccezione, tutti i paesi arabi.

In relazione istruzioni impartite col telegramma cui rispondo, ho fatto visita oggi questo presidente del Consiglio e ministro esteri che ho informato del particolare interesse con cui Governo italiano segue avvenimenti, sottolineandogli insieme importanza capitale che ha per noi tutto quanto concerne prossimo e medio Oriente.

Ho poi dichiarato al presidente che lo spirito di conciliazione da lui chiaramente dimostrato e le assicurazioni date ad altri rappresentanti diplomatici a Damasco, autorizzano a considerare come acquisita sua ferma decisione di giungere, in ogni modo, al regolamento pacifico del conflitto. Su questo suo spirito di conciliazione Governo italiano faceva pieno affidamento.

Ho dato questa forma alle mie dichiarazioni perché ho considerato superfluo suggerire consigli di moderazione a chi, fin dal primo momento, ne aveva dimostrata moltissima.

Presidente del Consiglio mi ha pregato ringraziare calorosamente V.E. per simpatia e molto apprezzate prove interessamento e mi ha dichiarato:

1) il Governo siriano ha dato chiare prove di moderazione; forse ne ha date troppe. Continuerà comunque ad attendere con lo stesso spirito nella speranza di giungere ad un regolamento per via diplomatica nel quadro dell'O.N.U.;

2) l'Esercito è disciplinato ed ha ordine tassativo di non muoversi. I suoi capi ne rispondono;

3) Israele non vuole evidentemente giungere ad un accordo pacifico. L'atteggiamento assunto verso la Commissione armistizio e violazioni che continua a perpetrare lo dimostrano chiaramente;

4) molte potenze hanno manifestato sincero interessamento e comprensione. Tutti i paesi arabi sono a fianco della Siria;

5) Governo ritiene che convincimento italiano buon diritto della Siria potrà giovare sua giusta causa;

6) Governo e paese attendono con ansia le decisioni che potranno essere prese domani dal Consiglio di sicurezza.

353 1 Non rinvenuto. 2 Per la risposta vedi D. 381. 354 1 Vedi D. 348. 2 Si riferisce alla dichiarazione anglo-franco-statunitense del 25 maggio 1950 relativa alla sicurezza nel Medio Oriente, edita in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 22, p. 348. 3 Non pubblicato.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. PER TELEFONO 4593/270. Parigi, 17 aprile 1951, ore 10,35.

Riunione di stanotte si prolungò fino alle due del mattino. Decisione importante fu di elevare i membri dell'Alta Autorità da sette a nove. Io approvai sia per tener conto del fatto che proponente era Adenauer il quale vedeva nell'aumento una migliore prova del carattere sopranazionale dell'Alta Autorità ciò di cui egli disse aver bisogno per creare un mito europeo fra i giovani tedeschi. Approvai anche perché aumento a nove garantisce per sempre la presenza di un italiano.

In mia lunga conversazione con Adenauer gli spiegai che il concetto europeo come motore dinamico era anche tuo e mio. Egli mi disse che spera venire molto presto a Roma.

356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. S.N.D. PER TELEFONO 4638/272. Parigi, 17 aprile 1951, ore 20,40.

Ultimati tutti gli accordi salvo quello per la Saar discusso invano oggi. Ma mi sembra inevitabile una intesa fra i due visto che abbiamo deciso firmare domani pomeriggio. Circa sede della istituzione si è accettata una mia formula che rinvia scelta a dopo le ratifiche studiando nel frattempo anche la creazione di un territorio neutralizzato. Ciò per evitare vari appetiti nazionalistici affiorati in questi giorni.

Ti confermo tutti i vantaggi da noi richiesti ed ottenuti.

Probabilmente partirò domani sera1 .

356 1 Il testo del trattato istitutivo della Comunità Europea Carbone e Acciaio, firmato il 18 aprile 1951, è in MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, vol. LXXIV, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1983, pp. 545-695.

357

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PERSONALE 4653/429. Washington, 17 aprile 1951, ore 21,15 (perv. ore 7,30 del 18). Mio 4261 .

Agenzie informano da Londra nostro passo revisione trattato pace «accoglienza non entusiastica». Ambienti ufficiali inglesi riconosciuto talune clausole trattato e specialmente quelle militari non sono in armonia con compito Italia quale membro Patto atlantico ma espresso giudizio momento non opportuno e metodo suggerito da noi non consigliabile. Stesso dispaccio conclude: «proposta conte Sforza viene interpretata qui come una manovra per ottenere appoggi alla coalizione governativa De Gasperi in prossime elezioni municipali italiane. Queste ragioni sono apprezzate ma osservatori Londra ritengono è stata scelta una via azzardata per ottenere voti».

Successivamente pubblicazione tale informazione, in conferenza stampa redattore diplomatico A.P. posto Acheson seguente quesito: secondo informazioni da Roma, conte Sforza avrebbe mandato qui circa due settimane fa un memorandum suggerendo che paesi Patto atlantico offrano patto non aggressione tutte nazioni compresi satelliti Russia2. Può dirci qualche cosa al riguardo? Acheson risposto: «Non so. Mi è pervenuto un rapporto circa una comunicazione che egli mi avrebbe fatto su trattato pace. Ho fatto ricerche e non ho trovato nulla al riguardo. Non posso rispondere domanda che mi avete fatto».

Altro giornalista posto quesito circa trattato pace e lettera V.E.3 .

Acheson risposto: «Ho detto non sono in grado rispondere. Sforza non inviatomi alcuna comunicazione circa trattato pace. Non so se si tratta stessa cosa o di altro. È quanto ho cercato e non ho trovato. Se vi riferite ad altro farò ricerche al riguardo».

Nel commentare suddette dichiarazioni McDermott e uffici Dipartimento rilevatoci che Acheson trovatosi imbarazzato ha confuso volutamente due questioni dati aspetti particolarmente delicati e natura strettamente personale lettera V.E.4 .

2 Vedi D. 326.

3 Vedi D. 280.

4 Per la risposta vedi D. 364.

357 1 Del 16 aprile, con il quale Tarchiani aveva comunicato: «Dipartimento di Stato ci ha informato che, in risposta a numerose richieste, ha dovuto precisare stampa non aver segretario di Stato ricevuto lettera analoga a quella diretta da V.E. a Schuman [vedi D. 220]. Lasciato intendere averne avuto confidenzialmente testo da Dunn».

358

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 476/354. Londra, 17 aprile 1951 (perv. il 20).

L'ambasciatore Spofford si è recato a Parigi venerdì 13 corrente per incontrarsi col ministro Van Zeeland, presidente di turno del Consiglio atlantico.

In tale occasione Van Zeeland ha esposto a Spofford le ragioni che a lui, quale ministro degli esteri del Belgio, sembrano militare a favore di una sollecita convocazione del Consiglio atlantico. Esse ci sono state confidenzialmente comunicate da questa delegazione belga, e possono indicarsi in breve come segue:

1) data la complessità e la varietà dei problemi che si pongono a una alleanza del tipo di quella atlantica, è opportuno che i supremi dirigenti dei vari paesi abbiano più frequenti occasioni d'incontrarsi;

2) l'opinione pubblica s'interessa assai limitatamente ai lavori degli organi permanenti civili e militari del N.A.T.O.: è perciò essenziale che di tanto in tanto la sua attenzione sia richiamata da riunioni degli uomini politici responsabili;

3) la riforma del N.A.T.O. è stata ormai concretata; sarebbe opportuno che il Consiglio atlantico si rendesse conto in pratica dei principali cambiamenti di struttura;

4) dopo alcuni mesi di continui lavori dei sostituti, sarebbe opportuno che i ministri degli esteri procedessero a uno scambio di vedute d'insieme su tutti i problemi in corso di trattazione;

5) tra tali problemi alcuni richiedono una decisione o una direttiva da parte dell'organo politico: così quelli relativi alla produzione e ai trasferimenti di armi, alle spese per i bilanci dei Comandi e per le infrastrutture. Ciò senza menzionare i problemi più strettamente politici, quali quelli del Mediterraneo (Grecia e Turchia), della guerra ideologica ecc., da porre all'ordine del giorno.

Un altro motivo che, nella mente di Van Zeeland consiglierebbe una prossima riunione del Consiglio atlantico è dato dal fatto che, [a] quanto ha comunicato l'ammiraglio Wright, lo «Standing Group» avrebbe intenzione di proporre una riunione a breve scadenza dei ministri della difesa. Van Zeeland riterrebbe che sarebbe opportuno si riunissero nella stessa occasione i ministri degli esteri, secondo la nuova formula del Consiglio atlantico.

Circa il luogo della riunione, Van Zeeland ha suggerito Washington: ciò sia per un atto di cortesia verso Acheson e Marshall, ambedue fortemente impegnati; sia perché nel prossimo ottobre è prevista un'altra riunione del Consiglio atlantico da tenersi a Parigi in occasione della sessione dell'Assemblea generale dell'O.N.U. e cioè anch'essa in Europa; infine perché sembrerebbe a Van Zeeland conveniente sentire il polso degli ambienti responsabili e dell'opinione pubblica degli Stati Uniti da cui dipende in così larga misura la realizzazione della politica atlantica. Qualora il Governo americano ritenesse preferibile che la riunione non si svolgesse a Washington, Van Zeeland suggeriva la scelta come sede, di Roma, che era stata già indicata come sede di un'eventuale riunione del Comitato di difesa.

Circa la data, Van Zeeland penserebbe che potrebbe essere fissata nell'intervallo fra la chiusura della pre-conferenza di Parigi e l'inizio delle riunioni dei ministri degli esteri dei quattro grandi che dovessero seguire.

A quanto ha fatto sapere la delegazione belga, Spofford, parlando in qualità di sostituto americano, non avrebbe fatto obiezioni alle idee di Van Zeeland. Egli si sarebbe limitato a far rilevare la convenienza di attendere la conclusione dei lavori della Conferenza per l'Esercito europeo, nonché un maggior avanzamento degli studi in corso al Consiglio dei sostituti in materia finanziaria.

Quanto alla località ha affermato di non sapere se il Governo americano avrebbe gradito che la riunione si tenesse a Washington.

359

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI, GRAZZI

T. SEGRETO 4665/276. Parigi, 18 aprile 1951, ore 16 (perv. ore 17,15). Suo 1801 .

Negoziati si sono subito scontrati notevoli difficoltà per diversa interpretazione verbale Santa Margherita2. Mentre delegazione italiana seguendo istruzioni ha offerto 300 milioni franchi francesi conto arretrati e 20 conto annualità correnti da raggiustarsi in più o meno sede Conferenza delegazione francese e Comitato sostengono doversi prendere base conteggi accordo Roma con eventuali riduzioni che Comitato sia disposto concedere. Circa versamento 395 mila obbligazioni Comitato è disposto riconoscerlo purché valore dette obbligazioni da convenirsi venga utilizzato sgravio arretrati in aggiunta 300 milioni predetti. Indipendentemente da interpretazione verbale Santa Margherita è evidente conteggi basati su gravose clausole finanziarie accordo Roma e tendenti transigere su saldo e non stabilire acconto debbano giungere risultati fortemente diversi da nostre offerte. Delegazione è di avviso:

1) che si debba insistere su nostra interpretazione verbale che sembrami esatta;

2) che si debba declinare offerta riacquisto obbligazioni da parte Comitato che ci esporrebbe non solo grave difficoltà stabilirne prezzo ma anche pagamento arretrati in misura eccessiva insistendo nostra richiesta per semplice dichiarazione Comitato adesiva nostro punto di vista;

3) che viceversa ferma restando offerta massima 400 milioni conto arretrati si debba aumentare offerta conto annualità correnti fino a raddoppiarla tenendo conto trattarsi pagamento scaglionato lungo periodo cui ammontare anche se raddoppiato costituirebbe onere lieve bilancio.

Non sono sicuro che su basi predette possa raggiungersi accordo anzi ne dubito perciò Comitato mira stabilire intese bilaterali sufficientemente vantaggiose per per-mettergli fronteggiare resistenza collettiva suoi debitori seno Conferenza se questa avrà luogo oppure raggiungere su base bilaterale sistemazione problema se Conferenza non avrà luogo. Tuttavia aumento nostra offerta conto annualità correnti migliorerebbe posizione italiana eliminando sola critica che potrebbe ragionevolmente esserci mossa. Tale riguardo permettomi richiamare attenzione su incondizionato appoggio dato da Governo francese al Comitato che si manifesta con partecipazione rappresentanti Governo nel negoziato e loro dichiarazioni circa importanza che Governo francese attribuisce ad atteggiamento italiano nel quadro complessivo relazioni politiche tra due paesi. Prego telegrafarmi urgenti istruzioni3 .

359 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 233.

360

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

T. S.N.D. 4694/434. Washington, 18 aprile 1951, ore 20,18 (perv. ore 9,45 del 19).

Al Dipartimento ci è stato fatto intendere in via confidenziale che: Acheson considerato lettera ministro1 come «consultazione» strettamente personale tra ministro e lui e si era quindi astenuto darne notizia altri Governi membri Patto atlantico.

Questione sottoposta esame vari uffici competenti scopo raccogliere elementi per risposta e accertare principali riflessi eventuale iniziativa del genere e cioè:

1) effetti politica generale nei confronti sia opinione pubblica mondo occidentale sia direttive e scopi politica sovietica;

2) inquadramento iniziativa nel complesso dell'organizzazione politico-giuridica occidentale (Carta Nazioni Unite, Patto atlantico, tesi sostenute a Conferenza sostituti Parigi e loro eventuali sviluppi futura Conferenza quattro ministri esteri).

Amichevolmente ma chiaramente dettoci che informazioni stampa da Roma hanno complicato situazione. Dipartimento, tuttora privo informazioni ufficiali, ritie

ne che, come in precedenti occasioni segnalate da Dunn, indiscrezione derivi da nostre considerazioni politica interna e internazionale.

Si sente anche qui necessità riprendere iniziativa su terreno politico generale rispetto sovietici ma si ritiene ciò debba avvenire soprattutto con «fatti concreti». Governo americano ha da parte sua dimostrato volontà pace con decisione rilevare Mac Arthur da Comitato Estremo Oriente nonostante previste gravi ripercussioni interne e internazionali tale atto.

Ci è stato poi osservato che indiscrezione mette serio imbarazzo Governo americano sotto tre aspetti:

a) nei confronti opinione pubblica mondiale (compresa quella italiana) in quanto fa ricadere su di esso responsabilità decisione;

b) nei confronti altri paesi Patto atlantico che non sono stati previamente consultati;

c) nei confronti Russia che può approfittare rivelazione per compiere nuove manovre.

Data natura confidenziale conversazioni abbiamo da parte nostra osservato a titolo personale:

a) in assenza comunicazioni fonte ufficiale è prematura qualsiasi induzione su natura e ragioni informazioni provenienti Roma;

b) comunque non potevasi non riconoscere che iniziativa ministro ha certamente scopo collaborare con Governo americano e altri Governi democratici per controbattere attività politica sovieti;

c) rivelazioni Roma possono offrire utilissimo spunto per ulteriori sviluppi iniziativa da parte Stati Uniti, che hanno loro attivo così nobile e efficace solidarietà internazionale.

Comunico quanto sopra per esteso perché ho sensazione possa essere oggetto passo Dunn2 .

359 3 Con T. segreto 3091/199 del 19 aprile Grazzi rispose: «Per sue proposte, d'accordo. Ho chiamato consigliere francese per attirare sua attenzione su errata interpretazione Santa Margherita e prevenirlo che cifre definitive che V.S. starà per presentare costituiscono ultima definitiva offerta Governo italiano».

360 1 Vedi D. 326.

361

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 4703/248. Londra, 18 aprile 1951, ore 22,12 (perv. ore 6,30 del 19).

Oggi ho fatto a Morrison prima visita ufficiale che, estendendosi oltre limiti normale cortesia, mi ha dato possibilità intrattenermi con lui anche questione trattato di pace di cui a lettera dell'E.V. a Schuman1 .

361 1 Vedi DD. 220 e 331.

Segretario di Stato ha tenuto sottolinearmi importanza da lui attribuita a visita presidente del Consiglio e V.E.2 oltre che per suoi risultati anche perché valuta appieno il peso che si attribuisce in ambienti politici inglesi a conoscenza diretta personalità che reggono le sorti di paesi con cui Gran Bretagna è strettamente legata. Morrison è stato particolarmente lieto rinnovare con V.E. a Parigi contatti stabiliti a Londra e si è dimostrato molto sensibile a franchezza e spirito comprensione cui sono stati improntati loro scambi di vedute a Parigi.

Ho esposto a segretario di Stato nostro punto di vista circa trattato pace ed egli ha consentito con mie considerazioni, assicurandomi che prenderà questione in esame colla maggiore simpatia. Morrison ha aggiunto che naturalmente su tale questione è necessario per parte britannica il più stretto collegamento con Parigi e Washington e che, specie in attuale fase rapporti U.R.S.S.-Occidente, occorre procedere con ogni ponderatezza nell'interesse stesso degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Egli aveva rilevato pubblicazione larghi brani lettera su New York Times e, sia pure con molta forma, ha posto l'accento su necessità che nostri contatti in argomento con Foreign Office non abbiano a formare oggetto indiscrezioni giornalistiche3 .

360 2 Per la risposta vedi D. 365.

362

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4709/118-119. Mosca, 18 aprile 1951, part. ore 0,30 del 19 (perv. ore 6,30). Mio n. 1121.

Ho avuto oggi un colloquio con Bogomolov nel quale è stata trattata la questione delle riparazioni. Ho fatto al riguardo presente che non ravvisavo più l'utilità del proseguimento delle conversazioni e che gli esperti da troppo tempo ormai assenti avrebbero presto dovuto rientrare. Ho prospettato a Bogomolov che l'ultima proposta russa 15 condizionata a nostra 100 stava a dimostrare l'impossibilità di un accordo qualunque di sostanza sulla cifra.

Bogomolov non ha mancato di ripetere i soliti argomenti cercando dimostrarmi che la proposta suddetta rappresentava una concessione notevole ed un segno di buona volontà. Egli ha soggiunto da una parte che resta in attesa di una proposta sotto i 100, dall'altra ha dato l'impressione di voler rompere i negoziati.

Dinanzi al mio replicato avviso che avrei fatto rientrare gli esperti, egli ha alla fine reagito osservando che ciò avrebbe potuto determinare dannose conseguenze per

3 Per la risposta vedi D. 363. 362 1 Del 20 aprile. Non pubblicato, ma vedi D. 306.

l'Italia nel campo economico e che il Governo dell'U.R.S.S. si riservava esprimere il suo apprezzamento sulla linea di condotta italiana in confronto del trattato di pace ed accordo di Mosca.

Ho replicato che consideravo la nostra posizione assai forte e che non avrebbe recato giovamento a nessuno uno scambio polemico di note. Dopo ripetizione dei soliti argomenti, sorrisi e minacce vaghe del tipo suddetto, Bogomolov con insuperabile ostinazione ha in definitiva ripetuto, nonostante i miei precisi dinieghi, che rimaneva in attesa di nuove proposte da parte italiana. Mi sembra in tale situazione inutile di proseguire lunedì 21 aprile — salvo contrarie istruzioni di V.E. — conversazioni nostri esperti.

Qualora il Governo sovietico facesse di sua iniziativa richiesta di una nuova seduta insisterò perché formuli proposte di carattere sostanziale e serie con astensione da parte nostra di nuove concessioni unilaterali. Tutto lascia prevedere allo stato delle cose un insuccesso delle trattative, insuccesso che secondo i chiari accenni di Bogomolov, potrà essere probabilmente seguito da una energica reazione russa dovuta a vivo disappunto per la mancata conclusione.

361 2 Vedi D. 298.

363

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

T. S.N.D. 3112-3113/139-140. Roma, 19 aprile 1951, part. ore 0,30 del 20.

Appena tornato da Parigi trovo suo telegramma n. 2481 .

Ho apprezzato gli affidamenti datile da Morrison. Concordo pienamente con lui circa necessità riservatezza estrema per qualsiasi contatto confidenziale. Egli avrà veduto che mia lettera a lui circa un problema di politica interna rimase un segreto assoluto2 .

Ma la prego dirgli con uguale franchezza che sono contento di quanto è avvenuto perché ha calmato ansietà nazionale che temeva noi non ci occupassimo del problema.

Ciò ha ben sentito Schuman con cui ho ripreso la discussione durante la mia recente dimora a Parigi confermandogli che noi non pretendiamo una iniziativa diplomatica immediata ma ben possiamo attenderci una pubblica manifestazione di simpatia in proposito che andrebbe al cuore di tutti gli italiani.

Morrison gradirà forse sapere che alla riunione di Parigi i sei ministri sono stati sempre ansiosi di evitare qualsiasi frase nel trattato che potesse rendere più difficile un giorno adozione britannica3 .

2 Vedi D. 331.

3 Si riferisce ai lavori della Conferenza per il piano Schuman, vedi DD. 349, 350, 352, 355 e 356.

V.E. può anche aggiungergli che nelle mie conversazioni con i principali colleghi io ho espresso avviso che non dovremmo neppure escludere che invece di una adesione sarebbe più facile per l'Inghilterra concludere una serie di intese pratiche con l'Alta Autorità lasciando il resto all'avvenire.

363 1 Vedi D. 361.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3114/158. Roma, 19 aprile 1951, part. ore 0,30 del 20.

Suo 4291 che vedo appena tornato da Parigi.

Stampa britannica ha nel complesso accolto favorevolmente iniziativa revisione ed alcuni grandi quotidiani, come Daily Telegraph, ne hanno rimarcato tempestività. Radio britannica ha diramato notizia che Foreign Office sta studiando comunicazione italiana e ricorda argomento formato oggetto recenti conversazioni italo-britanniche. Redattore diplomatico radio britannica ha commentato che scopo iniziativa sia quello di «place on record» punto di vista italiano momento in cui trattati di pace sono di scussi dai supplenti. Morrison ha ieri dichiarato a Gallarati Scotti che questione revisione sarà presa in esame dal Governo inglese con la massima simpatia.

Con telegramma in chiaro inviole testo intervista accordata da me oggi al Corriere della Sera in cui è chiarito origine e scopi della mia proposta. Ne dia comunicazione a mio nome al Dipartimento di Stato cui dirà anche che a Parigi ove ho parlato anche di questo problema si è ben capito che noi non pretendiamo affatto una immediata iniziativa diplomatica ma delle tangibili manifestazioni di simpatia per un problema che sta a cuore a tutti gli italiani.

La prego di dichiarare con tutta franchezza che non sono dolente dell'articolo perché nessun Governo affronta certi problemi psicologici se non sono agitati dalle opinioni.

364 1 Vedi D. 357.

365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3115/159. Roma, 19 aprile 1951, part. ore 1 del 20.

Suo 4341 che leggo appena tornato.

Indiscrezione fatta in mia assenza da Cianfarra contiene spunti di accenni generici da me fatti prima della mia partenza in ristretta e riservata riunione con esponenti politici, esaminando mezzi d'azione per controbattere attività comunisti e neutralisti in Europa. V.E. dica quindi nettamente al Dipartimento di Stato che ogni illazione circa «natura e ragioni» della indiscrezione è inesatta. Con la dichiarazione del portavoce del Dipartimento di Stato che la mia proposta è allo studio — dichiarazione che è stata qui riportata ampiamente dalla stampa — questione può quindi ritenersi esaurita nell'attuale fase.

Aggiunga anche che lo stesso comportamento nostra stampa, che ha sottolineato carattere anticomunista e antineutralista dell'iniziativa prova che l'indiscrezione non solo non ha creato complicazioni o imbarazzi sul piano internazionale ma può offrire possibilità di ulteriori sviluppi, come giustamente ella ha già fatto osservare.

Acheson sa da quanto gli dissi a New York quanto mi dolevano le lacune della nostra azione psicologica. Egli consentì meco. A Parigi eminenti personalità francesi e anche americane si sono tutte espresse meco sulla necessità di qualche iniziativa. Io agisco almeno con delle proposte come ho provato anche con idee concrete che ho comunicato giorni fa al Comitato dei sostituti a Londra le quali per fortuna non hanno fatto oggetto di indiscrezioni ma che spero Spofford sottoporrà ad Acheson2 .

366

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 4777/122. Mosca, 19 aprile 1951, ore 22,50 (perv. ore 7,10 del 20).

Riferimento telegrammi 118 e 119 di questa ambasciata1 .

La situazione delle trattative sulle riparazioni, dopo il colloquio che ho avuto ieri con Bogomolov è stata oggi discussa e chiarita con gli esperti. Rimane ancora da vedere, fermo restando richiesta visto lunedì 23 corrente, se ci convenga o meno, nel

2 Per la risposta vedi D. 371.

l'intervallo fra tale richiesta e l'effettiva partenza degli esperti, provocare noi nuovo incontro con russi al fine di fare un ultimo tentativo di accordo nei limiti di cui al telespresso 21276/135 del 10 novembre 1950 di codesto Ministero2 .

Le nostre attuali posizioni, secondo il trattato e l'accordo, sono giustificate e forti, ma esse non escludono un'ultima e completa esplorazione degli intendimenti finali dell'U.R.S.S. in linea pratica. Sulla convenienza di compiere ancora un tale ultimo passo, la decisione dipende dalla valutazione di varie circostanze le quali rendono oggi più o meno desiderabile un accordo alla condizione anzidetta.

In linea di massima io rimarrei di avviso che convenga esaurire fino in fondo qualsiasi possibilità di accordo.

Mi rendo peraltro conto degli elementi in senso contrario, compresi quelli di cui alla mia lettera n. 500/180 dello scorso 5 marzo2 ed una valutazione finale non può che spettare all'E.V.

Quindi, nel rispondere3, con cortese sollecitudine, al mio telegramma in riferimento, prego di tener conto di quanto precede, nonché di farmi sapere se ci convenga di fare ancora, in extremis, il sopra indicato tentativo, ovvero di rimanere del tutto passivi facendo partire, appena possibile, gli esperti.

365 1 Vedi D. 360.

366 1 Vedi D. 362.

367

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A GEDDA, TURCATO

T. 3141/20. Roma, 20 aprile 1951, ore 21.

Suo telespresso 1401 .

Con riferimento dichiarazioni emiro Elbede a Casali voglia comunicare Governo yemenita che Governo italiano desideroso consolidare amichevoli relazioni esistenti tra due paesi è lieto stabilire rapporti diplomatici con l'Imam. Aggiunga inoltre che al fine fare comunicato in proposito attendiamo conferma ufficiale da Taiz, e che circa scambio rappresentanti ci rendiamo conto difficoltà Governo yemenita e siamo disposti accreditare nostro rappresentante Yemen senza reciprocità per ora. Riservo ulteriori comunicazioni circa questione sede.

3 Vedi D. 370. 367 1 Non rinvenuto ma vedi D. 245.

366 2 Non pubblicato.

368

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

L. SEGRETA 619 SEGR. POL. Roma, 20 aprile 1951.

Relativamente a quanto mi scrivi nella tua lettera n. 1515 del 9 corrente1, t'informo che la proposta avanzata tempo fa da La Terza di negoziare garanzie dalla Giordania per la protezione dei Luoghi Santi in cambio del riconoscimento dell'annessione della Palestina araba non ha avuto alcun seguito e sono d'accordo con te circa l'inopportunità di sollevare ora una questione che provocherebbe le reazioni degli altri Stati arabi.

Abbiamo invece sondato Parigi, Madrid e Bruxelles circa la riserva per la nomina di un custode dei Luoghi Santi, ottenendo risposte esitanti.

Al proposito Quaroni2 ha fatto presente che, secondo il Quai d'Orsay, l'assenza dei consoli cattolici dalla cerimonia dell'investitura è stata già una chiara manifestazione di protesta e che pertanto, fare ora, a freddo ed a parecchia distanza di tempo una «riserva orale» non sembra strettamente necessario. Il Quai d'Orsay ad ogni modo si è riservato una risposta dopo avere interpellato i propri rappresentanti ad Amman (donde il rapporto di La Terza n. 05 del 21 marzo u.s.)3 a Tel Aviv e sopratutto alla Santa Sede ed all'O.N.U.

Anche noi abbiamo, intanto, nuovamente sondato il Vaticano4 che si è espresso in senso favorevole alla «riserva», intesa sopratutto a mantenere intatto lo status quo affermando l'inammissibilità di interferenze da parte del custode giordanico in tutto quello che sono regolamentazioni ed usi tradizionali concernenti i Santuari della Cristianità.

Mi riservo di tenerti informato degli eventuali sviluppi della questione.

369

L'INCARICATO D'AFFARI A BONN, ALVERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2788/849. Bonn, 20 aprile 1951 (perv. il 24).

Riferimento: Telespresso n. 16/05098/C. del 4 aprile e n. 42/05360/C. dell'11 aprile 19511 .

Ho effettuato stamane a Blankenhorn, appena rientrato da Parigi, la comunicazione prescrittami circa la cessazione dello stato di guerra con la Germania e la prossima ema

2 Vedi D. 308.

3 Vedi D. 313.

4 Vedi D. 351.

nazione del decreto con cui si provvederà a sanare la situazione dei cittadini e dei beni germanici in Italia. Il segretario generale dell'Auswärtiges Amt ha espresso soddisfazione per l'iniziativa del Governo italiano e per il carattere puramente giuridico ed amministrativo che si è voluto conferire al provvedimento, a scanso di eccessiva pubblicità.

Sull'aspetto giuridico della questione della cessazione dello stato di guerra mi ero precedentemente intrattenuto, in assenza del prof. Kaufmann, consulente giuridico dell'Auswärtiges Amt, con il suo sostituto, dottor Partsch.

Questi mi ha assicurato che il problema era stato a più riprese esaminato e che, a prescindere da ogni considerazione di merito politico, il Governo federale aveva convenuto che l'esistenza dello stato di guerra fra Italia e Germania, quale condizione di diritto e di fatto determinatasi dopo la consegna della nostra dichiarazione di guerra al Governo tedesco per il tramite dell'ambasciata di Madrid, non poteva in nessun caso essere misconosciuta. Era stata anzi esaminata la possibilità di riferirsi, nel preambolo della legge tedesca per la cessazione dello stato di guerra ora all'esame del Parlamento, non solamente alle potenze alleate ed associate, ma anche «a tutti gli altri Stati con cui il Terzo Reich si fosse venuto a trovare in stato di guerra», di modo da includere esplicitamente l'Italia quale potenza cobelligerante. Tale possibilità fu poi scartata per motivi puramente formali, essendosi ritenuto che agli effetti della cessazione dello stato di guerra gli Stati cobelligeranti potevano nella nomenclatura essere pienamente assimilati alle potenze alleate ed associate.

Che l'Italia poi non figuri in alcuno dei testi tedeschi sulla condizione dei cittadini nemici ora da abrogarsi e come tali allegati al progetto di legge in questione, è da attribuirsi alla assenza di qualsiasi discriminazione nei riguardi dei cittadini italiani nella legislazione del Terzo Reich. Circostanza che è logica conseguenza del non riconoscimento a suo tempo da parte del Terzo Reich dell'esistenza di uno stato di guerra con l'Italia; di modo che il Governo tedesco, considerando come rappresentativo dello Stato italiano il Governo della Repubblica sociale italiana, continuò a trattare, limitatamente ai rapporti giuridici, gli italiani alle stregua di cittadini di uno Stato amico. Tutte le ricerche finora fatte negli archivi del Ministero della giustizia tedesco per rintracciare eventuali disposizioni discriminatorie nei riguardi degli italiani, sia pure italiani aderenti al Governo legale del sud, hanno dato esito negativo. Né, a parte i militari internati sottoposti alle convenzioni internazionali di Ginevra sui prigionieri di guerra, esistette o poté esistere nel Terzo Reich una categoria differenziata di italiani aderenti al Governo del sud, suscettibile di essere colpita da sanzioni discriminatorie: in quanto la massa dei civili italiani fu subito considerata dipendente dall'unico Governo italiano allora riconosciuto in Germania.

Le ricerche saranno continuate per accertare se eventualmente qualche disposizione non sia sfuggita all'esame, e la riserva contenuta nel progetto di legge in parola, per cui il ministro della giustizia federale ha facoltà di includere successivamente altre leggi nel primo elenco dei testi abrogati, evita qualsiasi pericolo che si perpetuino discriminazioni a carico degli italiani.

Comunque da parte tedesca non verrà fatta nessuna dichiarazione internazionalmente rilevante sulla cessazione dello stato di guerra, bensì si considererà tale cessazione come acquisita una volta che alla legge tedesca sulla abolizione delle discriminazioni belliche contro cittadini di Stati nemici corrisponda l'adozione di analoghi provvedimenti da parte degli ex Stati nemici.

368 1 Vedi D. 344.

369 1 Per il primo telespresso vedi D. 329, il secondo non è pubblicato.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO

T. 3188/56. Roma, 21 aprile 1951, ore 22,30.

Telegramma V.E. n. 1221 .

Eventualità interruzione negoziati per riparazioni, data cifra irrisoria finora offerta da codesto Governo per nostri beni, può essere tranquillamente affrontata.

Concordo peraltro che, per il caso rottura e probabile conseguente polemica, nostra posizione sarebbe rafforzata se a titolo conciliativo ammettessimo fornire, in relazione accordo La Malfa2, un minimo prodotti industriali. A tal fine potremmo offrire tali prodotti per valore complessivo 5 (ripeto cinque) milioni a condizione però che sovietici si decidano sin da ora riconoscere che nostri beni verranno valutati almeno novanta milioni dollari.

Mi rendo conto che ciò equivale scendere sin da ora da centotrenta a novanta-cinque milioni dollari il che indebolisce nostra posizione tattica per ulteriore sviluppo negoziato. Lascio perciò a V.E. esaminare questo aspetto questione e sottopormi eventuali altre proposte tenendo anche presente che per considerazioni ora note anche V.E. diviene sempre più difficile scendere al disotto novanta milioni. In ogni caso converrebbe cercare dilazionare di circa un mese eventuale rottura.

Infine in considerazione anche carattere non più eminentemente tecnico trattative, lascio poi a lei giudicare se non convenga trattenere due soli esperti facendo rientrare Gambelli e Melzani.

371

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 4874/446. Washington, 21 aprile 1951, ore 13,25 (perv. ore 7,25 del 22).

Alla luce elementi e direttive di cui a telegramma di V.E. 1591 illustrato nuovamente scopi nostra iniziativa circa patto di non aggressione ed utilità suoi sviluppi.

Constatato che atmosfera nata recente indiscrezione non è ancora dissipata e che essa influenza in certo grado anche valutazione questione di fondo. Si continua ritenere che attuale Conferenza Parigi costituisce grosso sforzo per chiarire situazio

ne confronti russi e trovare una qualsiasi via intesa. Iniziative non coordinate potrebbero intralciare tale sforzo ed offrire pretesti ai russi, cui non si vuol dare comunque sensazione debolezza schieramento politico occidentale. Situazione generale Stati Uniti questo momento si riflette anche sfavorevolmente su valutazione nostra iniziativa in quanto Governo è già troppo accusato trascurare vitali interessi Estremo Oriente per favorire paesi Europa occidentale.

Per questo insieme di considerazioni delineatasi tendenza ad evitare che questione abbia sostanziali sviluppi ed attenuare anche per quanto possibile suoi echi opinione pubblica.

Mi sto adoperando perché in ogni modo esame in corso si mantenga aderente spirito nostra azione e vengano comunque scartate illazioni ed ipotesi che pure — a quanto mi si riferisce — non sarebbero mancate circa stato d'animo esitazione che si pretenderebbe esistere in alcuni settori italiani.

Non dubito circa serena esposizione confidenziale anche costà nostro punto di vista sulle basi indicate da V.E. varrà a chiarire ulteriormente situazione2 .

370 1 Vedi D. 366. 2 Dell'11 dicembre 1948, il cui negoziato è ampiamente documentato nel vol. I della serie undicesima. Per la fase conclusiva delle trattative vedi in particolare i DD. 722, 725 e 751. 371 1 Vedi D. 365.

372

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 432/259. Roma, 21 aprile 1951 (perv. il 23).

Su questa visita1, che costituisce un episodio di speciale rilievo nelle cronache vaticane di questi giorni, si mantiene in tutti gli ambienti direttamente interessati

— Anticamera di Sua Santità, Segreteria di Stato, prelati polacchi, rappresentanza polacca del Governo vecchio ecc. — un quasi ermetico silenzio. Tutti si rendono conto che, al ritorno del Primate in patria, quel che si potrà dire od inventare sulla sua attività e le sue manifestazioni nel corso del suo soggiorno in Roma, verrà meticolosa-mente raccolto ed ordinato per servire in qualche modo contro di lui e contro la Chiesa. Donde il dovere in ciascuno di non contribuire, per qualche inavvertita indiscrezione, a fornire uno spunto utile all'implacabile sottigliezza dei nemici che lo attendono.

Avvenimento di rilievo, dicevo sopra, non solo per le ben note circostanze in cui si verifica; ma anche perché, si fa notare, le visite a Roma e alla Santa Sede di vescovi polacchi, dal 1939 in poi, sono state rarissime: due del defunto cardinale Hlond, tre del cardinale Sapieha, una del vescovo di Ploch ed una del vescovo di Lodtz; sette in tutto. Coll'attuale di mons. Wyszynski e del vescovo mons. Klepacz che l'accompagna, diventano nove, e nessuno sa prevedere se altre ne avverranno in futuro, prima che la crisi del mondo abbia a risolversi o a distendersi.

372 1 Si riferisce alla visita del Primate di Polonia mons. Stefano Wyszynski a Roma.

Sono, se ben si riflette, per l'Episcopato polacco nel suo insieme, più di 140 visite, prescritte dal diritto canonico, che non hanno avuto luogo. E se tale osservazione basta a marcare lo stato di irregolarità in cui è stata costretta a vivere la Chiesa di Polonia, essa deve anche servire ad illuminarci sull'inevitabile progressivo disorganamento della vita più specificatamente cattolica della Chiesa polacca, per questa sua avulsione dal centro ispiratore della comunione cattolica universale. Giacché, è inutile illudersi, né lettere, né scritti, né comunicazioni radiofoniche bastano, fuorché per un certo periodo di emergenza, a mantenere nel loro pieno stato di spirituale nutrizione la vita cattolica delle comunità periferiche. È il periodico e successivo contatto diretto e personale delle gerarchie vescovili colla Santa Sede, anzi, colla persona del Papa, che mantiene, quasi per mistica trasmissione, l'unità ecclesiastica nel più profondo e pregnante senso della parola.

Sotto questo punto di vista, mi faceva notare mons. Tardini (propenso più assai del solito a diffondersi in considerazioni d'ordine generale, onde evitare di scendere sul terreno dei fatti particolari), il soggiorno del Primate e del vescovo di Lodtz a Roma, deve significare, pei due prelati, un rinvigorimento salutare delle forze spirituali, attinto alla sorgente dell'unità cattolica, il Soglio di Pietro. E tale risultato costituisce, di per sé stesso, una parte attiva ben sicura del bilancio, di fronte al ben dubbio risultato che, per tutti gli altri oggetti, è lecito attendersi da questo tragico viaggio.

Queste espressioni di mons. Tardini hanno per me acquistato un significato più completo ed attuale quando, per altra via, mi è stato detto che le conversazioni dei due prelati, e col Santo Padre, e, più specialmente, colla Segreteria di Stato, li hanno illuminati sulla portata e il senso dell'attuale politica di «pace soprattutto», che è stata adottata con tanta fermezza e perseveranza dalla Santa Sede.

Ci sono troppo noti i dubbi, le contrarietà, le inautorizzate interpretazioni, nonché le interessate speculazioni, che si sono fatte su tale programma politico, espresso a più riprese e con ogni chiarezza dalle parole stesse del Pontefice. Non è a stupirsi che esse potessero sonare, oltre la cortina di ferro, come una voce di rinuncia a salvare la cattolicità del mondo slavo ed asiatico, che un periodo lungo di pace sembra riserbare senza pietà alla più o meno lenta soffocazione. Già si sa, che i profughi cattolici da quei disgraziati paesi, hanno presentato a più riprese alla Santa Sede le loro osservazioni, le loro doglianze per l'affermazione di tale politica «rinunciataria». Fra i più acerbi nei lamenti, so che è il gruppo polacco, coll'ambasciatore Papée alla testa. Immaginiamoci, dunque, quali potessero essere le reazioni dell'Episcopato dei paesi di persecuzione, e, come tale senso di abbandono dovesse e debba influire dannosamente sulle loro volontà e capacità di resistenza.

La rinnovata personale «comunione con Pietro» di cui parlava mons. Tardini, avrebbe quindi già avuto un benefico effetto: illuminare il Primate — che trasmetterà tali lumi all'Episcopato tornando in patria — sulle profonde ragioni spirituali e politiche, che dettano l'attitudine pacifista della Santa Sede; sulla necessità — per le fortune mondiali della Chiesa — di tale attitudine; sui benefici che ne possono derivare per la Chiesa universale e quindi — di rimando — per la Chiesa polacca. Non aggiungo di più, perché in realtà non conosco il contenuto di quei dialoghi: so soltanto che si diedero spiegazioni in tal senso al Primate, e ch'egli sembra esserne rimasto rinfrancato e convinto.

Nell'organizzazione del viaggio dei due vescovi, a me parve subito che fosse stato un errore di permettere che mons. Wyszynski e il seguito trovassero alla stazione le accoglienze dei prelati polacchi di Roma, fra cui in prima linea mons. Meystowicz, consultore ecclesiastico dell'ambasciata di Casimiro Papée: né mancai di far rilevare a mons. Meystowicz, che incontrai ier l'altro, come la cosa fosse stata accuratamente e sfavorevolmente rilevata a Varsavia. Fu opportunamente invece, che il presule, anziché al Pontificio Collegio polacco, noto centro della opposizione ecclesiastica e nazionale polacca al Governo di Varsavia, dove gli era stato approntato l'alloggio, andasse ad abitare al convento delle suore polacche di via Macchiavelli, luogo molto meno in vista e meno sospetto.

La mattina del 9 aprile, mons. Wyszynski, accompagnato dal vescovo di Lodtz e dal segretario mons. Baraniak, è stato ricevuto in udienza dal Santo Padre. L'udienza è durata oltre un'ora e mezza. Successivamente mons. Wyszynski ha visitato i mons. Montini e Tardini, quest'ultimo particolarmente competente per gli affari polacchi.

Da quanto ho potuto comprendere, il Pontefice si è mostrato non solo animato dai più paterni sentimenti di affetto per la gerarchia polacca, ma anche, nel complesso, persuaso delle dure necessità che hanno ridotto l'Episcopato a passi tanto discussi come il famoso accordo col Governo dello scorso anno, e, in questi ultimi giorni, alla legittimazione canonica dei vicari capitolari imposti dal Governo a capo delle cinque circoscrizioni religiose ex tedesche. Su quest'ultimo punto, specialmente, mons. Tardini ha ammesso la legittimità formale canonica della misura adottata da mons. Wyszynski, e, in sostanza, ha fatto capire che anche la Santa Sede si rassegna a quello cui si sono rassegnati i vescovi, pur essendo indiscutibile che si tratti di una investitura non libera, ma coatta, di individui imposti dall'autorità laica; e quindi in pieno contrasto coi canoni.

E, a proposito delle circoscrizioni ex tedesche, racconterò un particolare, che certamente mons. Tardini narrò ai polacchi, e che interesserà la nostra ambasciata a Varsavia. La Santa Sede, fermissima a non voler transigere sulla questione, si rende però conto che la contro-obiezione naturale del Governo polacco (il trattato di pace che regola tal questione già esiste, già è in piena efficienza, fra Varsavia e la Germania orientale) porta all'accusa, a lei sgraditissima, di tener per valide e rate le decisioni degli occidentali (per esempio la funzionalità diplomatica della Repubblica di Bonn) e non quelle degli orientali, colla conseguente accusa di alleanza col capitalismo e coll'imperialismo fascista contro i Governi popolari progressivi.

Si era perciò pensato di elevare al grado di vescovi gli amministratori apostolici nominati dal defunto Primate Hlond. Non vescovi delle diocesi; vescovi in partibus: però veri vescovi. Si sperava così di dimostrare la massima buona volontà verso il Governo di Varsavia e la massima considerazione verso l'impegno dell'Episcopato polacco, formulato in un articolo del famigerato accordo, di ottenere dalla Santa Sede quella impossibile grazia. Naturalmente, i canonisti a servizio del Governo avrebbero potuto facilmente dimostrare dove stava la scappatoia: però, il Governo, se avesse imbastito su ciò la continuazione dell'attuale campagna, avrebbe dato una maggiore impressione di piccineria, di prepotenza e del suo animo diretto a litigare ad ogni costo.

L'allontanamento violento degli amministratori e la loro sostituzione con persone, di cui non si può nemmeno concepire la consacrazione episcopale, ha reso impossibile una misura, che mi par degna, nella sua abilità, delle migliori tradizioni diplomatiche alla Curia romana. Oggi, dunque, la Santa Sede, per ragioni gravissime, sia di immutabile prassi diplomatica e di principî, canonici e religiosi, sia per altre considerazioni politiche che ne derivano, non può deflettere dall'attuale posizione di attesa.

Il viaggio ad limina del Primate, secondo risulta da queste mie conversazioni, non è stato voluto e suggerito dal Governo di Varsavia: è stato un'iniziativa del prelato. Iniziativa però, a cui il Governo ha aderito senza difficoltà (previo, naturalmente, l'assenso di Mosca che in queste cose è indispensabile), in quanto che il Governo ritiene, qual siano per essere i risultati della visita, di poterne trarre armi ed argomenti al propri fini. Un ritorno, ad esempio, di mons. Wyszynski col consenso della Santa Sede all'incorporazione ecclesiastica dei territori ex tedeschi, costituirebbe, oltre le altre conseguenze internazionali, un successo di prestigio presso la popolazione cattolica polacca difficilmente sopravalutabile: mentre, quando poi occorresse, si sarebbe potuto riprendere i giri di vite al collo della Chiesa con altrettanta facilità e senza carenza dei sufficienti pretesti. Di riscontro, un ritorno a mani vuote, fornirebbe all'arsenale della propaganda comunista polacca e di quella mondiale del Comintern, nuove ed efficaci armi polemiche contro la Santa Sede e la sua pretesa dedizione alle potenze occidentali.

Quale l'impressione sullo stato d'animo dei due vescovi? Qualcuno mi disse: non propriamente pessimismo, non propriamente sfiducia, ma piuttosto «grande stanchezza». Mons. Montini che li ricevette ma non entrò con loro nelle questioni di politica ecclesiastica più scottante (per evitare il rischio, mi disse, di non essere in tutto conforme alle espressioni della prima sezione ch'è la competente), li trovò rassegnati, persuasi della necessità di salvare il salvabile, cedendo lentamente il terreno. Pare che abbiano garantito la fedeltà dei vescovi. La popolazione risponde sempre. Le vocazioni sacerdotali, cosa straordinaria, son più numerose che mai: eppure quei giovani sanno che si mettono sulla via del dolore. Ma la massa della gioventù poco a poco sfugge; non di sua volontà, ma per forza del meccanismo che l'imprigiona e la fa sua.

Sul soggiorno romano di mons. Wyszynski incombe dunque un velo di sconforto e di tristezza, e le nubi sembrano dense all'orizzonte che lo chiuderà. Il prelato esce, compie qualche visita non sospetta: i suoi itinerari sono certamente ben noti all'ambasciata della Polonia progressiva. Nessun personaggio «dubbio» è visto varcare la soglia della sua abitazione.

La mattina del 19 corrente egli è sceso nelle Grotte nuove vaticane, a dir messa alla tomba dell'Apostolo, là dove la «memoria» del luogo della sepoltura è ricomparsa di recente alla luce, fra le rovine delle cappelle pagane e cristiane del vecchio cimitero ad circum Neronianum, sotto le fondamenta della Basilica. Non molto dopo, vi scendeva visitatrice la principessa Elisabetta d'Inghilterra. Non si incontrarono.

371 2 Per la risposta vedi D. 373.

373

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3223/165. Roma, 23 aprile 1951, ore 17.

Suo telegramma 4461 .

Quanto V.E. osserva riguarda solo episodiche impressioni causate da una indiscrezione ma ignora il fondo del problema che consiste nella necessità di controbattere le crescenti spiacevoli impressioni in tutto il continente della campagna tipo colomba di Stoccolma.

Indiscrezione avvenuta ha avuto almeno il vantaggio di provocare adesioni larghissime Italia e Francia proprio negli ambienti in cui più si abomina l'allargarsi di atmosfere disfattiste di origine comunista.

Parlare dell'attuale Conferenza di Parigi non ha senso di fronte a un mero suggerimento personale «da studiarsi a fondo in ogni dettaglio sia positivo che negativo» come dissi nella mia lettera ad Acheson2 .

Quanto alle «illazioni o ipotesi» cui ella allude nel suo telegramma disdegno di chiedere spiegazioni ma sento che ciò dovrebbe provocare presso codesta ambasciata più vive e stupefatte reazioni basate sulla conoscenza della nostra assoluta lealtà.

Contrariamente sua previsione Dunn non mi ha mai parlato ma lo convocherò io.

374

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1059/355. Atene, 24 aprile 1951 (perv. il 26).

L'ambasciatore d'America Peurifoy mi ha detto di avere, di sua iniziativa, segnalato ai greci il nostro interessamento per l'ammissione di questo paese al Patto atlantico e la démarche da noi espressamente compiuta a tale fine presso il Dipartimento di Stato.

Peurifoy non manca occasione di testimoniarci un'amicizia ed una sollecitudine che mi sono in verità di molto aiuto nella trattazione delle questioni più salienti. La sua segnalazione vale oggi a confermare qui quanto avevo già per conto mio provveduto a far sapere al Governo greco allo scopo di valorizzare il nostro atteggiamento nei riguardi della tanto dibattuta questione della partecipazione greca e turca all'Or

2 Vedi D. 326.

ganizzazione atlantica, così come ha raccomandato l'ambasciatore Tarchiani con lettera in data 27 marzo u.s.1 .

Non mi faccio tuttavia illusioni su una riconoscenza ellenica che ricordi in futuro questo nostro spontaneo intervento a favore dei desiderata di Atene. Ed è appunto per tale ovvio scetticismo che ritengo tanto più meritevoli di riflessione le giuste osservazioni fatte dall'ambasciatore Tarchiani circa la necessità di non perdere di vista il pericolo che Grecia e Turchia, una volta entrate nel Patto atlantico e forti di innegabili possibilità militari oltreché di riconosciuti meriti ottenuti in Corea, non contribuiscano a diminuire il valore mediterraneo della nostra partecipazione all'Organizzazione atlantica.

Devo dire che, vista da qui, la nostra politica in seno alla comunità atlantica e le sue rifrazioni sulla nostra politica generale dopo la nostra entrata nel Patto e specialmente dopo l'allarme coreano, è apparsa come la più seria, la più dignitosa e la più efficiente consentitaci dalla nostra situazione e dalle circostanze. Come tale essa è stata riconosciuta anche in questi ambienti, greci ed internazionali, tanto sensibili ed attenti ad ogni nostra manifestazione. Ne sia prova il continuo ritornello di questa stampa, in fondo sempre gelosa nei nostri riguardi, che asserisce essere consuetudine dell'Italia il perdere le guerre ed il vincere le paci.

Ci troviamo però ora, anche noi, di fronte ad una impasse: quella relativa all'estensione o meno del Patto al Mediterraneo orientale ed al Medio Oriente ed alla inclusione, o meno, in esso della Grecia e della Turchia. Argomento complesso, non ancora sufficientemente chiarito e tuttora dibattuto in seno ai Governi, ai Parlamenti ed agli Stati Maggiori di tutti i paesi partecipanti al Patto. Non è pertanto da meravigliarsi se anche noi abbiamo avuto, e possiamo tuttora avere delle perplessità in proposito.

L'appunto2 concordato con il Ministero della difesa ed inviato alla nostra ambasciata a Washington, in risposta alla lettera dell'ambasciatore Tarchiani in data 1° marzo3 (a me trasmesso con telespresso 444/C. del 17 marzo), rappresenta indubbiamente una logica impostazione ed una sufficientemente elastica visione della nostra posizione di fronte al problema. Se si prendono tuttavia in considerazione tutti gli elementi, estranei al problema stesso, che da qualche tempo, direi anzi da qualche settimana, vanno sempre più influendo su di esso, complicandolo ed in certo senso distorcendolo, si deve venire alla conclusione che i tempi e le fasi considerate nel-l'appunto di cui si tratta stanno per essere rapidamente superate.

Il principio infatti, da noi adottato, della opportunità di considerare in un primo tempo la difesa del Mediterraneo nel suo complesso viene sempre più pregiudicato dalla disparità di vedute che i vari Governi ed i vari Stati Maggiori hanno a tale proposito, mentre si va facendo sempre più urgente, sopratutto per noi, la necessità di assicurare, anzitutto, la difesa dell'estrema ala orientale dello schieramento continentale europeo, cioè del settore adriatico-balcanico. E la gradualità del passaggio da intese generali mediterranee a specifiche decisioni relative al settore più minacciato appare sempre più difficile e compromessa dalle interminabili discussioni che si vanno facendo intorno alla questione.

2 Vedi D. 301, Allegato.

3 Vedi D. 269.

Sono note a V.E. le varie tesi e tendenze che sono state manifestate a proposito della difesa del Mediterraneo e della posizione della Grecia e della Turchia. Su di esse ho ripetutamente riferito, analogamente agli altri nostri capi missione più interessati. L'atteggiamento inglese, che tende ostinatamente, così come ha ben segnalato da tempo l'ambasciatore Prunas, a sistemare la questione della difesa del Mediterraneo e del Medio Oriente in modo tale da poter in pari tempo riprendere posizioni perdute, dà sempre maggiormente l'impressione che il persistente ritardo nel regolamento del problema sia espressamente voluto e condizionato al risultato delle ormai decennali trattative con l'Egitto per la questione del Canale e per quella del Sudan. Se a ciò si aggiungono le tendenze inglesi, fatte presenti anche dall'ambasciatore Pietromarchi (vedi le sue segnalazioni a proposito delle manovre del gen. Robertson)4, a destinare prevalentemente la Turchia a compiti medio-orientali ed asiatici, ci si rende ben conto del fatto che, se si attende un previo regolamento della questione mediterranea in toto, si rischia veramente di compromettere quel minimo di decisioni e di intese nei settori più minacciati che le circostanze e le notizie d'oltre cortina fanno apparire urgenti.

L'atteggiamento francese non è meno vago di quello inglese, né meno esente da elementi estranei. I francesi insistono, sopratutto in questi ultimi giorni, per un patto mediterraneo generale che copra tutto il bacino. Ora non vi è chi non sappia che i francesi cercano non solo di valorizzare così l'apporto dei loro possedimenti nord-africani, ma anche di riguadagnare in Libano ed in Siria quelle posizioni che non si rassegnano ad avere perduto dopo l'ultima guerra (mi si parla di tentativi francesi diretti ad ottenere un incarico per il riarmo della Siria e del Libano: notizia verosimile anche se non confermata).

L'atteggiamento americano appare essere di tutti il più realista ed il più esente da speculazioni estranee al problema strettamente ed obiettivamente considerato per se stesso. Anch'esso, naturalmente, subisce influenze estranee alla questione, che derivano sopratutto da divergenze con gli inglesi in materia di Comandi. Ma anche se Washington ha sue particolari concezioni sui metodi da seguire per la organizzazione della difesa del settore meridionale dello schieramento atlantico, non vi è dubbio che il fine principale cui l'America tende, è principalmente quello della difesa di tale settore, mentre invece è innegabile che Gran Bretagna e Francia tendono ad associare a tale scopo principale anche altri fini particolaristici che ritardano e compromettono forse la risoluzione della questione.

L'America vuole sopratutto che sia sistemata la situazione della Grecia, della Turchia e possibilmente della Jugoslavia, sopratutto in funzione di copertura a sud del suo schieramento europeo, senza esporre il Patto alle complicazioni ed alle sorprese di cui l'Oriente è tanto fecondo e senza avventurarne i destini su quel «cammino di Alessandro» che si sa dove si inizia ma non si sa bene dove abbia fine.

Veniamo ora al nostro paese. Le sue presenti necessità essenziali sono ovvie:

1) mantenere il compito di principale fattore atlantico nello schieramento meridionale;

2) avere una funzione mediterranea;

3) tutelare il fianco orientale del paese.

È ora da domandarsi se allo stato attuale delle cose e tenendo presenti i tre scopi sopra indicati, l'Italia debba insistere ulteriormente per l'ammissione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico.

A parte il grave pregiudizio che può essere ulteriormente recato ad una chiara impostazione della difesa del Mediterraneo, ed in particolare del settore adriatico-balcanico, da nuove discussioni e da prevedibili nuovi ritardi nella risoluzione di tale vexata questio, è da chiedersi se un allargamento del Patto atlantico ad Oriente, con inclusione della Grecia e della Turchia, non comporti per noi, allo stato attuale della nostra preparazione militare, più pericoli che vantaggi, e più pregiudizio che aiuto, primo fra tutti quello di diluire la nostra funzione mediterranea, cioè la nostra funzione più importante.

Grecia e Turchia, pur avendo infatti una entità ed un peso specifico ben inferiori al nostro, si presentano oggi in condizioni particolarmente favorevoli sia di fronte all'opinione pubblica mondiale, per il loro coraggioso intervento in Corea, sia nelle considerazioni degli Stati Maggiori anglo-sassoni, che ne hanno sorvegliato da vicino la preparazione militare. Con eserciti limitati ma ormai avviati ad una eccellente preparazione tecnica moderna, essi non indurrebbero, se ammessi alla tavola atlantica, una estensione ma bensì una restrizione della nostra autorità e dei nostri poteri. Ne siano prova sin da ora il malumore e la contrarietà con cui è stata accolta e commentata in questi paesi la possibilità della nomina di un generale italiano a capo del settore meridionale, sia pure solo terrestre, per il timore anche lontano che a tale nostro generale abbiano ad essere sottoposte le forze greche e turche.

L'estensione pura e semplice del Patto atlantico alla Grecia ed alla Turchia ci recherebbe un altro pregiudizio: quello di togliere al nostro paese la funzione di principale bastione meridionale dell'organizzazione atlantica vera e propria per ridurla a semplice compito di collegamento con i due nuovi full members ammessi al Patto, poiché ad essi passerebbero automaticamente gli incarichi principali nel sistema difensivo meridionale. Non ne potrebbero derivare, fra l'altro, che ulteriori riduzioni nei già modesti Comandi a noi riservati per l'area mediterranea così ingrandita.

Se però tali argomenti possono oggi consigliarci di non insistere ulteriormente per l'ammissione pura e semplice della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico, è pur tuttavia certo che la posizione della Grecia e della Turchia deve essere in qualche modo, ed al più presto, sistemata, poiché tale sistemazione è destinata a rappresentare la copertura del nostro fianco orientale.

Come è noto a V.E., molti altri progetti, oltre quelli dell'ammissione pura e semplice, sono stati formulati dai vari Governi e dai vari Stati Maggiori occidentali per la soluzione della questione. Tutti sono d'accordo sulla necessità di regolarla, ma nessuno ha ancora ben chiarito come regolarla.

È da ritenersi, almeno fino ad oggi, che sia nostro interesse lo scartare un patto mediterraneo generale che avrebbe per noi gli stessi difetti e ci recherebbe gli stessi pregiudizi sopra notati a proposito dell'ammissione della Grecia e della Turchia al Patto. Tale progetto, che viene attribuito ai francesi, metterebbe in un solo fascio tutte le forze e tutte le debolezze del Mediterraneo con svantaggio per tutti e con il risultato di diluire al massimo le nostre funzioni e la nostra autorità mediterranea.

Nostro interesse sembra anche essere lo scartare il progetto inglese diretto a realizzare un patto del mediterraneo orientale, sia perché pregiudicato nel suo valore dal problematico apporto degli Stati arabi e dall'ancor più problematico atteggiamento di Israele, sia perché tale Patto sarebbe, nelle intenzioni britanniche, destinato principalmente a compiti medio-orientali ed asiatici.

Premesso tutto ciò si viene quasi automaticamente ad intender tutto il valore della formula verso la quale le decisioni americane sembrano essere avviate, sopra-tutto dopo le recenti votazioni al Senato: la conclusione cioè di un patto separato fra Grecia, Turchia e possibilmente Jugoslavia, al quale sia data la garanzia degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia ed, aggiungo, dell'Italia. Il nuovo patto dovrebbe essere saldato a quello atlantico da appositi organi di collegamento.

Tale formula rappresenterebbe in sostanza un perfezionamento, in senso più attuale e più operante, di quella consistente nella adesione degli Stati Uniti al vecchio sistema di alleanza anglo-franco-turco, che ha, come è noto, presentato in passato difetti e giustificato carenze di cui sarebbe necessario evitare oggi il ripetersi.

La realizzazione del nuovo patto non mancherebbe di interrogativi, primo dei quali quello relativo alla partecipazione della Jugoslavia. Ma appare ormai assai probabile che il sempre più rapido moto di riavvicinamento della Jugoslavia all'Occidente possa ormai essere intensificato fino a far accettare a Tito, dopo gli armamenti che gli sono già stati concessi, anche progressive intese nel campo tecnico-militare fino a giungere, se non ad una formale inclusione della Jugoslavia nel patto, almeno fino ad una sua adesione de facto al patto stesso.

Altre prevedibili difficoltà potranno provenire dalla Gran Bretagna, per la sua ostinata tendenza a dar preferenza a regolamentazioni ed a difese medio-orientali, con sperata ripresa del suo prestigio, piuttosto che ad intese prevalentemente europee. Anche da parte francese si tenterà forse di insistere sulla possibilità di un patto mediterraneo generale. Ma, ciò che più conta, è probabile che il progetto possa riscuotere, se ben formulato, tutto l'appoggio degli Stati Uniti, poiché i termini in cui esso sarebbe concepito e realizzato sembrano avvicinarsi, più di ogni altro progetto, alle idee che i maggiori dirigenti americani sono venuti esprimendo in questi ultimi tempi.

È infine da ritenersi che sarebbero sufficientemente soddisfatte Grecia e Turchia, le quali, come ho già avuto occasione di riferire, tendono, al di sopra di ogni altra cosa, ad un precipuo obiettivo: la garanzia americana. Ottenuta questa, i due paesi in questione saranno certamente pronti a qualunque formulazione desiderata dall'Occidente.

Si aggiunga che i greci vedrebbero con piacere l'adozione di un sistema avente per precipuo obiettivo la difesa del settore per loro più vitale ed il contemporaneo allontanamento del pericolo di essere compresi in formazioni destinate sopratutto alla difesa del Medio Oriente.

È da ritenersi in pari tempo che anche la Turchia si senta incoraggiata nella sua sempre più evidente speranza di poter così «tenere» anche su quell'estremo lembo di Europa che è la Tracia, lembo al quale deve la sua qualifica di potenza europea.

Quanto all'Italia, riaffermata, e non pregiudicata da concorrenti, la nostra posizione di principale bastione nel settore meridionale dello schieramento atlantico vero e proprio, assicurata dal nuovo patto la copertura del nostro fianco orientale, essa potrebbe vedere precisata e potenziata la sua, finora modesta, funzione mediterranea da un compito di «cerniera» fra il Patto atlantico vero e proprio ed il nuovo patto sussidiario. E non dovrebbe essere impossibile l'ottenere, sia per ovvie ragioni geografiche, sia per compensarci della probabile attribuzione ad americani e ad inglesi del Comando navale ed aereo mediterraneo, la scelta del nostro paese come sede dell'organo di collegamento fra il Patto atlantico ed il nuovo patto.

A parte comunque tale augurabile possibilità, è evidente che la nostra presenza nelle due organizzazioni accentuerebbe automaticamente, da un lato, la nostra appartenenza al sistema atlantico, mentre consentirebbe, dall'altro, l'esplicazione di specifiche nostre funzioni nel settore meridionale ad un livello superiore a quello della Grecia, della Turchia ed, eventualmente, della Jugoslavia.

L'agganciamento del nuovo raggruppamento a quello atlantico non potrebbe avvenire, principalmente, che per nostro tramite, ciò che ci consentirebbe di esercitare una nostra influenza nel serrare o nell'allentare i legami atlantici ed i nostri particolari, con i paesi del nuovo patto a seconda delle circostanze e delle opportunità. E la maggior parte delle comunicazioni, degli aiuti, ecc. dell'Occidente non potrebbero giungere a tali paesi che attraverso la life line italiana, ciò che ci permetterebbe di controllarli.

Non mancheranno certo opposizioni ed obiezioni alla impostazione ed alla realizzazione di tale progetto, ma esse dovrebbero essere superabili in considerazione, ripeto, di quelle che sembrano essere le più recenti concezioni e tendenze americane in materia.

Non so se la venuta di Spofford a Roma abbia recato nuovi elementi o indotto nuove considerazioni in merito al problema. Poiché comunque le discussioni circa la posizione della Grecia e della Turchia e la difesa del Mediterraneo si sono andate in questi ultimi giorni facendo più vivaci, tanto ad Ankara quanto a Washington, ho ritenuto opportuno, anche in relazione alla eventualità di un prossimo viaggio di Eisenhower a Roma, segnalare a V.E. i termini della questione quali essi si presentano oggi ad Atene alla luce dei nostri interessi5 .

373 1 Vedi D. 371.

374 1 Vedi D. 320.

374 4 Vedi D. 334.

375

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO PERSONALE 2206/1220. Londra, 24 aprile 19511 .

In uno spirito di assoluta franchezza — facilitata anche dal fatto che la nostra conversazione ha avuto luogo lontano da ogni ambiente ufficiale, a Stratford-on-Avon, dove ci eravamo recati per le celebrazioni shakespeariane — ho avuto un nuovo incontro con l'ambasciatore Brilej il cui contenuto ritengo doveroso riferire a V.E. senza indugio.

375 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

Brilej mi ha apertamente confermato che il Governo jugoslavo è desideroso di risolvere la questione del T.L.T. e che, dei vari modi di soluzione possibili, trova che il migliore — anzi l'optimum — è un accordo diretto, lealmente accettato da Italia e Jugoslavia; che gli risulta positivamente che gli alleati occidentali, e particolarmente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, sono desiderosissimi di vedere la questione risolta attraverso un accordo diretto benché non intendano imporre per mezzo di pressioni il loro punto di vista ai due paesi interessati; che il Governo jugoslavo, nella grave situazione internazionale attuale, si rendeva conto della necessità di risolvere quei problemi che in sé hanno relativamente una minore importanza ma che possono, attraverso la loro soluzione, accrescere la forza dello schieramento antisovietico; inoltre è desiderabile, mi ha detto ancora Brilej, che Italia e Jugoslavia siano vicine ad intendersi perché la situazione internazionale può evolversi in modo da rendere improvvisamente necessaria la soluzione del problema. In tal senso va interpretata l'affermazione di Tito che la questione può essere risolta in ventiquattro ore2, se c'è buona volontà da una parte e dall'altra.

Questa affermazione di Brilej è stata fatta in seguito ad una mia domanda: gli avevo infatti chiesto il significato di quella frase aggiungendo che, se Tito intendeva che l'accordo si sarebbe fatto sulla base di Zona A contro Zona B era inutile ogni nostra discussione. Brilej ha ribattuto che, se tale fosse stato lo spirito che anima la Jugoslavia, non sussisterebbe il motivo delle nostre conversazioni.

Quanto precede mi ha dato lo spunto per esporre — premesso che le mie parole erano solo espressione del mio pensiero, ma di un pensiero meditato e che si basava su elementi ben accertati — il mio punto di vista.

Ho detto a Brilej che era bene che egli, data l'atmosfera delle nostre conversazioni e la fiducia che si era creata tra noi, si rendesse conto che in Italia né l'attuale né qualsiasi ipotetico altro Governo italiano avrebbe potuto prescindere nell'affrontare la questione del T.L.T. da questi due punti:

1) che in un accordo tra Italia e Jugoslavia la bilancia del dare e dell'avere non poteva essere presa in considerazione né era pensabile che potesse risolversi considerando solo i vantaggi e i sacrifici fatti dalle due parti nell'ambito del T.L.T.; bisognava che in Jugoslavia si tenesse tutto il debito conto delle dolorose perdite di città e popolazioni italiane da noi già subite con il trattato di pace;

2) che di conseguenza era bene che il Governo jugoslavo sapesse che la zona costiera, da Trieste a Cittanova — quale che possa essere sul terreno la definitiva delimitazione del confine, nella quale non era il caso di addentrarci in questa fase preliminare — costituiva il punto centrale delle richieste italiane.

A queste mie affermazioni che ho creduto di dover fare con ferma chiarezza e lealtà per dissipare ogni equivoco che avrebbe potuto non solo indebolire la nostra posizione ma anche pregiudicare l'eventuale negoziato, la prima reazione di Brilej non è stata esplicitamente negativa. Egli si è limitato ad accennare alle gravi rinunzie (quali Gorizia) che l'opinione pubblica jugoslava ha dovuto subire, e di cui in Italia non ci si rendeva abbastanza conto. Sarebbe azzardato trarre da ciò delle illazioni sul

l'accoglienza fatta da Brilej alle mie parole, ma sta di fatto che anche dopo tali mie nette dichiarazioni Brilej ha riconfermato ciò che ha costituito il leit motiv della nostra conversazione: la necessità di intendersi, per Italia e Jugoslavia, su un problema per il quale la soluzione ottima, per quanto non la sola possibile (ha sottolineato), è costituita dall'accordo diretto.

Infine Brilej ha ripetuto che anche questa conversazione era del tutto esplorativa e confidenziale e che perciò è opportuno che il suo contenuto rimanga dalle due parti al più alto livello al di fuori della normale trattazione degli uffici; egli si è mostrato particolarmente preoccupato che qualcosa di quanto era stato detto possa arrivare alle onnipresenti orecchie sovietiche dato anche il grande interesse che l'U.R.S.S. reca al problema3 .

374 5 Per la risposta vedi D. 378.

375 2 Vedi D. 294.

376

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 799/426. Ankara, 25 aprile 1951 (perv. il 3 maggio).

Col rapporto n. 736/395 del 18 corrente1 informai che il ministro degli esteri Fuad Köprülü sarebbe intervenuto alla riunione del Comitato dei ministri dell'O.E.C.E. a Parigi e alla riunione del Consiglio d'Europa a Strasburgo. Segnalai altresì l'azione ch'egli si riprometteva di svolgere nei contatti che avrebbe avuto con gli altri ministri degli affari esteri. Improvvisamente ieri sera martedì 24 si sparse la notizia che il ministro Köprülü aveva rinviato la partenza; si seppe poi che non si trattava d'un rinvio, ma che il viaggio non avrebbe avuto più luogo. Evidentemente la decisione in tal senso era stata presa nella riunione, tenutasi durante la mattinata di quello stesso giorno, alla residenza del presidente della Repubblica a Çankaya, sotto la presidenza dello stesso Celal Bayar e con la partecipazione del presidente del Consiglio, del ministro degli esteri, del segretario generale e di alti funzionari degli affari esteri, dei tre ambasciatori turchi a Roma, Parigi, Londra e, se le mie informazioni sono esatte, benché la stampa non ne abbia fatto parola, di tutti i membri del Governo.

La riunione ha fatto seguito ad altra tenutasi, con gli stessi intervenuti, nel pomeriggio del giorno precedente. A quanto mi risulta queste due riunioni così eccezionali, per il numero e la qualità dei partecipanti, sarebbero state volute dal ministro Köprülü il quale, avendo rilevato delle discordanze di pareri nelle conversazioni da lui avute con i singoli ambasciatori, avrebbe desiderato che si addivenisse a una precisazione della linea politica da seguire, tale da impegnare la solidale responsabilità del Gabinetto. A tal fine aveva pregato il presidente del Consiglio d'interrompere un giro all'interno dell'Anatolia per partecipare alla riunione.

376 1 Non rinvenuto.

Quali siano queste discordanze è difficile oggi precisare con certezza; ma dalle indiscrezioni trapelate, sembra che esse si aggirino, almeno per ora e salvo eventuali sviluppi, su una questione più di tattica procedurale, che di sostanza. Ho segnalato in precedenti rapporti che mentre Fuad Köprülü si è sempre mostrato deciso a esercitare vive e rinnovate insistenze per affrettare l'entrata della Turchia nel Patto atlantico o in altro analogo sistema di sicurezza, si è venuta chiaramente delineando un'altra tendenza, specialmente tra gli alti funzionari del Ministero degli esteri, che ritengono preferibile astenersi da continui gesti d'interessamento, che non ottengono altro risultato che provocare rifiuti. La tattica patrocinata da questi funzionari, tra i quali a quanto ho motivo di ritenere deve includersi lo stesso segretario generale, sarebbe invece di non mostrare impazienze, non presentarsi in veste di quemandeurs, ma attendere l'inevitabile momento in cui si dovrà ricorrere alla Turchia, senza la quale non è concepibile un sistema difensivo del Medio Oriente, e porre allora le proprie condizioni. Ho già esposto i motivi di politica interna che giustificano il primo atteggiamento, come le ragioni di evidente interesse pratico che suffragano la linea suggerita dai funzionari.

Pare che gli ambasciatori all'estero, o per lo meno alcuni di essi, abbiano appoggiato questa seconda linea di condotta.

Ad accentuare le perplessità nell'animo del ministro Fuad Köprülü sarebbero intervenuti altri fatti. Mi risulta che abbiano avuto peso su di lui le informazioni fornitegli da questo ambasciatore degli Stati Uniti Wadsworth. La conversazione con lui si è svolta nella mattina di lunedì 23 e cioè anteriormente alla prima riunione di Çankaya. Se le mie informazioni sono esatte, Wadsworth avrebbe comunicato a Köprülü che le notizie corse sulla nomina di un comandante inglese del Mediterraneo non erano esatte, o comunque premature, e che il contrasto tra i punti di vista americano e britannico non era ancora stato risolto. In tali condizioni non era prevedibile che una decisione, sul problema della sicurezza turca, sarebbe stata presa a scadenza molto rapida. Conviene aggiungere che Wadsworth ha sempre accolto con un certo imbarazzo, per non dire fastidio, le continue istanze di questo Governo per una sollecita soluzione del problema della garanzia, giacché ben conosce le difficoltà da superare e sconta in anticipo le sfavorevoli ripercussioni di ogni nuovo rifiuto. Ripeto che non ho modo di controllare, almeno per ora, quanto ci sia di vero in queste pretese comunicazioni di Wadsworth, benché abbia motivo di ritenerle esatte: comunque sia, se esse sono state effettivamente di tale tenore, è chiaro che hanno contribuito a rafforzare la tesi contraria a nuove insistenze e a nuovi passi.

Sembra che di tale avviso sia stato altresì il presidente del Consiglio Adnan Menderes, reduce da una visita alle città dell'interno e che avrebbe portato nella riunione l'eco del malcontento, serpeggiante nella popolazione, per i continui rifiuti degli anglo-americani alla richiesta della garanzia, con danno del prestigio del Go verno e della politica da esso seguita.

Non sembra tuttavia che in tale prima riunione alcuna decisione di particolare importanza sia stata presa. Al termine di essa il ministro Fuad Köprülü si recò a pranzo all'ambasciata sovietica. Su tale visita riferisco con rapporto separato. Ha essa influito sulle decisioni prese nella riunione successiva? La sospensione del viaggio di Fuad Köprülü segna soltanto una battuta d'arresto o prelude a sviluppi ulteriori? È evidentemente prematuro oggi rispondere a tali interrogativi. Certo il malumore si è accentuato nell'opinione pubblica. Già da prima di tali riunioni erano cominciati ad affiorare in taluni settori, per vero i meno responsabili, della stampa, degli incitamenti aperti a una politica neutralista, come riferisco in un rapporto separato.

A tali voci il ministro Fuad Köprülü aveva sentito la necessità di opporre un'aperta smentita. L'intervista da lui data al quotidiano Cumhuriyet è del 21 aprile. In essa annunciava che sarebbe partito la settimana successiva per Parigi e per Strasburgo; che il suo viaggio sarebbe durato quindici giorni e che ancora non sapeva se si sarebbe fermato a Roma. Aggiunse di non condividere l'avviso di coloro che pensano che l'attività diplomatica, che si viene svolgendo ad Ankara, sia l'indice di una svolta della politica estera. Il ministro si è riferito in particolare alle voci corse «in certi ambienti stranieri» secondo le quali i turchi, a seguito dei tanti rifiuti ricevuti, preferirebbero una politica di neutralità, come quella da essi seguita durante la seconda guerra mondiale. Il ministro ha nettamente dichiarato che non esisteva alcuna divergenza nella politica estera, che è divenuta una politica nazionale. Il redattore del Cumhuriyet gli ha allora chiesto, con una certa maliziosa intenzione, se l'ambasciatore sovietico veniva di frequente a visitarlo. Fuad Köprülü gli ha risposto: «Conversiamo, c'invitiamo rispettivamente» (il che potrebbe interpretarsi — aggiungo io — nel senso che questi contatti, notati dalla stampa e confermati dal ministro, sono divenuti più frequenti). Il ministro ha aggiunto che l'ambasciatore sovietico l'aveva invitato a pranzo per lunedì sera e ch'egli vi si sarebbe recato.

Tale intervista, torno a rilevare, è precedente alle riunioni di Çankaya, nelle quali fu deciso che il viaggio non avesse più luogo. Era naturale che questa notizia, giunta improvvisamente, dopo tanto parlare che se ne era fatto, e a seguito di riunioni di insolita importanza, facesse risorgere con più insistenza le voci di un possibile mutamento della politica estera. I giornali ufficiali si affannano a smentirle «nel modo più categorico».

È comunque evidente che un riesame dell'orientamento politico è in atto e che si cerca di arrivare a una chiarificazione. Le riunioni di Çankaya continuano. È stato anche convocato ad Ankara l'ambasciatore a Washington, Feridun Cemal Erkin. Come è noto, questi è un partigiano convinto di una politica dinamica, di insistenti e vivaci pressioni sull'America per indurla a concedere la garanzia. È ormai risaputo che il passo da lui compiuto a Washington nel gennaio scorso, per ottenere l'adesione dell'America al Patto anglo-franco-turco dell'ottobre 1939, fu in gran parte dovuto a sua iniziativa e ch'egli oltrepassò largamente le istruzioni ricevute, usando un linguaggio duro e persino minaccioso. Se perciò il motivo del dissidio, manifestatosi nelle riunioni di Çankaya, verte unicamente sull'opportunità o meno d'insistere nella politica attivistica seguita finora, è evidente l'interesse di sentire la voce di colui che, stando a Washington, ha maggiori elementi per giudicare sull'efficacia o meno presso il Governo americano di tali pressioni.

Secondo l'ex ministro degli esteri Sadak non esisterebbero altri motivi di dissidio. «L'andamento delle nostre relazioni con l'estero, egli ha scritto recentemente sull'Aksam, non è tale da rendere necessario o da render possibile un cambiamento di tali relazioni. La politica estera della Turchia è chiarissima, essa procede e procederà sulla via seguita finora». Sono riflessioni indubbiamente di gran peso. Troppi vincoli legano la Turchia all'America e all'Occidente per «render possibile», come Sadak dice, un diverso orientamento. E perciò conclude: «Non spetta alla Turchia di prendere o di far prendere una decisione. È per questo motivo che siamo convinti che la Turchia non procederà ad alcun nuovo passo. Tutto ciò che avevamo da dire è stato detto; tutto ciò che potevamo domandare l'abbiamo domandato; tutto ciò che potevamo fare l'abbiamo fatto ed anche un po' più (e qui Sadak accenna ai sacrifizi in Corea). La sola decisione che possiamo prendere è di essere forti e di aspettare».

In conclusione, quel che sembra potersi affermare è che la politica di Fuad Köprülü ha sollevato delle critiche e provocato dei dubbi. È probabile che le une e gli altri siano stati formulati soprattutto da Menemencioglu, che la stampa ufficiale aveva accusato di non aver fedelmente fatto comprendere a Parigi il punto di vista di questo Governo. È comprensibile che una personalità come la sua, che gode di forti influenze e del prestigio che gli viene dagli importanti servizi resi al paese, sia stata indotta a ritorcere l'accusa e cioè a sostenere che ad Ankara non ci si rende esattamente conto degli umori degli altri paesi nei riguardi della Turchia.

È in gioco così tutta la politica dell'attuale ministro degli esteri, che fin dal suo arrivo al potere aveva inteso dare un tono più dinamico all'azione politica della Turchia per contrapporla all'eccessiva cautela e remora del precedente Governo. Egli si è spinto fino a patrocinare l'invio di un'unità militare in Corea, scontando, come contropartita, una rapida soluzione del problema della garanzia. Dinanzi alle critiche che gli vengono mosse, egli non ha logicamente che una sola via dinanzi a sé: far presente all'America che un ulteriore ritardo indebolisce la sua posizione, gli rende forse impossibile rimanere al potere e che, in tal caso, tutte le possibilità sono da prevedersi. È questa la carta che, a quanto mi risulta, Fuad Köprülü intende giuocare. Circola la voce, confermata dall'ambasciatore americano Wadsworth all'incaricato d'affari francese, che il ministro Fuad Köprülü stia preparando una nota per Washington, nella quale riassume il punto di vista del suo Governo e insiste energicamente per una rapida soluzione. È probabile che alla preparazione di questa nota collaborerà l'ambasciatore a Washington Erkin che dovrà poi appoggiarla coi più efficaci argomenti. Comunque, tanto nel caso che la nota venga inviata come in quello che non se ne faccia nulla, l'ambasciatore Wadsworth, che è stato tenuto dettagliatamente al corrente da Köprülü dell'andamento delle discussioni, e che è perfettamente consapevole della delicatezza della situazione, sta rinnovando le più insistenti premure a Wa shington perché si addivenga a una soluzione che non è più possibile procrastinare. È insomma un ultimo, insistentissimo appello che viene lanciato da Ankara e che sarebbe, a mio avviso, errore grave lasciare cadere, perché troppi elementi concorrono a intorbidare l'atmosfera, ma soprattutto perché non è assolutamente possibile lasciar per troppo tempo insoluto un problema al quale, a torto o a ragione, il popolo e il Governo turco attribuiscono un'importanza vitale. Non si vive nel precario. E questa gente vuol uscire dal precario.

La soluzione che il Governo turco patrocinerà nella sua nota è a favore di un patto del Mediterraneo, del quale l'America faccia parte. Questa soluzione è anche appoggiata da Menemencioglu, il quale, anzi, a quanto quest'incaricato d'affari di Francia ha appreso dallo stesso Menemencioglu, sarebbe venuto ad Ankara con un suo piano di accordo regionale che non mi sembra discostarsi molto da quello proposto da questo Ministero degli affari esteri, se non per il carattere di maggiore autonomia dal Patto atlantico.

Avrà il nuovo passo maggior successo dei precedenti? Qui si tende a ritenere, dopo le dichiarazioni date dalla Francia, che il vero motivo del continuo procrastinarsi della garanzia è la contrarietà dell'Inghilterra che non vorrebbe, con l'includere nel Patto atlantico o in un'alleanza equipollente un paese, come la Turchia, direttamente confinante con l'U.R.S.S., suscitare in quest'ultima nuovi motivi di diffidenza, proprio in un momento nel quale pende il tentativo di venire a un chiarimento con essa.

Una cosa è certa: ed è che se quest'ultimo tentativo della Turchia fallisse, la situazione si aggraverebbe. Giacché non v'è da illudersi: non tutti coloro che sostengono la formula dell'attendere hanno in mente una semplice tattica procedurale. V'è in molti, dichiarato o no, il desiderio di stare a vedere, di orientarsi a seconda dell'evolversi degli avvenimenti, di non escludere, in una parola, l'opportunità di rimanere liberi da ogni impegno. In tutto il Medio Oriente la corrente neutralista guadagna terreno, anche in conseguenza di quanto avviene nell'Iran. Un deciso orientamento della Turchia, con la sua inclusione nel fronte delle potenze occidentali, potrebbe arginare queste correnti; ma nel caso contrario, queste finirebbero, come sta avvenendo, per guadagnar terreno anche in Turchia.

È questo, a mio modo di vedere, che converrebbe far presente chiaramente a Washington.

375 3 Per la risposta vedi D. 405.

377

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5054/294. Parigi, 26 aprile 1951, ore 19,45 (perv. ore 21).

Delegato tedesco in Comitato giuridico esercito europeo ha esposto oggi grandi linee progetto non impegnativo suo Governo. Restando ferma nota idea stipulare trattato definitivo con annessa convenzione disposizioni transitorie, punti principali progetto tedesco sono: 1) formazione collegiale Commissario; 2) Assemblea fornita importanti poteri in particolare potere discussione e approvazione bilancio in concorso con Consiglio dei ministri. Ciò allo scopo facilitare accettazione obblighi trattato da parte parlamentari nazionali che si rivarrebbero in sede sopranazionale poteri abbandonati in sede nazionale; 3) circa struttura generale trattato si propone seguire molto da vicino modello piano Schuman.

Delegato tedesco fornirà schema scritto entro settimana.

377 1 Accreditato a Strasburgo, capo della delegazione al Consiglio d'Europa, membro della delegazione alla Conferenza per l'esercito europeo.

378

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI

L. SEGRETA 22/01052. Roma, 26 aprile 1951.

Ho letto il tuo interessantissimo telespresso n. 1059/355 del 24 aprile1 e ti farò avere le osservazioni della Difesa. Credo anche io che la situazione sta evolvendosi e che la fase cui si riferiscono le nostre proposte (telespresso 444 del 17 marzo)2 potrebbe essere superata. Quelle proposte restano attuali solo in quanto esse facilitavano la nostra inserzione automatica nel sistema mediterraneo (considerato nel suo complesso), inserzione che è meno ... automatica e più difficile in un nuovo sistema limitato al Mediterraneo orientale. Vi era e vi è poi anche un'altra considerazione: la Difesa preferisce che l'Italia sia considerata settore mediterraneo piuttosto che settore sud-continentale. La cosa a prima vista — e dal punto di vista politico — appare strana, ma è consigliata da considerazioni strategiche; si opina cioè che, se siamo inclusi in un sistema mediterraneo, il nostro fronte eventuale sarebbe più indipendente da quello centro-europeo e meno influenzato dalle eventuali fortunose vicende di quest'ultimo fra Elba e ... Reno.

Vi è poi un equivoco da chiarire. Sino ad ora, quando si parla di teatro «meridionale» questo vocabolo è da interpretarsi nel quadro del Patto atlantico che non comprende né Grecia né Turchia. Quando si dice che il comandante terrestre di questo teatro sarà un italiano si intende quindi che il comandante del settore italiano sarà un italiano. L'equivoco nasce dal fatto che si tende a confondere il settore sud della già esistente organizzazione del Patto atlantico con la organizzazione mediterranea che è ancora de jure condendo!

379

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 798/425. Ankara, 26 aprile 1951 (perv. il 3 maggio).

Questo ambasciatore dell'Iran Said, che è stato presidente del Consiglio del suo paese, ha confidato al rappresentante diplomatico di un paese del Medio Oriente che l'Iran è definitivamente perduto all'influenza del blocco occidentale. La vera ragione della nazionalizzazione del petrolio — egli ha detto — è di evitare all'Iran il pericolo

2 Vedi D. 319, nota 1.

di essere coinvolto in una guerra, giacché dipenderà ormai dal Governo iraniano di vendere o non vendere il petrolio senza essere obbligato, come lo era finora, a rifornire uno dei due probabili belligeranti. In altri termini, l'U.R.S.S. non ha più motivo d'invadere l'Iran, giacché questo ha in sua mano il controllo delle risorse petrolifere nazionali. Ciò significa che in caso di guerra l'Iran, per salvaguardare la sua neutralità, intende astenersi dal vendere il petrolio al blocco occidentale.

Se quanto ha affermato Said è esatto, il che si vedrà dallo svolgersi dei prossimi avvenimenti, le conclusioni che dovrebbero trarsene sono varie e tutte di particolare importanza:

1) dovrebbe escludersi che la Persia sia disposta a cedere la gestione dei pozzi petroliferi all'Anglo-Iranian o ad altro ente inglese o americano in cambio del riconoscimento della sua proprietà sui pozzi e della disponibilità del 50% della produzione. Se pertanto le intese anglo-americane a Washington sulla questione del petrolio nel Medio Oriente mirano a ottenere che il petrolio dell'Iran continui in un modo o in un altro ad essere destinato alle potenze occidentali e che queste possano disporne in ogni evenienza, è da attendersi che a delle richieste in tal senso venga opposta dal Governo persiano una decisa resistenza, ancorché questa sia mascherata per ora da una tattica procrastinatrice. La nazionalizzazione dei pozzi, in altri termini, non mira soltanto a liberare il paese da un'ipoteca straniera sulle principali risorse economiche nazionali, come si è affermato finora, ma ha uno scopo assai più importante e cioè di ridare all'Iran la piena indipendenza e sottrarlo all'ineluttabile destino di diventare campo di battaglia di opposti interessi. Non è perciò soltanto in giuoco una questione di royalties, ma un interesse politico essenziale. Per questa ragione in Persia uomini di tutte le tendenze sono partigiani convinti della nazionalizzazione, come lo prova il fatto che un uomo come l'ambasciatore Said, certamente non sospetto di filosovietismo e che quando fu al Governo si oppose coraggiosamente alle manovre sovietiche nell'Azerbaigian, è un fermo sostenitore di tale politica;

2) è da ritenersi che l'Iran non si sia impegnato per questa via, che lo espone a una difficilissima lotta contro l'Inghilterra e l'America, senza una qualche intesa con l'U.R.S.S. e comunque senza aver avuto l'affidamento da parte di quest'ultima di rispettare la sua neutralità se l'Iran si asterrà, grazie alla nazionalizzazione dei pozzi, dal rifornire di petrolio l'altra parte. Né escluderei completamente che l'ambasciatore Said abbia avuto una qualche parte in intese del genere, non solo per l'azione che viene svolgendo, ma per i frequenti contatti ch'egli ha avuto in questi ultimi tempi con quest'ambasciata sovietica, come mi era stato fatto rilevare dagli stessi anglo-americani;

3) è probabile che l'Iraq veda accentuarsi ormai su di sé la minaccia sovietica se non segue la stessa linea di condotta dell'Iran. Ciò potrebbe spiegare il suo atteggiamento di attesa e la remora da esso opposta alle allettanti offerte di ricevere le stesse royalties corrisposte dall'Aranco all'Arabia Saudita;

4) la situazione, che verrebbe in tal modo a determinarsi, non potrebbe che rafforzare le correnti neutraliste tra i paesi arabi e gravemente ostacolare i piani di difesa anglo-americani nel Medio Oriente, ammesso ch'esistano dei piani concordati;

5) una situazione di tal genere non può non essere attentamente considerata dalla Turchia. È logico supporre che l'ambasciatore Said, se ha fatto delle confidenze di così grave importanza a uno dei suoi colleghi, a più forte ragione le abbia fatte a questo ministro degli affari esteri, giacché lo scopo di queste confidenze è verosimilmente di creare un fronte unico neutralista nel Medio Oriente che rafforzi la posizione dell'Iran. Questo cioè ha l'evidente interesse di far sapere e alla Turchia e ai paesi del Medio Oriente che con la politica di nazionalizzazione da esso attuata viene a cadere uno dei più forti motivi di preoccupazione, e cioè che l'U.R.S.S. possa essere spinta a invadere il Medio Oriente per togliere alle potenze occidentali la disponibilità dei petroli di questa regione;

6) non è neppure da escludere che l'U.R.S.S. abbia informato la Turchia degli affidamenti dati all'Iran e che analoghi affidamenti essa sia disposta a dare alla Turchia stessa. Mi riferisco a questo riguardo all'interessamento mostrato dall'U.R.S.S. per una eventuale neutralità turca, come da me riferito nel rapporto n. 327/164 del 9 febbraio1. La stampa ha messo in un certo rilievo che proprio alla vigilia della sua partenza il ministro Fuad Köprülü è stato invitato a pranzo dall'ambasciatore sovietico Lavrichtchev. Deve forse presumersi che i colloqui avuti con lui lunedì 23 corrente, e cioè nell'intervallo tra la prima e la seconda conferenza di Governo (vedi il mio rapporto n. 799/426 del 25 corrente)2 abbiano influito sulla decisione di sospendere il viaggio a Parigi e a Strasburgo, nel quale il ministro Köprülü si riprometteva di svolgere una serrata azione per ottenere la tanto desiderata garanzia della sicurezza turca? Qualche giornale lo ha affermato; ma evidentemente è troppo presto per trarre illazioni di tal genere. Sarebbe un post hoc ergo propter hoc non basato su alcun elemento positivo;

7) resta da vedere se l'Inghilterra, e con essa l'America, sia disposta ad accettare la perdita del petrolio iraniano, cui potrebbe tener dietro quella del petrolio iracheno. Si tratta delle principali, se non delle uniche, fonti di petrolio di cui l'Inghilterra dispone; per assicurarsi le quali essa ha investito capitali ingenti. Se d'altra parte dovesse arrivare a questa rinuncia la perdita del suo prestigio in tutto il Medio Oriente sarebbe enorme;

8) per l'U.R.S.S. d'altro canto un successo di tal genere sarebbe più che una battaglia vinta. È perciò comprensibile ch'essa sia disposta a giuocare risolutamente una carta di tale importanza.

Per concludere, sembra delinearsi una situazione ricca d'incognite, determinata dalla volontà della Persia di disporre liberamente del suo petrolio grazie alla politica di nazionalizzazione dei pozzi. Siamo appena alle prime fasi di una lotta che può riservare le più gravi sorprese.

378 1 Vedi D. 374.

379 1 Non pubblicato. 2 Vedi D. 376.

380

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE 4799. Washington, 26 aprile 1951.

Ho letto oggi, nel riassunto qui trasmesso dall'Ansa, il tuo discorso di Trento1 e intendo come debba dare agli italiani quella decisione, quella fede, quella soddisfazione dell'ascesa che è necessaria a riconquistare e superare la posizione prefascista con maggiori forze, esperienza, e maggiori titoli.

Un solo punto mi lascia perplesso — e non per la sostanza, ma per la forma — e credo mio dovere esternarti il mio dubbio, per quel che può valere. Tu hai detto (se il testo è esatto):

«Abbiamo anche sollevato la questione del trattato di pace, esso è uno strumento moralmente superato, almeno nei confronti di tre dei principali firmatari; se la Russia si opponesse ancora all'abolizione politica del trattato, nulla impedirebbe che gli Alleati occidentali, per quanto li riguarda, proclamassero solennemente che il Patto atlantico assorbe e annulla moralmente in se stesso il trattato come strumento di sanzione e lo sostituisce nei rapporti con i paesi atlantici. Anche questo nostro postulato può accordarsi senza urti e va considerato come elemento di di stensione e di pace».

Ti confesso che non so quanto potrebbe essere «elemento di distensione e di pace» un atto solenne unilaterale degli occidentali cui «la Russia si opponesse». Ma, a prescindere da ciò, mi vengono in mente, a proposito della nostra posizione morale, le seguenti osservazioni:

1) il trattato di pace, con la più che solenne firma del Patto atlantico il 4 aprile 1949, non solo è «strumento moralmente superato nei confronti dei tre principali firmatari», ma di tutti gli undici membri di quella alleanza difensiva e di tutte le nazioni libere amiche dei tre e degli undici. Questa — oltre le considerazioni militari e materiali — fu per me la ragione suprema del Patto: porci in condizione di piena parità morale con chi si sia;

2) se questa situazione di fatto esiste da oltre due anni (e ne risentiamo gli effetti nel riarmo, nelle dichiarazioni al Senato americano, nell'opposizione americana alla trattazione delle riparazioni con l'U.R.S.S.) e gli Alleati principali stimano

— a torto o a ragione — inopportuno farne oggetto di una formale dichiarazione che ecciti gli scrupoli giuridici russi, perché — specie in campo di propaganda politica ed elettorale — non affermiamo noi fermamente questa verità inoppugnabile di fronte al popolo italiano che non può non riconoscerla nel suo grande e solido valore? Se noi diciamo — come hai detto a Trento indirettamente — che l'appartenenza senza riserve al Patto atlantico è la rivendicazione totale e definitiva, l'annullamento effettivo di

ogni restrizione morale impostaci dal trattato, e la premessa del sollevamento dei pesi che ci premono in altri campi, chi mai protesterà? Non certo gli occidentali. I russi? Tanto meglio.

Mi pare giunta l'ora di dichiarare liberamente noi quello che altri stentano a dire.

L'effetto sarà tanto maggiore sul popolo, cui di fatto si proclama una assoluta, indiscutibile verità di cui deve sentire ed apprezzare tutta la portata, e capire anche quanto è costato di fatiche, di sforzi, di abilità ottenere questa posizione nuova, sicura e onorevolissima a suo vantaggio.

Scusami questo intervento. Mi auguro possa essere utile.

380 1 Del 25 aprile, in ALCIDE DE GASPERI, Discorsi politici, a cura di T. BOZZA, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1956, vol. II, pp. 15-34.

381

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5106/70. Atene, 27 aprile 1951, ore 19,30 (perv. ore 23,40). Telegramma di V.E. 44 del 16 corrente1.

A seguito interventi ambasciata e delegazione e a conclusione negoziazioni con questo Governo, ripresa esecuzione accordo di collaborazione, in base anche a due note inviatemi ieri da ministro degli affari esteri, si presenta come segue:

1. -Beni persone fisiche. Sono stati sbloccati in questi ultimi giorni per ammontare 7 miliardi e mezzo di dracme, facendo salire somma complessiva beni liberati a 24 miliardi e mezzo di dracme, pari a un miliardo di lire. Lavori per stime rimanenti beni hanno pienamente ripreso. 2. -Beni persone fisiche e giuridiche Dodecanneso. Governo greco ha versato in queste ultime settimane altri 300 milioni lire, facendo salire somma complessiva per cessione beni italiani nel Dodecanneso a 2 miliardi e 300 mila lire italiane. Lavori per stime ultimi beni colà restanti saranno ripresi prossima settimana. 3. -Beni persone giuridiche. Beni concordati per immediata restituzione, come da mio rapporto 1002 del 19 corrente2, raggiungono valore 22 miliardi dracme pari a 900 milioni lire italiane, senza calcolare sblocco importante società Gorgos, che in base odierna comunicazione greca viene restituita gratuitamente anche quale compenso per soluzione questione note scuole associazione missionaria rimessa giudizio codesto Ministero. Tale proposito Politis mi ha inviato lettera, che trasmetto con corriere odierno3, con la quale riafferma punto di vista ellenico che scuole non (dico non) possono essere considerate istituzioni «serventi scopi esclusivamente filantropi

ci» e quindi non possono essere escluse dalla ripartizione con Governo ... ai fini riscatto. Nota aggiunge che ove Governo italiano insista suo punto di vista Governo ellenico deciso ricorrere arbitrato ritirando però cessione Case Italia, fattaci appunto come compenso cessione predette scuole.

4. -Materie prime. Per reintegro materie prime sono state emanate speciali disposizioni allo scopo riservare Italia esportazione rottami ferrosi e non ferrosi qui reperibili. Provvedimenti in base ai quali verrà affidata a ditte italiane ricerca e acquisto materie prime sono stati già decisi e attendono benestare americano. Con nota verbale, che trasmetto per corriere2, Governo ellenico comunica infine avere bandito concorso esclusivamente riservato a imprese italiane per recupero navi affondate di proprietà statale. 5. -Solo punto di divergenza rappresentato in sostanza da richieste greche per cessione scuola associazione missionaria. Tale cessione viene tuttavia compensata da altra valutazione e concessioni, fra le quali quella importante della Casa d'Italia in Atene nonché da beni società Gorgos. Dottor Colitto mi informa inoltre essere in corso accordo con delegato greco Palierakis per inserire in apposito processo verbale formula per cui, pur comprendendo scuole nella ripartizione, venga in qualche modo salvato nella forma punto di vista da noi sostenuto. Riterrei per tanto anche tale questione superata, sia dal punto di vista contabile sia dal punto di vista principio. 6. -Risultati ottenuti, a parte ottenuto e definito avviamento soluzione delle questioni rimanenti, sono a mio avviso, e a avviso Colitto, soddisfacenti e rappresentano prova buona volontà greci dare piena e definitiva esecuzione accordo. In considerazione di ciò, e anche del fatto che non ci mancheranno in avvenire altri opportuni mezzi pressione per indurre eventualmente osservanza rimanenti impegni Governo ellenico, esprimo subordinato parere favorevole al versamento della nota quota dovuta in conto riparazioni. Ciò anche in considerazione necessità regolare al più presto importanti forniture in corso, che sono destinate a rappresentare in avvenire nostra affermazione industriale in questo paese.

381 1 Vedi D. 353. 2 Non pubblicato. 3 Non rinvenuto.

382

L'AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5115/37. Madrid, 27 aprile 1951, ore 23,30 (perv. ore 5,30 del 28).

Vengo informato in questo Ministero esteri che l'ambasciatore Sangroniz qui in congedo rientrando Roma 3 corrente sarà latore invito Governo spagnolo per visita

S.E. Brusasca a Madrid alla data nella forma e con modalità che da parte nostra si riterranno più opportune.

Da quanto è stato detto e da altre informazioni appare che questo Governo desidererebbe visita avesse carattere quanto più possibile ufficiale e si effettui alla fine maggio prossimo o ai primi di giugno. Questi dirigenti da contatti si riprometterebbero rendersi conto dell'assegnamento che potrebbero fare su Governo italiano nei vari momenti e procedura per inserimento Spagna cooperazione europea e atlantica, e forse ancora più della effettiva possibilità di impostare con l'Italia un piano di forniture industriali. Poiché Ministero affari esteri spagnolo si riserva concretare con questa ambasciata modalità e programma visita desidererei appena possibile conoscere decisioni V.E.1 .

383

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 050. Parigi, 27 aprile 1951 (perv. il 30). Riferimento: A tel. n. 11/06060/48 del 19 corr.1 .

S'informa che il Quai d'Orsay concorda con la nostra proposta di formulare una riserva circa la nomina del custode dei Luoghi Santi e di procedere al più presto essendo già stato nominato il nuovo custode che succede al defunto Raghib Pascià Nasciascibi: trattasi, come è noto a codesto Ministero, del dottor Hussein El Khaldi.

I francesi hanno manifestato il desiderio di parlarne previamente ai belgi, il cui accordo, peraltro, non considerano affatto indispensabile. Non vogliono invece prendere l'iniziativa di parlarne agli spagnoli ma non hanno assolutamente nulla in contrario se siamo noi a prendere dei contatti.

È stato poi concertato che le riserve, separate ma similari, dovrebbero:

1) cominciare col far presente che l'assenza di un proprio rappresentante diplomatico alle cerimonie per l'investitura del custode ha voluto significare che la nomina in questione veniva disapprovata;

2) affermare quindi che in occasione della nomina del nuovo custode si desidera formulare esplicitamente ogni più ampia e solenne riserva sulla istituzione della carica che costituisce un provvedimento contrario alle decisioni dell'O.N.U. relative alla internazionalizzazione di Gerusalemme. (Nel caso nostro si potrebbe forse parlare genericamente del principio dell'internazionalizzazione senza citare specificamente le conseguenti decisioni dell'O.N.U.);

3) proseguire formulando ogni più ampia e solenne riserva anche nei rispetti della eventuale codificazione delle regole fin qui in vigore nei Luoghi Santi, opera questa della quale le potenze cattoliche non potrebbero disinteressarsi. (Almeno una volta sembrerebbe opportuno far uso del termine «potenze cattoliche» per sottolineare la concordanza dei singoli passi).

Si è rimasti altresì d'accordo di precisare, nell'inviare ai rispettivi rappresentanti in Amman le opportune istruzioni, che i ministri d'Italia e di Francia si concertino per effettuare il passo più o meno contemporaneamente.

Il Quai d'Orsay prega peraltro di soprassedere per pochissimi giorni, volendo ad ogni buon fine conoscere l'opinione belga prima di telegrafare le sue istruzioni ad Amman.

Si farà quindi quanto prima conoscere quando i francesi considerino senz'altro di poter procedere; frattanto si prega di comunicare ad ogni buon fine se codesto Ministero abbia ritenuto di prendere contatto con gli spagnoli chiedendo loro una rapida decisione in merito al passo da effettuarsi2 .

382 1 Per la risposta vedi D. 386. 383 1 Non rinvenuto.

384

IL MINISTRO A GUATEMALA, SECCO SUARDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 645/162. Guatemala, 27 aprile 1951 (perv. il 14 maggio).

Assente dal paese per la Conferenza interamericana in Washington, il ministro degli esteri dr. Galich non aveva potuto ancora ricevermi cosicché il nostro contatto era rimasto finora superficiale. Ieri ho avuto udienza da lui, e per circa una ora abbiamo considerato insieme le questioni che all'uno o all'altro paese attualmente più interessano.

Ho considerato opportuna questa occasione per intrattenere il ministro sulla revisione del trattato di pace, beninteso avendo presente che, per non aver aderito al trattato di Parigi, il Guatemala tecnicamente non ha interessi nella questione salvo, se mai, come Stato membro delle Nazioni Unite.

Ho quindi osservato, anzitutto, che il Guatemala doveva sentirsi oggi profondamente soddisfatto nel vedere che il rifiuto da esso opposto a firmare un ingiusto trattato preparato da grandi nazioni, era oggi contestato da quelle stesse grandi nazioni o almeno da una parte di esse.

Dato poi il radicato anti-yankeesmo ed il filo-sovietismo sempre latente in questo Governo, ho voluto evitare che la revisione di cui si parla possa apparire semplicemente un episodio della presente situazione internazionale. Ho ricordato al ministro che per quanto si riferisce alle clausole militari del trattato l'Italia chiede la revisione sebbene le sue forze armate siano ancora ben lontane dai limiti ammessi dal trattato; ma che essa la chiede per assicurare la propria difesa nazionale attraverso lo stabilirsi di un ragionevole equilibrio fra le forze militari dei paesi europei, equilibrio rotto a nostro danno dal riarmo intensivo di alcuni Stati del blocco sovietico i quali pure sono sottoposti come noi a limitazioni di armamento.

Ma preoccupazioni non minori, ed anzi maggiori, l'Italia deve nutrire per certi aspetti economici del trattato e per talune questioni di carattere territoriale.

Per Trieste, l'effetto principale della rinnovata dichiarazione di tre fra i quattro grandi firmatari del trattato1, è che la questione è riconosciuta alla competenza diretta dell'Italia e della Jugoslavia come parti principalmente interessate. Che la Russia abbia chiesto di abbinare il trattato con l'Austria al problema di Trieste, mentre risponde chiaramente a preoccupazioni di portata più vasta, non implica una presa di posizione circa il ritorno del T.L.T. all'Italia, ritorno che sotto certi aspetti è già in atto, salvo, specialmente, per la Zona B occupata dalla Jugoslavia. La soluzione di questo problema rappresenterebbe sul piano interno come su quello internazionale un fattore importante di stabilità per l'Italia.

Circa le clausole economiche del trattato la realtà è che le somme le quali a vario titolo si dovrebbero pagare, sia ad alcuni paesi sia come indennizzo a cittadini italiani per la forzata cessione di loro averi, sono tali che l'esecuzione del trattato si potrebbe avere soltanto con illusori e disastrosi procedimenti inflazionistici.

Il Governo italiano, d'altra parte, è impegnato troppo a fondo in un'opera di riabilitazione sociale che non ha precedenti in Italia per la sua grandezza, e francamente non può ammettere che un simile sforzo nazionale e sociale vada perduto per soddisfare interessi altrui per lo più anche ingiustificati.

Poiché la sensibilità del Governo di Guatemala in materia sociale è grande, ho voluto anche richiamare l'attenzione del ministro sull'azione tenace e paziente del Governo italiano per portare sul terreno internazionale la questione dell'emigrazione che interessa così da vicino paesi in corso di sviluppo.

Ho ricordato — ed il ministro lo riconobbe apertamente — che fino a tempi recenti gli Stati Uniti hanno svolto un'azione sistematica avversa all'emigrazione europea nell'America latina. Grazie all'insistenza italiana molte opinioni in proposito sono cambiate anche a Washington e seppure molte affermazioni al riguardo si possono per ora considerare piuttosto di principio che propositi immediati di attuazione, siamo indubbiamente di fronte a un cambio di indirizzo destinato ad avere importantissimi effetti in questo continente, e altrove.

Ne è prova, tra l'altro, un fatto che certo in Guatemala verrà profondamente apprezzato, che l'Italia è riuscita a spezzare il ben noto pregiudizio razziale antilatino in paesi così avversi all'emigrazione come l'Australia ed il Canada. In entrambi questi paesi, ed in base a regolari accordi diplomatici, entreranno e stanno già entrando correnti migratorie italiane che rappresentano percentuali assai elevate della immigrazione complessiva.

In questa ripresa della sua politica migratoria l'Italia non si discosta da due criteri tradizionali per lei, e cioè che qualunque iniziativa interessante un determinato paese è condizionata ad un'intesa profonda e assoluta con il relativo Governo e con le classi lavoratrici locali.

Al riguardo ho tenuto a dichiarare al ministro che io stesso sto studiando in Guatemala certi aspetti tecnico-economici che mi sembrano molto interessanti agli effetti di una possibile emigrazione, ma che ciò faccio a puro titolo di studio giacché

da parte italiana non si passerebbe mai all'azione se non dietro espresso desiderio del Governo di Guatemala.

Dopo un prolungato scambio di notizie e di osservazioni — sul quale sorvolo — il ministro mi chiese se doveva interpretare la mia esposizione al riguardo come un desiderio di conoscere il punto di vista del Governo di Guatemala. Risposi che, pur non avendo formalmente avanzato questa domanda, mi sarebbe riuscito assai gradito conoscere tale punto di vista.

Il ministro allora mi chiarì che il Governo uscito dalla rivoluzione del '44 da tempo considera una emigrazione sostanziale come l'unico rimedio possibile in quanto il Guatemala possiede notevoli riserve economiche che peraltro gran parte della sua popolazione attuale non è in grado di mettere in valore.

Se finora non si è passati ai fatti ciò è dovuto a vari fattori. L'avversione contro lo straniero è radicata in gran parte della popolazione e non ha mancato di esprimersi in varie occasioni attraverso organi di stampa ed elementi della opposizione all'attuale Governo. Troppi problemi di carattere contingente hanno distratto l'attenzione del Governo in questi anni e troppi problemi di carattere finanziario hanno impedito di considerare seriamente programmi di immigrazione che naturalmente implicano sostanziali investimenti. Ma se fosse possibile considerare proposte concrete e opportunamente studiate il Governo sarebbe felice di potere realizzare oggi tali sue vecchie aspirazioni.

Nell'esprimere al ministro il mio compiacimento per questa sua dichiarazione, lo assicurai che essa mi incoraggiava a continuare con maggiore intensità nello studio già intrapreso. Quanto agli aspetti finanziari degli attuali progetti e riconoscendo che il contributo locale non potrebbe coprire che una parte limitata delle spese vive occorrenti, espressi la opinione che non sia impossibile trovare negli Stati Uniti il capitale occorrente trovandosi il Guatemala in una zona di particolare interesse, ma che con ciò non alludevo ad un possibile prestito del Banco internazionale al Governo di Guatemala giacché per l'esperienza fatta in altri paesi mi è ben nota la difficoltà e la lentezza di operazioni finanziarie di tale natura.

Penso piuttosto, aggiunsi, che l'I.C.L.E. — istituto di credito parastatale al quale è stato affidato il finanziamento delle nostre iniziative migratorie — potrebbe agire da intermediario utile, ricevendo esso il prestito americano ed intervenendo nell'operazione verso il Guatemala. In questo modo si potrebbero eliminare moltissimi ostacoli prevedibili.

L'idea parve eccellente al ministro il quale esprimendo apertamente ciò che già sapevo ma avevo lasciato nell'ombra, mi disse che una formula del genere avrebbe evitato urti da parte dell'opinione pubblica che non gradisce prestiti americani pur risolvendo il problema di fondo.

Passando alle questioni che più direttamente interessano ora il Guatemala, il ministro disse che non avrebbe mancato di pensare all'Italia quando si trasformassero in misure concrete i progetti di regolamentazione dei rifornimenti e degli acquisti per effetto della presente situazione internazionale. Egli ritiene peraltro che le decisioni prese dalla Conferenza interamericana in proposito resteranno pure affermazioni di principio.

Il dr. Galich tenne invece a rinnovare, con molto calore, la preghiera, della quale è oggetto il telespresso di questa legazione 546/134 in data 4 aprile2, circa la

concessione del gradimento al tenente colonnello Cosenza come ministro di Guatemala a Roma. Oltre alle ragioni esposte in tale rapporto, credo che il ministro abbia presente nel sollecitare la decisione del Governo italiano, il suo desiderio di provvedere alle principali sedi diplomatiche, come è uso in America latina ad ogni cambio di presidente, mentre la sua assenza dal paese per la Conferenza di Washington ha necessariamente ritardato l'atteso movimento3 .

383 2 Per la risposta vedi D. 395.

384 1 Vedi D. 304, nota 1.

384 2 Non pubblicato.

385

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

T. SEGRETO 3388/211 (Parigi) 176 (Washington). Roma, 30 aprile 1951, ore 13.

(Per Washington) Suo 4471 .

(Per Parigi) Suo 2892 .

Foreign Office ha consegnato ambasciata Londra memorandum i cui punti essenziali sono i seguenti:

1) se dopo scoppio ostilità si verificassero circostanze che rendessero opportuno aumentare rappresentanza mediterranea nell'Executive Board, Governo britannico appoggerebbe candidatura Italia;

2) Governo inglese dichiarasi favorevole inclusione Italia almeno Shipping Employment Policy Committee ed Allocation Committee del Branch di Londra.

(Solo per Washington) Generici affidamenti in materia sono stati dati da Quai d'Orsay.

(Solo per Parigi) Dipartimento di Stato ha dato affidamenti più larghi per punto 1 e analoghi per punto 2.

(Per tutti) Delegato britannico Planning Board ha detto che Italia, data importanza suo naviglio, verrà certamente inclusa al momento opportuno in più di due Comitati.

Delegato americano ha dato affidamenti che, ove quota naviglio italiano venisse amministrata da Branch Washington, sarebbe considerata favorevolmente inclusione rappresentanti italiani in qualche comitato suddetta Branch.

In conseguenza quanto sopra è stata data nostra adesione soluzione proposta per Executive Board, riaffermando al tempo stesso nostro punto di vista.

Gradiremmo tuttavia che, analogamente quanto fatto da Foreign Office, affidamenti codesto Governo venissero confermati per iscritto.

384 3 Con il T. 3671/17 del 10 maggio Scammacca comunicò l'avvenuta concessione del gradimento. 385 1 Del 23 aprile, con il quale Tarchiani aveva comunicato le assicurazioni statunitensi circa la questione oggetto del presente telegramma. 2 Del 24 aprile, non pubblicato.

386

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A MADRID, TALIANI

T. S.N.D. 3430/32. Roma, 1° maggio 1951, ore 16.

Senza escludere menomamente una possibile visita di Brusasca1, con cui anzi avevo scambiato idee in proposito, non debbo nascondere a V.E. che circa il modo scelto da codesto Governo il meno che si possa dire è che esso è inusitato. Non di scuto neppure l'idea di far venire un membro del Governo italiano a Madrid per giudicare costà dell'«assegnamento da fare su Roma per l'inserimento della Spagna nella cooperazione atlantica». Un invito così pensato e formulato rischierebbe di non servire quelle cordiali relazioni tra Italia e Spagna cui teniamo molto.

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 5300/47-48. Strasburgo, 3 maggio 1951, ore 16,35 (perv. ore 20).

Nella seduta di ieri solo punto notevole fu cordialità europea dei discorsi scambiatisi fra presidente del Comitato e Adenauer per la prima volta ammesso in seduta. Il resto della discussione fu lunga sterile lotta procedurale fra quanti desiderano estensione dei poteri del Consiglio e Inghilterra che frena. Posso tuttavia segnalarti che in conversazione privata meco il sottosegretario Lord Henderson che rappresenta Morrison mi confessò sentire questa schermaglia non può durare all'infinito. Vorrei sperare che siamo all'inizio della evoluzione che consigliai a Morrison a Londra.

Soli punti salienti dell'attuale sessione sono finora questione dei rifugiati alla quale cercherò di unire il più vasto problema della emigrazione o del pool agricolo. Fra chi vuole affidarli all'O.E.C.E., e chi preme per il Consiglio Europa io consiglierò di servirsi dei due organismi perché la scelta del solo O.E.C.E. potrebbe colpire pericolosamente il Consiglio ciò che politicamente non ci conviene. Del resto il problema agricolo è ancora per lungo tempo destinato a restare accademia. Spero aver domani in tempo per seduta pomeriggio risposta circa progetto unione aerea1 .

386 1 Risponde al D. 382. 387 1 Vedi D. 390.

388

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 5311/54. Strasburgo, 3 maggio 1951, part. ore 3,15 del 4 (perv. ore 8).

Le due sedute di oggi giovedì sarebbero state sterili e notarili come quelle di ieri, se stasera all'ultimo momento il delegato irlandese non avesse presentato un memorandum del suo ministro esteri assente, nel quale si deplora la mancanza assoluta di iniziativa psicologica da parte occidentali e si raccomandano varie misure fra cui «alcuni passi per porre gli Stati non membri del Consiglio in relazione con gli europei dell'Occidente». Documento presentava una tale somiglianza di sostanza e di forme col mio messaggio confidenziale ad Acheson1 che io dovetti osservare essere ciò una prova che ci troviamo davanti a una di quelle necessità che si impongono da ogni parte. Delegato inglese propose che si meditasse e poi si decidesse alla sessione di autunno. Schuman, Adenauer ed io, che presi la parola, sostenemmo che il problema era urgente. Quando Schuman proposto una prossima riunione confidenziale dei ministri io suggerii Parigi fine giugno. Adenauer propose si facesse su tutto un energico comunicato stampa. La indifferenza dei più fece silenzio sulla sua proposta. Io osservai che la indifferenza dei più sul problema psicologico ricordava quella dei greci mentre Maometto I stava assediando Costantinopoli. Domani venerdì forse ultima seduta ma io Schuman ed altri resteremo anche prima seduta Assemblea sabato2 .

389

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. 5164. Washington, 3 maggio 1951.

Talune recenti manifestazioni tue (discorsi di Trento e di Rovigo)1 e di Sforza (dichiarazioni al Corriere della Sera)2 sono state particolarmente apprezzate allo State Department. Si è osservato inoltre che esse, mentre tengono conto giustamente di essenziali esigenze del paese, si inquadrano perfettamente nell'attuale momento internazionale.

V'è qui vivo desiderio di facilitare il compito del Governo italiano nelle presenti circostanze, e se non è stato possibile venire finora incontro a talune nostre aspirazioni, ciò è dipeso sopratutto della necessità di evitare qualsiasi intralcio ad una eventuale intesa, sia pure soltanto formale e provvisoria, con i russi, intesa alle quale peraltro tengono molto più gli inglesi ed i francesi che non gli americani.

In ogni modo, mi sto adoperando perché qualche opportuno atto, con ogni precauzione che impedisca interpretazioni disutili, sia compiuto dagli Stai Uniti per dimostrarci tutte le loro simpatie ed il loro interesse per la nostra stabilità e sicurezza. Non mancherò di tenerti informato sugli eventuali sviluppi delle questione.

388 1 Vedi D. 326. 2 Seguiva la seguente frase: «Per Segreteria Particolare. Invii questo telegramma per filo Londra, Washington e Dublino e per corriere a Parigi». 389 1 Per il discorso di Trento vedi D. 380, nota 1, quello di Rovigo è parzialmente pubblicato nella Nuova Stampa Sera, 30 aprile-1° maggio 1951. 2 In Il Nuovo Corriere della Sera, 19 aprile 1951.

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. 5324/551 . Strasburgo, 4 maggio 1951, ore 19 (perv. ore 20,30).

Seduta odierna ho presentato noto schema unione aeronautica europea chiarendo che tanto per Comitato ministri ed Assemblea quanto per noi trattasi una serie di idee da svilupparsi e non di progetti concreti. Presidente ha proposto passare nostro progetto allo studio dei Governi. Schuman ha invece suggerito che fosse contemporaneamente inviato all'Assemblea per studio nelle sue commissioni. Ho dichiarato apprezzare suo suggerimento che trovavo utile anche perché la riforma da noi suggerita toccava sentimenti circa i quali una Assemblea era più competente che delle Amministrazioni.

Ma delegato inglese pur profondendosi in lodi sul progetto insisté per un preliminare esclusivo studio dei Governi e così anche col mio consenso si è deciso.

391

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 299/240. Parigi, 4 maggio 1951 (perv. il 7).

Da una conversazione con il direttore generale aggiunto degli affari politici al Quai d'Orsay, risulta la conferma della negatività della recente visita Schuman a Washington per quanto riguarda i tentativi francesi di inserirsi nella pianificazione

politica mediterranea. Comunque, la Francia segue con attenzione questi sviluppi e un recente rapporto dell'ambasciatore Bonnet da Washington ha interessato il Quai d'Orsay per la sintesi delle ipotesi ed alternative soluzioni americane al riguardo. Il rapporto coincide con molti punti delle segnalazioni della nostra ambasciata da Wa shington.

Alle insistenti richieste francesi circa gli orientamenti mediterranei del Governo americano, è stato risposto che occorrono ancora da quattro a sei settimane di studi. Comunque, le ipotesi prese in considerazione sono cinque (comunicato, del resto, con qualche leggera variante anche dalla nostra ambasciata):

1) gli Stati Uniti potrebbero appoggiare e provocare la stipulazione di un accordo difensivo tra tutti gli Stati mediterranei. È quello che a Washington chiamerebbero scherzosamente il «fruit cocktail» ed anche colà non si nascondono le scarse possibilità di riuscita nel convogliare, ad esempio, Israele ed Egitto in un solo patto;

2) gli Stati Uniti potrebbero gettare dei ponti bilaterali verso ciascuno degli Stati mediterranei sinora estranei all'Organizzazione atlantica. Ma a questo osta l'atmosfera del Congresso e degli ambienti politici in generale ai quali simili patti bilaterali appaiono «fuori moda»;

3) possibile anche l'accessione di Turchia e Grecia al Patto atlantico, ma con una formula speciale che permetta riserve di carattere geografico e strategico. (Si dovrebbe andare ben al di là degli attuali accordi tuttora praticamente inattivi, per l'agganciamento di questi due paesi all'E.M.M.O. atlantico; ma non si arriverebbe ad una parità o ad un automatismo di diritto). Questo costituirebbe un fatto nuovo nel N.A.T.O., richiederebbe formule speciali che sarebbero probabilmente respinte da Grecia e Turchia, ma placherebbe certe preoccupazioni scandinave e del Benelux al riguardo (di tali preoccupazioni si rende ben conto questo ambasciatore di Grecia, il quale, in via personale e riservata, dichiarava ad un funzionario francese che, in senso inverso, l'opinione pubblica greca male avrebbe compreso di dover entrare in guerra per un attacco, putacaso, russo sulla Norvegia);

4) come già segnalato a codesto Ministero da Washington, gli ambienti militari americani sarebbero invece per un'inclusione di Grecia e Turchia nel Patto atlantico con parità di garanzie e diritti. Lo stesso Eisenhower, che ritiene strategicamente indispensabile allargare il suo comando ad Oriente, vi sarebbe favorevole;

5) a Washington si sarebbe anche presa in considerazione l'utilità di un patto che leghi i Tre all'Italia, alla Grecia ed alla Turchia. Oltre a queste ipotesi, prospettate appunto nel rapporto Bonnet avuto in lettura al Quai d'Orsay, va aggiunta l'idea francese che potrebbe costituire la sesta ipotesi della serie e che riguarda, come è noto, l'accessione degli Stati Uniti al Patto di garanzia franco-britannico-turco. Da notare che i francesi, tra gli argomenti contro l'opportunità di un'inclusione greco-turca nel Patto atlantico, portano anche quello della necessità giuridica di riparlare in Parlamento dell'entrata di nuovi contraenti nel Patto atlantico. Al Quai d'Orsay si dice che anche a Londra e Washington si troverebbero di fronte alla stessa difficoltà. La cosa non è chiara perché, mi pare, il Patto atlantico ha un articolo che riguarda appunto la procedura delle nuove accessioni e pertanto l'obbligo di portare in Parlamento un eventuale ingresso di Grecia e Turchia appare più che giustificato politicamente (allargandosi con esso il tessuto connettivo del Patto) e magari storicamente, ma non giuridicamente, perché quando fu approvato il Patto se ne approvarono implicitamente anche gli articoli di procedura per l'eventualità di nuovi aderenti. Sarò grato a codesto Ministero (anche per rispondere ad una domanda qui rivoltaci) per un parere del nostro contenzioso al riguardo.

Il rapporto Bonnet dimostra che uguali spiegazioni sono state date dal Dipartimento di Stato sia a noi che ai francesi. Qui si è ormai capito che occorre del tempo agli americani per maturare decisioni al riguardo e ci si rende anche conto, al di fuori delle pressioni dell'opinione pubblica anche qui sempre insoddisfatta, dell'opportunità di lasciare agli americani una latitudine al riguardo che rispecchia del resto situazioni realistiche di peso e di forza.

390 1 Minuta autografa.

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

T. SEGRETO 5382/59. Strasburgo, 5 maggio 1951, ore 20,05 (perv. ore 21).

In esecuzione della proposta formulata avant'ieri da Adenauer e da me1, Schuman ha invitato per iscritto presidente Comitato ministri convocare fra breve in riunione confidenziale ministri affari esteri per discutere situazione internazionale e controbattere propaganda Cominform.

Questo pomeriggio riunitasi Assemblea che lavorerà fino sabato.

Presidente del Comitato ministri mi aveva pregato essere presente lunedì quando si discuterà il suo rapporto all'Assemblea. Ho declinato anche perché trovo quel documento poco efficace.

Partirò domani mattina per Roma.

392 1 Vedi D. 388.

393

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS

TELESPR. SEGRETO 703/C. SEGR. POL1 . Roma, 5 maggio 1951.

Riferimento: Telespresso min. n. 1031 del 24 settembre 19492 .

Questa ambasciata britannica con il suo promemoria in data 20 corrente, qui unito in copia2, ha fatto presente che il Governo inglese intende compiere un ulteriore passo presso il Governo del Cairo per ottenere la cessazione delle misure restrittive alla navigazione nel Canale di Suez, minacciando in caso contrario di chiedere la censura dell'Egitto da parte del Consiglio di sicurezza, in occasione del prossimo dibattito del rapporto del generale Riley sull'armistizio tra Israele e gli Stati arabi.

La predetta ambasciata ha espresso il desiderio che anche da parte nostra si compia un nuovo passo al riguardo al fine di persuadere il Governo egiziano ad abbandonare la sua pretesa sul controllo del traffico del Canale.

Poiché le restrizioni alla navigazione nel Canale — come è ben noto a V.E. — sono anche pregiudizievoli alla nostra economia, e poiché le attenuazioni disposte dal Governo egiziano si sono dimostrate insoddisfacenti, ella potrà affiancare, secondo le linee generali del promemoria inglese, i passi che saranno fatti costì dal suo collega britannico, purché una azione similare venga intrapresa anche dalla maggioranza delle altre potenze interessate.

Sarà comunque opportuno, nell'espletamento del passo, tenere presente le nostre relazioni particolarmente amichevoli con l'Egitto e far rilevare che il passo stesso è esclusivamente ispirato alla difesa dei nostri interessi economici, e non ad una presa di posizione in favore di Israele3 .

393 1 Inviato per conoscenza all'ambasciata a Londra. 2 Non pubblicato. 3 Per il seguito della questione vedi D. 478.

394

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 5470/481. Washington, 7 maggio 1951, ore 19,11 (perv. ore 6,30 dell'8).

Abbiamo continuato persistente azione anche ultimi giorni circa lettera ad Acheson1. Oggi Byington tenuto farmi sapere titolo personale che uffici Dipartimento hanno preparato testo preliminare risposta nella quale si manifesterebbe apprezzamento per intendimenti che hanno ispirato iniziativa e si spiegherebbero dettagliatamente ragioni per cui Governo americano non ritiene potervi ora aderire.

Byington peraltro aggiunto che codesta ambasciata Stati Uniti verrebbe intanto incaricata illustrare pensiero Dipartimento e, ove V.E. ne riscontrasse l'opportunità, prendere accordi per lasciare eventualmente questione stessa per il momento in sospeso2 .

395

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

TELESPR. RISERVATO URGENTE 714 SEGR. POL. Roma, 7 maggio 1951.

Riferimento: Telespresso 050 del 27 aprile u.s. di codesta ambasciata1 .

Sta bene formulazione riserva come prospettato da V.E. Al paragrafo 3 si suggerisce tuttavia sostituzione frase «potenze cattoliche» con «rappresentanti paesi eminentemente cattolici» od altra del genere.

Circa Spagna, ambasciatore Taliani con rapporto del 28 aprile u.s.2 ha fatto presente quanto segue:

«Desidero informare che, avendosi avuto occasione di riparlare col segretario generale di questo Ministero degli affari esteri della nomina di un «custode musulmano» dei Luoghi Santi, il signor Erice ha confermato che il Governo spagnolo non ha fatto, né intende fare nessun passo presso il Governo giordanico, sia perché non crede che riserve

o proteste possano avere pratico risultato, sia perché la Santa Sede non ha di ciò fatto cenno a questo Governo, che desidera in quanto possibile continuare a conformarsi all'atteggiamento del Vaticano nella trattazione della questione dei Luoghi Santi».

2 Per la risposta vedi D. 400.

2 Telespr. 01363/352.

Provvediamo ad informare in data odierna sia Vaticano3 che Governo Madrid4 circa decisione Governo italiano e francese di fare passo concordato, in modo che Segreteria di Stato, se lo giudichi opportuno, possa intervenire al riguardo Madrid.

Analoga comunicazione verrà fatta a Bruxelles per informazione quel Governo.

394 1 Vedi D. 326.

395 1 Vedi D. 383.

396

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 3/286. Roma, 7 maggio 1951.

Attiro la sua attenzione sugli uniti due rapporti (425 e 426)1 di Ankara che paiono contenere notizie e considerazioni di una certa gravità. Già in passato noi abbiamo richiamato, come ella sa, l'attenzione del Dipartimento di Stato su taluni aspetti della situazione nel Medio Oriente, che parevano contenere in sé germi di sviluppo non favorevoli alle potenze occidentali tanto più se — di fronte alla nostra inazione — essi fossero stati abilmente vivificati — come sta avvenendo — dalla assai più dinamica propaganda sovietica. In epoca più recente, esponendo al Dipartimento di Stato le nostre idee in merito alla organizzazione della difesa mediterranea2 (di cui ella ha copia), siamo nuovamente intervenuti per sottolineare la situazione del Vicino Oriente che è andata ulteriormente deteriorandosi. Ci troviamo oggi infatti dinanzi alla situazione assai confusa e fluida dell'Iran, al ripetersi sempre più frequente di dichiarazioni di «equidistanza» da parte di esponenti del mondo arabo, ed ora ad atteggiamenti turchi, che, se anche pel momento ispirati a considerazioni tattiche, non possono essere guardati con indifferenza.

Il nostro interesse di paese mediterraneo a che questa situazione non solo non abbia a peggiorare, ma venga prontamente corretta, è ovviamente fondamentale. Esso dovrebbe — mi sembra — incontrarsi con un uguale interesse francese. Chieda dunque al Quai d'Orsay se esso sarebbe disposto ad unirsi a noi (in caso diverso procederemo anche da soli) nel manifestare le nostre comuni preoccupazioni a Washington e nel delineare l'urgenza di una azione di chiarificazione. A nostro avviso la diagnosi della situazione rivela che l'attuale stato di malessere nel Medio Oriente deriva:

1) dal ritardo con cui si procede a dare alla Turchia e alla Grecia, soprattutto alla Turchia, quella garanzia formale che l'opinione pubblica del paese da tempo attende e per la quale essa stessa ha consentito notevoli sacrifici: non ultimo l'invio di un Corpo di spedizione in Corea. Il lento sistemarsi delle divergenze anglo-americane nella questione della difesa del Mediterraneo non giova al nostro prestigio nel

4 Vedi D. 423, nota 1.

2 Vedi D. 301, Allegato.

Vicino Oriente, rischia di esporre la Turchia a delusioni e conseguenti complicazioni interne e internazionali, scoraggia in tutto il mondo arabo quelle correnti e tendenze che simpatizzano per uno schieramento di quei paesi col mondo occidentale. Per contro una pronta soluzione di questo problema servirebbe a catalizzare e orientare tali correnti dal Bosforo al Nilo. Occorre quindi far sentire a Washington la necessità di accelerare i tempi;

2) profonda amarezza — sarebbe vano nasconderlo — ha lasciato e continua a suscitare nel mondo arabo, l'atteggiamento troppo condiscendente dimostrato dalle potenze occidentali, segnatamente dagli Stati Uniti, verso la politica espansionista di Israele. La dichiarazione tripartita del maggio 1950 non sembra abbia gran che contribuito a calmare gli animi. Ci sembra che occorra spiegare una maggiore buona volontà e, alla occorrenza, una maggiore energia a questo riguardo. L'America, data anche la presente situazione economica di Israele, potrebbe farlo. Ci rendiamo conto delle forze che agiscono oltre Atlantico in senso diverso, ma non dovrebbe mancare al Dipartimento di Stato la possibilità di far comprendere che sono in gioco interessi ben superiori che non possono venire compromessi dal giovane ed eccessivo dinamismo israeliano. Noi stessi abbiamo fatto tacere, e facciamo ancora tacere, dinanzi a tali generali e superiori interessi, ben più importanti interessi nostri in Africa ed in Europa;

3) l'Egitto svolge una politica nazionalista estremista che rende difficile comporre il delicato problema anglo-egiziano attualmente sul tappeto. Tuttavia la tattica ora adottata dal Foreign Office di dar tempo al tempo non ci sembra la più felice in quanto in questo settore, il tempo non lavora a nostro favore. La soluzione del problema della difesa del Mediterraneo per quanto si riferisce alla Turchia e alla Grecia, creerebbe, secondo noi, una situazione di fatto di cui anche l'Egitto non potrebbe non tener conto. Quando poi gli venissero fatte proposte ragionevoli che salvaguardassero il suo amor proprio, e anzi lo valorizzassero, e queste proposte venissero appoggiate da tutti i paesi occidentali la cui solidarietà è in fin dei conti necessaria all'Egitto, non dovrebbe riuscir difficile farle accettare a quel Governo.

Ella vorrà esporre queste considerazioni al Quai d'Orsay e riferirmene al più presto il pensiero3 .

395 3 Vedi D. 401.

396 1 Vedi DD. 379 e 376.

396 3 Per la risposta vedi D. 406.

397

L'INCARICATO D'AFFARI A CITTA DEL MESSICO, D'ACUNZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1107/221. Città del Messico, 7 maggio 1951 (perv. il 15).

Riferimento: Suo telespresso 20/04416/C. in data 21 marzo u.s.1 .

In occasione della mia recente visita al sottosegretario reggente degli affari esteri, ho trovato modo di portare il discorso sull'argomento in oggetto2, illustrando l'importanza che per la difesa dell'Occidente presenta la capacità italiana di prestare un efficiente contributo militare, e d'altra parte il controsenso di una destinazione a riparazioni, indennizzi ed altri oneri derivanti dalla passata guerra di ingenti risorse che, destinate allo sforzo difensivo dell'Italia, riuscirebbero ad assicurare in notevole misura tale capacità

Il signor Tello ha mostrato di comprendere perfettamente anche la incompatibilità morale tra il carattere punitivo del trattato di pace inflitto all'Italia e la parte d'indubbia importanza che questa è destinata ad avere nella difesa della comunità delle Nazioni democratiche.

Egli ha assicurato che il Messico vedrebbe colla maggiore simpatia una revisione del trattato, e — da me richiesto — ha assicurato che, qualora essa venisse posta sul tappeto, il Governo del Messico non mancherebbe di appoggiarla.

398

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1/19221 . Roma, 8 maggio 1951.

A Strasburgo Schuman mi diede il testo di una sua intervista radiofonica su una rete italiana, intervista nella quale un passaggio finale concerneva l'Italia. Non lo disse, ma mi parve credesse — o voleva credere — che con ciò egli aveva risposto alla mia lettera2 sulla revisione o meglio sulla dichiarata estinzione morale del trattato. Non volli aprir polemica con lui colà, visto che ambi avevamo bisogno l'un del-l'altro per le questioni di Strasburgo (specie resistenza contro il vetismo britannico). Ma sarebbe opportuno che lei, appena la situazione lo permetta, gli faccia sentire che

2 Il documento reca il seguente oggetto: «Revisione trattato di pace».

2 Vedi D. 220.

sarebbe un interesse forse più francese che italiano ch'egli cogliesse una occasione francese per esprimere il suo avviso sulla necessità di un gesto di revisione.

Potrà incoraggiarlo il sapere che Tarchiani — che pur era stato stranamente riluttante a muoversi — scrive da Washington, 3 maggio3:

«Si fa strada nel Dipartimento l'impressione che da parte americana qualche cosa bisogna fare per dare soddisfazione all'opinione pubblica italiana, a evitare che si determini in qualche ambiente il convincimento, sia pure privo di base, che i problemi e gli interessi italiani non vengano tenuti nel dovuto conto nel quadro dell'Alleanza atlantica.

Si tratta insomma di una preoccupazione che risponde prevalentemente a considerazioni di ordine più psicologico che sostanziale, ma essa ha comunque, la sua importanza».

E più oltre:

«Riscontro ora un'atmosfera più favorevole, sulla quale la comprensione dei nostri problemi interni non ha mancato di esercitare una certa influenza. D'altra parte la difficoltà della Conferenza di Parigi e la crescente necessità di controbilanciare il riarmo dei satelliti contribuiscono notevolmente a tener vivo il problema.

Sono evidentemente sintomi e non ancora fatti, ma credo che non dobbiamo sottovalutarli e che dobbiamo trarne motivo di perseveranza nella nostra linea di condotta. Il difficile è indurre il Dipartimento a rendere palese questa sua evoluzione».

Aggiunga che mi consta che il Dipartimento spedirà a giorni a Roma un suo funzionario (Green) il quale sarà incaricato di studiare come sollevare la questione.

Come vede, si fa sempre più vivo il concetto che le espressi a voce: «Vorrà Parigi lasciare ad altri un gesto gratuito che andrebbe al cuore, ecc.?».

Le accludo una informazione giornalistica eseguita per mio ordine su quanto ho detto all'inizio4 .

397 1 Vedi D. 312.

398 1 Inviata per conoscenza a Gallarati Scotti il 9 maggio.

399

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO PERSONALE 2586/1405. Londra, 8 maggio 1951 (perv. l'11).

Ho avuto nei giorni scorsi a colazione sir William Strang col quale ho frequenti incontri di questa natura fuori delle più rigide assise del Foreign Office, tanto più che in tali occasioni il segretario permanente è assai più portato ad aprirsi e ad esprimere il suo pensiero.

Parlando della Conferenza a quattro Strang, che è sempre più scettico e pessimista circa la possibilità che ad essa si giunga, accennò alla ostinazione con cui

4 Non pubblicato. Per la risposta vedi D. 497.

l'U.R.S.S. aveva insistito per includere Trieste, in connessione con il trattato italiano, nell'ordine del giorno. Gli occidentali, egli mi disse, non avevano nessuna intenzione di venire incontro al punto di vista russo circa la soluzione della questione, ma non si erano potuti rifiutare di includere il punto nell'agenda. Del resto il problema di Trieste era l'ultimo all'ordine del giorno e in ogni caso sarebbe stato ben difficile arrivare alla discussione di esso.

Ma anche a prescindere dalla eventualità di una Conferenza a quattro Strang sottolineò l'interesse che il problema di Trieste ha per la solidità del fronte anticomunista, e mi chiese se avevo avuto occasione di rivedere l'ambasciatore Brilej.

Persuaso che egli già ne avesse avuto notizia gli risposi di sì e gli esposi la sostanza del nostro colloquio a Stratford1, tralasciando solo ciò che poteva essere meno opportuno nei confronti del Foreign Office. Precisai naturalmente che l'incontro era stato occasionale e che la conversazione tra Brilej e me non aveva carattere minimamente impegnativo ma era stata assolutamente personale e confidenziale, e che io non avevo ricevuto istruzioni da Roma in proposito.

Era tuttavia mia persuasione che il mio punto di vista espresso chiaramente all'ambasciatore jugoslavo fosse il più consono ai nostri benintesi interessi, ed ero convinto dell'opportunità che questi avesse sentito da me quelle che consideravo le esigenze minime richieste per la definizione del problema dall'opinione italiana. Questo avrebbe potuto facilitare una soluzione, sia pure quella di carattere negativo di lasciar stare le cose nella situazione attuale, ma almeno avrebbe fatto sparire ogni equivoco.

Anche io vedevo tutti i pericoli di una soluzione differita anche per le ragioni di difesa del mondo occidentale. E benché mi rendessi conto della difficoltà in cui si trovavano gli Alleati, ed a cui Strang aveva accennato, di far delle pressioni sulla Jugoslavia, non vedevo perché non sarebbe stato possibile agli anglo-americani di esercitare tutta l'influenza ed i mezzi di persuasione di cui disponevano per condurre Tito verso quella ragionevolezza che gli poteva far accettare un accordo equo ed una soluzione definitiva del problema del T.L.T. nello spirito della Dichiarazione tripartita2 quale era stato chiarito nei recenti colloqui di Londra3 e secondo la formula da

V.E. avanzata della linea etnica.

Esposi le linee principali della situazione nelle Zone A e B in rapporto ai nostri interessi e alle esigenze della più «ragionevole» opinione pubblica italiana — pur così sensibile a tutto ciò che riguarda Trieste — anche perché pochi giorni prima Morrison mi aveva detto che di questa questione avrebbe desiderato discorrere meco quando l'avesse studiata a fondo e compresa. Misi in rilievo i sacrifici che l'Italia aveva già fatto in Venezia Giulia con il trattato di pace; ricordai che il Territorio Libero era nato come conseguenza di un compromesso raggiunto sulla base della linea più sfavorevole per noi tra quelle proposte dalle potenze occidentali e feci rilevare che perciò la bilancia del dare e dell'avere non poteva essere ristretta entro i confini del T.L.T. e ne conclusi che anche gli animi più moderati e ragionevoli in Ita

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

3 Vedi D. 298.

lia non sarebbero potuti andare oltre quel minimum che, grosso modo, è rappresentato dalla fascia costiera da Trieste a Cittanova.

Strang, che era ben informato sull'argomento, mi è apparso interessato e comprensivo di quanto andavo dicendo; mi espresse anzi la sua riconoscenza per la lealissima apertura con lui che dichiarò «assai utile» per una migliore collaborazione tra noi e mi lasciò comprendere che da parte sua avrebbe dato il contributo della migliore buona volontà. Mi espresse qualche dubbio circa le difficoltà che la nostra situazione politica interna avrebbe potuto creare per una sollecita soluzione; mentre nessun cenno mi fece della notizia apparsa il 29 aprile sul New York Times — e riportata sia pure in termini non identici dalla nostra stampa — secondo cui, in occasione del-l'incidente determinato dall'articolo del Primorski Dvernik, Ivekovic sarebbe stato autorizzato da Tito a dichiarare al Governo italiano che «la questione di Trieste può essere risolta anche in ventiquattro ore attraverso amichevoli e diretti contatti fra i due Governi». Inoltre Strang mi fece comprendere e mi disse esplicitamente che:

— -il desiderio della Jugoslavia era di trattare la questione al più presto possibile e anzi si rallegrò quando gli dissi che Brilej mi aveva affermato di ritenere personalmente che un accordo avrebbe dovuto essere raggiunto prima della fine dell'anno; — -gli inglesi e gli americani ritenevano che il momento era favorevole per trattare e che sarebbe pericoloso lasciarlo sfuggire.

Strang mi è apparso vivamente e sinceramente interessato alla mia esposizione che — ho più volte ribadito — rifletteva un mio maturo e radicato convincimento ma non voleva avere nessun carattere ufficiale.

398 3 L. 5165, non pubblicata.

399 1 Vedi D. 375.

400

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

T. S.N.D. 3630/190. Roma, 9 maggio 1951, ore 15,15.

Suo 4811 .

Scambierò volentieri idee con ambasciatore degli Stati Uniti.

Sarà comunque bene costì si sappia che la portata e gli scopi della mia iniziativa furono benissimo compresi al Comitato dei ministri di Strasburgo ove una settimana fa2 li illustrai in seguito alla lettura di un memorandum del ministro degli esteri di Irlanda che, senza mai averne parlato meco in proposito, esaminava le stesse necessità psicologiche che mi avevano spinto a scrivere. Nel mio intervento Strasburgo accennai solo a un mio memo3 inviato confidenzialmente a un potente alleato per esame.

2 Vedi D. 388.

3 Vedi D. 326.

Le parole mie e di MacBride spinsero Schuman a proporre una riunione confidenziale dei ministri degli esteri di Strasburgo che studiasse il problema. Io suggerii Parigi giugno. In tal caso informerò di tutto Bruce come continuazione della mia lettera a Acheson.

400 1 Vedi D. 394.

401

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA

TELESPR. RISERVATO 732 SEGR. POL. Roma, 10 maggio 1951.

Riferimento: Telepresso di V.E. n. 388/230 del 14 aprile u.s.1 .

Per opportuna conoscenza della E.V., si trasmette copia di corrispondenza scambiata tra questo Ministero e l'ambasciata in Parigi (Telespresso ministeriale n. 11/06060/48 del 19 aprile c.a., Telespresso urgente da Parigi n. 050 del 27 aprile c.a., Telespresso ministeriale n. 714 del 7 maggio corrente)2, concernente la formulazione della nota riserva per la nomina del «custode» giordanico dei Luoghi Santi.

Si prega la E.V. di voler mettere al corrente la Segreteria di Stato circa la decisione presa da parte del Governo italiano di intesa col Governo francese di fare il passo in oggetto e ciò anche in conformità dell'avviso favorevole espresso dalla Segreteria di Stato per quanto concerne il passo concordato.

Mentre si provvede ad informare il Governo di Madrid3 di quanto precede, si lascia a V.E. di giudicare se convenga o no rappresentare alla Segreteria di Stato l'opportunità che la Santa Sede intervenga presso il Governo spagnolo per ottenere la sua adesione al passo stesso.

Autografo di Sforza del D. 390.

401 1 Vedi D. 351. 2 Il primo documento citato non è stato rinvenuto, per gli altri vedi DD. 383 e 395. 3 Vedi DD. 423, nota 1, e 429.

402

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. SEGRETO 604/449. Londra, 11 maggio 1951 (perv. il 14).

Achilles mi ha, in via del tutto riservata, dato in visione l'unito telegramma dello State Department1, chiedendomi di fargli sapere confidenzialmente quale sia il punto di vista del Governo italiano circa la posizione che Washington intenderebbe prendere nei riguardi del N.A.T.O., dell'O.E.C.E. e del Consiglio d'Europa.

Come rileverai, tale documento esprime in maniera nettissima il concetto che l'interesse del Governo americano è diretto al potenziamento del N.A.T.O., e allo sviluppo di esso non solo nel campo militare ma anche nel campo politico ed economico. Anche se il documento delinea con molta prudenza la tattica che Washington intenderebbe adottare al riguardo, esso esprime con assoluta chiarezza l'idea che gli Stati Uniti non intendono incoraggiare il rafforzamento del Consiglio d'Europa e del-l'O.E.C.E., ma vogliono invece trasformare il N.A.T.O. nell'organo fondamentale della loro politica verso l'Europa.

Si tratta di un atteggiamento che era in parte già noto, e di cui abbiamo già di scusso insieme. Mi sembra tuttavia molto importante averne una così esplicita conferma da un documento ufficiale e confidenziale. Mi permetto quindi di attirare su di esso tutta la tua attenzione, ed aggiungo che per conto mio non fa dubbio che gli inglesi condividano sostanzialmente il punto di vista americano.

Ti sarei molto grato se volessi farmi avere con ogni possibile urgenza elementi per la risposta ad Achilles2 .

ALLEGATO

The U.S. Government is interested in learning the views of other governments on the Hammerskjold proposal or similar thinking on some form of eventual marger of the O.E.C.E., and the Council of Europe. The preliminary views of the Department of State and the Economic Cooperation Administration are along the following lines:

1. -It is obvious that N.A.T.O., O.E.C.E. and the Council of Europe should not have separate extensive economic functions. The present discussion is concerned only with relationships between those three organizations, since the E.C.E., as the only economic body in which Eastern and Western European countries participate, will be useful primarily as a forum for discussion in the small area in which East-West cooperation is still practicable. 2. -In our opinion the United Kingdom will not make any move with respect to continental Europe which would infringe its sovereignty to any significant degree but they would be prepared to participate with continental countries in international arrangements, and to exert some leadership on the continent provided it is clear that such action does not involve any steps on the slippery slope toward union of the continent. It appears that the United Kingdom, in contrasts to its attitude toward union with the continent, considers it both economically and politically feasible to move as rapidly toward North Atlantic Union as can the United States, and for this and a number of other reasons the United Kingdom will continue to put major emphasis on agencies in which the United States participates on the same basis as the United Kingdom. 3. -Although a substantial measure of «market» integration on the continent is desirable and any projects of the Schuman plan type which appear practicable should be encouraged it is doubtful whether it would be politically desirable to encourage continental federation, at least until the North Atlantic without United Kingdom participation and independent of strong North Atlantic framework would increase the risks both of German domination and of encouragement of a «third force». 4. -For these reasons and because the most important economic problem in the next few years will be related to the defense effort, primary United States interest will be in the North Atlantic Treaty Organization and in those functions of the O.E.C.E. which directly support the attainment of N.A.T.O. objectives. 5. -Several alternative lines of development appear possible. One would be the eventual complete amalgamation of O.E.C.E. and N.A.T.O. This might cause the Swedes and Swiss to with-draw. In view of the importance of the association of Western Germany, such an amalgamation would also not be feasible until the parties to the North Atlantic Treaty were prepared to accept the German Federal Republic as a full partner in N.A.T.O. Another alternative would be the work of the former and to amalgamate with the Council of Europe those 2 Vedi DD. 407 e 414.

O.E.C.E.- functions which are primarily «European» rather than «North Atlantic». For tactical reasons it is probably best to ascertain first the extent to which a merger of N.A.T.O. and O.E.C.E.- is practicable, in part to see whether or not Swede would seek a measure of association with N.A.T.O. when faced with the loss of any forum in which the United States participates with Europe, and in part to make progress with the German problem. A complete amalgamation of N.A.T.O. and O.E.E.C. would probably not be practicable, but once the extent to which amalgamation is feasible can be seen more clearly, it should be easier to determine whether the residual functions of O.E.E.C. should be transferred to the Council of Europe, whether the Council of Europe should itself be absorbed by the residual O.E.E.C., or whether both should be merged in some new European body. The eventual arrangement which we believe desirable would be one North Atlantic body concerned not merely with defense but with all fields, one Western European body which would be the focal point for evolution of the «European» concept and in which the United States and Canada would not participate, with E.C.E. a possible bridge with Eastern Europe.

6. The preceding paragraph obviously deals with long range questions and represents preliminary views which are by no means final. For the time being we believe that the Working Group of 12 and development of the F.E.B. are steps in the right direction and perhaps all that is feasible at the moment is working out an organizational relationship between N.A.T.O. and O.E.E.C. While it might be difficult to oppose formal consideration by O.E.E.C. of its relationship with the Council of Europe, it is questionable whether the prior question, i.s., the possibly of further integration of N.A.T.O. and O.E.E.C. has progressed far enough to make such consideration fruitful at this time. It is important to avoid any steps which would highlight the political difficulties of any merger resulting in the liquidation of any organization. It would probably be best in the immediate future to concentrate on all arrangements to prevent duplication and to defer dealing with the longer range questions.

April, 19, 1951.

402 1 Vedi Allegato.

403

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 605/450. Londra, 11 maggio 1951 (perv. il 14).

Riferimento: Telespresso min. segr. pol. 668/C. 1 e 684/C. 2 del 30 aprile scorso.

Ho letto con vivo interesse sopracitati rapporti dell'ambasciatore in Atene e del-l'ambasciatore in Ankara, che codesto Ministero mi ha cortesemente trasmessi in copia.

Concordo in particolare con l'avviso espresso dall'ambasciatore Alessandrini, e cioè che è assai dubbio se l'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico possa portarci più vantaggi che pregiudizi. È bensì vero che l'inclusione dei due paesi nell'Organizzazione atlantica varrebbe a togliere l'Italia dalla posizione geograficamente (e quindi anche politicamente) marginale che essa attualmente ha e che non è senza danno per noi. È anche vero che l'allargamento del Patto atlantico ad altri paesi del bacino mediterraneo varrebbe a portare su questa zona per noi vitale un interessamento che gli organi del Patto per ora non dimostrano che in maniera piuttosto limitata. Ma d'altra parte mi sembra molto giusta la considerazione dell'ambasciatore Alessandrini che, proprio perché l'Italia non ha ancora una posizione tale da garantirle una certa misura di leadership nel Mediterraneo, l'inclusione nel N.A.T.O., della Grecia e della Turchia potrebbe, nel momento presente, diminuire piuttosto che accrescere, il peso dell'Italia nell'Alleanza.

A queste considerazioni vorrei aggiungere una constatazione di fatto e un'impressione dettata dalla mia esperienza di lavori dell'Organizzazione atlantica.

La constatazione è quella, ormai piuttosto ovvia, che la possibilità dell'inclusione di Grecia e Turchia nel N.A.T.O. sembra definitivamente accantonata di fronte all'opposizione degli inglesi, dei francesi e dei nordici. (Conferma di ciò ho potuto trarla anche dall'informazione che ho avuta dalla fonte migliore che la costituzione di un Comando supremo mediterraneo nell'ambito del N.A.T.O. incontra difficoltà che appaiono insuperabili e che quindi si va verso un Comando subordinato di S.H.A.P.E. per il Settore meridionale, comprendente il Mediterraneo occidentale).

2 Non rinvenuto, probabilmente ritrasmetteva il D. 376.

L'impressione è che anche un altro motivo di natura tecnica sconsigli l'allargamento del N.A.T.O. alla Grecia e alla Turchia. Dodici paesi sono già molti per una organizzazione internazionale che ha compiti esecutivi, e della massima importanza in campi vitali come quello della difesa e dell'economia della difesa. Non è sempre facile, ed è comunque molto lungo, mettere d'accordo dodici paesi: ciò diventerebbe anche più difficile se da dodici si dovesse passare a quattordici, e se i nuovi venuti fossero alquanto diversi per tradizione politica e mentalità dai dodici soci fondatori. (Altro sarebbe naturalmente il caso se accedessero al N.A.T.O. la Germania e, magari, la Spagna, nel qual caso l'apporto di tali paesi all'Organizzazione compenserebbe più che largamente gli svantaggi dell'aumento del numero). Se l'Organizzazione atlantica diventasse troppo larga, essa cesserebbe di essere maneggevole. Ne deriverebbe come naturale conseguenza un rafforzamento della tendenza che già esiste di concentrare l'effettiva condotta di tutti gli affari dell'Alleanza nelle mani di un ristretto Comitato esecutivo. Non bisogna dimenticare che esiste tuttora in seno al

N.A.T.O. l'Unione di Bruxelles cui l'Inghilterra e il Benelux non cessano di guardare con affezione. Di fronte a un ulteriore aumento del numero dei soci del N.A.T.O. questa affezione per gruppi più ristretti e più exclusive tornerebbe a rinfocolarsi; e l'Italia vedrebbe riconfermata la sua posizione marginale, con la sola variante che essa la dividerebbe con Grecia e Turchia.

Mi pare quindi che mentre per fare cosa grata ai due paesi mediterranei possiamo benissimo continuare a sostenere formalmente le candidature al Patto atlantico (dato che è chiaro che non verranno accolte), ci convenga premere in realtà, per quanto ci è possibile, verso l'altra soluzione indicata dall'ambasciatore Alessandrini, e che l'ambasciatore Pietromarchi riferisce essere accettabile ai turchi: e cioè verso una garanzia data ai due paesi da Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Italia. Da parte mia, parlando con Spofford dei rapporti della Grecia e della Turchia con l'Alleanza atlantica, gli ho fatto cenno alla convenienza di considerare anche un tale soluzione. Spofford si è mostrato molto interessato e mi ha detto che egli considera opportuna una discussione da parte dei sostituti sulla situazione politico militare economica dei due paesi, discussione che potrebbe rivelarsi particolarmente utile perché da essa avrebbero potuto trasparire le diverse tendenze circa la sistemazione del Mediterraneo orientale nei confronti dell'Alleanza.

Resterebbe naturalmente sempre da risolvere la questione di fondo: e cioè se le forze greche e turche debbano essere orientate verso l'Europa o verso il Medio Oriente. Il generale Eisenhower, a quanto mi ha detto il suo capo di Stato Maggiore, sarebbe in favore della prima soluzione. La questione è forse più grande di noi; ma, visto che non siamo nello «Standing Group», è solo nel quadro di un trattato di garanzia, quale quello suggerito, che noi potremo adoperare quel tanto di influenza di cui disponiamo a favore della soluzione più conveniente ai nostri interessi.

403 1 Del 28 aprile, ritrasmetteva il D. 374.

404

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5807/323. Parigi, 15 maggio 1951, ore 20,20 (perv. ore 21,15).

Parodi mi ha detto che stamattina ambasciatore americano gli ha comunicato che U.S.A. sono decisi a includere Grecia Turchia Patto atlantico e pregano Governo francese voler riconsiderare suo atteggiamento contrario tale inclusione.

Mi ha spiegato che Governo francese era contrario tale inclusione per non dare Patto atlantico carattere accerchiamento nei riguardi Russia e preferiva patto regionale: adesso tuttavia di fronte andamento conversazioni sostituti riteneva personalmente che obiezioni Governo francese non avessero più ragione di essere.

Doveva però parlarne con Schuman che è attualmente assente da Parigi.

Richiesto opinione Governo italiano, gli ho detto:

1) noi eravamo stati sempre in favore inclusione Grecia Turchia in Patto atlantico: e questo per varie ragioni, non ultima delle quali che noi consideravamo due paesi come zona di particolare interesse per noi: includerli Patto atlantico significava farli entrare in sistema di cui facevamo parte. Prima di considerare eventualità patto regionale, avremmo voluto sapere se ci saremmo stati inclusi o non. Soltanto in caso prima alternativa avremmo potuto cominciare prendere in considerazione anche seconda soluzione;

2) nostre informazioni del resto collimanti con informazioni francesi, ci segnalavano che situazione Turchia di fronte indecisione americana diventava preoccupante non solo per quello che concerneva Turchia stessa, ma per ripercussioni che evoluzione neutralista Turchia poteva avere su tutto Vicino Medio Oriente. Occorreva quindi far presto e, se americani si erano decisi per inclusione Patto atlantico, era meglio assecondarli che perdere ancora del tempo studio opportunità modalità patto regionale che si sarebbe sempre potuto prendere in considerazione in seguito. Ritenevo quindi poter dire che anche Governo italiano pregava insistentemente Governo francese voler recedere suo atteggiamento negativo per inclusione due paesi Patto atlantico. Non (dico non) ho parlato con Parodi argomenti di cui punti 2 e 3 suo dispaccio numero 3/286 del 7 corrente1 anche per alcune considerazioni di cui ho già scritto V.E.2 e su cui mi riserverei intrattenerla a voce.

404 1 Vedi D. 396. 2 Vedi D. 406.

405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 766 SEGR. POL. Roma, 15 maggio 1951.

Ho dato visione al ministro Martino, che si trova attualmente in congedo, del suo rapporto del 24 aprile1 .

Egli ha riunito in un appunto, che le invio per opportuna conoscenza, le sue impressioni ed osservazioni.

Come le è noto, Martino ha in materia una personale esperienza che non ha mancato di dargli qualche delusione: mi sembra quindi che quanto egli dice sia da considerarsi con molta attenzione ai fini di una esatta valutazione dell'atteggiamento jugoslavo2 .

ALLEGATO

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO SEGRETO. Roma, [14] maggio 1951.

Ho letto con la massima attenzione il rapporto segreto 24 aprile u.s. inviato dall'ambasciatore Gallarati Scotti a S.E. il conte Sforza.

È assai probabile che da parte jugoslava si desideri oggi più che mai la soluzione della questione del T.L.T. specialmente in relazione alla Conferenza di Parigi. Qualora infatti quella Conferenza dovesse sboccare nella esecuzione del trattato di pace, e cioè nella costituzione del Territorio Libero di Trieste come nel trattato è previsto, la Jugosla via perderebbe, e forse definitivamente, l'Amministrazione della Zona B, cui da parte ju goslava non si intende rinunciare, come è stato ripetutamente dichiarato in privato ed anche pubblicamente, se non, in quest'ultimo caso, da altissimo livello.

La dichiarazione di Tito che la questione può essere risolta in ventiquattro ore3 non deve dare soverchie illusioni. Analoga dichiarazione mi aveva fatto il ministro aggiunto Mates il 26 marzo dell'anno scorso4, specificandomi che poteva esservi una immediata soluzione del problema (anche domani, disse Mates) mediante l'attribuzione della Zona A all'Italia e della Zona B alla Jugoslavia.

Da allora non ho riscontrato nessuna evoluzione delle intenzioni jugoslave verso una diversa soluzione. Anche la tesi di una soluzione in base a «una linea etnica» non ha fatto a tutto oggi alcuna breccia presso il Governo jugoslavo.

2 Per la risposta vedi D. 426.

3 Vedi D. 294.

4 Vedi D. 282, nota 2.

D'altra parte se può presumersi un desiderio jugoslavo di non arrivare alla esecuzione del trattato di pace che priverebbe la Jugoslavia della Zona B, è anche ipotiz zabile che sia difficile che la Jugoslavia, per trattative dirette, rinunci a tutto o quasi tutto il Territorio Libero di Trieste a definitivo favore dell'Italia. In tal caso la Jugoslavia con tutta probabilità preferirebbe la costituzione del Territorio Libero, sia per ragioni di pre stigio interno, in quanto non apparirebbe come «rinunciataria», sia perché potrebbe spe rare di poter acquistare influenza e privilegi nel Territorio Libero.

L'ambasciatore Brilej ha fatto sempre un po' il «cavallo di punta» in questa questione, ma, dato l'atteggiamento degli uomini responsabili di Belgrado, sarei indotto a ritenere che, pur non tenendo conto della parte dovuta alla sua personale iniziativa, le sue «puntate» siano soprattutto fatte a scopo di esplorare eventuali cedimenti del punto di vista italiano.

405 1 Vedi D. 375.

406

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 319/258. Parigi, 15 maggio 1951 (perv. il 18).

Ho fatto presente al Quai d'Orsay le considerazioni di cui al suo dispaccio

n. 3/286 del 7 corrente1: si tratta del resto di un argomento di cui avevo già avuto, anche di recente, occasione di parlare a tutti i livelli.

La Francia, come noi, è convinta della necessità di risolvere la situazione della Grecia e soprattutto della Turchia, dando loro quella garanzia formale americana che essi richiedono: anche se la Francia, a differenza di noi, propende sempre più verso un patto mediterraneo, separato ma connesso al Patto atlantico, e ciò per ragioni varie. La Francia, nel complesso, desidera che anche noi facciamo parte di questo patto del Mediterraneo orientale, anche se naturalmente, si preoccupa, in primo luogo di entrarci lei: si rende però sufficiente conto che, se ci entriamo tutti e due, la posizione della Francia sarà migliore che se ci entra da sola.

Di questo la Francia ha, come noi, ripetutamente tenuto parola a Washington ed a Londra — questo argomento è parte importante anche delle conversazioni sul Medio Oriente che si stanno tenendo in questi giorni a Parigi con gli inglesi — ed è quindi disposta a continuare a fare, insieme a noi, pressioni sul Governo americano.

Ma, se sul problema Grecia-Turchia, il nostro punto di vista è analogo a quello francese, non lo stesso si può dire sul problema Israele né, ancor meno, sul problema egiziano.

I francesi sono anche loro fra i disturbatori della situazione politica nel Medio Oriente. Se gli inglesi seccano ed intrigano con la politica della Grande Siria o della Mezzaluna fertile, i francesi alla loro volta seccano ed intrigano, perché questa politi

ca non riesca. Se gli inglesi vogliono mantenere le loro posizioni personali nel Medio Oriente, i francesi vorrebbero riacquistarvi le loro. Sono poi anti-arabi, e specialmente antiegiziani, per la propaganda contraria alla Francia che tutti questi paesi stanno facendo nelle colonie francesi del Nord Africa. Qui prevale la politica della maniera forte — prova ne sia il recente successo di Juin — e le prossime elezioni, quale che sia il loro risultato ai fini della politica interna francese, rinforzeranno alla Camera i fautori della politica forte. Sono perfettamente d'accordo con V.E. nel dire che è una politica assurda, antistorica, tutto quello che vuole; ma è la politica francese: e non c'è, né ci sarà in un prossimo avvenire, un Governo francese il quale possa presentarsi alla Camera a proporre una politica differente senza essere rovesciato: e questo, in regime democratico, è un argomento che non ammette discussioni.

Aggiungo anzi che, se reticenze ci sono — e ce ne sono negli uffici ed in molti ambienti politici — sulla opportunità di fare entrare noi in un eventuale patto mediterraneo orientale, ci sono appunto per il dubbio su quale sarà poi la politica che noi cercheremo di farvi. La Francia voleva, e seriamente, che noi mantenessimo le nostre colonie, ma appunto e direi quasi soltanto per obbligarci con questo a fare una politica colonialista. Il fatto che noi non abbiamo più colonie, la facilità con cui il Governo e l'opinione pubblica italiana si sono rassegnati a questa perdita, e certe, anche recenti, fluttuazioni nostre su questioni concernenti la Libia, non fanno che accentuare i dubbi e le reticenze francesi.

Quindi i francesi sono disposti ad associarsi a noi in un passo che concerna soltanto il punto 1): non sono disposti ad associarsi con noi ad un passo concernente il punto 2): quanto al punto 3), il solo fatto che noi lo facciamo a Washington — non voglio con questo dire che non dobbiamo farlo — provocherebbe qui reazioni e sospetti con conseguenze negative certe, sia da parte inglese che da parte francese, per quello che concerne la nostra inclusione nel patto del Mediterraneo orientale. Siamo logici: non si può domandare a francesi ed inglesi di appoggiare il nostro ingresso in un sistema quando sappiano in partenza — e già lo sospettano — che intendiamo svolgervi una politica contraria ai loro, anche se malintesi, interessi.

Si tratta quindi per noi di decidere se facciamo quello che facciamo per un disinteressato e superiore desiderio di saggezza, e se lo facciamo per lo scopo più modesto di entrare nel patto mediterraneo: se questo è lo scopo che perseguiamo, mi permetterei di consigliare di aspettare, prima di prendere certe posizioni, di esserci entrati.

I due rapporti di Pietromarchi, allegati al rapporto di V.E. cui rispondo, sono estremamente interessati. Mi permetto soltanto di dissentire dalla interpretazione di Said degli avvenimenti persiani. Se i russi si contentassero soltanto di una misura del Governo persiano che garantisse che, in caso di guerra, non venderà petrolio al mondo occidentale, non ci sarebbe ragione di preoccuparsi troppo per quello che sta accadendo in Persia. Forse Said ci crede: ma sono illusioni. I russi vanno cercando ben più di questo: vogliono far passare la Persia nella loro orbita: i Said non sono che i cavalli di Troia dell'operazione.

La operazione Anglo-Persian è opera principalmente, ed apparentemente degli ultra conservatori persiani. Semplificando le cose all'estremo, si potrebbe dire che sono i grandi proprietari agrari che per evitare la riforma agraria, cercano di convogliare il malcontento delle masse verso il petrolio straniero: che ci si possa illudere che fatto questo i russi li lasceranno in pace a godere i loro latifondi, via, ci vuole troppa buona volontà. La manovra russa è molto semplice: mettere i conservatori persiani contro l'Inghilterra e l'America colla questione del petrolio: una volta privatili dell'appoggio anglo-sassone, procedere contro di loro all'interno: è una manovra classica già fatta mille volte. Lo svolgimento ulteriore del processo glielo posso dire fin da adesso: prima cosa, la nazionalizzazione: fatta la nazionalizzazione, perché i russi possano essere sicuri della neutralità persiana, ci vorrà anche l'assistenza tecnica russa allo sfruttamento dei pozzi: fatto questo, sempre perché si possa prestar fede alla neutralità persiana, bisognerà far partecipare il Tudeh al Governo: una volta fatto questo, il resto viene da sé.

Siccome, se non ci sbagliamo tutti molto sulla situazione interna turca, una manovra simile a quella che si sta svolgendo in Persia, in Turchia mi sembra di molto difficile attuazione, così non credo molto ad una politica russa in Turchia. Da che cosa è nato l'abbandono turco della sua politica di neutralità? Dalla richiesta russa di Kars ed Ardahan e delle basi sugli Stretti: che i russi siano disposti a fare una dichiarazione pubblica di rinuncia a queste loro aspirazioni? Bisognerebbe dire che di colpo i russi sono diventati intelligenti: e non abbiamo manifestazioni in altri settori che lo siano diventati: e bisognerebbe poi anche che i turchi ci credessero.

La politica russa è dinamica, sì, ma non intelligente: ha dei successi, ma è facile avere dei successi quando si ha sottomano una forza militare grande reale, di fronte a degli avversari che non hanno niente.

Se la politica turca, adesso, è influenzata dalle idee di Menemencioglu, so che egli è contrario a premere sugli americani: preferisce aspettare convinto che a suo tempo ci verranno. Che i turchi, per accelerare la soluzione, si vogliano dare l'aria di potere diventare neutralisti, ed anche avvicinarsi alla Russia, è possibile: è nelle loro tradizioni. Essi hanno un esercito che è l'unica cosa di relativamente solido che esista nel Medio Oriente e forse anche in tutta Europa: hanno una situazione interna che non li espone a difficoltà comuniste: possono anche farlo, e farlo con successo. Le tendenze turche alla neutralità quindi non mi preoccupano molto, lo confesso: il neutralismo quando non significa aprire le porte al comunismo non è così grave.

Molto più grave è, secondo me, la situazione nei paesi arabi: perché lì la situazione interna non è solida come è, o sembra essere in Turchia, ed è molto più analoga a quella persiana. Sono tutti regimi-castelli di carta: possono continuare per qualche tempo, a condizione che nessuno li tocchi. Ora non nego che la politica inglese, in Egitto, in Iraq o altrove, non complichi le cose: che il problema della convivenza con Israele non sia un problema: ma, anche risolti questi problemi nel senso che noi desideriamo, il problema della difesa del Medio Oriente non è ancora risolto. L'agitare problemi nazionali di prestigio è un vecchio procedimento, che adottano tutti i Governi quando sperano di distrarre l'attenzione dei loro popoli da questioni interne che non si possono o non si vogliono risolvere.

Le esitazioni americane non vengono soltanto, secondo me, dalla difficoltà congenita che ha la macchina statale americana a prendere una decisione ed a definire una politica: non vengono soltanto dalla difficoltà di armonizzare i punti di vista inglese ed americano: vengono dalla difficoltà intrinseca del problema.

Dare la garanzia formale alla Grecia ed alla Turchia, è una parola: il giorno che gli americani lo faranno, si illuminerà ad Atene ed a Ankara. Ma, data la garanzia, e passato l'entusiasmo del successo, ci si comincerà a domandare come si esplica questa garanzia: si domanderà che si mandino armi, aeroplani e soldati: ora, dove prenderli, se per il momento non ci sono? Mi pare che la politica americana si stia orientando verso il principio, saggio del resto, di non garantire che quello che si ha una ragionevole speranza di poter garantire con i fatti. L'esperienza ha dissipato l'illusione che i russi si lascino impressionare dalle sole parole. Può essere che gli americani e gli inglesi, fra qualche mese avranno i mezzi materiali per poter implement questa loro garanzia alla Grecia ed alla Turchia: allora, molto probabilmente, la daranno: prima, ci credo poco: e credo poco anche al risultato politico: oggi i turchi sono in crisi, perché non hanno la garanzia: domani saranno di nuovo in crisi perché la garanzia è solo sulla carta.

Per quello che riguarda il Medio Oriente in generale, anche lì credo che le esitazioni americane vengono dal fatto che, avendo cominciato a studiare sul serio la situazione, si sono accorti quanto essa sia complessa.

Questi paesi del Medio Oriente li conosco un po' per esserci vissuto. Sono d'accordo con chi dice che la soluzione vera del problema è una sola: riforma e benessere: che è dal resto la formula americana. Ma dirlo è facile, farlo è una altra cosa: soprattutto ci vorrebbe un tempo che non abbiamo.

Tutto il mondo canta all'America la stessa canzone: armi, soldati e denari: ma armi e soldati, per il momento non ce ne sono: ce ne saranno; spero fra breve, ma ancora non ce ne sono: e, quanto ai denari, l'America è ricca, ricchissima sì, ma dove ne trova per finanziare le riforme di tutti, il miglioramento dello standard di vita di tutti, il riarmo di tutti, i comodi di tutti?

Mi permetto di segnalare tutto questo all'attenzione di V.E. perché si tratta di un problema maledettamente complesso. Mi permetterò quindi di consigliare che, nel parlarne a Washington, sia congiuntamente con i francesi, che da soli, noi mostriamo di renderci conto anche della difficoltà reale della situazione, delle difficoltà americane: che evitiamo in una parola di semplificare troppo un problema che non è affatto semplice. Non bisogna dimenticare che, dopo tutto, il neutralismo del Medio Oriente, come il neutralismo europeo, è figlio della paura e solo della paura. Si vede da una parte la massa militare russa: dall'altra parte, niente. Ed allora ci si attende di poter salvare la pelle ed i beni facendo l'occhiolino alla Russia: ci si risveglierà col capestro al collo, ma intanto si è vissuti di illusioni per qualche mese di più. Non sono i patti, le garanzie, la politica che possono aiutare questa situazione: ci vogliono delle buone divisioni, proprio quelle che non ci sono2 .

406 1 Vedi D. 396.

406 2 Zoppi accompagnò questo rapporto con il seguente appunto per Sforza: «Quaroni dice molte cose vere e note, ma mi sembra che appunto perché siamo in una posizione da cui possiamo vedere le cose con maggior distacco di altri che vi hanno diretti interessi, noi non dobbiamo perderci d'animo e possiamo continuare a dire parole di saggezza».

407

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. SEGRETO 3856/79. Roma, 16 maggio 1951, ore 20.

Suo rapporto 604/449 dell'11 u.s.1 .

Nulla da eccepire da parte nostra a potenziamento N.A.T.O. nel cui quadro potranno da ora innanzi sempre più svilupparsi rapporti politici ed economici comunità atlantica ed opportunamente integrarsi altri organismi collaborazione internazionale preesistenti. Siamo però anche d'avviso che, parallelamente a tale potenziamento, dovranno continuare essere sviluppate anche attuali iniziative carattere europeo tanto più in quanto talune di esse, come Consiglio Europa, oltre a collaborazione fra Governi contemplano collaborazione nazioni europee su base parlamentare (Assemblea). Queste iniziative, malgrado difficoltà che incontrano, hanno suscitato notevole interesse ed aspettativa anche come correttivo e superamento secolari contrasti che hanno diviso popoli continente e precipuamente sotto questo aspetto meritano essere mantenute ed incoraggiate. Siamo perciò del parere che, mentre ogni cura deve essere portata ad intensa e feconda collaborazione N.A.T.O., tanto Consiglio Europa quanto O.E.C.E. proseguano loro attività evolvendo secondo circostanze e pratica esperienza ma sempre (tale è sempre stato mio pensiero) nel quadro più vasta comunità atlantica2 .

408

IL MINISTRO A LA PAZ, GIARDINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 5944/29. La Paz, 17 maggio 1951, ore 21,45 (perv. ore 8 del 18). Mio telegramma 271.

Nuovo ministro degli affari esteri Dumping Suarez ha inviato oggi a questa legazione nota informando ufficialmente che in seguito «volontarie» dimissioni del presidente della Repubblica il potere è stato assunto da una giunta militare.

Nota verbale prosegue ponendo in rilievo fermo proposito nuovo Governo salvaguardare istituzioni democratiche e di rispettare trattati e impegni internazionali

sottoscritti con altri Stati con cui desidera mantenere tradizionali relazioni amicizia. Conclude pregando portare a conoscenza Governo italiano quanto precede2 .

407 1 Vedi D. 402. 2 Vedi anche DD. 414 e 451. 408 1 Del 16 maggio, con il quale Giardini aveva riferito sugli sviluppi della situazione interna boliviana.

409

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1306/434. Atene, 17 maggio 1951 (perv. il 19).

Riferimento: Mio rapporto n. 1059/355 del 24 aprile u.s.1 .

L'annuncio di nuove, favorevoli disposizioni americane per l'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico, anche se fino a questo momento non confermato da comunicazioni ufficiali a questo Governo e limitato per ora alle dichiarazioni di uno spokesman dello State Department, ha sollevato in questo paese un entusiasmo tanto più aperto in quanto le speranze greche di giungere a tale risultato si erano andate facendo sempre più tenui durante gli ultimi tempi.

Venizelos è esultante ed ha subito dichiarato, ancor prima di conoscere che cosa esattamente sia stato comunicato in proposito dal Dipartimento di Stato al Foreign Office ed al Quai d'Orsay, che egli «desidera esaltare l'importanza del definitivo invito della Grecia a far parte del sistema di difesa occidentale».

La rinnovata attenzione americana al problema della difesa del Mediterraneo e la determinazione dello State Department di ripresentare, secondo le notizie telegrafiche qui pervenute ieri sera, la candidatura della Grecia e della Turchia all'ammissione pura e semplice al Patto, sono in parte dovute all'opera di convinzione ed alle pressioni personalmente esercitate a Washington da questo ambasciatore d'America, che è attualmente a Washington.

Egli mi ha fatto parte, prima di partire, della sua determinazione di insistere a fondo presso Acheson in favore della tanto discussa ammissione, dicendomi che, pur essendo ben cosciente dei difetti e della carenze politiche greche, egli non può non riconoscere la necessità di risolvere il problema della difesa del Mediterraneo, sia dando ai greci ed ai turchi quella garanzia, e quindi quella tranquillità, che sono indispensabili per assicurare il loro allineamento con l'Occidente, sia per risolvere, in pari tempo ed in qualche modo, le questioni pendenti in questa zona fra Stati Uniti e Gran Bretagna.

Anche Venizelos mi ha fatto intendere il senso e lo scopo della missione di Peurifoy presso il quale tutti qui, dal re all'ultimo dirigente, hanno, senza distinzione di

partiti, compiuto uno sforzo altrettanto intenso quanto paziente per farne l'assertore ed il difensore dei desiderata ellenici.

Venizelos ha appoggiato l'azione di Peurifoy a Washington con dichiarazioni ed interviste varie: la più importante è quella concessa al Daily Telegraph alcuni giorni or sono. In essa questo presidente del Consiglio, allo scopo di fornire a Peurifoy un nuovo argomento in favore del fattore greco, ha dichiarato che «se le Nazioni Unite avessero a domandare, in caso di aggressione della Jugoslavia, un intervento ellenico, questo Governo non esiterebbe a rispondere affermativamente». Venizelos ha continuato dicendo che «la Grecia non è contraria a conversazioni militari bilaterali con la Jugoslavia, se il maresciallo Tito lo giudicherà necessario per la difesa comune di questa regione». Egli ha poi fatto notare come sia stato recentemente nominato a Belgrado un addetto militare greco.

Sempre al fine di rassicurare gli occidentali sui progetti greci, Venizelos ha poi detto che «la Grecia si interessa al ristabilimento di un'Albania libera ed indipendente» pur esigendo «delle garanzie atte ad assicurare che l'Albania non sarà in avvenire utilizzata come base di operazioni contro la Grecia». «La sola questione pendente — egli ha aggiunto ad evidente scopo interno — è il trattamento della minoranza greca che l'attuale regime albanese sta gradualmente facendo scomparire».

È da domandarsi se tali dichiarazioni concernenti l'Albania siano state fatte anche a nostra intenzione. È comunque bene prenderne atto poiché le rivendicazioni con esse affacciate da Venizelos sono evidentemente assai più blande di quelle affermate dalla stampa greca ed anche di quelle tempo addietro significatemi da Politis.

Sir Clifford Norton, ambasciatore d'Inghilterra, con il quale ho ieri parlato a lungo a proposito della situazione, mi è sembrato ben poco entusiasta dei proponimenti americani. Le tesi e le tendenze inglesi in materia sono ben note e sono state concordemente segnalate da tutti i nostri rappresentanti nel Vicino Oriente: Norton le ha riconfermate, esprimendo nuovamente i suoi dubbi sulla opportunità di estendere di tanto il Patto e gli impegni atlantici. Sopratutto egli mi ha dato l'impressione di essere preoccupato per lo scontento che non mancherebbe di venir manifestato da parte degli Stati medio-orientali non ammessi al Patto, ove solo Grecia e Turchia avessero ad ottenere tale privilegio. Ponendo tuttavia a raffronto le osservazioni e le domande di Norton con quelle da lui fattemi in precedenza sullo stesso argomento, ho anche avuto la sensazione che il Foreign Office ed i vari servizi inglesi siano oggi più esitanti nell'ostacolare l'ammissione della Grecia e della Turchia al Patto e che, di fronte all'attuale presa di posizione americana, essi stiano riesaminando il loro atteggiamento.

Norton mi ha detto che alla Turchia, se ammessa al Patto atlantico, potrebbe essere affidato un «doppio compito» verso Oriente e verso Occidente. Come si vede la preoccupazione britannica di destinare la Turchia a compiti medio-orientali ed asiatici riaffiora sempre. E mi sono domandato se la presente tendenza inglese a venire incontro ai desiderata americani per la sistemazione della Turchia non sia determinata, oltreché da ragioni di politica generale, anche dal proposito di impegnare così maggiormente l'America nel Medio Oriente e di metterla a più diretto e responsabile contatto con la situazione che si è andata creando in Persia. Situazione che potrebbe facilmente riprodursi, ad ogni momento ed anzitutto ai danni della Gran Bretagna, anche in Iraq.

Questo ambasciatore di Francia, prevalentemente dedito ad attività culturali e scarsamente sensibile a problemi d'altro ordine, non mi è sembrato avere un preciso pensiero in proposito, pur essendo evidente che anch'egli, come Norton, è stato dal suo Governo interpellato in merito alla questione. Ritengo che finirà per esprimere un avviso non contrario ai desideri greci ed alla impostazione che Washington sta dando al problema.

Di noi, del nostro avviso e del nostro consenso, nessuno ha qui parlato o parla; né dirigenti, né osservatori stranieri, né stampa. Ed è tale silenzio uno dei motivi che, in aggiunta alle considerazioni già da me in passato esposte a V.E., può far dubitare della convenienza di veder domani direttamente a noi alleate, senza graduazioni né distinzioni, Grecia e Turchia, e che può far ritenere preferibile, per i nostri interessi, una sistemazione dei due predetti paesi in un separato sistema, collegato al Patto atlantico da intese e garanzie alle quali il nostro paese partecipi alla pari con le altre potenze occidentali vere e proprie, ad un livello automaticamente più alto di quello greco e turco.

408 2 Con il T. 4095/18 del 24 maggio Sforza autorizzò la notifica del riconoscimento italiano da effettuarsi in concomitanza con gli Stati Uniti o con le principali potenze occidentali. Giardini assicurò circa l'esecuzione di tali istruzioni il 7 giugno (T. 6949/37).

409 1 Vedi D. 374.

410

L'AMBASCIATORE A SANTIAGO, BERIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3840/347. Santiago, 17 maggio 1951 (perv. il 25).

Riferimento: Mio telespresso 2422/236 del 4 aprile 19511 .

In un colloquio che ho avuto ieri con il ministro degli affari esteri, l'ho intrattenuto sul problema della revisione del trattato di pace. L'ho trovato, come sempre, pieno di comprensione e simpatia per i problemi italiani; egli mi ha ripetuto che qualsiasi iniziativa in favore della revisione troverà appoggio incondizionato da parte del suo Governo.

Circa la riserva di carattere generale che il Cile ha formulato in varie occasioni sulla questione della «revisione dei trattati di pace» egli mi ha precisato che bisogna distinguere caso per caso e che, per esempio, il problema della revisione del trattato fra Cile, Perù e Bolivia è ben diverso da quello della revisione del trattato di pace che riguarda l'Italia. Nella sostanza, insomma, non si vede nessuna difficoltà da parte cilena a che il nostro trattato venga riveduto in base ad intese fra i firmatari.

410 1 Confermava l'appoggio del Governo cileno all'Italia nella questione della revisione del trattato di pace, pur ricordandone le riserve.

411

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 5728/3128. Washington, 17 maggio 19511 .

Come avevo predisposto, il nostro nuovo rappresentante diplomatico in Giappone ha potuto avere, nel corso del suo passaggio da Washington, degli utili scambi di vedute allo State Department con i principali dirigenti la politica estremo-orientale americana.

Il ministro d'Ajeta — accompagnato da un funzionario di questa ambasciata — è stato infatti successivamente ricevuto in questi giorni da Foster Dulles e dal suo diretto collaboratore Allison, nonché dall'Assistant Secretary of State for the Far Eastern Affairs Rusk e dal suo Deputy Livingston Marchant.

Le conversazioni, che si sono svolte in un'atmosfera di comprensiva cordialità, oltre che permettere nell'attuale congiuntura internazionale un interessante e franco giro d'orizzonte su questo oscuro e preoccupante settore estremo-orientale, hanno tra l'altro offerto l'occasione: agli americani, di direttamente confermarci, con qualche maggiore dettaglio, le loro «direttive di marcia» in vista del raggiungimento di una rapida pace col Giappone e, da parte nostra, di richiamare l'amichevole attenzione delle competenti autorità statunitensi sulla opportunità di un loro doveroso interessamento alla tutela di determinati interessi morali e materiali italiani in Giappone, nel quadro della quasi imminente definizione dei nuovi rapporti tra le potenze alleate e vincitrici e l'Impero nipponico.

In ottemperanza alle istruzioni impartitegli da V.E. e tenendo presenti le decisioni raggiunte a Roma nella recente riunione interministeriale del 12 aprile 1951, d'Ajeta ha infatti chiarito ed illustrato ai suoi interlocutori dello State Department sopratutto i seguenti punti:

1. -Che a Roma si seguiva con simpatia la rinascita di un Giappone «vitale, pacifico e democratico» e non si poteva che approvare l'azione americana tendente ora ad una pronta e generale normalizzazione dei rapporti con l'Impero del Sol Levante e ad un'effettiva partecipazione di questo paese alla vita ed alla difesa delle libere nazioni del mondo. Il Governo americano poteva essere sicuro che, nei limiti delle sue possibilità, quello italiano era pronto a dare il suo sincero contributo, tanto per normalizzare e poi vivificare le relazioni italo-nipponiche, quanto per facilitare questo definitivo inserimento del Giappone nel fronte delle nazioni civili. 2. -Che, tuttavia, l'attuale particolare posizione dell'Italia nei confronti del Giappone sembrava richiedere ora, nell'imminenza di una conclusione del trattato di pace in questione, un memore e comprensivo interessamento americano in nostro favore al fine di trovare, di comune accordo, la più opportuna e dignitosa formula per far cessare — in piena armonia con le future decisioni americane e delle altre potenze alleate e vincitrici — anche lo stato di guerra tuttora esistente tre l'Italia ed il Giap

pone dopo i noti eventi della primavera 1945. Ciò nell'interesse tanto di una, a tutti utile, tempestiva normalizzazione dei rapporti italo-giapponesi quanto anche per dare all'opinione pubblica italiana la giusta soddisfazione di una partecipazione a quello che sarà, indubbiamente, lo storico avvenimento del pieno reinserimento del Giappone nella comunità delle libere nazioni democratiche.

3. Che, infine, doveva apparire logico ed equo — tenendo presente proprio il fatto che l'Italia non poteva, né del resto pretendeva, di essere annoverata tra le potenze alleate e vincitrici né era tra quelle membre delle Nazioni Unite — che essa fosse, per auspicabile iniziativa americana, tutelata e garantita in qualche modo (diretto od indiretto), nella redazione stessa del trattato di pace col Giappone, nei suoi interessi sopratutto economici a similitudine di quanto verrà fatto per tutte le altre nazioni che, sia pure a titolo diverso, si trovano attualmente in un simile stato di guerra col Giappone. Ciò si riferiva sopratutto ad un possibile risarcimento dei danni subiti od alla restituzione dei beni italiani sequestrati per azione giapponese a partire dall'8 settembre 1943, durante tutto il periodo della nostra cobelligeranza e dopo la dichiarazione di guerra italiana del 1945; nonché all'estensione anche all'Italia di quei benefici giuridico-economici che potessero essere «octroyés» alle potenze alleate od a quelle membro delle Nazioni Unite nel prossimo trattato col Giappone.

Le personalità ed i funzionari più sopra nominati dello State Department hanno tutti indistintamente premesso alle loro dichiarazioni e risposte di avere apprezzato la franca ed utile esposizione italiana e di essere stati assai sensibili al cortese gesto, voluto dal nostro Governo, di far prendere questo preventivo contatto con lo State Department al nuovo rappresentante diplomatico italiano in Giappone, prima che questi raggiunga Tokyo.

Circa il precedente punto 1 essi si sono dichiarati pure assai soddisfatti di avere questa nuova diretta conferma del comprensivo interesse con il quale il Governo italiano segue amichevolmente gli sforzi della politica americana nella ricerca di una stabile riorganizzazione politica ed economica del settore estremo-orientale, nonché la sua intenzione di portare un qualche contributo atto a facilitare il pieno reinserimento del Giappone tra le nazioni libere.

Come più esplicitamente hanno dichiarato Foster Dulles e Rusk «nessun dubbio deve oramai sussistere sulla ferma decisione americana di giungere al più presto possibile ad una completa pace con il Giappone e di favorire, con ogni mezzo utile, un'attiva e spontanea partecipazione del popolo nipponico alla vita ed alla difesa delle nazioni civili». «Se il popolo americano può apparire ora diviso su qualche serio e grave aspetto della nostra politica e strategia estremo-orientale, ciò non induca nell'errore che si sia divisi sugli obiettivi che vogliano qui tutti rapidamente raggiungere in Giappone». «Dobbiamo ancora dirimere qualche difficoltà — più di dettaglio che di sostanza — con i nostri principali alleati (Foster Dulles si reca in proposito prossimamente a Londra) e indubbiamente corriamo sempre l'incognita nei confronti della Russia sovietica; ma questo non ritarderà di molto l'esecuzione dei nostri piani». «Tutto ciò sarà fatto perché si è convinti che il Giappone — in netta ripresa economica, sociale e politica — è uno dei piloni del nostro generale schieramento anticomunista e anche un importante baluardo strategico a protezione del sistema asiatico sudorientale indispensabile, anche per le sue ricchezze in materie prime essenziali o critiche, alla prosperità ed alla difesa dell'America e dell'Europa». Queste, le affermazioni più significative dei sopra ricordati funzionari americani.

Tornando a commentare il punto 1 della nostra esposizione essi hanno affermato risultare anche a loro che, in questa fase di transizione tra «occupazione» e «collaborazione», i giapponesi dimostrano una certa intenzione e curiosità di avvalersi di qualche esempio o consiglio italiano per le buone prove da noi date nell'affrontare problemi più o meno simili ai loro, nel nostro recente passato post-bellico. La cosa appariva allo State Department interessante e utile in alcuni casi, nel quadro, s'intende, di una proficua collaborazione a tre.

Nei riguardi del punto 2 dell'esposto italiano, è stato assicurato a d'Ajeta che si rendevano pienamente conto dell'opportunità di una nostra uscita a tempo dallo stato di guerra col Giappone e pertanto di una nostra sincronizzazione con la conclusione e firma del loro trattato di pace. Si ripromettevano di farci avere una risposta al più presto possibile non appena avessero studiato a fondo il problema, ed in ogni modo con un margine di tempo sufficiente per permetterci, se del caso, di espletare all'interno le necessarie pratiche costituzionali. Non potevano fin da ora suggerirci le modalità da loro ritenute più adatte, poiché non tutti gli aspetti procedurali del futuro trattato erano stati esaminati o previsti. Tuttavia, a seguito di questa premessa, non escludevano che potesse forse essere consigliabile di studiare una formula di «adesione» qualora l'accordo col Giappone assumesse la veste di un open treaty, oppure quella di una dichiarazione unilaterale di cessazione di stato di guerra, previamente concordata da Roma con Washington e Tokio.

Circa il nostro punto 3 hanno dichiarato di prendere buona nota delle richieste italiane alle quali tuttavia non potevano dare subito une qualche risposta, dato sopra-tutto che era la prima volta che veniva portato a loro conoscenza il dettaglio dei claims italiani in materia di risarcimento di danni di guerra. Non potevano inoltre nemmeno precisare in che maniera o in che misura il Giappone sarebbe stato, in genere, invitato e risarcire i danni di guerra stessi. Allison — il vero redattore del progetto americano del trattato di pace — ha poi confermato che, salvo imprevisti, non si parlerà di riparazioni nel trattato stesso né si farà riferimento ai danni provocati dai giapponesi al di fuori del loro territorio nazionale. Egli ha richiesto a d'Ajeta di conoscere — a titolo strettamente personale o non impegnativo — le cifre approssimative dei nostri claims, per i soli fatti avvenuti in territorio giapponese dopo il nostro armistizio.

In relazione alle conclusioni raggiunte nell'ultima riunione interministeriale del 12 aprile 1951, d'Ajeta ha potuto subito rimettere ad Allison — a titolo puramente indicativo e con riserva di ulteriori precisazioni o modifiche — una lista riassuntiva dei nostri claims. Egli si è poi valso di questa nuova occasione per reiterare, con opportune argomentazioni, la viva speranza italiana che possa essere inserita nel trattato di pace una qualche clausola che garantisca, sia pure indirettamente, questi interessi italiani ed una equa soluzione delle nostre documentate richieste. Anche su questo terzo punto, è stato assicurato da parte americana un loro interessamento alla nuova questione da noi prospettata ed è stata promessa, comunque, una tempestiva risposta alla nostra amichevole richiesta.

Volendo tirare le somme dei primi risultati scaturiti da questi colloqui avuti allo State Department sulla questione giapponese e, ai fini di una necessaria sintesi, volendo addizionare a tale scopo le risposte avute da parte americana con le personali impressioni raccolte nel corso di tali successive conversazioni, si può forse fissare le conclusioni nei seguenti principali punti:

1. -Il problema della riabilitazione giapponese è ora all'ordine del giorno dei dirigenti americani ed una sua pronta e favorevole soluzione è vista da questa opinione pubblica statunitense con progressiva comprensione, inversamente proporzionale alla crescente disillusione cinese. 2. -Hanno contribuito a ciò, indubbiamente, anche l'eccezionale prova di capacità di recupero e di vitalità date dal popolo giapponese, nel corso di questi anni di occupazione diretta americana, la disciplina sociale interna nipponica, infine il conformismo filo-americano e anticomunista del Governo di Tokyo. 3. -Ha pure contribuito a tale favorevole valutazione, in questo mondo pratico di businessmen, il fatto che il Giappone, con dei gravissimi problemi di esportazione, di mancanza di materie prime — seguendo con piena ortodossia alcune audaci direttive economiche americane e sfruttando al massimo gli aiuti statunitensi — si sia posto in condizione, quest'anno, di rinunciare quasi totalmente ai finanziamenti di Washington e di portare la sua produzione nazionale ad un livello del 30% superiore a quello del normale periodo produttivo 1932-36. 4. -Tutti questi motivi, più la particolare congiuntura estremo-orientale, contribuiscono — e non se ne fa mistero allo State Department — alla conclusione di una pace «liberale» e di «goodwill». 5. -Infatti, non soltanto non si parla in alcun modo — almeno qui a Washington — di riparazioni da imporre al Giappone ma vi si ritiene anche che saranno limitati gli stessi risarcimenti e le stesse restituzioni a cui sarà tenuto il popolo giapponese, in base all'imminente trattato di pace. 6. -Circa le limitazioni di carattere militare si è stati allo State Department anche espliciti con noi, col preannunziarci, anche su questo importantissimo e significativo punto, una pace del tutto liberale e ricostruttiva. 7. -Sembra infatti oramai acquisito — secondo quanto è affiorato anche in queste conversazioni — che il Giappone non troverà nel trattato limiti, né giuridici né morali, al suo riarmo che sarà invece mantenuto, per qualità più che per quantità, di carattere difensivo da limitazioni che saranno spontaneamente assunte dal Governo di Tokio in accordi ed intese di collaborazione militare e di sicurezza tra l'Impero giapponese stesso, gli Stati Uniti, l'Australia e la Nuova Zelanda. 8. -In queste conversazioni, sia pure uscendo in parte dal seminato, si è accennato — e la cosa ci è stata confermata ieri anche da Byington — che vi è una certa preoccupazione nei competenti uffici dello State Department circa quelle che potranno essere le ripercussioni psicologiche sulla nostra opinione pubblica alla notizia della liberale pace che verrà offerta al Giappone, sia pure dopo tanti anni di occupazione straniera. Si pensa in proposito sopratutto alla liberalità delle clausole di carattere militare. Secondo sempre Byington si starebbe infatti ricercando il migliore approach possibile per spiegare le cosa all'uomo della strada del nostro paese a cui non potrà essere apertamente illustrato — finché continuano le riunioni a Parigi dei sostituiti e l'America è obbligata a mantenere in riserva la polemica sul riarmo unilaterale dei satelliti europei della Russia — la sincera tendenza revisionista americana delle clausole militari del nostro trattato di pace. 9. -Foster Dulles ha confermato l'atteggiamento di assoluta intransigenza assunto dal Governo americano in relazione alla nota russa consegnata da Molotov a Kirk il 7 maggio u.s. In proposito ha informato che, nella prossima settimana, sarà consegnata la nota di risposta alla cui redazione egli stesso sta ora partecipando e che sarà, in sostanza, di precisa opposizione alla manovra sovietica2 . 10. -Infine, sempre secondo Foster Dulles, salvo imprevisti di particolare gravità, la conclusione del trattato di pace col Giappone dovrebbe avvenire nel corso dell'estate: più probabilmente ai primi di settembre e la sua ratifica, da parte del Congresso, verso la fine del corrente anno.

411 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

412

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 5986/519. Washington, 18 maggio 1951, ore 18,31 (perv. ore 4,30 del 19).

Acheson in conversazione odierna confermatomi vivo apprezzamento Governo americano per recenti decisioni nostro Parlamento circa riarmo e per sforzo italiano nel quadro comune difesa. Conversazione ha confermato valutazioni ed intendimenti che si desumono da dichiarazioni pubbliche Acheson già trasmesse mio 5181. Gli ho fatto presente che Governo italiano sarà certo sensibile a così autorevole e pubblico riconoscimento ed ho rilevato aspettative pubblica opinione italiana.

Acheson mi ha manifestato preoccupazioni sempre intense per punto morto Parigi che non si riesce superare per esigenza russa discutere in primo luogo e soprattutto Patto atlantico mettendo Occidente in istato accusa e se si cedesse in istato disarmo.

Data perplessità situazione America considera, con massima simpatia spirito attivo Governo italiano e sua decisione apprestare difesa più efficiente possibile contando su concorso aiuto Stati Uniti.

Acheson manifestato anche apprezzamento per atteggiamento da noi assunto questione Turchia e Grecia. Spera vivamente azione comune su altri membri Patto atlantico otterrà desiderato risultato soddisfare due paesi e ottenere piena aderenza nel comune interesse.

Rilevo che in suddette dichiarazioni pubbliche di Acheson si è ripetutamente accennato a perseguimento comune scopi pace nel quadro dichiarazioni V.E. e presidente Consiglio.

411 2 Un sunto della nota russa e la parte conclusiva della risposta americana del 19 maggio sono in «Relazioni internazionali», a. XV(1951), n. 22, pp. 463-465.

412 1 Pari data, con il quale Tarchiani aveva trasmesso il testo delle dichiarazioni di Acheson: «Ambasciatore Italia fattomi visita per esaminare sforzo italiano difesa e informarmi approvazione da parte Senato italiano legge stanziamento 250 miliardi lire pari 400 milioni dollari per riarmo come immediato contributo addizionale italiano a difesa comunità nord-atlantica. Ho apprezzato questa manifestazione cooperazione Italia con altre nazioni comunità nord atlantica in loro comune programma per impedire aggressione. Ho sottolineato che libera democratica Italia ha avuto una importante ripresa dalla guerra in poi e oggi occupa un posto preminente e di piena uguaglianza tra le nazioni libere che agiscono per stabilimento una durevole pace. Nonostante che ripetuti veti sovietici abbiano impedito suo ingresso Nazioni Unite Italia come membro N.A.T.O. sta dando un rilevante contributo a comune difesa libertà e a mantenimento tradizioni democratiche mondo libero. Ho infine sottolineato legami amicizia esistenti fra popolo americano e italiano legami che sono stati costantemente rafforzati da quotidiana collaborazione in comune sforzo per mantenere pace e difendersi contro aggressione». Il memorandum del colloquio di Tarchiani con Acheson è pubblicato in Foreign Relations of the United States, 1951, vol. IV, 1, Europe: Political and Economic Developments, Washington, United States Government Printing Office, 1985, pp. 611-612.

413

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. RISERVATA. Roma, 18 maggio 1951.

Con riferimento alla discussione al Consiglio dei ministri di ieri1 sull'eventuale ammissione della Grecia e della Turchia al Trattato nord atlantico, vorrei richiamare la tua attenzione sulla necessità di approfondire tutto il problema nei suoi diversi riflessi e nella sua più ampia portata.

1. -Anzitutto, la questione va esaminata in sé e per sé, e vanno accuratamente vagliate e soppesate le ragioni in favore e quelle contrarie: dai vantaggi per la difesa del Mediterraneo alla minaccia di conflitto nei Balcani e, sopratutto, ad una inclusione della Jugoslavia nel sistema difensivo, inclusione che potrebbe avvenire solo se fossero soddisfatti i postulati nazionali dell'Italia circa il T.L.T. - 2. -Questione di procedura. Al lume dell'art. 10 del trattato e della prospettiva dell'allargamento della area nord-atlantica, va studiato con molta attenzione se l'eventuale ammissione dei nuovi membri non richieda una nuova ratifica del Parlamento.

Richiamo, a questo proposito, la tua attenzione sulla relazione della Commissione per gli affari esteri del Senato nordamericano in cui si esprime il parere che il presidente degli Stati Uniti debba sottoporre al Senato l'ammissione di nuovi Stati aderenti al Patto (ammissione considerata come stipulazione di nuovo trattato).

Se, quindi, il nostro atteggiamento può, in relazione a dichiarazioni passate, considerarsi in via di massima favorevole, è giusto che gli Alleati e i nostri agenti sappiano che nell'ulteriore sviluppo debbano essere prospettate le difficoltà accennate da superare. In tale senso dovrebbe parlare anche la nostra stampa.

413 1 Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948-luglio 1953, vol. II, cit., pp. 488-496.

414

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

L. 07312/57. Roma, 18 maggio 1951.

Le idee espresse dal signor Achilles (di cui al tuo n. 604 dell'11 corrente)1 corrispondono ad uno sviluppo basato sull'inevitabile progredire degli avvenimenti. Sino ad oggi, come sai, noi abbiamo fatto il possibile per continuare a valorizzare innanzi tutto l'O.E.C.E. sulla base di due considerazioni: quella di far tenere il massimo conto delle necessità sociali ed economiche della vita civile, e quella della maggior considerazione e peso che per ovvie ragioni il nostro paese ha in quella organizzazione rispetto ad un organismo di carattere e di scopi prettamente militari.

In questi ultimi tempi, per contro, da vari elementi avevamo avuto la sensazione che una linea così rigida sia ormai difficile a sostenere. Da un lato l'opinione pubblica americana è sempre più orientata sulla subordinazione di tutta la vita politica ed economica europea al riarmo e dall'altro l'evolversi della situazione generale attenua necessariamente le possibilità di quel processo di integrazione europea effettiva che sta alla base dell'O.E.C.E.

Ciò induce con i dovuti temperamenti a non andare contro corrente e ad adeguarsi agli avvenimenti i quali potrebbero imporci all'improvviso soluzioni più drastiche.

Su tale constatazione si basavano i concetti del telegramma n. 792, condensati come dovevano essere in una comunicazione breve, e che possono essere commentati come segue:

a) d'accordo sulla necessità di chiarire anzitutto i rapporti N.A.T.O.-O.E.C.E., che sono la chiave di volta dei rapporti fra organismi internazionali. In questo campo penserà, crediamo, il F.E.B. a fare da pilota. Esso assorbirà poco a poco molte delle attività dell'O.E.C.E. o quanto meno finirà col dare il «la» a quest'ultimo;

b) chiarificati e direi semplificati tali rapporti si determineranno automaticamente quelli con l'I.M.C. Non pare dubbio che, malgrado l'O.E.C.E. sia rappresentata a Washington, le direttive finirà col darle il F.E.B.: o, se le darà ancora l'O.E.C.E., questa sarà il trasmettitore della voce del F.E.B.;

c) infine, occorre chiarire cosa avverrà fra O.E.C.E. e Strasburgo. Il signor Achilles afferma che o il primo assorbirà il secondo o viceversa. A noi — almeno per il momento — questa soluzione non appare probabile. Così come l'O.E.C.E. non può identificarsi col N.A.T.O., così non può identificarsi con Strasburgo, né per estensione geografica né per estensione di competenza. Pensiamo invece che Strasburgo diverrà a poco a poco, o quanto meno lo speriamo, la sede di appello o di supervisione di quanto avverrà all'O.E.C.E. appunto perché esso ha una Assemblea.

2 Vedi D. 407.

In altre parole, risolvere tutto allo stesso momento con un colpo magico ci pare difficile e fors'anche pericoloso: mentre dobbiamo, un poco pragmaticamente, attendere che sia l'evolversi della situazione che conduca all'assestamento, purché da parte nostra ci si adegui in tempo alla corrente e ancor più si eviti di andare contro di essa.

Do comunicazione, in via riservata, di questa lettera a Cattani in relazione anche alle funzioni che gli hanno commesse di presidente del Comitato ad hoc per i rapporti fra O.E.C.E. e Strasburgo, e a Magistrati3 .

414 1 Vedi D. 402.

415

IL CAPO DELLA MISSIONE ITALIANA A TRIESTE, CARROBIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 3274/839. Trieste, 18 maggio 1951 (perv. il 21).

Ho avuto l'altro giorno, in occasione di un pranzo in casa sua, un lungo colloquio con il governatore militare sir John Winterton, appena rientrato dal suo breve viaggio a Roma di cui era rimasto molto soddisfatto, lieto di aver potuto incontrarsi con S.E. il ministro Sforza e di avere avuto utili scambi di idee con i funzionari delle ambasciate americana e inglese e con funzionari di Palazzo Chigi.

Winterton mi ha detto di avere parlato a lungo, specie della questione della Cassazione, con il ministro Jannelli che gli ha dichiarato che il Governo italiano non può mutare il proprio atteggiamento al riguardo ma che considera che oggi convenga lasciar cadere le discussioni ed attendere un momento più favorevole per riprenderle. Il generale mi ha espresso sostanzialmente analogo parere sembrandogli inutile ed anzi dannoso per i tre Governi provocare urti che si possono evitare. Ho risposto che già nel dicembre scorso avevamo concordato qualche cosa del genere con Airey, ma che avevo l'impressione che il G.M.A. nutrisse l'erronea convinzione che noi possiamo impegnare la Cassazione mentre non possiamo far altro che prospettarle le considerazioni di ordine politico senza con ciò vincolarla in alcun modo.

Winterton ha ribattuto che il G.M.A. riconosce senz'altro il principio dell'indipendenza della magistratura dall'esecutivo, «ma che vi è un margine di azione e tale azione conviene svolgere per evitare gli urti».

Passando sul piano generale egli mi ha dichiarato poi che, appunto in tale spirito, pensa di tenere un atteggiamento estremamente tranquillo e di non reagire alle eventuali manifestazioni altrui «purché esse si mantengano nei dovuti limiti»: sperava che io avessi già avuto modo di rendermene conto.

Gli ho detto che avevo rilevato con piacere come il G.M.A. non avesse reagito alle critiche mossegli recentemente in Consiglio comunale (mio 3143/790 del 15 maggio 1951)1 e ho profittato dell'occasione per rilevare che siamo in periodo elettorale e

415 1 Non pubblicato.

che i partiti sentono forzatamente la necessità di agitarsi; ho soggiunto che ho fatto, faccio e continuerò a fare opera di persuasione e di moderazione, ma che talvolta è assai difficile fare intendere la ragione, mentre in regime democratico non si hanno mezzi per imporla. Winterton ha fatto mostra di rendersi perfettamente conto della situazione ed ha osservato che, finché tutto si mantiene nei dovuti limiti, trova normalissimo che il giuoco democratico si svolga liberamente. Ha soggiunto sorridendo che, poiché una vittoria indipendentista sarebbe un guaio per l'Italia, è naturale ed «è probabilmente un bene che il G.M.A. diventi il nemico pubblico n. 1». Gli ho risposto che non mi sarei sentito di aderire a questa sua dichiarazione ma che è certo che, fin da quando si discuteva se indire le elezioni o meno, avevamo messo in guardia il gen. Airey avvertendolo che la piattaforma elettorale rischiava fatalmente di essere anti-

G.M.A. ed anti-jugoslava.

Gli ho poi detto che, nell'esaminare la situazione locale, occorre ricordare che i triestini fanno naturalmente i confronti con ciò che accade in Zona B per cui, mentre di là si nota un progressivo agganciamento a Belgrado, qui non dico che si notino passi indietro, ma certo una battuta d'arresto, come ad esempio la questione pendente dei certificati d'origine per merci destinate in America: ha risposto che si rende perfettamente conto dell'inopportunità di provvedimenti del genere «alla vigilia delle elezioni».

Ho infine soggiunto che speravo che il G.M.A. non avrebbe mancato di adoperarsi per un tentativo di agganciamento serio con la V.U.J.A., in modo da cercare di ottenere che in Zona B si possano instaurare condizioni di vita più tollerabili. Mi ha detto che all'infuori dello scambio di visite con il comandante Stomatovic (mio 2752/673 del 20 aprile)1 egli nulla più aveva fatto e che la cosa è certo molto difficile, ma non ho avuto l'impressione che fosse alieno dal profittare della prima favorevole occasione in quella direzione.

In connessione con ciò Winterton mi ha dichiarato di avere avuto la migliore impressione del nuovo capo della delegazione economica jugoslava a Trieste che era andato a vederlo pochi giorni prima. Ha soggiunto, però, che non si fa illusioni tanto più che qui a Trieste, come in tutte le zone di confine, la diffidenza reciproca è profondamente radicata.

In sostanza ho tratto l'impressione che il nuovo governatore militare voglia mantenere almeno per qualche tempo ancora un atteggiamento di prudente e vigilante attesa. Intanto, però, gli uffici del G.M.A. continuano a seguire, sia pure forse con una certa maggiore oculatezza, la linea politica già da tempo da me rilevata. Molte sono le indicazioni che singolarmente prese hanno scarsa importanza ma che, considerate nel loro insieme, tradiscono la evidente preoccupazione di mantenere un «equilibrio» che sostanzialmente si traduce nell'allontanamento dalla linea segnata dalla dichiarazione del 20 marzo 19482 e costituisce un singolare e pericoloso accostamento alla linea programmatica degli indipendentisti e dei titini.

414 3 Per il seguito della questione vedi D. 451.

415 2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

416

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE 2818. Londra, 18 maggio 1951.

Ti ringrazio di avermi mandato attraverso Mondello la lettera che hai inviato l'8 corrente a Quaroni sulla revisione del trattato di pace1 .

Come sai, di tale argomento avevo intrattenuto Morrison in occasione della visita che gli feci il 18 aprile u.s.2, ed egli si era espresso in simpatici termini circa il nostro punto di vista.

Anche successivamente non ho perso occasione per accennarvi nei miei contatti in questa capitale, onde cercare di creare un'atmosfera favorevole alla soluzione del problema.

Due giorni or sono ho avuto un lungo colloquio con il Lord Cancelliere. Memore dell'aiuto volonteroso che egli ci ha sempre dato nei vari problemi connessi con i rapporti italo-inglesi, ho desiderato illustrargli a lungo la nostra posizione e l'interesse del suo paese stesso a contribuire efficacemente a che le potenze occidentali diano un segno tangibile che l'atmosfera del trattato di pace è completamente superata ed i rapporti con l'Italia sono ormai su un piede non solo di assoluta parità ma anche della più stretta e amichevole collaborazione.

Lord Jowitt ha pienamente afferrata la portata del problema e gli utili riflessi che potrebbe avere anche sull'opinione pubblica italiana.

Era spiacente che i suoi rapporti con Morrison, pur essendo molto cordiali, non gli consentissero di recarsi immediatamente da lui per esporgli il suo punto di vista sulla questione come avrebbe senz'altro fatto — egli mi ha aggiunto — se Bevin fosse ancora al Foreign Office. Comunque qualche cosa vuole fare e si riservava perciò di pensare alla miglior via da seguire a tale scopo.

Col Foreign Office non ho compiuto passi ufficiali in argomento, dopo il colloquio avuto con Morrison. Fra l'altro, tenuto conto del riconoscimento del presidente De Gasperi e tuo che le clausole militari sono destinate a «saltare» da sé con l'evolvere della situazione, ho l'impressione che per il resto si tratti oggi più di una questione morale e di atmosfera che non di veri e propri accordi concreti: e a ciò possono essere più sensibili gli uomini politici che non i funzionari.

Comunque iersera ho accennato della questione a Strang col quale si è parlato anche della corrispondenza apparsa ieri in argomento sul Daily Telegraph cui ha oggi seguito un simpatico editoriale (miei telegrammi 283 e 288)3. Il sottosegretario permanente mi ha detto che in questi ultimi tempi Mallet non si era fatto vivo su questo punto: per parte mia gli ho risposto che nuove istruzioni non mi erano pervenute, ma

2 Vedi D. 361.

3 Del 17 e 18 maggio, riportavano la notizia d'una prossima richiesta formale italiana di abrogazione delle clausole militari del trattato di pace e i commenti favorevoli del Daily Telegraph.

che sentendo tutta l'importanza del problema ne avevo parlato con il Lord Cancelliere: e molto probabilmente andrei fra breve da lui — Strang — a chiedergli una risposta che — ho aggiunto in tono scherzoso — doveva essere assolutamente favorevole.

Come potrai rilevare dall'insieme di queste notizie, un'atmosfera piuttosto propizia si va creando — lentamente come sempre accade in questo paese per ogni cosa nuova — ma positivamente. Sulla stampa è per ora il Daily Telegraph che sostiene il nostro punto di vista: non volendo chiudere gli occhi alla realtà è però bene considerare che questo simpatico sintomo dell'atteggiamento dei conservatori verso il nostro paese costituisce una manifestazione non troppo impegnativa per un partito che fra l'altro non ha in questo momento la responsabilità del potere. Non solo, ma occorre anche sottolineare che il Daily Telegraph batte soprattutto sulla necessità di abolire le clausole militari: e se a ciò effettivamente si giungesse, non vi è dubbio alcuno che ci troveremo sottoposti all'indomani stesso e da ogni parte ad un diluvio di pressioni perché portiamo il livello delle nostre forze armate molto oltre i limiti sinora imposti-ci dal trattato di pace; il che, tenuto conto della nostra situazione economica, ci porrebbe in una posizione tutt'altro che facile.

Non vorrei tuttavia terminare questa breve esposizione su una nota troppo ottimistica e senza dirti con tutta franchezza quale sia il mio pensiero.

Ritengo cioè che l'attuale momento internazionale («momento» che potrebbe anche prolungarsi per chissà quanto tempo, non essendo che uno dei classici aspetti della situazione di questo dopoguerra) non si presti molto alla revisione del trattato di pace in forma aperta. Mi spiego: gli anglo-americani sperano (con quanta effettiva fiducia non lo so) di portare i russi alla famosa Conferenza a quattro; essi intendono accusare i russi di non tener fede ai patti, di tenere un atteggiamento minaccioso, di aver indotto i satelliti a non rispettare i trattati di pace. In queste condizioni, l'atmosfera per la revisione del nostro trattato la si può creare, e la si va creando dovunque; si può giungere a interviste radiofoniche nei paesi in cui gli uomini politici hanno la parola più facile che non qui, si possono ottenere dichiarazioni benevole e — sopra-tutto — cortesi ed anche sincere parole di comprensione per il nostro punto di vista. Ma ben più difficilmente si può contare sui fatti concreti: troppo intensa e troppe diffusa è infatti — nell'Occidente — l'avversione di qualsiasi gesto che potesse in qualche modo mettere la Russia propagandisticamente dalla parte della ragione, sia pur essa soltanto ragione giuridica e non di equità.

Naturalmente — per parte mia — continuo e continuerò ad occuparmi della questione con insistenza e con passione; e ti sarò anzi grato se anche in seguito vorrai tenermi al corrente degli sviluppi che essa avrà presso i Governi di Washington e Parigi4 .

416 1 Vedi D. 398.

416 4 Per la risposta vedi D. 430.

417

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO A LONDRA, A. ROSSI LONGHI

T. S.N.D. 3947/80. Roma, 19 maggio 1951, ore 13,15.

Suo 1261 .

In prossima discussione proposta partecipazione Grecia e Turchia Patto atlantico V.E., confermando nostra piena adesione iniziativa americana, terrà presente nella sua dichiarazione quanto segue:

1) sin dall'agosto 1950 la richiesta fattaci dal Governo di Ankara2 di essere ammesso al Patto atlantico è stata considerata con favore da parte del Governo italiano, il che fece — come è noto — nel Consiglio dei ministri degli esteri del settembre stesso anno a New York sostenitore di tale tesi mettendo anche in rilievo stretta connessione della posizione turca con quella della Grecia che rendeva complementare inclusione anche quest'ultimo paese;

2) tale atteggiamento trova giustificazione non solo nelle relazioni amichevoli esistenti fra noi e detti paesi ma anche nella necessità per l'Italia di una sistemazione difensiva che precluda ad eventuale aggressore gli accessi al Mediterraneo e garantisca anche quel lato nostra stessa sicurezza;

3) l'Italia inoltre è vitalmente interessata alla stabilità del Medio Oriente. È noto come attualmente tale zona si trovi un pericoloso stato di tensione e di malcontento; estensione organizzazione N.A.T.O. contribuirebbe a stabilità detto settore;

4) Governo italiano ben sa inconvenienti tecnici e giuridici di nuove inclusioni nel patto ma conosce troppo gravità pericoli scoraggiamento in Grecia e Turchia per aggravarli con manifestazioni esteriori di nostre esitazioni.

Con corriere speciale in partenza domani le trasmetto documenti relativi questione.

2 Vedi serie undicesima, vol. IV, D. 373.

417 1 Del 17 maggio, con il quale Rossi Longhi riferiva le favorevoli disposizioni americane relativamente all'ingresso di Grecia e Turchia nel Patto atlantico, e chiedeva istruzioni per una eventuale presa di posizione italiana in merito in sede di Consiglio dei sostituti.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI AD ANKARA, PIETROMARCHI, E AD ATENE, ALESSANDRINI

T. SEGRETO 3951/37 (Ankara) 59 (Atene). Roma, 19 maggio 1951, ore 16.

V.E. può assicurare che ho caldamente patrocinato presso Governi alleati inclusione codesto paese nel Patto atlantico facendo anche valere crescente importanza strategica Mediterraneo.

(Solo per Atene) Senza fare la menoma connessione veda se può separatamente far sentire quanto potrà essere utile che la decisione pei beni Corfù1 contenga una sia pur modestissima eccezione per qualche minima proprietà lungi dalla città. Ciò permetterebbe dire che trattasi di decisioni contro individui non discriminazione contro un popolo2 .

419

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. RISERVATO 801 SEGR. POL. . Roma, 19 maggio 1951.

Il signor Greene, dell'Ufficio Italia del Dipartimento di Stato, la cui visita era stata annunziata da codesta ambasciata con lettera 3 maggio n. 51652 ha effettivamente preso contatto con questo Ministero. Questo giovane funzionario è sembrato peraltro non essere al corrente dei più recenti sviluppi delle questioni che interessano. Comunque, in relazione all'ultima parte della lettera stessa, gli sono state illustrate le situazioni e i problemi che ci concernono più da vicino.

2. Questo Ministero prende nota della lenta evoluzione che si starebbe compiendo nel Dipartimento perché qualche cosa si faccia per dare soddisfazione all'opinione pubblica italiana. Così pure è stato preso nota che gli Uffici del Dipartimento di Stato hanno convenuto di esaminare l'opportunità di fare un passo in avanti nella questione della revisione del trattato, partendo dal contenuto delle lettere del segretario di Stato Acheson al senatore Connally e al rappresentante Kee, senza attendere la conclusione della Conferenza di Parigi (telegramma n. 472)3 .

2 Per le risposte vedi DD. 431 e 437.

2 Non pubblicato.

3 Del 4 maggio, non pubblicato.

3. Questo Ministero rilevò a suo tempo che nella lettera al senatore Connally il Dipartimento di Stato dichiarò che:

a) «Gli Stati Uniti non possono agire unilateralmente per quanto concerne le clausole militari del trattato di pace ...»;

b) «Al momento opportuno il Dipartimento di stato sarà pronto a discutere con gli altri firmatari likeminded la questione dell'azione che può essere intrapresa per rimuovere l'effetto restrittivo delle limitazioni contenute nelle clausole militari ...».

Per quanto riguarda l'impossibilità degli Stati Uniti di agire unilateralmente si ricordano, a prescindere dall'evoluzione dell'opinione pubblica dei vari paesi e del-l'atteggiamento favorevolissimo dell'America latina, le recenti dichiarazioni del ministro Schuman e, da parte inglese, l'ammissione nel corso delle recenti conversazioni di Londra, della illogicità delle situazione dell'Italia.

Ciò dovrebbe indurre a credere che si dovrebbe poter arrivare alla formulazione di una solenne dichiarazione tripartita che affermi che il trattato di pace, come sanzione morale verso un paese che ha da tempo ripreso il suo posto nel consesso delle libere nazioni democratiche, è estinto.

La dichiarazione dovrebbe anche riaffermare che le attuali frontiere italiane sano garantite dal Patto atlantico e che la Dichiarazione tripartita del 1948 relativa a Trieste conserva tutto il suo valore. La dichiarazione infine dovrebbe esplicitamente considerare nulle le clausole militari, ma eliminare o modificare al tempo stesso alcune delle clausole economiche perché sarebbe psicologicamente nocivo il correggere solo le clausole militari, in quanto ciò permetterebbe illazioni capziose e faziose. Urgerebbe anche riaffermare una più decisa azione da parte degli Alleati perché l'Italia possa entrare a far parte delle Nazioni Unite.

Lo stesso accenno fatto dal Dipartimento di Stato che si possa eventualmente non attendere la conclusione della Conferenza di Parigi induce a pensare che anche costà si ritenga che questo è il «momento opportuno» atteso dal Dipartimento di Stato.

È d'altra parte urgente affrontare il problema nel suo insieme e non limitatamente alle clausole militari. Perché sarebbe un errore non prendere in considerazione l'impeto che l'estinzione del trattato darebbe ad una nazione che risente la sua umiliazione più delle sue limitazioni fisiche.

a) Oggi infatti la situazione è radicalmente mutata; l'Italia è un'alleata e non un'ex nemica; essa è membro del Patto atlantico su piede di eguaglianza con le altre potenze occidentali; il suo statuto internazionale non può più a lungo basarsi sul trattato.

b) L'atteggiamento delle potenze occidentali verso la Germania e il Giappone, perfettamente giustificato, minaccia peraltro di creare una discriminazione sfavorevole all'Italia. Si richiama al riguardo il telespresso del 21 marzo4 .

c) Si sta creando, nelle immediate vicinanze della frontiera italiana, una situazione di «pericolosità» a seguito del riarmo dei paesi cominformisti, i quali si sono sottratti a limitazioni di carattere militare analoghe a quelle che continuano ad essere imposte all'Italia.

La discriminazione a nostro sfavore, che potrebbe verificarsi in relazione alla Germania e al Giappone, è quindi già in atto in relazione ai paesi satelliti della Russia.

4. Si acclude un appunto sulla questione che illustra ulteriormente i concetti suesposti2. Delle considerazioni ivi contenute codesta ambasciata potrà fare uso nei suoi contatti con il Dipartimento di Stato, specialmente al fine di sondare la possibilità che gli Stati Uniti si concertino con la Francia e l'Inghilterra al fine di dare uno sviluppo pratico alle buone disposizioni riferite da codesta ambasciata con la lettera del 3 maggio e con il telegramma n. 472 del 4 maggio.

418 1 Si riferisce all'intenzione del Governo greco di bloccare i beni italiani a Corfù, in relazione alla quale Zoppi aveva già dato istruzioni di segnalare che non sarebbe stata conforme allo spirito dell'accordo di collaborazione tra i due paesi.

419 1 Trasmesso per conoscenza (Telespr. riservato 7670, pari data) alle ambasciate a Londra, Mosca e Parigi ed alla rappresentanza presso l'O.N.U. a New York.

419 4 Vedi D. 312.

420

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 946/515. Ankara, 19 maggio 1951 (perv. il 25).

La dichiarazione del portavoce dello State Department del 15 corrente, che gli Stati Uniti intendono discutere con i membri del Patto atlantico la possibilità che la Grecia e la Turchia aderiscano al trattato dell'Atlantico del Nord, ha risollevato gli spiriti e creato in questi ambienti politici e nell'opinione pubblica uno stato di fiduciosa attesa. La fiducia è giustificata dal fatto che per la prima volta l'America prende una posizione così netta col riconoscere «che esistono validi motivi per arrivare a degli accordi concernenti la protezione della sicurezza della Turchia e della Grecia».

In un primo tempo l'euforia è stata accentuata da una notizia da Atene, secondo la quale l'America avrebbe preso l'iniziativa di consultare gli altri membri del Patto atlantico, congiuntamente con l'Inghilterra e la Francia. Se ne deduceva che l'America, prima di dar pubblicità alla sua decisione, si fosse assicurata il consenso dell'Inghilterra e della Francia. Ho ritenuto opportuno smorzare queste troppo rosee illazioni, facendo presente che con molta maggiore probabilità l'America aveva voluto render pubblica la sua iniziativa proprio per mettere l'Inghilterra e la Francia nella necessità di assumere un atteggiamento che le impegnasse apertamente dinanzi all'opinione pubblica mondiale.

Il mio scetticismo non era soltanto giustificato dalle notizie dell'ambasciatore Gallarati Scotti trasmessemi da codesto Ministero, ma dalla reazione notata nel mio collega di Francia, Lescuyer. Questi mi ha affermato che non riteneva probabile l'accettazione da parte dell'Inghilterra e della Francia della proposta americana di allargare il Patto atlantico, per due ragioni fondamentali. In primo luogo per non fare del gruppo atlantico, in conseguenza di nuovi adesioni, una specie di O.N.U., il che avrebbe reso necessario di mutarne l'organizzazione e accentrarne le decisioni in un gruppo ristretto; in secondo luogo per non escludere la possibilità di accogliere in un sistema di sicurezza anche i paesi arabi e in primo luogo l'Egitto. Questo secondo motivo, mi ha detto Lescuyer, sta particolarmente a cuore agli inglesi che, egli ha aggiunto, stanno commettendo in Egitto errori sopra errori. E tanto più, secondo lui, sarebbe necessario mantenere aperta la possibilità d'inquadrare in un sistema di sicurezza anche l'Egitto, perché è da prevedersi che, una volta incluse la Grecia e la Turchia, l'Egitto sentirà la necessità di non rimanere isolato e vorrà a sua volta far pressione per esservi anch'esso accolto.

Perciò Lescuyer sostiene che la formula che Inghilterra e Francia proporranno sarà l'inclusione della Turchia e della Grecia in un patto mediterraneo connesso con quello atlantico e sotto il comando del generale Eisenhower. Il patto dovrebbe comprendere l'America, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia e rimanere aperto ai paesi arabi. Lescuyer mi ha dato queste notizie con l'aria di riferirsi a decisioni prese dal suo Governo d'accordo con quello britannico.

Resta da vedere se, il giorno che venisse effettivamente avanzata una soluzione del genere, non si torni a riaprire un dibattito già prolungatosi eccessivamente e urtare da capo contro difficoltà fin troppo note. Converrebbe perciò, per quanto è possibile, attenersi alla soluzione americana sopratutto par due motivi:

a) perché un allargamento del Patto atlantico incontra minori difficoltà ad essere approvato dal Congresso americano, che non un patto ex novo. E penso che quel che vale per il Congresso debba valere altresì per l'approvazione da parte dei Parlamenti degli altri Stati;

b) perché un patto mediterraneo, quale è concepito dall'Inghilterra e dalla Francia, è cosa profondamente diversa da un allargamento del Patto atlantico. In quest'ultimo caso l'Italia è legata dalla garanzia verso Stati europei, per la difesa di posizioni europee, alle quali è direttamente interessata. In un patto mediterraneo, aperto all'adesione dei paesi del Medio Oriente, essa potrà trovarsi domani a dover prestar la garanzia a Stati dai quali ben poco può ricevere, con un allargamento delle sue responsabilità ben oltre la sfera dei suoi diretti interessi.

A quanto mi risulta, questa preoccupazione, di dover estendere i propri impegni al di là della sfera della propria sicurezza, è condivisa sia dalla Grecia, in base a quanto mi ha più volte detto l'ambasciatore Contoumas, sia dalla Turchia, come risulta da un recente articolo dell'ex ministro Sadak sull'Aksam, il quale precisa tra l'altro che «il Patto atlantico non è uno strumento che possa entrare in azione per assicurare la difesa del Medio Oriente». Secondo le idee americane, e in particolare secondo la tesi che sarebbe stata sostenuta dal generale Eisenhower, l'allargamento del Patto atlantico avrebbe uno scopo ben preciso e di evidente interesse per tutti gli Stati membri, quello cioè di rafforzare lo schieramento atlantico coprendone il fianco orientale con le forze della Grecia e della Turchia, e possibilmente domani con quelle della Jugoslavia.

Viceversa il patto mediterraneo, patrocinato dall'Inghilterra e dalla Francia, mira altresì, se non prevalentemente, a rafforzare le loro posizioni e le loro influenze nel Levante e a creare un aggruppamento nel quale possano fare entrare i loro clienti, come la Siria e il Libano da un lato, l'Egitto e possibilmente la Giordania e l'Irak dall'altro.

Nonostante tutto ciò la Turchia, come spesse volte ho riferito, non solleverà per parte sua obiezioni anche all'idea di un patto mediterraneo verso il quale si stava decisamente orientando, benché siano evidenti le sue preferenze per il Patto atlantico, che le assicurerebbe l'enorme vantaggio di assidersi con parità di diritti con gli altri paesi europei.

Allo stato attuale delle cose ciò che essa sicuramente respingerebbe è la proposta di una semplice collaborazione tra Stati Maggiori, come era stato previsto nel settembre scorso. Oggi che l'America le ha fatto balenare la possibilità di includerla nel Patto atlantico, la Turchia non si rassegnerebbe più a entrare, come essa suol ripetere, «per la porta di servizio». Su questo punto il segretario generale ambasciatore Akdur è stato con me pienamente esplicito.

Una sola cosa è indispensabile oggi: far presto. L'America si è fortunatamente resa conto che, se avesse ancora procrastinato, avrebbe perduto la Turchia. La soluzione è giunta proprio all'ultimo momento. Nei circoli diplomatici circola la voce che l'U.R.S.S. avesse già avanzato alla Turchia l'offerta di un patto di non aggressione. Benché non abbia elementi al riguardo, riterrei di escluderlo, perché se effettivamente la Russia avesse fatto un passo del genere, la voce sarebbe trapelata, essendo suo evidente interesse darvi la maggiore risonanza, e anche perché, dato il momento di depressione che la Turchia ha attraversato, un tal passo avrebbe avuto indubbiamente una certa ripercussione. Resta da chiedersi perché la Russia non l'abbia tentato. È questo un settore che permette di colpirla in punti vitali. Sarebbe perciò suo interesse eliminarne la minaccia e comunque impedire la creazione di basi a poca distanza dalle sue frontiere. Se la Russia si è astenuta da passi del genere, ciò è dovuto senza dubbio all'atteggiamento poco incoraggiante tenuto finora da questo Governo e in principal modo dal ministro degli esteri. Ma ciò che non è avvenuto, avrebbe potuto verificarsi se l'America non avesse preso finalmente posizione a favore delle richieste turche. Bisognerà ora evitare che i tentennamenti, le remore o peggio ancora i dinieghi dell'Inghilterra e della Francia, riso-spingano la Turchia in uno stato d'animo pericoloso, nel quale tutte le tentazioni sono possibili1 .

421

L'AMBASCIATORE A MONTEVIDEO, TACOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1594/321. Montevideo, 19 maggio 1951 (perv. il 23).

In relazione alle istruzioni impartite con il telespresso 20/4416/C. del 21 mar zo 19511 mi onoro comunicare che non ho mancato di servirmi delle notizie e comunicazioni trasmessemi col citato telespresso e con gli altri successivi in argomento

421 1 Vedi D. 312.

qui diretti (n. 06344 del 26 aprile, n. 20/06657 del 2 maggio 1951)2 in diverse conversazioni con uomini politici e con qualche funzionario.

Non ho però creduto del caso di attirare in modo particolare l'attenzione del Ministero degli affari esteri sulle nostre aspirazioni ad una revisione del trattato di pace e sulle nostre aspettative circa un particolare appoggio per ottenerla. Codesto Ministero ha certamente ben presente l'intricato e delicato «affare» dei nostri vapori «Fausto» ed «Adamello» e ricorda come, per uscire da una situazione veramente pericolosa e a forti tinte scandalistiche, questo Governo abbia cercato di fare il silenzio annullando il decreto che autorizzava la transazione convenuta e rimandando all'autorità giudiziaria tutta la questione. Il rinvio all'autorità giudiziaria venne fatto con un richiamo per quanto larvato al trattato di pace che priverebbe, nel caso, di qualsiasi azione lo Stato e le persone fisiche e giuridiche italiani.

Nel Parlamento e nella stampa il trattato di pace fu ripetute volte invocato e si lasciò credere che alcune delle sue clausole avrebbero evitato all'Uruguay di pagare non solo la somma fissata a transazione ma qualsiasi altra. Questi richiami al trattato di pace servirono egregiamente al Governo per calmare la tempesta e per ottenere che la maggioranza della Camera dei deputati e dell'opposizione pubblica si accontentasse, per il momento, del massimo vantaggio economico che derivava dal ripiego trovato e di alcune inchieste destinate naturalmente ad un interminabile decorso.

Di tutto ciò ho ampiamente riferito con numerosi rapporti e specie con quelli del 3 luglio 1950 n. 1931/487 e 6 agosto 1950 n. 2267/584 precedenti2 .

Ora il Governo è cambiato ma non è cambiato il partito al potere e naturalmente continuano a farne parte gli uomini che furono oggetto delle accuse delle opposizioni. Queste coglierebbero volentieri la prima occasione per riaprire la discussione e frequenti sintomi dicono che esse non hanno dimenticato questo punto di attacco. In tale situazione non mi è sembrato opportuno di eseguire alcun passo tendente a ottenere che questo Ministero degli affari esteri ci assicuri apertamente un appoggio per una revisione del trattato di pace che ha invocato e che eventualmente potrebbe essere costretto ad applicare rigidamente per il caso proprio.

D'altra parte il ministro digli esteri Dominguez Campora è stato lungamente assente a capo della delegazione alla Conferenza dei ministri degli esteri a Washington e, se in questi ultimissimi giorni si dà per meno sicura la sua sostituzione (richiesta da ragioni di alchimia politica), pur tuttavia non è ancora certo che egli rimanga al suo posto. Sottosegretario agli esteri è l'avv. Eduardo Jimenez de Arechaga che durante l'assenza del ministro ha retto il Ministero. Jimenez de Arechaga, al tempo dell'«affare Fausto e Adamello», era avvocato dell'Amministrazione del porto e come tale «scoprì» l'argomento del trattato di pace e lo fornì come la migliore arma di difesa all'allora presidente della Repubblica e al Governo. C'è chi afferma che la sua successiva nomina a sottosegretario non sia per nulla estranea alla sua opera di consigliere prestata in quell'occasione. Comunque e per quanto i suoi rapporti con questa ambasciata siano i più affabili e cordiali, non si può pensare che egli, che ha sostenuto in pareri scritti e verbali l'interpretazione

più dura del trattato di pace, sia l'uomo più adatto per appoggiare la tesi di una revisione o di una caducità.

Da tutto quanto sopra esposto e ricordato a chiarimento della particolare situazione, rimane vero a mio modo di vedere: che questo Governo saprà distinguere l'elemento politico del trattato da quello economico al quale è direttamente interessato per ragioni non solo economiche ma anche di politica interna di molto rilievo; che, salvo il delicato caso del Fausto e dell'Adamello, esso conserva le migliori disposizioni verso di noi e che, come per il passato (vedi i dibattiti all'O.N.U., circa le nostre colonie), appoggerà validamente le nostre domande e favorirà le nostre aspirazioni anche sul punto della revisione del trattato, sul piano politico, e, come sempre, fintantoché non dovesse dispiacere agli Stati Uniti; che infine non potrebbe desiderare oggi di affermare questa sua intenzione di appoggiarci perché riuscirebbe troppo difficile di far comprendere una netta distinzione tra l'elemento politico e quello economico e diventerebbe troppo pericoloso di fornire alle opposizioni il destro di riaprire un affare che si cerca di soffocare per sempre.

In conclusione mantengo piena fiducia che al momento opportuno l'Uruguay ci appoggerà come per il passato, ma che qualsiasi nostro passo che potesse interpretarsi come una richiesta di assicurazione non potrebbe migliorare le già ottime disposizioni verso di noi e invece potrebbe pregiudicarle. Ritengo pertanto di non dovere andare oltre, nelle mie conversazioni col ministro e con i funzionari degli esteri, ad accenni generici, ad accenni cioè che non provochino necessariamente una risposta precisa o un affidamento.

Naturalmente atteggiamento di tal genere è da mettere in relazione con quello che si intende di assumere nella questione del Fausto e dell'Adamello: cambiando l'uno cambierebbe anche l'altro.

Sarei molto grato a codesto Ministero se volesse darmi istruzioni in merito alle due questioni insieme considerate.

Se apparirà vero che una nostra ripresa di attività nella questione Fausto e Adamello potrebbe provocare il raffreddarsi delle buone disposizioni uruguayane nella questione della revisione del trattato, si dovrà valutare se, al momento attuale, importano più le dette buone disposizioni o l'ipotetica soluzione di quel delicato affare3 .

420 1 Per la risposta vedi D. 434.

421 2 Non pubblicati.

421 3 Il documento reca la seguente annotazione di Sforza: «Sarebbe opportuno (a parte ogni considerazione sull'affare delle navi) assicurare l'ambasciata che l'estinzione morale da noi perseguita non tocca i problemi cui si pensa a Montevideo, ma bisogna pesare le parole».

422

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO1 . Roma, 20 maggio 1951.

È venuto l'ambasciatore di Francia per mettermi al corrente del punto di vista del suo Governo in merito alla questione della ammissione della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico.

Mi ha detto che a Parigi si è sempre stati favorevoli a dare qualche forma di garanzia a questi Stati, ma che la loro accessione al Patto atlantico non era vista con favore perché:

1) si teme che i russi possano considerarla come una manovra di accerchiamento e come una provocazione;

2) appare conveniente attendere l'esito della Conferenza a quattro per cui vi sarebbero ora maggiori prospettive;

3) è difficile ottenere il consenso unanime di tutti i paesi del Patto e si sarebbero dovute riaprire nuove discussioni in Parlamento;

4) diviene difficile alla lunga non comprendere nel Patto anche la Germania di Bonn ciò che creerebbe nuovi problemi.

Di fronte alla formale proposta americana, il Governo francese ha ora dato istruzioni ad Alphand di esprimersi al Consiglio dei sostituti nel senso che nelle more delle elezioni il Governo francese si considera in carica per semplici questioni amministrative e chiede che la questione venga differita a dopo le elezioni non potendo, prima, assumere impegni.

Ho detto all'ambasciatore di Francia che noi eravamo sempre stati favorevoli a che si arrivasse alla organizzazione di un sistema mediterraneo orientale perché riteniamo nostro interesse vitale sbarrare l'accesso del Mediterraneo ad eventuali aggressioni. Siamo quindi favorevoli alla attuale proposta americana anche perché la situazione nel Medio Oriente, a concorde giudizio dei nostri rappresentanti in quel settore, va rapidamente deteriorandosi a nostro danno. A ciò hanno contribuito i fatti di Persia e il deprimente spettacolo dato dalle potenze che da mesi discutono come organizzare la difesa mediterranea e a chi darne il comando, e se e come includere la Turchia in tale sistema difensivo, e compromettendo così questo passo senza arrivare a garantirlo. Ne è derivato che pericolose tendenze neutralistiche, in parte dovute a risentimento, in parte al timore di essere abbandonati, si vanno diffondendo tra i turchi e per contagio ad altri paesi del Medio Oriente. Una risoluzione in senso positivo sulla proposta americana potrebbe a nostro avviso contribuire a ristabilire la situazione. Quanto alle preoccupazioni per le interpretazioni che a Mosca si possono dare della inclusione

della Turchia e Grecia nel Patto, ho rilevato che esse sono fondate, ma che il lasciarcene troppo impressionare non fa che fare il gioco della Russia a tutto nostro danno. Mosca infatti conta e specula da tempo su questo complesso di inferiorità delle potenze occidentali, per spingere innanzi, senza scrupoli, la sua azione politica2 .

422 1 Trasmesso con Telespr. segreto 850/C. segr. pol. del 23 maggio alle ambasciate ad Ankara, Atene, Bonn, Il Cairo, Londra, Madrid, Parigi e Washington ed alla rappresentanza presso il Consiglio atlantico a Londra.

423

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6065/61. Bruxelles, 21 maggio 1951, ore 16,20 (perv. ore 18,30).

Telespresso ministeriale n. 11/733/C. del 10 maggio1 .

Governo belga è interamente d'accordo con Governo italiano e francese circa questione «guardiano giordanico» dei Luoghi Santi.

Sollecitato in proposito da Governo francese, esso ha già fatto pervenire a suo console generale in Gerusalemme istruzioni associarsi nel modo più opportuno a passo italo-francese. Questo Ministero affari esteri fa tuttavia presente che, non essendovi un rappresentante diplomatico belga formalmente accreditato ad Amman e console generale in Gerusalemme avendo con Governo giordanico solo rapporti di fatto, forma comunicazione belga non potrà essere identica a quella italiana e francese e viene rimessa a giudizio opportunità predetto agente.

424

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6098/88. Bonn, 21 maggio 1951, part. ore 1,30 del 22 (perv. ore 7,30).

Blankenhorn mi ha detto che visita Morrison, conclusasi praticamente stasera, stata caratterizzata da atmosfera definita più che cordiale, amichevole. Ministro affari esteri britannico invitato Adenauer recarsi Londra, cosa che avrà luogo corso estate,

V.E. di intrattenere nuovamente al riguardo codesto Governo, sottolineando come sarebbe augurabile, ai fini del mantenimento dello status quo dei Luoghi Santi, che i rappresentanti delle principali nazioni cattoliche in Giordania mantenessero una unità di atteggiamento». Per la risposta da Madrid vedi D. 429.

probabilmente agosto. Si è trattato sopratutto, dettomi Blankenhorn, visita informativa priva quindi ogni lato sensazionale cui però viene qui attribuita eccezionale importanza per possibilità offertasi cancelliere federale esporre ampiamente ad inglesi situazione tedesca nei suoi vari aspetti anche di politica interna. Aggiungo per mio conto che questa occasione non mi pare dubbio sia stata lungamente attesa da Adenauer per importanza, come riferii, da lui sempre attribuita consenso Londra nuovo processo formativo europeo.

Esposizione fatta da Adenauer trovato larga comprensione in Morrison che dimostratosi favorevole piano Schuman e risoluzione problemi connessi relativi autorità internazionali Ruhr. Statomi confermato che buone disposizioni ministro affari esteri britannico manifestatesi anche in suoi colloqui con Schumacher verso il quale avrebbe svolto opera moderativa esortandolo condurre opposizione costruttiva.

Blankenhorn terminato dicendomi che conversazioni anglo-tedesche verranno proseguite a Londra in occasione viaggio Adenauer.

422 2 Annotazione a margine di Sforza: «Approvo».

423 1 Diretto alle ambasciate a Bruxelles e Madrid, con il quale Jannelli aveva reso nota la decisione italo-francese di presentare al Governo giordanico una riserva per la nomina del custode dei Luoghi Santi ed aveva dato le seguenti istruzioni: «La Santa Sede è stata informata di quanto precede. Si prega

425

IL MINISTRO A SAN JOSE, RICCIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6134/6. San Josè, 22 maggio 1951, ore 14,46 (perv. ore 7 del 23).

Ho presentato oggi lettere credenziali. In conversazioni con presidente della Repubblica Ulate ho espresso nostro apprezzamento per costante amichevole appoggio che Costarica ha dato all'Italia dopo guerra specialmente presso Nazioni Unite.

Apertura legazione sta appunto dimostrare tali sentimenti e nostra fiducia che Costarica avrebbe continuato dare sua adesione eventuali iniziative per dare nostro paese completa uguaglianza e revisione del trattato pace. Ulate mi ha pregato esprimere V.E. ringraziamenti istituzione legazione.

Costarica comprende nostre ragioni e darà appoggio qualsiasi azione nostro favore presso Nazioni Unite. Presidente della Repubblica mi ha pregato trasmettere suo saluto presidente Einaudi e V.E.

426

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 2884/1587. Londra, 22 maggio 1951 (perv. il 25).

Ho l'onore di riferirmi al dispaccio dell'E.V. n. 766 seg. pol. del 15 corrente1 .

Nel considerare con interesse l'appunto del ministro Martino, alcuni interrogativi ed osservazioni mi sono venuti alla mente, che ritengo dover sottoporre all'E.V. anche allo scopo di meglio intendere quale sia il punto di vista del nostro Governo su questo delicato problema.

Non mi pare, rileggendo il mio rapporto del 24 aprile2, che la mia conversazione con Brilej potesse in qualche modo lasciar trasparire soverchie illusioni — per quanto mi riguarda — sulla facilità di giungere ad un compromesso. Era una conversazione volta, anzi, a mettere l'ambasciatore jugoslavo di fronte ad una presa di posizione chiara e netta da parte nostra; e di conseguenza, a far sì che gli jugoslavi non possano illudersi di poterci contentare con vaghe assicurazioni o con proposte di soluzioni ricalcate sulla attuale linea di demarcazione fra le due zone.

Il ministro Martino fa alcune considerazioni assai logiche su quelli che possono essere i desideri della Jugoslavia in merito alla soluzione del problema del T.L.T., ma tali considerazioni sembrano svolgersi soltanto nell'ambito ristretto di un «problema di Trieste» visto come questione puramente italo-jugoslava. Il problema è senza dubbio, sia geograficamente che etnicamente, italo-jugoslavo; ma politicamente esso è, in effetti, di tale importanza per la difesa occidentale da non poter ormai essere considerato se non nel quadro degli interessi generali della comunità atlantica e dei più autorevoli fra i suoi esponenti.

È questo un periodo in cui Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dimostrano anche coi fatti un interessamento quanto mai vivo verso la Jugoslavia, nel senso di assicurarle — nel comune interesse dell'Occidente — una certa solidità economica e militare. È perciò proprio in questo momento che sarebbe più facile alle tre potenze occidentali di intervenire per una soluzione del T.L.T. — che continua a rappresentare un punta di attrito ed un indebolimento (almeno potenziale) dell'intero schieramento — ed è il momento in cui la Jugoslavia ancora debole potrebbe più facilmente accondiscendere ad una certa pressione delle grandi potenze, accompagnata da quegli aiuti economico-finanziari di cui ha assoluta necessità.

Il fatto che Washington, Londra e Parigi non abbiano sinora esercitate aperte pressioni su Roma o Belgrado per una soluzione, non deve essere considerato un indice di loro disinteressamento. È cosa che dipende soltanto da un fatto: e cioè che quei Governi si rendono conto di quanto la questione tocchi nel vivo l'opinione pubblica italiana e jugoslava. Ma ritengo sarebbe pericoloso trarne la deduzione che pressioni, e forti, non possano esservi in futuro qualora la situazione non venga maturando.

2 Vedi D. 375.

Nelle conversazioni di S.E. De Gasperi e dell'E.V. con Attlee e Morrison3 sulla questione di Trieste mi sembra di rilevarne un sintomo premonitore.

Non è senza motivo, infatti, che i ministri inglesi hanno riconfermato la Dichiarazione tripartita nell'intesa che si giungesse ad un accordo diretto italo-jugoslavo.

Sarebbe illusione, mi sembra, se pensassimo di poter scegliere noi stessi un momento più favorevole e trattare in migliori condizioni un accordo a due, protetti soltanto dalla Dichiarazione tripartita (del cui effettivo valore il presidente del Consiglio e l'E.V. hanno una visione quanto mai precisa e realistica) e avendo di fronte una Jugoslavia divenuta nel frattempo più forte e quindi meno dipendente dagli aiuti americani.

Che si sia da tempo ad un punto morto, come osserva il ministro Martino, è cosa su cui non sussistono dubbi. La questione per noi è di valutare se su questo punto morto dobbiamo, o meno, soffermarci passivamente senza prendere per il momento alcuna iniziativa per una soluzione. Pensa forse il Governo che un arresto sulle attuali posizioni (jugoslavi in Zona B, anglo-americani in Zona A, italiani alle porte del T.L.T.) sia a vantaggio delle nostre prospettive future e intravede forse un momento in cui la soluzione più favorevole possa venire dal di fuori o da un imprevedibile giuoco di circostanze internazionali?4 .

426 1 Vedi D. 405.

427

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1352/295. Teheran, 22 maggio 1951 (perv. il 23).

Uno degli aspetti più importanti della crisi persiana è certamente dato dalle ripercussioni che essa ha avuto ed avrà sulla situazione della Turchia. Ne ho fatto ripetutamente cenno in altri miei rapporti negli scorsi mesi; ma credo conveniente esaminare più da vicino la situazione nelle gravi circostanze di oggi.

Le relazioni tra la Persia e la Turchia sono tradizionalmente cattive. Esse hanno una loro lunga storia di reciproca e spesso sanguinosa ostilità; e la rivalità tra i due paesi è stata, classicamente, una buona carta da giocare nelle mani di chi si proponeva di indebolire l'uno o l'altro dei due vicini contendenti. In Oriente le situazioni sono stabili; e gli ambasciatori veneti in Persia (nel Quattrocento), Barbaro e Contarini, svolgevano un'azione molto simile a quella di qualche collega in questi recenti mesi. Una sola pausa si ebbe in questa lunga tradizione; ed essa fu causata dalla personale amicizia e collaborazione tra Mustafà Kemal e Riza Scià e si concretò nel Patto di Saadabad. Caduto Riza Scià nel 1941, la diffidenza persiana verso la Turchia

4 Per la risposta vedi D. 482.

ha ripreso in piena intensità. Si può dire, anzi, che si sia aggravata per due motivi: la inazione di Ankara nei confronti della occupazione russo-britannica della Persia (occupazione che pure, secondo i persiani, poneva il casus foederis secondo le clausole del Patto citato); la questione dell'Azerbeigian, nella quale la popolazione turca è apparsa favorevole agli autonomisti, per quanto comunisti, contro il Governo di Teheran. E, d'altra parte, la dura repressione anti-turca nell'Azerbeigian nel 19471948 ha dato motivi di malumore ad Ankara contro Teheran.

Ho voluto accennare a questi precedenti politici per mettere in rilievo la delicatezza del compito di chi debba interessarsi al miglioramento delle relazioni turco-persiane. Ora è bene dire subito chiaramente che tale delicato compito costituiva una necessità assoluta da iscrivere in capite libri in ogni programma di rinsaldamento della posizione politico-militare della Turchia e quindi di effettiva difesa del Vicino Oriente. Soltanto la ripresa della politica di Saadabad, incrementata dalle relazioni amichevoli tra Persia e Pakistan, avrebbe consentito di dare un valore effettivo alla situazione strategica dell'Anatolia ricollegandola con un complesso più vasto e garantendola sul fianco orientale. Da parte degli occidentali si è avuto bensì un inizio di comprensione di tale realtà politica, quando Washington decise gli aiuti militari «alla Grecia, Turchia e Persia» insieme (indicazione molto suggestiva e giusta); ma a questo inizio nessun vero sviluppo è seguito e ciò anche per la indecisione che ha caratterizzato le recenti fasi dei rapporti tra Gran Bretagna e Stati Uniti nel Medio Oriente.

Da parte sua, che cosa ha fatto la Turchia, direttamente interessata, nel campo dei suoi rapporti con la Persia? Visti qui da Teheran, i risultati dell'azione politica turca nei confronti di questo paese, sopra tutto dall'avvento di Bayar e dalla costituzione del nuovo Governo, appaiono francamente negativi. Ciò è, in notevole parte, dovuto al fatto che, proprio negli scorsi mesi e proprio in occasione della crisi coreana, Persia e Turchia si sono trovate in situazioni divergenti. La Persia, in piena «delusione americana» (come già esposi nel mio rapporto n. 2517/650 del 7 dicembre)1 , firmava il 4 novembre 1950 gli accordi con l'Unione Sovietica, assumendo ufficialmente l'atteggiamento di «non unilateralità». La Turchia, invece, accentuava con Köprülü le manifestazioni attive della sua cooperazione con gli Stati Uniti in senso antisovietico sino all'invio delle truppe turche in Corea. Queste linee divergenti della politica generale dei due paesi venivano, in un certo senso, ancor più esagerate da alcune esuberanze formali della politica turca, che inducevano ancor più Teheran ad uno stretto e prudente riserbo, ad evitare che una rinnovata intimità turco-persiana apparisse come una violazione nei confronti dei sovietici, della «non unilateralità».

Ma, accanto a queste circostanze generali, sono da considerare anche le modalità specifiche dell'azione diplomatica turca qui, per avere un quadro completo della situazione. Non esito a dire, intanto, che è stato un errore politico da parte turca l'aver impiantato e faticosamente condotto a termine qui il negoziato per l'«accordo turco-persiano per i transiti». Questo accordo mirava a creare più intensi rapporti economici tra i due paesi e quindi nell'intenzione era ottimo. Ma praticamente esso era imperniato sulla possibilità di attrarre il commercio persiano ad Alessandretta; e cioè per una via economicamente insostenibile, a giudizio generale ed attendibile degli esperti di

qui. Se l'accordo aveva perciò un significato, esso voleva dire che la Turchia, per ragioni politiche, era pronta a dare ogni facilitazione alla Persia per sottrarre il traffico persiano verso il Mediterraneo alla sua naturale e tradizionale via di sbocco nei paesi arabi (Libano e Siria). Ma ciò era in aperto contrasto con la politica di avvicinamento ai paesi arabi che contemporaneamente Köprülü stava tentando. E così la politica turca veniva qui a somigliare a quella ben nota di altri collezionisti di trattati, l'uno in contraddizione con l'altro. Concretamente, poi, questa situazione rendeva davvero penoso il negoziato e poi le lunghe discussioni circa le possibilità di ratifica, tra la diffidenza persiana, le antipatie degli Stati arabi, l'ostilità dell'Unione Sovietica ecc.; ed, in conclusione, danneggiava anzi che giovare le relazioni turco-persiane.

Vorrei aggiungere anche come non ha nemmeno giovato ai rapporti tra i due paesi l'atteggiamento di estrema suscettibilità nazionale assunto nei confronti della Persia da questa ambasciata di Turchia. Ignoro, naturalmente, per quanta parte ciò sia dovuto ad istruzioni di Ankara e per quanta altra parte all'iniziativa personale dell'ambasciatore Karaosmanglu (persona, per altro, di autentico valore intellettuale e, sia detto per incidens, convinto amico dell'Italia). Comunque il Ministero degli esteri persiano, si può dire, ha fatto collezione di proteste turche negli ultimi mesi, per incidenti di cui qualcuno forse e molti certamente non meritavano tanta attenzione. Ricorderò qui come caso limite la «questione Nafisi». Nello scorso marzo il prof. Nafisi, ordinario di letteratura persiana all'Università di Teheran, in una sua lezione universitaria (cui assistettero per caso due boursiers turchi), parlando di uno scrittore persiano del 900 dopo Cristo citò un passo nel quale costui diceva ai suoi concittadini di un millennio fa che «occorre guardarsi dagli arabi, serpenti, e dai turchi, scorpioni». L'ambasciata di Turchia fece oggetto tale citazione erudita di un energico passo; ed ancora chiese alle rappresentanze degli Stati arabi se volessero associarsi per una protesta collettiva (ciò che gli arabi declinarono non senza qualche commento salace).

E certo non è apparso un gesto molto ben calcolato nel tempo quello del Governo turco, che si è astenuto dall'invio di doni pel matrimonio dello Scià nel febbraio scorso, ma che successivamente ha inviato proprio tre giorni fa una missione speciale per presentare adesso allo Scià un dono nuziale ed una lettera autografa di auguri di Bayar, in ritardo di tre mesi. Anche questi episodi, che appariscono prima facie trascurabili, se non umoristici, hanno qui in Oriente il loro effetto sulle suscettibilità sempre acuite e, sopra tutto, in un insieme così poco favorevole come quello che ho sopra esaminato.

Tale situazione, è personalmente complicata dal fatto che l'ambasciatore di Persia ad Ankara, Said Mohammed Maraghè, è da mesi sotto il peso dei più violenti attacchi negli ambienti politici persiani, perché durante il suo periodo di carica come presidente del Consiglio fu concluso il noto «accordo addizionale» con l'Anglo-Iranian Oil Company. Di tale accordo, come già riferii, il ministro delle finanze che lo firmò ha passato l'intiera responsabilità al presidente Said, le cui istruzioni egli avrebbe eseguite con le più esplicite riserve; né Said ha reagito a tale accusa. Dalla reazione all'«accordo addizionale», che il Parlamento persiano respinse, è sorto il movimento per la nazionalizzazione oggi in sviluppo.

Dall'altra parte, qui l'ambasciata di Turchia manca del titolare dal 25 marzo scorso, ed è tenuta, nell'assenza anche del consigliere e del primo segretario, da un incaricato di affari ad interim giunto appositamente da Ankara, in attesa del nuovo ambasciatore. Questa situazione personale è, per altro, di importanza secondaria, perché la crisi persiana ha ormai preso tali sviluppi che difficilmente un ambasciatore di Turchia qui potrà contare sulle occasioni favorevoli che invece un anno fa si sarebbero presentate.

Questo stato delle relazioni turco-persiane non interessa soltanto quei due paesi, ma è invece un problema di importanza fondamentale per la difesa del Mediterraneo orientale. Preferisco riassumere qui di seguito, sia pure in forma schematica, alcune conclusioni sulla situazione, come la si può oggi vedere da Teheran:

1) la linea di difesa della Turchia verso l'Unione Sovietica si appoggia alla frontiera persiana, nel settore dal fiume Arasse al lago di Urmia. È bene qui dire chiaramente che tale linea di difesa può già considerarsi sin d'ora en l'air in caso di conflitto. La situazione politica in Persia nella gravità della crisi odierna potrà avere impensati sviluppi e questi forse potranno, deprecabilmente, rendere ancora più precaria la situazione della Turchia. Ma è certo, ripeto, sin da oggi che, al momento di un conflitto, un'azione militare sovietica nel territorio persiano per superare sulla destra le difese turche non incontrerebbe alcun ostacolo da parte persiana. Tale azione sovietica si verificherebbe con tanta maggiore probabilità in quanto rientra nella logica della situazione geografica (e fu difatti già parzialmente eseguita dai russi durante la prima guerra mondiale). La non resistenza dei persiani in questo settore non dipende nemmeno da considerazioni politiche nei confronti della Russia o della Turchia, ma è conforme alle necessità di fatto della situazione politica interna e militare della Persia. Ammesso anche che il Governo persiano in un conflitto decidesse di resistere ad una occupazione russa (non lo fece nemmeno Riza Scià nel 1941), nessun capo persiano responsabile arrischierebbe le sue forze in una regione come l'Azerbeigian, dove la popolazione (azeri, armeni ed assiro caldei) è ostile al regime di Teheran, ha recentissimi (e favorevoli) ricordi di una amministrazione russa eccezionalmente benevola durata più di cinque anni; e può dare alimento a fastidiosi movimenti di resistenza. Comunque sia, mi risulta in modo indubbio che lo Stato Maggiore persiano ha adottato da tempo come concetto fondamentale della difesa del paese l'organizzazione della resistenza sull'altipiano centrale dell'Iran. Tale altipiano si presta, anche topograficamente, ad una difesa non di massa, ma per azioni di guerriglia. Ed in tali azioni si avrebbe la collaborazione delle tribù nomadi. Il concetto dello Stato Maggiore persiano è tanto più saldo in quanto corrisponde militarmente al massimo che si possa ragionevolmente sperare dalle forze armate persiane nelle loro condizioni odierne. Questa difesa, che è — ripeto — un massimo, è basata in ogni modo sull'immediato abbandono delle regioni settentrionali del paese. Il criterio tecnico-militare coincide quindi con il criterio politico. E la posizione della Turchia nei confronti della Persia non lascia, a mio parere, alcun dubbio;

2) dalla situazione qui sopra indicata deriva che, in caso di conflitto, forze motorizzate sovietiche potrebbero senza difficoltà attraversare il territorio persiano ed, oltrepassando l'intiero fianco della Turchia, arrivare per l'Irak e la Siria al Mediterraneo. Al di là del territorio persiano, noi sappiamo bene che nei paesi arabi non esiste alcuna forza militare organizzata per opporsi utilmente ad una azione sovietica; e del resto politicamente non esiste più nemmeno una concorde volontà combattiva da parte dei paesi arabi nei confronti di un conflitto con la Russia. E su questo punto non ho davvero bisogno di dilungarmi. Vi sono oggi nel Medio Oriente due sole forze relativamente bene organizzate: Israele e l'Arab Legion della Giordania. Ma il conflitto della Palestina rende assai difficile che queste due forze possano attivamente collaborare, anzi combattere addirittura fianco a fianco. E, d'altra parte, l'esistenza stessa dell'esercito di Israele ed anche più la concessione di aiuti e di appoggi per potenziarlo adeguatamente non fa che peggiorare ancora, sino all'esasperazione, la situazione politica dei paesi arabi nei confronti degli occidentali. È la pesantissima eredità degli errori della politica di Bevin nella questione palestinese che ancora blocca le possibilità degli occidentali verso paesi arabi. Ed è una situazione che influisce non soltanto sugli Stati arabi direttamente confinanti con Israele, ma anche sui più lontani, i quali certo in un conflitto dovrebbero superare una gravissima barriera di pregiudizi ed odi per accettare di schierarsi dallo stesso lato di Israele. Ancora ieri, è vero, questo ministro di Saudia mi diceva, a proposito delle recriminazioni egiziane circa la possibile utilizzazione della pipe-line del petrolio saudita da parte dell'americana Aranco per vendere petrolio ad Israele, che un proverbio arabo asserisce: «Quando Satana esce a combatterci, possiamo dimenticare le nostre inimicizie con i diavoli minori». Ma sono oggi d'accordo i paesi arabi nell'identificare politicamente chi è per loro Satana?

3) la situazione di debolezza persiana crea quindi, sin da oggi e con certezza, due pericoli: uno mortale per la Turchia, le cui difese sorpassate ad Oriente possono essere aggirate (e parlo qui da entrambi i punti di vista: politico e militare); ed uno, ancor più vasto nelle sue ripercussioni, per la minaccia, attraverso il vacuum persiano ed arabo, direttamente al Mediterraneo orientale. Questo maggior pericolo, in atto sin da oggi, concerne immediatamente l'Italia e gli interessi italiani. Ho già detto ripetutamente nei miei rapporti quali danni si siano avuti per la mancanza di una comune politica della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nel Medio Oriente. La posizione di Washington in una zona come questa, dove esistono vitali interessi britannici, è terribilmente delicata. Ma le condizioni attuali di non intesa, e quindi di un'azione non organica né concordata, hanno praticamente nella ben nota mentalità orientale la conseguenza che, come mi diceva giorni or sono uno dei ministri arabi, «È destino che nel Medio Oriente ci sia sempre un illuso di turno, il quale comincia a credere che Washington lo appoggerà contro Londra; così si decide a mettersi male con Londra; così poi è mollato da Washington; e così infine si mette male con Washington». Ma, anche oltre questa che è una necessità politica ovvia, ed anche ammesso il caso estremo che Washington decida di non avere una propria azione politica nel Medio Oriente ed appoggiare solo quella di Londra, è sempre da porre il quesito: può oggi la Gran Bretagna con la sua sola azione politica (e, domani, con quella militare) mantenere la responsabilità di organizzare la difesa del Medio Oriente? Si accetti o si respinga l'ipotesi di una simile totale responsabilità britannica, rimane in ogni modo il fatto che nel Medio Oriente si decideranno in un conflitto le sorti del Mediterraneo. La questione della difesa del Medio Oriente, e cioè del Mediterraneo orientale, va quindi posta non esclusivamente in termini britannici od anglo-americani; ma nettamente come un problema comune dei paesi mediterranei partecipanti all'Alleanza atlantica. Basti pensare, ad esempio, all'influenza immediata che sulla difesa dell'Italia, della Grecia e della Turchia avrebbe una azione sovietica come quella su accennata dalla Persia verso il golfo di Alessandretta. E, viceversa, quali ripercussioni di ogni genere non avrebbe sulla nostra posizione una azione politica, russa o di altri, per la formazione di un «blocco di neutri» nel Medio Oriente?

Il problema della difesa (politica e militare) collettiva degli Stati atlantici assume dunque un suo aspetto urgente nei nostri confronti per quanto concerne il Medio Oriente. A questa urgenza contribuiscono oggi, in prima linea, le ripercussioni della situazione persiana sulla difesa della Turchia e dei paesi arabi; e sono ripercussioni, come ho detto sopra, che già esistono in fatto. Ma l'urgenza è resa ancora maggiore dall'aggravarsi della crisi persiana, come sta avvenendo in questi giorni. Da tale crisi potrebbe infatti derivare (e nessuno potrebbe per ora escluderlo) non più il pericolo già di per sé gravissimo delle conseguenze della inerzia politica e militare della Persia, ma il danno immediato della cooperazione di un Governo persiano con l'Unione Sovietica, per tutto o parte del territorio iraniano.

426 3 Vedi D. 298.

427 1 Non pubblicato.

428

L'INCARICATO D'AFFARI AD OSLO, G. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 963/489. Oslo, 22 maggio 1951 (perv. il 25).

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. 229 del 15 maggio u.s.1 .

Ringrazio codesto Ministero per avermi inviato copia del rapporto n. 945/270, in data 7 corrente, del rappresentante italiano presso il Consiglio d'Europa1 .

Circa i motivi che inducono questo Governo ad essere in genere contrario alle proposte di modifiche dello statuto, di discussioni sui problemi militari ecc., mi riferisco a quanto questa legazione ha riferito in merito in varie occasioni, da ultimo con rapporto n. 93 del 31 gennaio u.s.1. Desidero, tuttavia, sottolineare che sarebbe un errore trarre da ciò la deduzione che qui si consideri il Consiglio d'Europa come un organismo del tutto inefficiente ed ormai sprovvisto di vitalità. È invece spesso perché si pensa o si teme l'opposto che da parte norvegese ci si irrigidisce col proposito di porre argini e di erigere difese contro le esuberanze dei federalisti.

In realtà si ha qui la sensazione che, se pur lo schieramento britannico-scandinavo è riuscito sinora a bloccare ogni iniziativa di rilievo in seno al Comitato dei ministri, l'Assemblea è riuscita però ad accaparrarsi gradualmente concessioni ed autorizzazioni che, mentre fino ad ora hanno sopratutto allargato il campo di discussioni prevalentemente accademiche, possono anche rivelarsi in avvenire una utile base di partenza per un maggior dinamismo, per una maggior invadenza e per un aumento di autorità.

Occorre aggiungere d'altro lato che l'esito positivo dei negoziati per il piano Schuman sembra anche aver qui costituito quasi un campanello di allarme. In un primo tempo, nel fondo, qui si era pensato che assai difficilmente quei negoziati sarebbero andati in porto. Oggi, per quanto ci si renda corto che molti ostacoli posso

no ancora levarsi contro la traduzione in pratica del piano Schuman, il semplice fatto che esso sia stato definito e concordato ha qui provocato un aggiornamento dei criteri con cui veniva sinora valutata la situazione europea.

Direi che quasi ora soltanto si scopre che i movimenti federalisti, la collaborazione e la integrazione europea sono concezioni meno vaghe e, sopratutto, meno estranee alla realtà politica di quanto qui si pensasse. Il fatto che i Governi interessati siano riusciti a mettersi d'accordo sul piano Schuman è valso, cioè, a dare qui la sensazione, quale che possa essere la sorte ultima del piano stesso, che in Europa vi sono effettivamente delle nuove forze associative in movimento, con un loro peso non solamente nelle schermaglie accademiche di Strasburgo, ma nella realtà della vita europea.

Da questo nuovo angolo visuale i rapporti dell'O.E.C.E. al Consiglio d'Europa, le iniziative per un pool agricolo, per la liberalizzazione dei trasporti ecc., vengono considerati con maggior ponderazione, come questioni che, al pari del piano Schuman, possono sfociare in qualcosa di concreto.

In tali circostanze ci si rende conto che la difesa degli interessi norvegesi non può più essere affidata a resistenza od ostruzionismo in seno al Consiglio d'Europa, ma deve essere piuttosto realizzata sul piano politico, con una azione manovrata.

Ed è in questi termini, io credo, che debbono essere anche intese la recente iniziativa di Fin Moe per associare Stati Uniti e Commonwealth al Consiglio d'Europa, e la simpatia governativa per i movimenti in favore di una federazione atlantica

(v. rapporto di questa legazione n. 521/265 del 19 marzo u.s.)2 .

Questo atteggiamento, per quanto è possibile giudicare di qui, non sembra certo essere stato adottato in via autonoma, ma appare anch'esso come uno dei tanti episodi della stretta cooperazione tra i Governi di Oslo e di Londra. Ciò non toglie che in questo caso risponda anche pienamente agli interessi norvegesi.

Vari sono infatti i vantaggi che la Norvegia può ripromettersi da una azione intesa a spostare la cooperazione internazionale dal piano europeo a quello atlantico.

Sul piano atlantico svanisce, anzitutto, una delle principali preoccupazioni norvegesi: non vi è più, cioè, gran che da temere le tendenze federaliste, dato che, se sul piano europeo queste possono contare in molti paesi su forze considerevoli, né in Europa né tanto meno negli Stati Uniti e nel Commonwealth è matura o anche soltanto in via di maturazione l'idea di una vera e propria federazione atlantica.

Sul piano atlantico si rientra invece nel campo della generica collaborazione politica ed economica e si rientra sopratutto in un campo in cui la Gran Bretagna si muove con assai maggior disinvoltura ed autorità che non all'attuale Consiglio d'Europa, con ovvio beneficio per la cliente Norvegia.

E vi è, infine, anche un terzo elemento che non va trascurato: vale a dire il caso Svezia. Per la proposta svedese di una fusione dell'O.E.C.E. col Consiglio d'Europa la Norvegia non ha mai nutrito simpatia. Tutto quello che la Svezia ha potuto ottenere in tale materia è stato un imbronciato mutismo del delegato norvegese in sede di discussioni a Parigi. Ora, se fosse possibile cambiare il volto al Consiglio d'Europa associandovi Stati Uniti e Canada, non solamente la proposta svedese si svuoterebbe

del proprio contenuto anti N.A.T.O., ma tanto più con la partecipazione greca e turca al Patto atlantico, riuscirebbe in definitiva di agganciare la Svezia a quest'ultimo indirettamente tramite il Consiglio d'Europa. E questa sarebbe forse la miglior soluzione per la Norvegia che, da un lato, ha interesse all'affiancamento svedese al Patto atlantico e, d'altro lato, ha di che temere da una piena adesione svedese al Patto stesso dato che, in tale eventualità, nei piani generali della difesa scandinava la Norvegia cadrebbe dalla prima all'ultima posizione.

428 1 Non rinvenuto.

428 2 Non pubblicato.

429

L'AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1726/446. Madrid, 23 maggio 1951 (perv. il 29).

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. segr. pol. 733/C. del 10 corrente1 .

Ho intrattenuto in via amichevole questo ministro degli affari esteri circa le riserve che il nostro Governo e quello di Parigi hanno deciso di formulare per la nomina del custode giordanico dei Luoghi Santi. Ho fatto presente a Martin Artajo quanto fosse augurabile che le principali nazioni cattoliche affermassero la loro identità di vedute nella importante questione del mantenimento dello statu quo dei Luoghi Santi e che quindi il ministro di Spagna compiesse presso il Governo di re Abdallah passo separato ma analogo a quello dei ministri d'Italia e di Francia. Ho aggiunto che tale occasione avrebbe dato modo alla Spagna di dimostrare, su un piano internazionale, la sua solidarietà con le maggiori nazioni cattoliche.

Martin Artajo mi sembrò favorevolmente impressionato. Ripiegò però sulla tesi del suo direttore generale degli affari politici da me riferita col rapporto del 29 aprile u.s.2 ripetendo le parole di lui che riserve e proteste non avrebbero avuto alcun risultato (e per qual motivo allora far cosa sgradita al Governo di Amman con il quale la Spagna intratteneva cordialissime relazioni?) e che la linea più sicura da seguire rimaneva quella di uniformarci all'atteggiamento di attesa della Santa Sede.

Gli ho allora fatto presente quanto aveva riferito l'ambasciatore Meli Lupi di Soragna3; che, cioè, l'idea di un passo presso il Governo di Giordania relativo al custode da esso nominato aveva incontrato il favore della Segreteria di Stato. Ciò ha fatto riflettere il ministro, il quale peraltro è tornato a ripetere che rimaneva assai scettico circa i risultati e ricordato che la vera occasione per una soluzione soddisfacente era stata purtroppo sciupata due anni fa e non certo per colpa della Spagna che

2 Non rinvenuto.

3 Vedi D. 351.

l'aveva cordialmente patrocinata. Il nuovo ministro di Giordania, che gli era apparso preparato e intelligente, nella sua prima conversazione con lui gli aveva accennato alla custodia cercando di mostrarne i grandi vantaggi, insinuando che qualsiasi assetto internazionale avrebbe potuto aver conseguenze sfavorevoli per la Spagna, per l'Italia e per la Francia data l'inevitabile partecipazione della Russia e delle nazioni protestanti: meglio lasciar le cose come erano. Naturalmente il ministro aveva sottolineato a sua volta difetti e pericoli dell'attuale assetto incerto e provvisorio.

Ripetutigli i principali argomenti, Martin Artajo mi ha promesso di esaminarli con i suoi collaboratori nello spirito più amichevole, grato della mia segnalazione, e di farmi conoscere a suo tempo il suo avviso4 .

Informo ad ogni buon fine che fino ad oggi il Nunzio, col quale mi sono messo in contatto, non ha ricevuto istruzioni dalla Segreteria di Stato sulla questione del custode. Sarebbe perciò opportuno, a smuovere questo ministro degli esteri dal suo orientamento negativo, che monsignor Cicognani fosse interessato alla nostra tesi.

429 1 Vedi D. 423, nota 1.

430

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. SEGRETA 1/2231. Roma, 24 maggio 1951.

Ti ringrazio per le informazioni e considerazioni che mi hai trasmesso con la tua lettera del 18 maggio1 .

Concordo con te salvo che su di un punto, cioè quando giudichi che «l'attuale momento non si presti alla revisione del trattato in forma aperta». Può darsi che questo sia il pensiero prevalente anche negli ambienti ufficiali di Londra, Parigi e Wa shington, ma non ritengo che ciò sia un buon motivo per desistere dalla nostra azione. Desidero spiegarti chiaramente il mio pensiero. È ovvio che noi teniamo ai fatti più che alle parole e che perciò attendiamo innanzi tutto dai nostri Alleati degli atti concreti più che dei semplici riconoscimenti verbali. Ma occorre non sottovalutare l'elemento psicologico nei riguardi della nostra opinione pubblica, in un momento in cui, nella stampa e nei circoli politici dei nostri Alleati, si parla sempre più chiaramente di concedere alla Germania occidentale dei contingenti militari che potrebbero essere superiori a quelli a noi consentiti dal trattato di pace e, perfino, di escludere il Giappone da qualsiasi limitazione di sovranità.

Per quanto concerne il punto specifico, cui tu fai riferimento, della eventuale Conferenza a quattro, occorre non dimenticare che ci troviamo di fronte a ripetute violazioni di impegni o trattati internazionali da parte della Russia e dei suoi satelliti. Non credo che gli Alleati si troveranno avvantaggiati, sia ai fini delle attuali discus

430 1 Vedi D. 416.

sioni procedurali, sia e sopratutto ai fini delle eventuali negoziazioni di fondo, qualora la Conferenza dei ministri degli esteri si concretasse, dal fatto di presentarsi con le mani del tutto nette. Si ripeterebbe la solita situazione, per cui gli Alleati finirebbero per riconoscere la condizione di fatto esistente nell'orbita sovietica, senza ottenere alcuna contropartita. Dubito infatti sia possibile fare recedere la Russia e i satelliti dalle attuali posizioni.

Qualora poi la Conferenza dei quattro ministri degli esteri dovesse sortire un esito del tutto felice, anche la revisione potrebbe aver luogo tramite le vie legali previste nel nostro trattato2 .

429 4 Vedi D. 440.

431

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 974/533. Ankara, 24 maggio 1951 (perv. il 1° giugno).

Riferimento: Telegramma di V.E. n. 37 del 19 maggio u.s.1 .

Ho dato conoscenza al ministro degli esteri Fuad Köprülü dell'interessamento di V.E. per l'inclusione della Turchia nel Patto atlantico come dal telegramma surriferito. Già questa stampa aveva dato ampie notizie dell'atteggiamento italiano commentandolo con viva simpatia. Il ministro mi ha ancora una volta ripetuto quanto il suo Governo era grato a V.E. di questo immediato intervento e mi ha a lungo intrattenuto sull'attuale fase della questione.

Un colloquio non meno esauriente ho avuto col segretario generale, ambasciatore Akdur. Questi mi ha riferito che, non appena fu data dalla stampa la notizia del-l'iniziativa americana per l'adesione della Turchia e della Grecia al Patto atlantico, l'incaricato d'affari turco a Londra, agendo di sua iniziativa, chiese al Foreign Office particolari sul passo americano e cercò di sondare l'atteggiamento britannico al riguardo. Gli fu risposto che la notizia era stata accolta dal Governo con la massima soddisfazione. «Finalmente — gli fu detto — gli americani si sono decisi a includervi in un sistema di garanzia. Stiamo ora studiando la formula più conveniente, e cioè se addivenire a un allargamento del Patto atlantico o insistere per l'adesione americana al Trattato tripartito anglo-franco-turco di mutua assistenza dell'ottobre 1939». La risposta, come può ben immaginarsi, ha sorpreso questi ambienti. «Credono forse che non sappiamo — mi ha detto Akdur — che tutte le difficoltà ci vengono proprio dai nostri alleati?».

Analoghe impressioni ho riscontrato nel ministro Fuad Köprülü. Questi mi ha segnalato una trasmissione di Radio Londra in lingua bulgara del 21 mattina, la quale,

431 1 Vedi D. 418.

riferendosi alle proposte americane d'includere la Grecia e la Turchia nel Patto atlantico, aveva dichiarato che l'Inghilterra non condivideva l'opinione dell'America. Mi risulta infatti che il commento della B.B.C. è stato il seguente: «L'Inghilterra è del resto legata a questi paesi con vincoli di amicizia e di alleanza. Garantire la sicurezza di questi paesi è naturalmente altrettanto importante della sicurezza degli Stati firmatari del Patto atlantico. Ma l'Inghilterra non ritiene opportuna una maggiore estensione di detto Patto».

Nelle conversazioni da me avute col ministro e col segretario generale mi è stato nettamente dichiarato che la formula dell'inclusione nel Patto atlantico è quella che maggiormente soddisfa la Turchia e che ha perciò tutte le sue preferenze. Qui si sa bene che non esiste alcuna possibilità di ottenere l'adesione nordamericana al Tripartito anglo-franco-turco del 1939, e perciò la scelta si limita, almeno per ora, all'alternativa: o allargamento del Patto atlantico o creazione di un patto del Mediterraneo.

In linea teorica la Turchia avrebbe preferito, mi ha detto Akdur, che si addivenisse a un patto del Mediterraneo, per poter limitare le sue responsabilità alla zona dei suoi diretti interessi. Come infatti ho segnalato in precedenti rapporti, questo Governo è stato fino a ieri nettamente propenso a tale soluzione, patrocinata anche dalla stampa e sopratutto dall'ex ministro degli esteri Sadak sull'Aksam.

Si è tuttavia sempre dichiarato che, in definitiva, l'una o l'altra formula sarebbero state ugualmente bene accette. Oggi le preferenze per il Patto atlantico sono indiscusse. Questo Ministero degli esteri si rende conto che nel momento attuale non v'è alcuna possibilità di addivenire a un patto del Mediterraneo, che dovrebbe comprendere, per rispondere ai motivi per cui gl'inglesi e i francesi lo propongono, anche i paesi del Medio Oriente. «Ma — mi ha detto Akdur — fino a quando dura il conflitto tra arabi e israeliani non è possibile includervi gli uni senza prendere, con ciò stesso, posizione contro gli altri. Ora non è assolutamente concepibile una sistemazione del Medio Oriente della quale non faccia parte Israele». Su questo punto Akdur ha insistito con particolare rilievo; il che ha confermato in me il convincimento, già segnalato a V.E., dell'esistenza di intese, sia pure verbali, tra la Turchia e Israele, come del resto mi era stato confidato da fonte precisa.

Akdur mi ha parlato altresì dell'Egitto. Egli si rende conto dell'interesse britannico di predisporre un quadro nel quale anche l'Egitto possa essere inserito. Evidentemente tale quadro non è quello atlantico, che non può eccedere i limiti europei. «Ma l'Egitto, mi ha detto Akdur, si trova anch'esso impegnato nel conflitto con Israele e nulla lascia prevedere che tale conflitto possa essere rapidamente risolto; anzi gli avvenimenti recenti hanno inasprito di nuovo gli animi e riaffermato i propositi di resistenza». Se pertanto, per dare alla Turchia la garanzia da essa chiesta e che non può essere procrastinata, si dovesse attendere che la situazione del Medio Oriente lo consenta, questo significherebbe rinviare la soluzione alle calende greche e compromettere definitivamente una situazione che viene aggravandosi di giorno in giorno.

«Le potenze occidentali — mi ha detto Akdur — devono rendersi conto che l'unico punto fermo del Medio Oriente, l'unica forza che ancora intrattiene tutti questi paesi dal distaccarsi irrevocabilmente dall'Occidente, è la Turchia». Se anche in essa dovessero prevalere le correnti neutraliste gli occidentali perderebbero ogni possibilità, e dovrebbero rinunciare ad ogni speranza, di controllare questo settore. Ora queste correnti neutraliste guadagnano terreno in Turchia. L'ho già segnalato e non torno perciò ad insistervi. È certo che questo Governo ne è preoccupato. Esso sa che tali correnti sono in gran parte alimentate da una ben individuata propaganda mossa da Mosca. Ma, mi ha detto Akdur, anche se tale propaganda non esistesse, sono gli errori degli occidentali che determinano i nuovi atteggiamenti dell'opinione pubblica in tutti questi paesi. Oggi si abusa del comodo argomento di attribuire alle manovre di Mosca ciò che non è, in primo luogo, che il risultato diretto delle colpe, delle provocazioni, degli errori, tanto degli inglesi quanto degli americani. È poi logico ed inevitabile che l'U.R.S.S. approfitti di così favorevoli ed impensate occasioni per accentuare la sua propaganda ed estendere il suo raggio d'azione. «Guardate — mi ha detto Akdur — in quale difficile situazione si trova il nostro Governo: da ogni parte gli si dice: da due anni stiamo mendicando di essere inclusi nel Patto atlantico; da un anno stiamo versando sangue in Corea. Cosa abbiamo ottenuto? Il Governo non può rispondere; perciò la propaganda ne approfitta e l'opposizione cresce».

«Occorre — ha concluso Akdur — che una soluzione sia trovata e subito». L'inclusione della Turchia nel Patto atlantico è oggi «l'unica» soluzione che permetta di rimediare a tale stato di cose. A parte l'enorme vantaggio di risolvere immediatamente un problema di estrema gravità ed urgenza, perché da esso dipende, come ho detto, il mantenimento delle posizioni che restano alle potenze occidentali nel Medio Oriente, l'allargamento del Patto atlantico presenta altri vantaggi di uguale, se non maggiore importanza. Anche su di essi hanno insistito, con particolare chiarezza di vedute e grande energia, tanto il ministro Fuad Köprülü che il segretario generale Akdur.

L'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico, mi hanno detto, completa l'organizzazione difensiva dell'Europa. Oggi nello schieramento atlantico v'è una lacuna che ne compromette l'efficienza: i Balcani. Ora i Balcani sono stati sempre il settore chiave per ogni campagna di importanza europea. La prima guerra mondiale finì quando crollò il settore balcanico. Hitler non intraprese la campagna contro la Russia se prima non si assicurò il pieno controllo dei Balcani. Arrestare il fronte atlantico a una immaginaria linea, che lasci fuori i Balcani, significa ripetere l'errore della linea Maginot che si arrestava alla frontiera del Belgio. È il vuoto che attira l'avversario. E fino a quando viene lasciata a quest'ultimo una facile possibilità di manovra, non solo non è garantita la sicurezza, ma non è nemmeno assicurata la pace, per la troppo allettante tentazione dell'avversario di approfittare della via che gli è lasciata aperta.

Perciò la Turchia è pienamente concorde col punto di vista di Eisenhower che il problema del Mediterraneo è uno solo: ogni proposta di dividere questo settore in comandi separati (occidentale e orientale) o di separarlo dal fronte atlantico sotto un comando autonomo, ancorché dipendente dallo Standing Group, è gravissimo errore.

Qui è risaputo che in Inghilterra si continua ad essere d'avviso che gli Stretti non sono difendibili, che la Tracia in caso di guerra deve essere evacuata e che le forze turche devono essere concentrate nel ridotto del Tauro. Ma che significa tutto ciò, se non sostenere che tra la difesa dei Dardanelli e quella di Suez è a quest'ultima che deve esser data la preferenza? In tal caso cosa succederebbe della Grecia? E come potrebbero essere difesi i Balcani? E quale sarebbe la situazione dell'Italia che verrebbe a trovarsi scoperta e a subire il primo urto delle mosse sovietiche?

La tesi invece della Turchia, che coincide con quella di Eisenhower, è che la Tracia si tiene se si tengono i Balcani; che il fronte mediterraneo deve saldarsi senza soluzione di continuità con quello continentale atlantico, perché le posizioni balcaniche hanno, come si è detto, importanza strategica di prim'ordine e che difficilmente la Russia potrà avanzarsi nel cuore del continente con una minaccia così grave sul fianco. Perciò l'inserimento delle forze greche e turche nel quadro difensivo atlantico può influire sensibilmente sull'equilibrio delle forze contrapposte.

La Turchia, in conclusione, vuole assolvere una funzione europea. E naturalmente non perde di vista il vantaggio di poter far parte, con gli altri paesi europei, degli organi direttivi del Patto atlantico, anziché essere relegata in un settore periferico e con scarse possibilità di far sentire la sua voce dove maturano le decisioni.

Per tutti questi motivi i suoi sentimenti non sono nel momento attuale i più benevoli verso l'Inghilterra e, per quanto riservato sia tuttora il suo atteggiamento in attesa che si chiarisca la linea di condotta britannica, essa dà l'impressione di una molla tesa in procinto di scattare. Né più benevoli sono i suoi sentimenti nei riguardi della Francia, di cui si conoscono gl'intendimenti a favore di un patto mediterraneo e della quale si seguono con diffidenza le intese con l'Inghilterra nella presente riunione a Parigi sui problemi del Medio Oriente.

Sulla politica inglese non mi sono state risparmiate le critiche.

L'Inghilterra, mi è stato detto, commette errori gravissimi che scuotono la fiducia che i popoli erano abituati a riporre in essa. Sopratutto manca di quella previdenza che dava un carattere di continuità alla sua politica. Oggi essa dà l'impressione di vivere giorno per giorno, di ricorrere a mezzi contingenti per far fronte a situazioni che superano le sue possibilità di risolverle o di arginarle. E rifiuta sdegnosamente quella collaborazione che i popoli europei, legati ad essa da una fatale solidarietà d'interessi, sarebbero disposti a darle. Fuad Köprülü mi ha detto di aver proposto agl'inglesi di addivenire a regolari consultazioni sugli affari del Medio Oriente per rafforzare la loro azione, evitare errori ed esercitare una favorevole influenza a loro profitto. La proposta è rimasta lettera morta. Mi ha altresì confidato di essere rimasto penosamente impressionato dalle proposte fattegli dal generale Robertson nel febbraio scorso. «Non si trattava — mi ha detto Köprülü — di proposte di collaborazione militare come noi ci attendevamo, ma di proposte di carattere politico di nessun valore per noi». Il che confermerebbe quanto ebbi a segnalare col mio rapporto n. 533/275 del 10 marzo u.s.2 e cioè che Robertson avrebbe cercato di persuadere i turchi ad accontentarsi della garanzia loro derivante dalla partecipazione al sistema di difesa britannico per il Medio Oriente, il che equivaleva a rinunciare alla garanzia nordamericana. La cosa merita di essere ritenuta perché l'Inghilterra ha molto insistito, anche in questi ultimi tempi, sulla tesi che la Turchia già gode di efficienti garanzie.

Sempre a proposito degli errori della Gran Bretagna Fuad Köprülü e Akdur hanno sopratutto insistito sulla situazione in Iran, che hanno definito «gravissima» e per la quale mi hanno manifestato le più vive preoccupazioni. Questa situazione, mi hanno detto, è la conseguenza, non tanto delle manovre sovietiche, quanto dell'ingiustificabile atteggiamento inglese, dell'esosità della Compagnia Anglo-Iranian, dei suoi intrighi, della sua rigidezza. Tanto lo Scià che Hussein Ala volevano addivenire a un accordo. Se gl'inglesi avessero fin dal principio accettato quel che ora sarebbero disposti ad accettare, non si sarebbe arrivati alla situazione attuale. Si vive ormai in Iran in un'atmosfera di eccitazione la meno propizia a trattative e a compromessi,

perché ogni movimento rivoluzionario arriva rapidamente alle conseguenze estreme e una soluzione accettabile oggi è superata domani dal precipitare degli avvenimenti. Qualche cosa di analogo può determinarsi domani nei paesi circostanti. E perciò è necessario consolidare la situazione, vincolando la Turchia e approfittando della sua influenza per mantenere i paesi arabi nell'orbita occidentale.

Tutte queste dichiarazioni di Fuad Köprülü e di Akdur rispondono indubbiamente alla realtà. Rimane comunque assai probabile che tanto l'Inghilterra che la Francia insisteranno nella loro tesi di un patto mediterraneo. Non bisogna infatti perder di vista che, con l'includere la Grecia e la Turchia nel Patto atlantico, si dà, è vero, una soluzione integrale e organica al problema della sicurezza europea, ma permane insoluto, anzi si rende sempre più difficile, il problema del Medio Oriente. Un punto è chiaro, e cioè che senza la Turchia la difesa del Medio Oriente è inconcepibile. È per questo motivo che l'Inghilterra e la Francia vorrebbero distoglierla dall'entrare nel Patto atlantico per farne il perno di un patto mediterraneo. La Turchia si rende perfettamente conto che ambedue tali potenze vogliono disporre di essa secondo i loro interessi e tanto più s'irrigidisce contro la loro tesi. Questo non significa ch'essa non sia consapevole della necessità di organizzare anche il Medio Oriente o che non sia disposta a partecipare a tale organizzazione. Per ragioni ben evidenti la Turchia non può disinteressarsi della sicurezza del Medio Oriente, ma sostiene che occorra prima procedere all'allargamento del Patto atlantico con la partecipazione sua e della Grecia, in modo da consolidare il fronte europeo, e poi passare alla creazione di un patto del Mediterraneo. Questo è il pensiero espostomi in modo preciso da questo Ministero degli affari esteri.

Ho tuttavia motivo di dubitare che una tale tesi incontri l'appoggio dell'Inghilterra e della Francia. Ambedue queste nazioni cercheranno probabilmente di guadagnar tempo prima di dare una risposta. All'ambasciata di Francia mi è stato perfino accennato che una decisione potrebbe esser presa dopo le elezioni francesi del 17 giugno. Ora ogni ritardo non è esente da pericoli in questo instabile mondo medio-orientale.

430 2 Per la risposta vedi D. 449.

431 2 Non pubblicato.

432

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO 2922/1608. Londra, 24 maggio 1951 (perv. il 28).

Il telegramma di V.E. di ieri1 mi è pervenuto stamane, dopo una conversazione avuta ieri con sir William Strang nel corso della quale si è parlato anche della questione della revisione del trattato di pace.

T. 210 in pari data per Washington contenente le osservazioni di Sforza sulla posizione americana in materia di revisione del trattato di pace con l'Italia.

Sul pensiero e reazioni dell'ambiente inglese anteriormente al discorso di Genova2, ho già ripetutamente riferito a V.E.; e mi richiamo particolarmente in proposito ai concetti espressi nella mia lettera personale n. 2818 del 18 corrente3 .

Il sottosegretario permanente, col quale mi ero già in precedenza intrattenuto in argomento, ha tenuto a esternarmi la comprensione del suo Governo per la nostra aspirazione. Ci si rende conto a Londra che in Italia sarebbe apprezzato un gesto inteso a riconoscere che i rapporti degli Alleati con noi sono basati su una stretta cooperazione in regime di parità, lungi da ogni discriminazione relativa a un passato ormai superato. Ma riferendosi al discorso di Genova, Strang non poteva nascondermi la sua surprise per il richiamo alle recenti dichiarazioni ufficiali inglesi: non gli sembrava che quanto Morrison mi aveva detto il 18 aprile4 e ciò che era stato detto dall'una e dall'altra parte durante le conversazioni di Londra5 potesse intendersi in tal senso.

Il Governo inglese, ha aggiunto sir William, si rendeva pienamente conto che ragioni di politica interna non erano estranee alla nostra azione e a talune nostre pubbliche manifestazioni. Appunto per tale motivo, in quell'atmosfera di amichevole collaborazione cui sono improntati i rapporti fra i nostri due paesi e che ha trovato la sua conferma nelle conversazioni di Londra, ci si era astenuti da parte inglese da qualsiasi dichiarazione ufficiale o ufficiosa che potesse in qualche modo costituire un intralcio o suonare come una messa a punto. Ma si teneva al contempo ad esprimerci con tutta franchezza, attraverso i canali riservati delle normali vie diplomatiche, il pensiero del Governo inglese. Tale pensiero, ha concluso il mio interlocutore, è che senza dubbio sta maturando il tempo per un qualche riconoscimento occidentale delle nuove basi di stretta e fiduciosa collaborazione su cui si fondano i rapporti con l'Italia. Ma si ritiene inopportuna, a tale effetto, la scelta di questo particolare momento in cui l'Occidente cerca di poter inchiodare i russi — nell'auspicata Conferenza a quattro — sotto l'accusa di violazione dei trattati di pace dei satelliti.

Come l'E.V. potrà rilevare, non si tratta — insomma — di una questione di principio bensì soltanto di timing: ma, in una situazione internazionale delicata come quella attuale, il timing assume una importanza di primissimo ordine.

a Palazzo Chigi, cit., pp. 451-471. 3 Vedi D. 416. 4 Vedi D. 361. 5 Vedi D. 298.

432 1 Si riferisce al T. s.n.d. 4062/163 (Londra) 251 (Parigi) del 23 maggio che trasmetteva il

432 2 Si riferisce al discorso pronunciato il 20 maggio a Genova, edito in C. SFORZA, Cinque anni

433

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 856/C. SEGR. POL. 1 . Roma, 25 maggio 1951.

Riferimento: Telespr. di codesta ambasciata n. 5728/3128 del 17 maggio u.s.2 .

Nel prendere atto di quanto comunicato da V.E. in merito ai più recenti contatti col Dipartimento di Stato, presente anche il ministro d'Ajeta, circa la questione in oggetto3, rilevo alcuni punti, emersi dalle conversazioni coi funzionari americani, che meritano di essere ulteriormente approfonditi nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi affinché nulla sia tralasciato da parte nostra per impostarli e risolverli conformemente alle nostre aspettative e ai nostri interessi.

Mi riferisco in modo particolare alla questione della nostra partecipazione al trattato, a quella relativa ai claims italiani nei confronti del Giappone e a quella della maggiore liberalità del trattato giapponese al paragone di quello italiano; e ricordo comunque, richiamandomi al telespresso urgente n. 012 del 1° marzo di codesta ambasciata4, l'assicurazione data da Allison a V.E. che altri paesi interessati, oltre quelli del Consiglio dell'Estremo Oriente, saranno interpellati per conoscere il pensiero e considerarne i suggerimenti al riguardo della pace col Giappone.

Per quanto si riferisce al punto primo, devo osservare che fra le formule esaminate, quella di una «adesione» italiana al trattato appare la meno favorevole. Valga a prova di ciò il precedente del nostro trattato di pace che fu a suo tempo lasciato aperto alla adesione di quanti paesi, già più o meno in stato di guerra con l'Italia, desideravano trar profitto dalle onerose condizioni imposteci. Taluni di tali Stati (altri in verità rifiutarono) si affrettarono ad aderire al solo fine di assicurarsene i benefici: ciò che creò nella nostra opinione pubblica sfavorevole reazione e risentimento. Converrebbe quindi studiare preferibilmente una formula più impegnativa ed automatica sia sotto l'aspetto giuridico che sotto quello politico.

2. -Per quanto si riferisce ai nostri claims essi non sono in verità rilevanti, ma va tenuto presente non soltanto l'aspetto concreto della questione quanto anche quello psicologico. Sarebbe infatti incomprensibile alla nostra opinione pubblica in genere, e ai danneggiati in specie, il non vedere risarciti all'Italia danni di uguale natura di quelli di cui il nostro trattato di pace ci ha imposto il risarcimento a persone fisiche o giuridiche di paesi alleati o associati, quando anche i danni relativi si verificarono — e sono la maggior parte — nel periodo della cobelligeranza e ad opera delle truppe tedesche e di quelle alleate in Italia. 3. -Vi è infine l'aspetto psicologico provocato dalla evidente «liberalità» del trattato col Giappone. Nessuno in Italia pensa che tale liberalità non debba ispirare i

2 Vedi D. 411.

3 Il documento reca il seguente oggetto: «Italia e trattato di pace col Giappone».

4 Non pubblicato.

prossimi negoziati. Il Governo italiano in particolar modo non può che associarsi a tale saggia politica e si adopererebbe nei limiti delle sue possibilità nel propagandarla e sostenerla, ove la sua necessità non fosse, come invece già è, ben presente allo spirito e al senso di responsabilità dei negoziatori alleati. Ma al tempo stesso il Governo italiano non può [non] preoccuparsi seriamente delle conseguenze che un diverso trattamento al Giappone ora e alla Germania poi, provocherà sulla opinione pubblica italiana che risente ancora, come una ingiustificata e cocente umiliazione, l'imposizione, dovuta subire, di talune severe clausole del trattato del Lussemburgo. Conviene qui ricordare che il trattato di pace con l'Italia fu negoziato per primo in base alla dichiarazione di Potsdam che così si esprime al riguardo:

«Per parte loro, i tre Governi hanno incluso la preparazione di un trattato di pace per l'Italia in primo luogo tra i compiti immediati che debbono essere assunti dal nuovo Consiglio dei ministri degli esteri. L'Italia è stata la prima tra le potenze dell'Asse a rompere con la Germania, alla cui sconfitta essa ha dato un materiale contributo, ed è ora a fianco degli Alleati nella lotta contro il Giappone. L'Italia si è liberata dal regime fascista e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un Governo e di istituzioni democratiche. La conclusione di tale trattato di pace con un Governo italiano riconosciuto democratico renderà possibile ai tre Governi di soddisfare il loro desiderio di appoggiare la richiesta italiana per l'appartenenza alle Nazioni Unite».

È dunque incontestabile che la priorità riservata all'Italia, per le benemerenze da essa acquisite, doveva intendersi anche nel senso che ad essa sarebbero state imposte condizioni di pace migliori di quelle che gli Alleati si riservano di imporre alla Germania e al Giappone: e tale era evidentemente, nel clima dell'immediato dopo-guerra, la loro effettiva intenzione. Noi dobbiamo ricordare che su tali basi e con queste garanzie, il Governo italiano si assunse la responsabilità di raccomandare alle Camere — e di ottenere dai partiti di maggioranza — la ratifica del trattato che non fu approvato se non attraverso vivi contrasti. L'evolversi della situazione internazionale, il placarsi delle passioni suscitate dal conflitto ora che da questo ci si viene sempre più allontanando, e una maggiore saggezza politica, che è mancata a suo tempo nei confronti dell'Italia, fanno sì che la situazione si trovi ora capovolta e che al Giappone, e più tardi alla Germania, verranno fatte condizioni meno onerose di quelle subite dall'Italia. Nessuno accorgimento, secondo l'ottimistica valutazione di Byington, potrà convincere l'uomo della strada del nostro paese che ciò corrisponda a giustizia, e sarebbe illusorio ritenere che tale situazione, ove non tempestivamente sanata, non provocherebbe un periodo di crisi psicologica fra il popolo italiano e gli Alleati, esponendo il Governo a situazioni delicate e che sono da evitarsi. Le considerazioni che precedono debbono essere fatte costantemente valere dall'E.V. costì a tutti i livelli e in tutti gli ambienti; la nostra tesi è fondata; tanto la dichiarazione di Postdam quanto il preambolo del nostro trattato di pace, alla luce dei motivi politici e giuridici che ne sono all'origine, implicano che il nostro trattato contiene — esplicita nello spirito anche se non formulata — la clausola della nazione più favorita5 .

433 1 Diretto per conoscenza anche alla rappresentanza italiana a Tokio.

433 5 Per la risposta vedi D. 486.

434

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI

L. SEGRETA 861 SEGR. POL. Roma, 25 maggio 1951.

Leggo ora il tuo rapporto n. 946/515 del 19 maggio1 che mi suggerisce di farti alcune considerazioni. Se ci siamo indotti a patrocinare in queste ultime settimane l'inclusione di Grecia e Turchia nel Patto atlantico, del resto in coerenza con l'atteggiamento da noi sempre tenuto, ciò è avvenuto perché — come avrai rilevato dalle copie delle lettere che ti ho mandato — siamo convinti che occorre ormai «fare presto» per evitare un ulteriore aggravamento della situazione psicologica e politica in codesto settore. E su questo punto vedo che siamo d'accordo con te: sono stati del resto principalmente i tuoi più recenti rapporti a rafforzare questa nostra convinzione. Un patto mediterraneo richiederebbe — oggi ancora, ma la situazione potrebbe cambiare — troppo tempo per essere messo in cantiere e varato. Vi anche un'altra considerazione: ed è che allo stato attuale della elaborazione della materia, se si andasse verso un patto pel Mediterraneo orientale, non posso dire di avere in mano carte che mi facciano essere sicuro che l'Italia vi entrerebbe. E qui mi pare comprendere che i nostri punti di vista non sono identici. Infatti, secondo tu dici, un simile patto non ci converrebbe perché vi entrerebbero i vari satelliti (fino a quando?) di Francia e Gran Bretagna ed è fatto nell'esclusivo interesse di queste potenze, e potrebbe estendere i nostri impegni. A mio avviso se si vuole chiudere il Medio Oriente, occorre organizzarlo tutto quanto e quindi fare entrare in un sistema quale che sia anche gli Stati arabi perché sul loro territorio si finirebbe ugualmente col combattere e sebbene essi non siano in grado oggi di mettere in linea alcuna forza militare efficiente, è tuttavia sempre meglio operare, se del caso, in territorio loro come in territorio alleato anziché in territorio occupato, ossia violandone la neutralità. Che questa sistemazione possa servire anche interessi di altra natura francesi e inglesi è vero, ma siamo tutti nella stessa barca e non mi sembrerebbe questa una ragione sufficiente per ripudiarlo. Secondo me, l'inclusione della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico ha, tra i molti vantaggi per cui la sosteniamo, il difetto di rendere più difficile la creazione di una organizzazione difensiva degli Stati arabi perché non è pensabile una loro partecipazione al Patto atlantico.

Quanto all'Italia le nostre possibilità limitano per ora nella pratica i nostri impegni né è detto che ci troveremmo automaticamente in guerra se, nel caso di una organizzazione medio-orientale connessa a sua volta al Patto atlantico, scoppiasse qualche conflitto in quelle zone. Che se poi il conflitto si estendesse ne saremmo comunque intaccati qualunque fosse la nostra connessione giuridica con un sistema difensivo piuttosto che con l'altro. E in qualunque caso ci chiederebbero almeno le nostre basi navali come basi di appoggio. E poi figurati la indignazione della nostra opinione pubblica se l'Italia fosse esclusa da un patto mediterraneo!

Per cui mi sembra che se si dovesse andare verso un tale patto ci converrebbe pur sempre cercare di entrarvi, tanto più che questi patti non sono più soltanto sistemi militari ma tendono a diventare anche sistemi politici2 .

434 1 Vedi D. 420.

435

L'AMBASCIATORE A LIMA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1409/352. Lima, 25 maggio 1951 (perv. il 31).

Riferimento: Telespresso ministeriale (A.P. Uff. III) n. 04416/C. del 21 marzo

u.s.1 e successivi.

Secondo le direttive impartite nei telespressi in riferimento mi sono intrattenuto sull'argomento della revisione del trattato di pace, che ci fu imposto, con quelle persone che più ritenevo adatte ed utili ai nostri fini.

La nostra tesi della revisione aveva incontrato negli scorsi anni scarso favore (telespresso n. 1126/219 del 26 aprile 1948)2, perché questo Governo teme possa venir essa invocata dai paesi confinanti Equatore (trattato di Rio de Janeiro del 1942) e Bolivia (trattato del 1929). Per tale motivo, pur dimostrando la più schietta simpatia per la causa da noi sostenuta, non si era voluto prendere una posizione netta, né comunque impegnarsi.

Ho creduto opportuno — cambiati gli uomini al Governo — fare qualche sondaggio in via confidenziale col cancelliere Gallagher. Gli ho ampiamente illustrato il nostro punto di vista, la nostra situazione, la impossibilità di mantenere l'Italia in una posizione minorata dopo tante prove, da tutti apprezzate, della nostra ripresa morale, democratica, sociale ed economica. Gallagher mi ha ascoltato con particolare interesse ed attenzione. Quando mi sono riferito alle proposte fatte da membri del Senato e del Congresso di dichiarare decaduto il trattato del febbraio 1947 e di negoziarne un altro, mi ha calorosamente interrotto commentando: «è giusto, proprio questo è quello che si deve fare». Richiesto se il Governo peruviano era disposto ad appoggiarci e se non si credeva forse impedito dal timore, altre volte manifestato, che tale atteggiamento poteva esser in contrasto col principio da esso sostenuto della opposizione alla revisione dei trattati, ha subito risposto che per quanto stava nel suo Governo l'appoggio alla nostra domanda lo poteva, senz'altro, assicurare. Per quel che riguardava il principio generale della revisione dei trattati, ha osservato che esistono due specie di trattati, «quelli intangibili», come quello con l'Equatore, e quelli che sono validi rebus sic stantibus che è il caso dell'ingiusto trattato del 1947; e ciò tanto più che la situazione da allora ad oggi è totalmente mutata.

2 Non pubblicato.

Parimenti ne ho parlato col dr. Victor Andres Belaunde, presidente della delegazione peruviana alla Assemblea generale dell'O.N.U. Non ho dovuto penare molto per convincerlo. Sono note le buone disposizioni di lui verso l'Italia. Egli pure ha convenuto che il caso del trattato italiano è totalmente diverso da quello che preoccupa il Perù, e che perciò non vi poteva esser pericolo di compromettere il principio sostenuto da questo paese a difesa dei suoi particolari interessi.

Dopo queste esplicite dichiarazioni è da ritenersi che, salvo sorprese, al momento opportuno il Governo peruviano potrà esser sollecitato ad appoggiare la nostra tesi in sede competente, per quanto con quelle riserve che giustamente formula l'ambasciatore in Washington sul valore «scarsamente suscettibile di risultati concreti» di queste manifestazioni di simpatia e comprensione latino-americane.

434 2 Per la risposta vedi D. 445.

435 1 Vedi D. 552, nota 1.

436

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. SEGRETA 865 SEGR. POL. Roma, 26 maggio 1951.

La nostra ultima conversazione sulla questione dell'ammissione della Grecia e della Turchia al N.A.T.O. ha chiarito che i nostri due punti di vista non erano divergenti; si trattava piuttosto di considerazioni partenti da punti di vista diversi, ma praticamente convergenti. Credo tuttavia utile sottoporti il problema dal punto di vista internazionale.

1. Dal punto di vista strategico, credo non occorra dilungarsi sul concetto del-l'indivisibilità della difesa del bacino mediterraneo e sulla necessità per l'Italia di assicurarsi una protezione sul fianco orientale, che resterebbe altrimenti del tutto scoperto e gravemente vulnerabile. Superfluo mi sembra anche insistere sull'evidente pericolo che minaccerebbe la vitale zona del Canale di Suez e sulla indifensibilità di questa, ove la Turchia e la Grecia non facessero parte del sistema della sua protezione. La Turchia inoltre, e per la sua posizione geografica e per le sue possibilità difensive ed offensive, non può essere esclusa da qualsiasi piano che contempli la difesa del Medio Oriente. Che questi piani si concretino in un allargamento del Patto atlantico piuttosto che nella creazione di un patto del Mediterraneo orientale, o qualcos'altro di analogo, è problema che va esaminato e risolto secondo le contingenze pratiche e politiche del momento e non secondo schemi mentali precostituiti. Come sai, gli Stati Uniti sono rimasti a lungo perplessi sull'argomento e non soltanto per le obiezioni inglesi, francesi o scandinave. Il Governo americano ha molto riflettuto ed esitato fra le varie ipotesi di allargamento del Patto atlantico, di costituzione di una nuova alleanza regionale o di una sua adesione al Patto di garanzia del 1939 tra Francia e Gran Bretagna da una parte e Turchia dall'altra. Se ha dovuto per ora scartare le due seconde ipotesi per decidersi per la prima, è perché si è persuaso dell'impraticabilità attuale, per molte e varie ragioni di ordine politico, militare e psicologico, di soluzioni diverse. Queste ragioni sono anche a noi ben note e presenti, e se Gran Bretagna e Francia hanno ritenuto di poterle in parte disconoscere, gli è perché, al di là o meglio entro il problema immanente ed imminente della difesa del Mediterraneo, esse vogliono riguardare e tutelare interessi nazionali specifici — che non vedono forse quanto siano in gran parte superati dagli eventi — relativi alla loro particolare presente, o passata, posizione nel Levante. Noi siamo, forse per buona fortuna, esenti da queste preoccupazioni, ed è quindi anche naturale che consideriamo il problema da un punto di vista più obiettivo.

Ho presenti i dubbi affacciati da Alessandrini1 circa la situazione relativamente diminuita che potrebbe derivarne all'Italia, nel caso di inclusione nel Patto della Grecia e della Turchia. Ora — a parte il fatto che, se gli Stati Uniti si sono decisi per siffatta soluzione e che se a questa soluzione si associeranno la Gran Bretagna, la Francia, il Benelux e gli scandinavi, la nostra opposizione non potrebbe avere alcuno scopo né alcun effetto, mentre il nostro patrocinio, che si è dichiarato fin dal primo momento, ha avuto i più favorevoli risultati politici nei confronti dei due Stati — credo che si possa anche osservare che quelle obiezioni non appaiono fondate: il peso politico dell'Italia nel Mediterraneo è quello che è dato dalla sua posizione geografica e dalla sua forza demografica e nulla potrà mutare in tal campo quella che è la realtà obiettiva dei fatti. Quanto al nostro peso specifico militare nel-l'alleanza e quindi alla posizione di prestigio relativo, esso sarà evidentemente quello che la preparazione e lo spirito del nostro Esercito, della nostra Marina e della nostra Aviazione — e quindi la considerazione in cui la loro efficienza sarà tenuta dagli altri — ci consentiranno di far valere. Non credo ci siano giustificazioni per un indebito pessimismo in proposito.

Desidererei aggiungere qualche considerazione sull'aspetto psicologico del problema, non meno importante, a mio avviso, di quello tecnico, politico e militare. È fuori dubbio che i tentennamenti, le perplessità, le lungaggini, di fronte ad una decisione in materia di estensione di garanzie alla Turchia, hanno determinato in questo paese, negli ultimi tempi, un forte movimento di contrarietà e di scoraggiamento, che potrebbe sboccare in una tendenza neutralistica che farebbe il gioco della Russia. Né vale il dire che sarebbe attribuire troppa abilità alla Russia, credendola capace d'indurre la Turchia alla neutralità, o troppa ingenuità alla Turchia, credendola capace di abboccare a simili illusorie lustre. È evidente che una neutralità turca è difficilmente concepibile in caso di conflitto. Ma il punto non è questo: si tratta invece di vedere se il continuare a tergiversare e a scoraggiare e a deludere le legittime aspettative della Turchia (ti ricordo a questo proposito i sacrifici da questa fatti per la guerra in Corea e i vantaggi politici e morali che se ne riprometteva), non porterebbe ad un neutralismo, sia pure tattico, che inevitabilmente si tramuterebbe e si risolverebbe, in ogni caso, in un disfattismo psicologico, che potrebbe portare, in caso di emergenza, al collasso del baluardo turco, su cui invece si fa tanto assegnamento. Si tratta pertanto di non più tergiversare e di galvanizzare moralmente la Turchia, perché si rafforzi nella sua politica, anche se gli effettivi aiuti militari dovessero per avventura non essere subito disponibili.

Tralascio, se permetti, il punto riguardante la Jugoslavia. Un'inclusione della Jugoslavia nel Patto atlantico non è per adesso contemplata, e il Governo jugoslavo stesso ha ripetutamente espresso l'intenzione di voler tenersi fuori da qualsiasi impegno politico e militare con l'Occidente. Se la questione dovesse in avvenire presentarsi, essa sarebbe naturalmente riesaminata con la massima attenzione alla luce dei nostri interessi generali e di quelli specifici concernenti il T.L.T.

2. Per quanto riguarda la procedura per l'ammissione di nuovi membri nel N.A.T.O., ho fatto già sottoporre la questione all'esame dei nostri uffici competenti, i quali son d'avviso che, in base alle nostre norme costituzionali, non occorrerebbe sentire il Parlamento ma basterebbe un decreto presidenziale. Ma queste son teorie; basta tener presente l'avviso emesso dalla Commissione per gli affari esteri del Senato nord-americano, per quanto concerne gli Stati Uniti (v. appunto allegato) per convincersi che in qualche modo una discussione parlamentare sarebbe inevitabile. Si è perciò che ho prescritto indagini a Londra e a Parigi per essere tempestivamente informato dell'atteggiamento che i Governi e Parlamenti assumerebbero in quei paesi e poter esattamente valutare le ripercussioni in Italia.

Come avrai notato dalle informazioni da Londra, tutta la questione dell'ammissione della Grecia e della Turchia al N.A.T.O. non sarà effettivamente discussa che dopo le elezioni in Francia, quindi probabilmente in luglio.

Concludendo, dal punto di vista pratico: una lunga nostra linea passata ci ha assicurato il grato animo di Grecia e Turchia. D'or innanzi ci inclineremo agli eventi; tanto più che l'essere stati designati pel Comando Europa meridionale ci deve rendere sensibili a eventuali capricci greci o turchi che non volessero (per antichi ricordi) sottostare a quel Comando.

ALLEGATO

AMMISSIONE GRECIA E TURCHIA AL PATTO ATLANTICO

APPUNTO.

L'art. 10 del Patto atlantico è così redatto:

«Les Parties peuvent, par accord unanime, inviter à accéder au Traité tout autre Etat européen susceptible de favoriser le développement des principes du présent Traité et de contribuer à la sécurité de la région de l'Atlantique Nord. Tout Etat ainsi invité peut devenir partie au Traité en déposant son instrument d'accession auprés du Governement des Etats-Unis d'Amérique. Celui-ci informera chacune des Parties du depôt de chaque instrument d'accession».

Secondo il Contenzioso diplomatico (prof. Perassi), che a richiesta degli uffici politici del Ministero aveva già studiato la questione della adesione di nuovi membri al Patto sotto il profilo giuridico interno, la disposizione dell'art. 10 sopra riportato differisce dalle clausole abituali, con le quali è prevista in un trattato l'adesione di altri Stati, in quanto l'adesione di un nuovo Stato, sia pure europeo, al trattato nord-atlantico non è prevista come una facoltà preventivamente attribuita ad altri Stati in modo che questi possano a loro volontà esercitarla mediante la dichiarazione di adesione, ma la facoltà di un altro Stato europeo di aderire è subordinata ad un invito fattogli a tale effetto dalle parti contraenti del trattato mediante un accordo unanime tra esse. Ciascuna parte, quindi, ha il diritto di dare o negare il suo consenso agli effetti di formare l'accordo necessario per dar corso all'invito diretto ad un altro Stato europeo ad aderire al trattato. Sorge così la que stione di sapere quali siano in ciascun Stato gli organi costituzionalmente competenti a dare il consenso dello Stato ai fini dell'accordo unanime richiesto per dar corso ad un invito ad aderire al trattato.

Sebbene per la ratifica del trattato nord-atlantico, secondo la Costituzione italiana, sia stata necessaria una legge del Parlamento per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare, il Contenzioso ha espresso l'avviso che la competenza a consentire ad invitare un altro Stato europeo ad aderire al trattato, come è previsto nell'art. 10 del trattato stesso, spetti costituzionalmente al Governo, nel senso che non sia giuridicamente ne cessaria una legge di autorizzazione.

S'intende che l'eventuale allargamento del gruppo degli Stati partecipanti al trattato, avuto riguardo alle conseguenze che per ciascuno ne derivano in base all'art. 5 nel-l'ipotesi di un attacco armato contro uno Stato che in seguito ad adesione è diventato parte ad ogni effetto del trattato, è un avvenimento che dal punto di vista politico può provocare o consigliare un apprezzamento da parte delle Camere nella loro funzione ge nerale di controllo politico.

Secondo l'avviso del Contenzioso quindi non esisterebbe un obbligo, dal punto di vista costituzionale, da parte del Governo a far approvare dal Parlamento — che ha già approvato l'art. 10 del Patto — l'accessione ad esso di nuovi membri. Potrebbe esistere piuttosto una opportunità politica che il Governo è competente a valutare.

Senonché la stessa questione era già stata posta negli Stati Uniti al momento della stipulazione del Patto. Risulta infatti dalla documentazione in atti che la Commissione degli affari esteri del Senato americano, esaminando a suo tempo il testo dell'art. 10 sollevò la questione se una decisione degli U.S.A. relativa all'ammissione di nuovi membri dovesse o meno essere approvata dal Senato. Susseguentemente la Commissione si dichiarò soddisfatta in pieno dall'impegno del presidente, consegnato al segretario di Stato, nel senso che egli avrebbe considerato l'ammissione di un nuovo membro al Patto atlantico come la stipulazione con tale membro di un nuovo trattato e che egli (il presidente) avrebbe chiesto il consiglio e il consenso del Senato per ognuna di tali ammissioni. La Commissione ritenne tale impegno vincolante per la Presidenza.

È evidente che la preoccupazione che indusse la Commissione del Senato U.S.A. a chiedere tale precisazione deriva dal fatto che gli Stati Uniti sanno di essere di fatto chiamati ad un intervento diretto in qualsiasi paese del N.A.T.O. che venisse a subire una aggressione. La situazione di fatto è diversa per gli altri membri del Patto i quali non si trovano in tale condizione. Le stesse misure di carattere precauzionale che un paese, come l'Italia ad esempio, fosse indotto a prendere nel caso di una aggressione alla Turchia, o alla Grecia, dovrebbero essere prese sia che quei paesi facciano parte del Patto atlantico, sia che ne rimanessero fuori.

Tuttavia è dubbio che la questione della adesione di nuovi membri possa essere sottratta alla approvazione da parte dei parlamentari europei, ove il Dipartimento di Stato la sottoponesse al Senato.

436 1 Vedi D. 374.

437

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6337-6364/86-87. Atene, 27 maggio 1951, ore 11.05 (perv. ore 13.30). Telegramma di V.E. 591 .

Venizelos mi ha vivamente ringraziato per comunicazione fattagli e mi ha incaricato trasmettere a V.E. espressione gratitudine Governo greco per appoggio dato Italia in favore ammissione queste paese al Patto atlantico.

Ha aggiunto confida in una definitiva decisione favorevole dei dodici Stati membri benché le reazioni francesi al passo americano risultino tuttora negative. Atteggiamento inglese sembra invece meno contrario che in passato.

Gli ho riservatamente dato la notizia della raccomandazione fatta il 15 corrente dall'ambasciatore Quaroni a Parodi in favore della candidatura greca2. Anche di ciò mi ha calorosamente ringraziato.

Durante colloquio con Venizelos principalmente dedicato questione partecipazione Grecia e Turchia al Patto atlantico, ho trovato modo, dopo avere trattato anche altri argomenti, di rappresentare nuovamente al presidente opportunità evitare totale presa possesso nostri beni Corfù, sia per ragioni di principio, sia per non lasciare un'ombra nelle relazioni di quell'isola con vicina Italia. Ho quindi insistentemente chiesto che almeno alcune proprietà ci siano restituite.

Venizelos mi ha pregato di esprimere personalmente a V.E. suo grande rincrescimento non poter prendere in questo momento alcuna decisione che implichi colà restituzione di beni italiani poiché partiti politici a lui avversi ne farebbero oggetto di facile speculazione e campagna contro il Governo.

Mi ha tuttavia incaricato trasmettere a V.E. sua promessa che, appena finito periodo elettorale, egli troverà modo procedere a restituzione di alcune proprietà italiane. Ciò per fare cosa gradita a V.E. e per normalizzare definitivamente rapporti Corfù con Italia.

437 1 Vedi D. 418. 2 Vedi D. 404.

438

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6420/98. Teheran, 28 maggio 1951 (perv. ore 6 del 29)1 .

Presidente del Consiglio Hussein Ala ha ripreso sue funzioni ministro Corte e consigliere politico sovrano, egli mi ha chiesto per informazione sovrano quale sia pensiero Governo italiano su questione «Anglo-Iranian».

Gli ho risposto intanto a titolo personale che Governo italiano è vivamente interessato a che questione anglo-iraniana sia risolta con equo compromesso e soddisfazione giusta delle due parti. Tale nostro interesse gli ho detto deriva non solo dalla larga parte che petroli persiani hanno nelle importazioni nostro paese, ma ancor più dalla importanza per noi che crisi attuale si chiuda in modo garantire consolidamento politico Persia che è elemento essenziale situazione Medio Oriente dove Italia ha interessi vitali. Ala mi ha ringraziato e mi ha detto difficoltà situazione è particolarmente quella di non trovare una via per parlare con i britannici. Ricorso all'Aja cui mio telegramma 962 sposta questione da terreno politico a quello giuridico dove né Governo persiano né ambienti politici vogliono seguire Londra perché anche chi vorrebbe trattare preferisce appunto trattare e non sollecitare una sentenza.

Risposta persiana sarà perciò probabilmente negativa nel senso Iran non si farà rappresentare all'Aja. Non meno negativa d'altra parte ha detto Ala è risposta Anglo-Iranian cui mio telegramma 813 mentre Anglo-Iranian avrebbe potuto mandare un suo delegato a cominciare a parlare. Elementi per un compromesso esistono perché una volta ammesso principio nazionalizzazione, ha proseguito Ala, entro tale formula possono trovarsi differenti soluzioni soddisfacenti per tutti. Egli ha insistito sul concetto che Iran non vuole espropriare Anglo-Iranian ma vuole soltanto che società sia sostituita formalmente da azienda statale petroli la quale potrebbe mantenere in piedi praticamente organizzazione e personale britannico attuale società. Ma mi ha detto Ala assai nettamente tutti in Iran sono d'accordo che Anglo-Iranian come tale deve cessare non tanto per ragioni finanziarie e gestione petroli ma perché non si vogliono più tollerare qui ingerenze nella politica del paese come quelle che Anglo-Iranian ha compiuto, nell'opinione di Ala, negli ultimi decenni. Vi è perciò, egli mi ha detto, oltre questione interessi petroliferi una questione di mentalità politica da cambiare nei rapporti tra Londra e Teheran. Concludendo conversazione ho assicurato Ala che avrei volentieri fatto pervenire a V.E. ogni ulteriore comunicazione che egli credesse utile farci in via amichevole nell'interesse di una soluzione pacifica4 .

438 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. 2 In pari data, non pubblicato. 3 Del 10 maggio, non pubblicato. 4 Per la risposta vedi D. 441.

439

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI

L. 1/23151 . Roma, 28 maggio 1951.

Autorizzo il suo congedo2 a partire dal 26 giugno a meno, naturalmente, che

— come ella stessa conviene — sorgano situazioni oggi imprevedibili che sconsiglino la sua assenza.

Sarebbe opportuno che prima delle partenza di V.E. il Dipartimento di Stato mi facesse pervenire qualche forma di consenso — o comunque di replica — alle aperture confidenziali da me fattegli, sopratutto circa il problema della «estinzione morale» del trattato, a proposito del quale occorre tener presente:

a) che la situazione elettorale in Francia rende impossibile a Schuman, con cui primo me ne aprii, di muoversi;

b) che l'adesione quasi universale al mio concetto mostra chiaro che nel nostro spirito non v'è pensiero di passi formali, ma v'è una necessaria aspettativa di comprensione di nostri urgenti bisogni.

440

L'AMBASCIATORE A MADRID, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1946/471. Madrid, 29 maggio 1951 (perv. il 5 giugno).

Riferimento: Mi riferisco al mio telespresso del 23 corrente n. 01726/4461 e al mio telegramma odierno n. 442 .

Questo ministro degli affari esteri mi ha detto ieri di aver attentamente esaminato la proposta da me sottomessagli di far compiere dal ministro di Spagna ad Amman un passo analogo al nostro, perfettamente rendendosi conto dello spirito amichevole che informava la proposta italiana e della necessità di una affermazione di solidarietà delle potenze cattoliche nella questione.

Martin Artajo ha tuttavia rilevato che era riluttante a partecipare ad un passo collettivo, dati gli eccellenti rapporti stabiliti dalla Spagna con la Giordania, e confermati nel modo più cordiale dal ministro del re Abdallah, giunto recentemente a

2 Richiesto da Tarchiani con L. 5990 del 23 maggio, non pubblicata.

2 Non pubblicato.

Madrid. Tuttavia per non essere assente e nella certezza di una maggior efficacia aveva deciso di dare istruzioni al suo ministro in Giordania di esprimersi con quel ministro degli esteri sulla base delle riserve concordate tra Roma e Parigi3 nel corso di una conversazione amichevole.

Martin Artajo mi ha confermato il suo scetticismo circa i vari tentativi per modificare la situazione. Ha voluto ricordare che la Spagna era stata la prima a prendere un atteggiamento assolutamente negativo di fronte alla nomina del custode dei Luoghi Santi, ma non vedeva cosa si potesse fare oggi di veramente effettivo per riportare le questione agli inizi. Mi ha ripetuto il suo rammarico per il fatto che, quando la situazione lasciava aperte molte possibilità, era stata lasciata completamente cadere la proposta da lui lanciata due anni fa di una riunione confidenziale a Roma di rappresentanti della Santa Sede, dell'Italia, della Francia, della Spagna, del Portogallo e dell'Irlanda per concordare tra le potenze cattoliche la migliore via da seguire per assicurare ai Luoghi Santi guarantigie piene e insopprimibili.

Riteneva che purtroppo l'incerta e incresciosa situazione attuale si sarebbe trascinata per lunghissimo tempo nell'impossibilità di crearne una nuova. Come attendere infatti una coraggiosa iniziativa dell'O.N.U. quando le più cattoliche tra le nazioni cattoliche ne erano escluse e la Francia per i motivi ben noti non era in grado di imporre l'esame di soluzioni concrete? D'altra parte non poteva non ritenere fondata l'osservazione del ministro di Giordania a Madrid che una soluzione di carattere internazionale avrebbe portato seco, con l'inevitabile partecipazione della Russia e delle nazioni protestanti, più danni che vantaggi per il Vaticano e per i paesi cattolici.

439 1 Minuta autografa.

440 1 Vedi D. 429.

441

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 4287/16. Roma, 30 maggio 1951, ore 22.

Suo 981 .

Approvo sua risposta ad Hussein Ala. Pur prendendo atto suoi propositi conciliativi c'è da domandarsi se e sino a qual punto essi siano condivisi da attuale presidente Consiglio e da maggiorazione Governo e sino a qual punto essi possano essere attuati nell'attuale eccitata atmosfera opinione pubblica che Governo dà impressione non volere o non sapere controllare ed orientare. Non appare nemmeno chiaro se e sino a qual punto codesto Governo si renda conto pericoli cui verrebbe a trovarsi esposta stessa indipendenza e libertà codesto paese da perdurare e aggravarsi attuale fluida soluzione che offre ampie possibilità azione a parte sovietica.

441 1 Vedi D. 438.

Interesse a soluzione compromesso dovrebbe essere evidente per tutti come lo è per noi che saremmo lieti di qualunque occasione sorgesse per aiutare una politica iraniana qual vista da Ala.

Pregola possibilmente ottenere chiarimenti su punti suaccennati e riferire2 .

440 3 Vedi DD. 383 e 395.

442

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6482/344. Parigi, 30 maggio 1951, ore 11,20 (perv. ore 12,15). Mia lettera 20/7 del 251 .

Presidente Comitato giuridico e segretario generale Conferenza in colloquio ieri confidenziale mi hanno informato alquanto differentemente da presidente Comitato finanziario di cui a lettera sopracitata. Essi mi hanno detto che da parte francese si desidererebbe avere documento preliminare pronto per 15 giugno. Ciò in relazione al viaggio Mac Cloy a Washington previsto per 8 giugno viaggio che francesi ritengono possa far fare passo avanti al riarmo tedesco. Secondo francesi converrebbe quindi che per quell'epoca si sia in grado mostrare ufficiosamente ad americani qualche risultato lavori Conferenza. Naturalmente non si tratterebbe che di progetto provvisorio (eventualmente anche parziale e con testi alternativi) che non impegnerebbe Governi e costituirebbe solo presa di posizione delle delegazioni. Alphand sarebbe pronto prendersi personale responsabilità in tal senso per quel che riguarda delegazione francese.

Ho detto a francesi che pur rendendomi conto loro desideri, non potevo non osservare che nelle conversazioni finora svolte principali problemi erano lungi d'aver trovato soluzione. Ho ripetuto che Governo italiano in relazione a situazione elettorale in Francia ed in Italia non aveva ancora esaminato singoli problemi che del resto solo recentemente erano stati individuati. Come da istruzioni on. Taviani ho particolarmente sottolineato difficoltà relative a bilancio europeo.

Ho informato del colloqui on. Taviani qui di passaggio che mi ha dato istruzioni mantenere atteggiamento dilazionatore facendo sapere ad Alphand che egli potrà riprendere lavori Conferenza causa impegni elettorali solo dopo 12 giugno2 .

441 2 Vedi D. 446. 442 1 Non rinvenuto. 2 Con il T. segreto 4329/272 del 1° giugno Zoppi confermò l'opportunità di richiedere il rinvio delle ulteriori discussioni alla fine del mese di giugno.

443

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 6237. Washington, 30 maggio 1951 (perv. il 3 giugno).

Riferimento: Telespressi n. 6019/3269 e n. 6060/3310 del 24 corr.1 .

L'evoluzione subita in questi ultimi giorni dai problemi concernenti la difesa del Mediterraneo e del Vicino Medio Oriente, visti da Washington, non ha portato nessun elemento chiarificatore ed anzi ha accresciuto la già non lieve confusione.

La proposta di inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico sembrava, fino a due settimane fa, costituire una soluzione, cui il Governo americano era pervenuto dopo un lungo travaglio e dopo avere definitivamente scartato le altre (patto mediterraneo o accordi bilaterali). Oggi, ciò non mi appare più del tutto sicuro. Infatti, mentre la proposta continua ad essere valida e sarà difesa dal Governo americano, mi domando fino a che punto questo sarà disposto ad esercitare una pressione sulla Gran Bretagna e sulla Francia, se l'una e l'altra continueranno ad essere ostili. Questo dubbio è confermato dalle ultime conversazioni confidenziali al Dipartimento di Stato, nel corso delle quali si è avuta l'impressione che non debba escludersi, nel-l'ipotesi di una forte resistenza anglo-francese, il ritorno a qualcuna delle soluzioni studiate precedentemente.

Può darsi che questa minore rigidezza americana sia soltanto apparente, cioè determinata dalla riluttanza ad imporre (o a mostrare di imporre) il proprio punto di vista. Può darsi anche che sia, almeno in parte, sostanziale e determinata dagli avvenimenti iraniani.

Le vicende iraniane hanno polarizzato l'attenzione degli ambienti politici e militari sul Vicino e Medio Oriente, cogliendoli quasi completamente impreparati. Si credeva qui, fino a non molto tempo fa, che l'Iran fosse uno dei punti meno pericolosi del fronte Oriente-Occidente perché colà (a differenza che in Corea o in Jugoslavia

o altrove) l'U.R.S.S. non poteva effettuare un'«aggressione per carambolaggio», (secondo la felice espressione di V.E.). Si è ora visto, purtroppo, che la scarsa stabilità interna iraniana poteva creare une situazione di grave pericolo, senza un aperto intervento sovietico. Gli Stati Uniti si sono quindi trovati nell'impossibilità di adottare una linea di condotta prestabilita chiaramente. Hanno dovuto (con un fenomeno inverso a quello verificatosi per la Corea) tenere a freno la Gran Bretagna, sopratutto per indurla ad astenersi da ogni forma d'intervento militare. Hanno inviato a Teheran i soliti consigli generici di moderazione, tanto onesti quanto inefficaci. Da qualche giorno registrano un miglioramento della situazione, nel senso che il Governo di Teheran sembra dar segni di disposizioni più conciliative e che il Governo di Londra appare disposto ad incoraggiarle, piuttosto che ad irrigidirsi. Tuttavia, nel caso che queste speranze non siano seguite da fatti concreti, gli Stati Uniti non sono affatto in

grado di far fronte militarmente ad un eventuale collasso iraniano, seguito da un diretto o mascherato intervento sovietico. Infatti finora, l'Iran è stato praticamente fuori del quadro dell'assistenza ai paesi minacciati dal comunismo; e, d'altra parte, non sarebbe facile inserirvelo adesso saldamente.

Non penso affatto che le preoccupazioni per l'Iran facciano dimenticare la Grecia e la Turchia e pertanto attenuino il desiderio di farle entrare nel Patto atlantico; ma certamente, nella mente dagli elementi dirigenti americani, il problema di quei due paesi è connesso oggi, più strettamente di ieri, con quello del Vicino e del Medio Oriente.

Se l'adesione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico potesse avvenire subito, questa evoluzione del pensiero americano non avrebbe, nei riguardi di esse, grande importanza. Infatti i propositi di una più attiva politica nei riguardi del Vicino Oriente sono ancora in una fase embrionale e richiedono ancora una lenta preparazione, tanto per la riluttanza del Congresso ad assumere nuovi impegni, quanto per la non ancora sopita diffidenza degli Stati arabi. Il fenomeno diventa, però, interessante se si constata quanto difficile sia quell'allargamento del Patto atlantico.

Vi è, innanzi tutto, una difficoltà di tempo. La sospensione chiesta dalla Francia a causa delle elezioni rischia di durare abbastanza a lungo (per lo meno, a quanto pensa il Dipartimento di Stato, fino alla metà di luglio).

Vi sono poi le difficoltà formali, sollevate principalmente dalla Gran Bretagna: necessità di emendare il Patto, per comprendervi la Turchia asiatica, all'art. 6, all'art. 10 e forse in altri.

Vi sono infine le difficoltà pratiche, inerenti alla questione dei Comandi militari. Tale questione, già difficile nello stato presente delle cose, diventerebbe ancora più complicata con l'adesione della Grecia e della Turchia. Fra questi due paesi e i membri attuali del Patto c'è una soluzione di continuità geografica. Inoltre, la difesa della Turchia allarga il teatro eventuale delle operazioni fino al Caucaso. Quale struttura dovrebbe darsi all'organizzazione del Comando terrestre del settore sud-europeo? Inoltre, è concepibile che Eisenhower estenda la sua autorità fino ad un eventuale fronte caucasico?

Presumibilmente la Gran Bretagna, prima di aderire alla inclusione della Grecia e della Turchia pretenderà che queste e altre simili domande abbiamo avuto almeno un principio di risposta.

Per ora, la risposta è tanto più difficile, in quanto non si intravede ancora una soluzione del problema dei Comandi, neppure per il caso che la Grecia e la Turchia restino escluse dal Patto atlantico ancora per qualche tempo.

Esiste, come è noto, il progetto di Eisenhower, secondo cui il nuovo comando del Mediterraneo da affidare all'ammiraglio Carney dovrebbe dipendere direttamente da S.H.A.P.E. Le autorità centrali americane sono, però, ancora molto in dubbio sull'opportunità di adottare questo progetto. Esse, a quanto si è appreso in questi giorni in conversazioni confidenziali al Dipartimento di Stato, si orienterebbero piuttosto nel senso di formare, oltre ad un Comando vero e proprio del Mediterraneo, un Comando aeronavale con forze limitate a quelle occorrenti per piccole operazioni anfibie, e di porre soltanto quest'ultimo agli ordini diretti di Eisenhower. Vi sono, inoltre, alcune difficoltà sollevate da parte francese per quanto riguarda il movimento nord-sud del Mediterraneo, destinato ad assicurare le comunicazioni fra la Francia e l'Africa settentrionale.

Resta, inoltre, aperto il contrasto anglo-americano in merito alla nazionalità del comandante per il Mediterraneo.

So che Bradley, nel corso della sua imminente visita a Parigi e a Londra, tratterà anche questi problemi. (Sarebbe quindi opportuno che i nostri rappresentanti diplomatici e militari in quelle capitali ne seguissero l'attività con particolare attenzione). Tuttavia si dubita, qui, che le sue conversazioni possano essere decisive.

A tutti questi problemi l'Italia è, naturalmente, interessata direttamente. In proposito, nei contatti col Dipartimento di Stato, quest'ambasciata ha prospettato soprattutto tre ordini di considerazioni. Primo: la già dichiarata preferenza italiana per l'adesione pura e semplice della Grecia e della Turchia al Patto atlantico. Secondo: la necessità che l'Italia, come potenza mediterranea, sia tempestivamente tenuta al corrente degli studi e degli scambi di idee del Governo americano. Terzo: la necessità che l'impostazione unitaria della difesa europea, praticamente affermata con la costituzione e l'organizzazione iniziale del Comando di Eisenhower, non venga intaccata da un'eventuale nuova riorganizzazione dei Comandi.

443 1 Non pubblicati.

444

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 585/346. Roma, 31 maggio 1951 (perv. il 2 giugno).

Riferimento: Mio rapporto n. 432/259 del 21 aprile 19511 .

L'estrema riservatezza degli esponenti della Segreteria di Stato, di fronte alle domande mosse loro circa le istruzioni od i consigli impartiti a mons. Wiszynski in occasione del suo ritorno da Roma a Varsavia, è stata talvolta mascherata abilmente con discorsi e considerazioni di carattere generico e non compromettente, intesi sopratutto a mandare via in pace il diplomatico troppo curioso.

Tuttavia, anche da tali discorsi, qualche nozione generale, non priva di interesse, se pur non afferente alla immediatezza dei singoli fatti, si può ricavare.

La guerra anti religiosa nelle regioni cattoliche dei paesi comunisti satelliti è di duplice natura: anzi, meglio che di una guerra, si tratta di due guerre, ciascuna delle quali ha un suo proprio fondamento ideologico e politico, e proprie manifestazioni ed i propri fini.

La prima di queste due guerre, quella veramente caratteristica dell'epoca nostra, e, quindi, la più nuova come fenomeno storico, rispecchia le concezioni filosofiche da cui deriva la teoria e la pratica marxista. È di fede, per chiunque, nei paesi di democrazia progressiva, vuol farsi annoverare fra i gruppi dirigenti, il dogma che la riorganizzazione comunista della società deriva dalla concezione materialistica della

storia e della vita. Attraverso una serie di massime e di credenze, il cui concatenamento rassomiglia alle catene sillogistiche della teologia cattolica, perfino i più insignificanti particolari dell'organizzazione sociale comunista vengono a riconnettersi alle teorie biologiche materialiste. Non potrebbe, per dare un esempio, organizzare una cooperativa in senso veramente comunista e rivoluzionario, chi dubitasse che un arbusto possa essere qualcosa più di un semplice composto chimico. Se non ci si attiene al puro materialismo, dicono quei teologi, traballano le basi ideologiche del-l'edificio comunista, e si apre subito una breccia per cui si insinua il capitalismo, l'imperialismo, la superstizione religiosa e, con loro, il vecchio mondo tormentato ed infelice. Che tale ferreo conformismo sia sinceramente o coscientemente condiviso da tutti quelli che formano la classe dirigente comunista, nessuno naturalmente è obbligato a crederlo: ma è la dottrina ufficiale, quella che dovrebbe foggiare le categorie mentali dei cittadini, e costituire così la norma del pensiero, dell'arte e della tecnica comunista.

In nome di questa fede, che, come tutte le fedi, può esser creduta senza esser capita e può essere predicata e difesa senz'essere creduta, il cristianesimo — il cattolicesimo — deve essere combattuto, colla stessa intensità e la stessa intransigenza con cui il cattolicesimo combatte il materialismo. Lo stabilirsi della dottrina materialistica viene ad essere, per il comunismo, questione di vita e di morte come, per il cattolicesimo, l'affermazione dello spiritualismo.

La guerra numero 1 contro la Chiesa, in quei paesi, risponde a tali postulati. Dev'essere guerra di annichilimento e di distruzione totale. Difficile il condurla a buon fine colle generazioni più vecchie, o credenti, o spiritualiste, o superstiziose. Più facile invece colla gioventù, se strappata all'influenza clericale e famigliare; ivi, su terreno vergine, si può intraprendere la costruzione di un nuovo sistema filosofico accettabile dalle menti, nettate da ogni altra tradizione.

La guerra n. 1 si rivolge quindi verso la gioventù ed ha per primo atto quello di strapparla totalmente all'influenza della Chiesa. I suoi effetti si faranno sentire più tardi nella loro pienezza: ma saranno, secondo sembrerebbe, formidabili, decisivi. Una nuova religione, quella del materialismo, o la religione totale, sostituirà le religioni tradizionali.

La guerra n. 2, invece, quella della «ragion di stato», è di tipo già noto nella storia. È la riapparizione delle tendenze anti-romane sempre presenti nelle monarchie assolute e negli Stati nazionali; la spinta a staccare la religione dei sudditi dal suo tessuto internazionale e dalla sua dipendenza spirituale (e quindi politica e sociale) da un potentato straniero, il Papato e la Curia. Nel paesi satelliti, oggi, la spinta nazionalista e particolarista è potenziata, assai più che nei secoli scorsi, dalla struttura del-l'assolutismo statale, di gran lunga più totale, e quindi più esigente, degli assolutismi di un tempo. A tal moderno assolutismo, il carattere del Papato riesce assai più straniero ed infesto di quanto non fosse per un Hohenstaufen, per un Filippo il Bello, per un Enrico VIII: giacché il Papato risiede nella zona occidentale, strumento e propulsore insieme dell'avversario, rappresentante e fautore dei loro interessi, nella guerra in corso fra i due mondi opposti.

A tale esterno pericolo, sembra rimedii la politica di nazionalizzazione della Chiesa e delle Gerarchie, con uno spirito, in molto analogo a quello che produsse, per esempio, lo scisma d'Inghilterra. Per raggiungere questo scopo non occorre fomentare eresie dottrinali, non occorre né vilipendere né umiliare la «religione», il culto, il rito. Basta, all'inizio, il distacco da Roma. Il fedele, il semplice, non dovrebbe, se fosse possibile, neppure accorgersene, e perciò gli vanno conservati riti, dottrine, chiese, clero, gerarchie, senza mutamenti di forme e di apparato, anzi, se possibile, con maggior pompa, con aumentata solennità e comodità. Ma i vescovi debbono cominciare ad agire per conto proprio, a trattare col Governo per conto proprio, a reggere per conto proprio. Poi, procederanno a rinnovarsi, per conto proprio, consacrando i coadiutori ed i successori. E poi, partecipino alla vita nazionale e comunista: s'inseriscano nell'attività politica e sociale; e così, siccome ogni attività è d'origine e di direzione statale, divengano organi dello Stato, funzionari posti ad amministrare le cose sacre (fin che ce ne saranno). Automaticamente, essi cadranno nella scomunica; e la totale separazione si compirà. Per far ciò, non solo è inutile, ma dannoso toccare la dottrina, la fede; cosa atta soltanto a svegliare le attenzioni, a creare opposizioni e scandali.

La guerra n. 2, come si vede, ha scopi che alla lunga si combinano con quelli della guerra, n. 1. È destinata a preparare e facilitare l'attuazione di questa seconda. Ma le manifestazioni possono esserne diverse e contraddittorie. Mentre, in una scuola, i maestri educheranno la gioventù all'ignoranza ed all'avversione per ogni forma di spiritualismo, coll'assenso ed il plauso del ministro per l'istruzione, in una piazza della Slovacchia il ministro della giustizia potrà seguire devotamente una processione, dietro il Santissimo portato da un prete «giurato», in mezzo ad una folla devota e soddisfatta; mentre, in una chiesa riccamente addobbata, un altro ministro di Gabinetto, prete sospeso a divinis, celebrerà piamente la Messa, a cui lo ha nuovamente abilitato un vescovo «giurato» e addomesticato da imbelle paura, o da stolta e miserabile ambizione.

Contraddizioni palesi, stridenti, inconcepibili. Ma le contraddizioni poco si avvertono, dove è proibito di farle risaltare. E noi stessi, qui, nella propaganda e nel-l'azione comunista, possiamo rilevare come non si tenga che poco conto delle contraddizioni, non solo successive, ma anche contemporanee; e sì, che ci sono partiti interessati a metterle in luce e a farne oggetto di polemica. Ma il comunismo conosce l'infinita mancanza di capacità logica ed associativa delle masse, e se ne approfitta, e più che mai nei paesi dove la può sfruttare a fondo, perché detiene il monopolio delle notizie, della stampa, di tutti i poteri.

Di queste due guerre, la Santa Sede teme in tutto special modo la guerra n. 1, ad effetti meno immediati, ma più radicali. Un giorno, anche se le circostanze muteranno e tornerà in quei paesi la libertà di pensiero, di religione, di insegnamento, l'ambiente delle generazioni scristianizzate sarà un formidabile ostacolo all'opera di ricristianizzazione, anche se, in quel sognato giorno, è da attendersi, per naturale reazione, un pronto risorgimento spiritualistico nelle università e nelle scuole.

Il pericolo n. 2, invece, sebbene attuale e grave, mi parve preoccupare forse meno, nelle sue conseguenze e nella sua portata. Bisogna rendersi conto che la Santa Sede considera gli avvenimenti di Polonia, di Cecoslovacchia e di Ungheria come una guerra moderna combattuta con mezzi moderni. Le perdite di terreno contano assai meno che la distruzione delle truppe: il terreno si recupera, le truppe no. La scristianizzazione della gioventù, quella è veramente perdita di esercito, ed è terribile. Ma le perdite della guerra n. 2 sono piuttosto rassomigliabili alla perdita di terreni di manovra, che, domani, al primo cambiar di condizioni, si potrà ricuperare (non parlo dei beni, naturalmente) abbastanza facilmente.

Rare sarebbero, del resto, nei tre paesi, le «capitolazioni» di vescovi, prelati e basso clero, dovute a ragioni consistenti e personali. Nessuna, anzi, in Polonia; poche in Cecoslovacchia, nessuna in Ungheria. Gli altri, che si piegano, lo fanno per forza, nolenti; e, pur incorrendo nella scomunica e divenendo funzionari di una chiesa «nazionale» antiromana, mantengono in piedi, colla loro sola presenza, quello che possono mantenere. Sarà deplorevole, sarà un esempio umiliante di debolezza e di paura; ma le conseguenze ultime saranno assai meno gravi di quelle della guerra n. 1.

Obbiettai, una volta, che compiendosi questo distacco da Roma, in un clima che conservi alla meglio culto, chiese e le dottrine nelle quali i fedeli sono stati allevati, potrebbe avvenire un adattamento pericoloso della massa e del clero, che manterrebbe, anche mutandosi le attuali condizioni politiche del paese, la separazione da Roma e la farebbe definitiva. Mi è stato risposto che non si considera come probabile tale pericolo. Esso sarebbe reale, in paesi di cultura civile e religiosa di carattere slavo ed orientale; ma difficilmente prenderà radici in paesi di civiltà occidentale e latina, come la Polonia, la Cecoslovacchia e l'Ungheria. L'ostilità, ch'è nel sangue di quelle popolazioni, verso il comunismo slavo, come terrà rivolti i loro occhi ed i loro cuori verso l'Occidente, così impedirà che si formi una coscienza ecclesiastica separata dalla Santa Sede, la quale, domani come oggi, rimarrà l'incarnazione e la rappresentante della religiosità occidentale. Non per nulla le Chiese d'oltre cortina rigurgitano di frequentatori, di cui molti non sono dei fedeli nel senso proprio; ma gente che vuole affermare pubblicamente la propria «occidentalità» nell'unica forma ch'è loro consentita, la forma religiosa.

In queste varie osservazioni, di cui non ho dato che un breve compendio, ho sentito, dopo la visita di mons. Wiszynski, correre un minor pessimismo di quanto prima non fosse.

Le notizie che mons. Wiszynski ha dato, sulla solidità, in linea generale, del cattolicesimo polacco, e sulla possibilità di una lunga resistenza, non debbono essere state tanto cattive. La gerarchia sembra solida, la maggior parte del clero la segue, e certe «capitolazioni» vanno prese come utili accorgimenti tattici, e come tali giudicate, se anche possono essere in se stesse deplorate. L'investitura, ad esempio, concessa agli amministratori ecclesiastici degli ex territori diocesani tedeschi, scelti dal Governo, si giustificherebbe anche in pratica perché, di cinque, quattro sono persone su cui l'Episcopato può contare.

La Segreteria di Stato, in conclusione, conta sulla forza di resistenza polacca, più che su ogni altra. Nei paesi dove è più debole l'ossatura cattolica, non c'è che rimettersi alla Provvidenza, ed alla giustizia del tempo — parola che, per la Santa Sede, ha risonanze d'altra portata che per il politico laico, ed è quindi pronunciata, se pur con amarezza, mai senza un senso di speranza e di fede.

444 1 Vedi D. 372.

445

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 1016. Ankara, 31 maggio 1951 (perv. il 7 giugno).

Ti sono gratissimo delle informazioni datemi con le tue del 22 corr. n. 8311 e del 25 corr. n. 8612 .

Mi riferisco in particolare a quest'ultima. Sono pienamente d'accordo con te che non possiamo disinteressarci di nulla di quanto riguarda il Mediterraneo e che qualunque combinazione venga imbastita per la sicurezza di questo settore, compreso il Medio Oriente, dovremo farne parte. Perciò non ho mai inteso dire che un patto del Mediterraneo orientale non ci conviene; ho soltanto detto, e se tu rileggi il mio rapporto n. 946/515 del 19 corr.3 potrai constatarlo, che la formula atlantica ci conviene più di quella mediterranea, qualora si debba scegliere tra l'una e l'altra. E vedo che su questo punto tu sei perfettamente d'accordo e la mia accentuazione in tal senso è stata determinata dalla preoccupazione che non tutti ne fossero ugualmente persuasi.

Ma è chiaro che se l'allargamento del Patto atlantico non fosse possibile, dovremo necessariamente ripiegare sul patto mediterraneo, del quale ho sempre insistito che dobbiamo far parte anche noi. Ti ho del resto segnalato più volte che in Turchia non si discute sulla necessità di tale nostra partecipazione.

Oggi, come ti ho segnalato nel mio rapporto n. 974/533 del 24 corr.4 e come torno a segnalarti in quello che sto redigendo, la Turchia è in favore e della sua inclusione nel Patto atlantico e della conclusione di un Patto del mediterraneo orientale, del quale dovremmo far parte anche noi.

Credo perciò che la questione sia pienamente chiarita. Ti aggiungo anzi che da qualche vago accenno che mi è stato fatto, ho l'impressione che tra gli Stati del Medio Oriente vada delineandosi una tendenza a favore di un nostro più marcato interessamento, a lato della Turchia e dell'America, per la soluzione delle questioni che mantengono instabile la situazione in tale settore. Ma su questo punto mi riservo, qualora tale impressione si concretasse, di tornare.

Ti sono grato comunque dei chiarimenti datimi e ti prego anzi di segnalarmi sempre tutto ciò che possa suscitare dubbi o riserve da parte vostra.

445 1 Non rinvenuto. 2 Vedi D. 434. 3 Vedi D. 420. 4 Vedi D. 431.

446

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6589/110. Teheran, 1° giugno 1951, ore 14,15 (perv. ore 17).

Suo 161 .

Hussein Ala oggi ministro Corte agisce per conto sovrano. Egli pur attenendosi ora atteggiamento legalità costituzionale desidera poter assicurare sovrano che nella eventualità di una crisi del Governo collegata ad iniziativa del capo dello Stato non mancherebbero alla Persia utili amicizie e possibilità parlare per un compromesso con Londra. Tale eventualità di crisi di Governo è considerata qui come premessa necessaria per trovare pacifica via uscita situazione attuale perché presidente del Consiglio che appare in buona fede sin ora ha mantenuto atteggiamento intransigente quasi sempre nella sostanza e sempre nella forma in modo da rendere assai difficile anche iniziare contatti con Londra per un compromesso. Sovrano è perciò esortato sia dall'[esterno] (ora anche dall'ambiente americano) che dall'interno ad agire perché Governo Mosaddeq, che conta alla Camera solo otto voti proprio gruppo ed in più la paura degli altri gruppi passi la mano ad altro Governo più rappresentativo parlamentarmente e meglio disposto tecnicamente ad ottenere tale risultato. Alcune tendenze suggeriscono colpo forza con impiego esercito; altre invece crisi parlamentare seguita da elezioni generali. Ala per suo conto, a quanto mi è parso, è contrario sia uso esercito che ad elezioni generali ritenendo entrambi rimedi pericolosi in confronto possibile reazione comunista. Egli vorrebbe crisi parlamentare con un successivo Governo transizione. In questo senso mi risulta si stia lavorando. Ma occorre insieme superare indecisione sovrano e d'altra parte considerando le cose dal punto di vista persiano essere sicuri che una crisi governativa qui non sarebbe interpretata a Londra come un successo politico da cui trarre motivo di minore elasticità nei negoziati. In questa situazione va giudicato passo Hussein Ala col quale mantengo contatti in base alle istruzioni V.E.2 .

2 Per il seguito della questione vedi D. 452.

446 1 Vedi D. 441.

447

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6608/352. Parigi, 1° giugno 1951, ore 20,27 (perv. ore 21). Mio 3441 .

Riunione odierna Comitato direzione ha confermato ed accentuato, sia in conversazioni fuori seduta sia in seduta, fermo proposito francese accelerare tempi e, in relazione ad ultimi sviluppi negoziati riarmo tedesco, pervenire al più presto a drafts conclusivi questo primo ciclo lavori. In particolare Alphand desidererebbe che si redigesse entro 30 giugno: 1) drafts trattato e convenzione transitoria sia pure con alcuni articoli alternativi; 2) un rapporto esplicativo su atteggiamento delegazioni e punti controversi; 3) un rapporto tecnico militare. Né belgi né tedeschi hanno fatto obiezioni; per conto mio ho osservato che articoli relativi problemi principali non fossero ancora maturi per una redazione sia pure ipotetica o alternativa ed ho richiamato e illustrato dichiarazione di cui a mia lettera 20/9 del 30 corrente a Venturini2; dichiarazione che figura in resoconto ultima seduta Comitato giuridico.

Nel corso della seduta Alphand ha risollevato questione collegialità commissario, domandando se noi e tedeschi potevamo rivedere nostro atteggiamento. A nostre risposte interlocutorie tendenzialmente negative Alphand ha pregato attirare attenzione Governi su questione pregando avere possibilmente risposta entro 9 corr. Salvo istruzioni contrarie di V.E. mi proporrei mantenere nostra preferenza per collegialità anche al fine precostituirsi moneta di scambio.

448

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6620/101. Bad Godesberg, 1° giugno 1951, ore 19 (perv. ore 7 del 2).

Bundestag ha approvato ieri progetto di legge per abolizione discriminazioni belliche. Su iniziativa governativa, seguita a conversazioni avute con questa ambasciata, testo originario è stato emendato ed alla formula «potenze alleate» sostituita quella «potenze belligeranti», in modo da includere esplicitamente Italia. Progetto passerà ora esame Bundesrat che è stato già sollecitato da cancelliere Adenauer con

cludere a tal riguardo rapidamente i suoi lavori, di modo che entro fine prossima settimana legge stessa possa diventare esecutiva.

Trattasi emendamento introdotto dai tedeschi solo scopo venire incontro nostra tesi e permettomi per motivi già noti rinnovare la preghiera conservare su ciò maggior riserbo.

447 1 Vedi D. 442. 2 Non rinvenuto.

449

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. Londra, 1° giugno 1951.

Rispondo alla tua del 24 maggio n. 1/22311 in forma affatto confidenziale e con la franchezza di una controbattuta di conversazione.

Ciò che desidero dirti è il mio intimo pensiero su quell'unico punto in cui dici di non essere d'accordo con me circa la revisione del trattato «in forma aperta». Ora ciò che a mio parere più si oppone a ritenere che l'attuale momento si presti a una simile trattativa con gli Alleati non sono le loro argomentazioni che si potrebbero facilmente ribattere, ma la impostazione stessa da parte nostra della revisione in forma indiretta, che ha evidentemente lasciato perplesse le sfere ufficiali su quelle che realmente erano le intenzioni del Governo italiano riproponendo, attraverso assaggi epistolari e indiscrezioni di stampa, una delle nostre richieste fondamentali nel quadro della partecipazione al Patto atlantico.

Avevamo avuto due occasioni uniche per farlo nel modo più aperto e diretto: a Santa Margherita e nelle conversazioni di Londra2. Io parlo delle conversazioni di Londra che conosco bene. Per lo stesso carattere informal dell'incontro ministeriale senza limitazioni o esclusioni di agenda un discorso conclusivo su questo nostro principalissimo interesse poteva avere luogo liberamente. Ritengo anzi che gli inglesi se lo aspettassero. Ed è in previsione di questa possibilità che io insistetti affinché la prima conversazione a quattro non avesse testimoni. Ma, a quanto mi consta dal breve riassunto che ebbi di quel colloquio3, la revisione del trattato non fu sfiorata. Alcune vaghe, se anche simpatizzanti, dichiarazioni di Morrison, ripetute poi a me, non potevano in ogni modo essere considerate una dichiarazione ufficiale a favore della nostra tesi.

Quando perciò fu trasmessa a Morrison la tua lettera a Schuman4 proprio alla vigilia della indiscrezione Cianfarra, gli inglesi ritennero che si trattasse di un assaggio dell'opinione pubblica più che di preparazione per un passo ufficiale. La stessa

2 Vedi DD. 233 e 298.

3 Vedi D. 330.

4 Vedi DD. 220 e 331.

interpretazione diede il Foreign Office alla corrispondenza da Roma del Daily Telegraph5 che pareva preannunciare un passo in forma aperto, che poi non venne. Ciò che persuase sempre più che il Governo italiano intendeva lasciare le cose al livello giornalistico su cui le aveva fatto scivolare fino da principio e che da parte nostra si comprendeva benissimo che non conveniva prendere in questo momento un'azione formale presso le tre potenze interessate. Ciò anzi fu apprezzato poiché il Foreign Office, concorde in questo, a quanto mi consta, anche con alcuni dei dirigenti maggiori del partito conservatore, era del parere che una domanda espressa di revisione a cui il Governo inglese avesse dovuto rispondere in modo categorico sarebbe stata intempestiva e pericolosa per l'Italia stessa dato che la risposta di Londra, come quella di Parigi e di Washington, non sarebbe stata sicuramente tale da farci fare un passo avanti oltre le posizioni su cui siamo per ora.

Con ciò la mia conclusione non è di pessimismo né di attesismo inerte. Sono persuaso, come tu lo sei, che non ci si debba fermare su questo punto morto. Penso anzi che il momento sia buono per preparare non solo giornalisticamente ma diplomaticamente il terreno per essere pronti al momento che, ritengo, si presenterà nei prossimi mesi quando il blocco sovietico, mandando a monte le conversazioni coi poteri occidentali, li scioglierà dalle ultime reticenze e incertezze dubbiose e darà loro il modo di giungere a dichiarare moralmente e giuridicamente scaduto il trattato che di fatto è già superato poiché fummo ammessi come membro eguale al Patto atlantico.

Per quanto riguarda tale preparazione, a Londra, le mie idee sono fondamentalmente concordi con quanto mi scrivi nella lettera, ma te ne potrò dire qualcosa di più preciso quando sarò riuscito a fare i miei sondaggi con Morrison e con altre personalità di primo piano, anche dell'opposizione.

Tuttavia, dopo la lettura della tua lettera al Manchester Guardian, mi sembra che non sussistano che differenze di interpretazione di parole tra noi.

449 1 Vedi D. 430.

450

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6668/357. Parigi, 2 giugno 1951, ore 20,26 (perv. ore 21,30).

Telegramma di V.E. 2721 mi è giunto dopo seduta Comitato direzione, di cui al mio 3522, in cui era stato deciso tenere prossima riunione Comitato 9 giugno. Mi sono quindi subito recato da Alphand a cui, dopo aver ricordato riserve che avevo già

2 Vedi D. 447.

espresso in seduta, ho fatto sapere posizione che, secondo istruzioni di V.E., avrei dovuto prendere in prossima seduta. Ho aggiunto che desiderando evitare che in seduta Conferenza si manifestasse netta discordanza fra posizione italiana e francese, lo pregavo di rivedere suo atteggiamento su urgenza redazione testi in questione.

Alphand mi ha ripetuto ragioni che lo spingano ad avere massima fretta: francesi temono grosse pressioni americane subito dopo elezioni e d'altra parte sviluppi conversazioni militari Bonn fanno temere seriamente rinascita militarismo tedesco. Mi ha fatto caldissimo appello perché intervenga presso V.E. onde permettere accelerazione lavori.

Tuttavia in seguito a mie insistenze Alphand mi ha detto che questione redazione testi non verrebbe da lui sollevata che in riunione a cui potesse partecipare onorevole Taviani fra 15 e 20 corrente. Comitato direttivo nel frattempo si occuperebbe unicamente alcuni progetti che tedeschi hanno preannunciato su determinati argomenti.

Prego V.E. volermi indicare appena possibile quale data possa essere comunicata Alphand per partecipazione onorevole Taviani a Comitato direttivo. Permettomi insistere che causa estremo interesse che francesi annettono questione, data non sia possibilmente posteriore 20 corrente; ulteriori ritardi potrebbero effettivamente provocare impressioni assai negative nostri confronti3 .

449 5 Vedi D. 416.

450 1 Vedi D. 442, nota 2.

451

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. 770. Londra, 3 giugno 1951.

Secondo le istruzioni impartitemi con il telegramma n. 79 e con la tua lettera

n. 07312/57, rispettivamente in data 16 e 18 maggio scorso1, ho rimesso ad Achilles l'appunto che ti unisco in copia riassumente il nostro punto di vista in relazione al pensiero del Governo degli Stati Uniti nei confronti del N.A.T.O., dell'O.E.C.E. e del Consiglio d'Europa. La delegazione americana ha dato conoscenza dell'appunto allo State Department.

Posso aggiungerti in argomento che Achilles, nel riparlare con Ducci della questione, ha detto che Spofford e lui hanno discusso tale materia all'Aja con il ministro Stykker (in una visita da loro fatta colà la scorsa settimana) e che essi sono rimasti gradevolmente sorpresi di poter constatare che le idee dello State Department sono largamente condivise dal presidente dell'O.E.C.E.

451 1 Vedi DD. 407 e 414.

ALLEGATO

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL RAPPRESENTANTE STATUNITENSE NEL CONSIGLIO DEI SOSTITUTI, ACHILLES

APPUNTO SEGRETO. Londra, 30 maggio 1951.

1. -The Italian Government concurs with the views expressed by the United States Government that N.A.T.O. should be the frame within which political and economical relations among the Atlantic Countries are to be further developed and strengthened. 2. -The Italian Government also agrees that other existing bodies of European co-operation should continue in their activity although always in the N.A.T.O. frame. In fact the Italian Government feels that while N.A.T.O. should be strengthened, the present endeavours directed to secure European co-operation should not be abandoned. This also in view of the fact that some of such bodies (as the Council of Europe) call upon European Countries to co-operate not only on governmental basis but also through parliamentary action. Such an action, even if it encounters a number of difficulties, has in fact arisen a noticeable interest and expectation in the European public opinion and has proved to be a valuable means of attenuating and overcoming contrasts which for centuries have been dividing the peoples of the European continent. 3. -In short the Italian Government is aware and convinced of the necessity of implementing a very intensive and close co-operation for the attainement of N.A.T.O. objectives. It feels however that the Council of Europe and the O.E.E.C. could continue to pursue at the same time their individual activities, as changing circumstances and experiences will permit, always of course within the broader scope of the Atlantic Community.

450 3 Per la risposta vedi D. 456.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 4426/18. Roma, 4 giugno 1951, ore 21,30.

Suo 1101 .

Situazione, secondo notizie stampa, apparirebbe ora meno tesa. Ella può comunque assicurare imperatore che egli e suo Governo possono in ogni circostanza contare su nostra comprensione e amicizia. Continui riferire.

452 1 Vedi D. 446.

453

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

L. 926. Roma, 4 giugno 1951.

Mi riferisco al suo telespresso 1499/644 del 29 maggio1. Ella ha, credo, tutti gli elementi per una approfondita discussione con Mates sull'Albania. Comunque le riassumo il nostro atteggiamento che è quello di sempre: indipendenza ed integrità dell'Albania. Siamo però contrari a tutto ciò che, in questo momento, può turbare la situazione in Albania in quanto, mentre non approderebbe a nulla di concreto, servirebbe soltanto a Enver Hoxha per rafforzare la sua posizione come campione dell'indipendenza e integrità del paese. Ci risulta anzi che, solo a questo titolo, egli ha l'appoggio di correnti che altrimenti farebbero volentieri a meno di lui.

Quanto ai fuoriusciti è naturale che gli anticominformisti si siano rifugiati in Jugoslavia, gli anticomunisti in genere in Italia, come gli altri in Grecia. Ciascuno di questi gruppi spera poter tornare un giorno in patria ed intanto cerca di mantenere viva nel suo seno e in altri, la fiamma dell'amor patrio: essi godono, almeno in Italia, del diritto di ospitalità. Essi ci vengono qualche volta a dire che i loro connazionali rifugiati costì trescano con il Governo jugoslavo per una unione albanese-jugoslava; è probabile che quelli rifugiati costì raccontino di chissà quali macchinazioni fra il Governo italiano e i loro connazionali in Italia. Anche di quelli in Grecia si racconta qui che lavorino per una unione greco-albanese. Il nostro punto di vista è che quando si potranno avere in Albania libere elezioni, il paese sceglierà i partiti e gli uomini che vorrà avere al Governo, senza interferenze straniere. Per intanto siamo sempre disposti ad una dichiarazione congiunta fra noi, greci e jugoslavi per il rispetto della indipendenza e della integrità dell'Albania: per tagliar corto a tante insinuazioni e per opporre qualcosa di concreto alla propaganda cominformista.

453 1 Non rinvenuto.

454

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

R. RISERVATO 2390. Il Cairo, 4 giugno 1951 (perv. il 6). Tua n. 882 del 29 maggio.

La questione è, in sostanza questa: l'ala destra del dispositivo europeo è scoperta. Il solo mezzo per rafforzarla è d'associare strettamente Turchia e Grecia alla sua difesa. Includerle cioè entro il cerchio della garanzia americana. Per raggiungere codesto obbiettivo vi sono diverse strade. L'attenzione par si concentri oggi sopratutto su due di queste: inclusione della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico; accordo regionale mediterraneo.

A me par saggissima cosa insistere in primo luogo sulla soluzione atlantica. Le obiezioni che ho sentito fare in proposito sono certo legittime, ma non probanti. Che significa in sostanza che non si vuol dare alla Russia la sensazione di accerchiamento? La Russia ha questa sensazione da un pezzo: è questa anzi certamente una delle chiavi che meglio giovano a rettamente interpretare gli atteggiamenti della sua politica militare ed estera. Che significa che il peso dell'Italia diminuirebbe in una alleanza atlantica di tutto il maggior peso che vi apporterebbero Grecia e Turchia? Il nostro peso resta quello che è, qualunque sia la forma associativa di cui facciamo parte.

Ciò detto, mi parrebbe tuttavia erroneo dedurne che, se per avventura la strada atlantica si rivelasse impraticabile, dovremmo evitare di tentare quella mediterranea. L'obbiettivo da raggiungere è — ripeto — il completamento della sistemazione difensiva europea, cioè, per noi italiani, lo sbarramento delle porte del Mediterraneo, che è una delle porte di casa nostra. Dovremmo dunque lasciare codesta porta aperta, soltanto perché il primo — e per il me il migliore — mezzo di chiuderla, è fallito? O non piuttosto ricorrere ad altri mezzi? Tu sai ch'io, a torto o a ragione, sono portato a ritenere che un accordo mediterraneo è concepito dalla Gran Bretagna sopratutto in termini di incapsulamento e sterilizzazione dei suoi guai e fastidi particolari, sia egiziani che iraqueni o ciprioti. E che l'elaborazione di un sistema «propriamente mediterraneo» corra il pericolo di essere affidato all'autorità e controllo di un ammiraglio britannico che si farà naturalmente fedele esecutore di quella politica. Se dovessimo cioè ciecamente seguire orientamenti siffatti dovremmo finire tutti quanti col condividere le responsabilità e gli oneri che comportano la conservazione e il ricupero delle vecchie posizioni imperiali britanniche e con l'alienarci amicizie e simpatie che, come quelle egiziana e della Lega, ci interessa preservare e consolidare. Credo tuttavia ciononostante che non ci convenga — dovesse, ripeto fallire la strada atlantica — restar fuori da un eventuale patto mediterraneo, bensì parteciparvi (e ci sarà certo chi vorrà tagliarcene fuori), tentando di apportare, nel corso della sua elaborazione, che sarà lenta e faticosa, tutte quelle cautele che valgano a renderlo quello che

effettivamente deve essere e non altro: completamento cioè del sistema difensivo europeo e non strumento di interessi, rispettabili certo, ma particolari ed estranei all'obbiettivo maggiore che intendiamo raggiungere e probabilmente contrastanti con esso. Naturalmente in un patto mediterraneo potrebbero trovare ragionevole sistemazione anche gli Stati arabi. È bene tener tuttavia, ad esempio, presente che il maggiore di essi, l'Egitto, rifiuterà quasi certamente di fare atto di solidarietà occidentale, sino a quando non siano soddisfatte le sue esigenze nazionali. Ed è dunque questo appunto uno di quei settori dove le esigenze particolari britanniche dovrebbero tenere il passo dinanzi alle generali esigenze della difesa europea.

Sono dunque d'accordo con te e con gli argomenti riassuntivamente esposti nella tua lettera a Pietromarchi, sui quali non torno perché mi sembrano, almeno in gran parte, incontroversi (necessità di venire incontro alla Turchia; di frenare le correnti neutraliste, ecc.).

454 1 Con la quale Zoppi ritrasmetteva a Prunas la sua lettera a Pietromarchi, vedi D. 434.

455

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA

T. 4479/14. Roma, 5 giugno 1951.

Prego S.V. fare verbalmente comunicazione seguente tenore codesto ministro affari esteri: 1) cerimonia investitura custode data assenza rappresentante italiano deve interpretarsi come disapprovazione che Italia quale potenza eminentemente cattolica sin dall'inizio ha voluto significare per nomina stessa; 2) solenne ed ampia riserva viene espressa riguardo istituzione nuova carica che costituisce inoltre provvedimento contrario alle norme internazionali relative futuro assetto giuridico Gerusalemme e intera zona Luoghi Santi; 3) viene espressa uguale riserva circa intendimento procedere codificazione norme finora vigenti nei Luoghi Santi, questione questa della quale non possono disinteressarsi principali potenze cattoliche.

Istruzioni analoghe vengono impartite a codesto ministro Francia da Quai d'Orsay e ella vorrà concertarsi con predetto per effettuare passo separatamente, ma se possibile contemporaneamente1 .

455 1 Per la risposta vedi D. 469.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI, A PARIGI

T. SEGRETO 4535/281. Roma, 6 giugno 1951, ore 20.

Suo 3571 .

Prima arrivare redazione progetto, sia pure di larga massima, ci sembrerebbe opportuno attendere chiarificazione situazione generale anche in rapporto progettata Conferenza a quattro, nonché elezioni francesi. Lo stesso Alphand ha fatto valere tale secondo argomento per chiedere a Londra rinvio discussione circa ammissione Turchia e Grecia nel N.A.T.O. D'altra parte complesse questioni sinora trattate in relazione Esercito europeo, quali quelle finanziaria e istituzionale, non hanno potuto qui ancora venire approfondite da ministri competenti occupati in campagna elettorale tuttora in corso.

Sono queste ragioni che ispirano nostro suggerimento riprendere esame problema al momento in cui si possono disporre maggiori elementi giudizio sia tecnici che politici e a nostro avviso occorre lasciare passare almeno due-tre settimane prima di potere giudicare se situazione sia maturata nel senso desiderato.

È infine nostra opinione che se si vuole giungere a risultati concreti, si deve varare progetto accettabile, almeno nelle sue grandi linee, da tutti paesi interessati mentre non ci pare nell'interesse di nessuno e meno che mai della Francia sottolineare in un documento ufficiale punti controversi qualora dovessero essere di importanza maggiore.

457

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6914/316. Londra, 6 giugno 1951, ore 21,27 (perv. ore 7,30 del 7).

A proposito Conferenza a quattro, oggi Dixon mi ha detto che Alleati starebbero orientandosi verso risposta di carattere interlocutorio alla nota sovietica che permetterebbe continuazione conversazioni sostituti. Pur mantenendo occidentali loro opposizione inclusione Patto atlantico in agenda, risposta — secondo quanto mi è stato lasciato intendere — mirerebbe illustrare, anche con fini propagandistici, natura ed obbiettivi difensivi del Patto stesso. Atteggiamento Alleati si ispirerebbe a duplice preoccupazione: in primo luogo evitare che presa posizione troppo netta possa pregiudicare situazione Governo francese in prossime consultazioni elettorali; in secondo luogo evitare di rompere contatti con U.R.S.S.

A questo proposito sensazione confermatami da Dixon è che Mosca sia oggi, per noti motivi, meno interessata giungere Conferenza ministri, senza che ciò sia qui tuttavia interpretato come sintomo di aggravamento tensione internazionale.

456 1 Vedi D. 450.

458

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO 382/310. Parigi, 6 giugno 1951 (perv. il 7). Ho di nuovo intrattenuto Parodi sull'argomento1 .

Egli mi ha ripetuto che nessuna decisione in proposito potrà essere presa dal Governo francese prima delle elezioni e, forse, prima della formazione del nuovo Gabinetto, il che rimanderebbe ogni decisione in luglio. Non mi ha nascosto però che le preferenze del Governo francese restavano per un nuovo patto regionale, di cui anche l'Italia avrebbe dovuto far parte.

Al suo primo argomento — che l'inclusione della Turchia nel Patto atlantico avrebbe potuto dare alla Russia l'impressione dell'accerchiamento — ho risposto chiedendogli se realmente credeva che, per i russi, ci sarebbe stata una grossa differenza se Grecia e Turchia facessero parte di un patto regionale differente, dal momento che questo nuovo patto — come quello atlantico — faceva comunque capo a Washington. Ha ammesso che era difficile attenderselo.

Il suo secondo argomento è stato che la Francia esitava a creare uno stato di cose per cui una scintilla nel Medio Oriente dovesse necessariamente mettere fuoco a tutta l'Europa. Gli ho fatto osservare che questo era l'argomento con cui Hitler e Mussolini avevano nel passato sempre opposta la politica francese della sicurezza collettiva: e mi sorprendeva sentirlo da un francese.

Terzo argomento: attualmente il Patto atlantico è la riunione di paesi ad interessi di difesa sostanzialmente comuni: questo assicura una comunità di azione abbastanza soddisfacente. Aggiungendovi due paesi che abbracciano una zona differente, avremmo avuto, senza dubbio, un raffreddamento dei paesi nordici e del Benelux il quale avrebbe potuto rendere più difficile il funzionamento degli organismi atlantici. Gli ho fatto osservare che questo stesso argomento era stato fatto valere a suo tempo contro l'ammissione dell'Italia: non negavo che ci potesse essere qualche cosa di vero in quanto mi diceva ma la presenza di differenti Comandi, in seno al Patto atlantico, permetteva appunto di tenere presenti gli interessi differenti dei vari settori.

Per parte mia gli ho poi fatto osservare che, contro tutto questo, bisognava mettere nella bilancia la situazione difficile della Turchia e di tutto il Medio Oriente. Le sue informazioni sullo stato d'animo della Turchia non erano differenti dalle nostre:

fin qui i russi si erano mostrati poco intelligenti e non avevano approfittato della situazione, facendo alla Turchia delle proposte precise di neutralità: non potevamo fidarci all'infinito della poca abilità dei russi: che lo facessero e ci sarebbe poi voluto del bello e del buono per riprendere le posizioni perdute.

Non mi nascondevo che molti e seri argomenti potevano militare in favore di un patto regionale speciale del Medio Oriente, ma prima di tutto, l'ingresso della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico non impediva affatto che esse facessero poi parte anche di un patto regionale speciale Mediterraneo-Medio Oriente: sarebbero state due potenze di più a far parte dei due patti regionali. Ma l'interesse precipuo di tutti ed anche della Francia era quello di far presto. L'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico era una cosa che poteva farsi subito, trattandosi di accessione ad un organismo esistente e già in funzione. Invece per un nuovo patto regionale era necessario crearlo, discuterlo, farlo approvare dal Congresso americano e da tutti i Parlamenti interessati: una procedura che, nella migliore delle ipotesi, avrebbe potuto essere condotta a termine solo fra parecchi mesi: era necessario, secondo noi, uno choc psicologico immediato che potesse rialzare le azioni occidentali in tutto il mondo medio-orientale: e questo bisognava farlo subito prima che la situazione precipitasse.

Parodi mi ha detto (od ha fatto finta) di essere molto colpito da questo ultimo argomento e mi ha detto che avrebbe riconsiderata la posizione francese sotto questo punto di vista, pur avvertendomi che in ogni caso non avrebbe potuto aversi una decisione prima delle elezioni.

458 1 Il documento reca il seguente oggetto: «Grecia, Turchia e Patto atlantico».

459

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 6579/3529. Washington, 6 giugno 19511 .

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 22/01449 del 30 maggio u.s.2 .

Ringrazio codesto Ministero per l'invio del sommario del documento in oggetto che si è rivelato molto utile nelle conversazioni che si sono avute in questi giorni con il Dipartimento di Stato sul problema del programma economico e militare italiano.

Già prima dell'arrivo del documento il Dipartimento aveva, in forma amichevole, manifestato certe preoccupazioni per quanto gli risultava circa la preparazione della nostra risposta al questionario N.A.T.O. Il Dipartimento aveva al riguardo fatto presente che tale risposta non sembrava coincidere con gli affidamenti dati dal Governo italiano in merito al ritmo e all'ammontare delle spese per il programma di riarmo. Non appena è pervenuto a questa ambasciata il sommario di cui sopra, si è

2 Non pubblicato.

fatto rilevare al Dipartimento che, per lo meno per quanto poteva dedursi dal sommario stesso, non vi erano contraddizioni tra le assicurazioni fornite in passato dal Governo italiano e la formulazione del nuovo documento.

Si è al riguardo posto in rilievo che il sommario precisa che «la totalità della somma di 250 miliardi potrà essere impegnata entro il 31 dicembre 1951». Inoltre il documento, mentre fondatamente osserva che il Governo italiano prima di prendere altri impegni «dovrà constatare le ripercussioni che lo stanziamento già effettuato potrà produrre nell'economia interna ed assicurarsi che il rifornimento delle materie prime e gli aiuti valutari corrispondano alle necessità», conferma ripetutamente le intenzioni del Governo italiano di proseguire nello sforzo di riarmo.

Non si è neppure mancato di far rilevare che le esitazioni italiane a prendere fin d'ora definitivi impegni, a causa dell'incertezza relativa alla possibilità di reperimento delle materie prime necessarie per la continuazione del programma, sembrano essere del tutto giustificate dalla lentezza con cui si va attuando la macchina amministrativa americana e quella internazionale delle allocations per una equa distribuzione delle materie stesse. Si sono citati al riguardo casi in cui la nostra delegazione tecnica, malgrado tutte le approvazioni e tutti i crismi delle autorità governative (compresa la concessione del DO), non ha ancora potuto ottenere piccole partite incluse nei primi progetti militari. Ci si è anche riferiti alla estrema lentezza con cui si è giunti all'approvazione dei progetti per l'utilizzo dei fondi M.D.A.P., lentezza che non può non essere interpretata come derivante anche dalle difficoltà per l'E.C.A. di conoscere se e in quali quantitativi le materie prime menzionate nei progetti stessi potranno essere concesse ai paesi stranieri.

Il Dipartimento di Stato, come già in passato aveva del tutto ammessa la fondatezza delle nostre critiche relative alle lungaggini con cui si è proceduto per l'approvazione dei progetti militari, ha riconosciuto che, per quanto concerne l'approvvigionamento delle materie prime, il meccanismo burocratico americano non è ancora soddisfacentemente attrezzato e affinato. Il Dipartimento ha però assicurato che veniva compiuto il massimo sforzo per rendere possibile un sistema tale da assicurare adeguati approvvigionamenti e che di ciò si poteva aver prova sia nel policy paper (mio telespresso 6350/3450 del 31 maggio u.s.)2 finalmente pubblicato dall'Office of Defense Mobilization e nel nuovo impulso che i rappresentanti americani cercavano di dare ai lavori dei comitati di prodotti dell'I.M.C., patrocinando con maggiore vigore la tesi favorevole alla istituzione di allocations internazionali.

Credo che in realtà sia viva nel Dipartimento di Stato la preoccupazione che la pressione delle richieste di materie prime per il mercato interno americano possa negativamente influenzare il normale sviluppo dei programmi di produzione dei paesi del

N.A.T.O. ed offrire fondate giustificazioni per eventuali carenze da parte dei paesi europei. Ritengo anche che il Dipartimento intenda vivamente interessarsi alla questione e svolgere opera di convincimento sull'Office of Defense Mobilization.

Su tale particolare aspetto del nostro programma, continuano comunque molti intensi contatti tra E.C.A. ed il Working Group dei paesi europei costituitosi presso la Deltec, allo scopo di assicurare la massima tutela possibile degli interessi dei paesi stranieri presso la N.P.A. Sull'esito di tali contatti riferirò anche a parte.

Anche sull'altro postulato del nostro programma, menzionato ai punti 11 e 14 del sommario, e cioè il problema della produzione industriale e dell'arrivo tempestivo delle attrezzature essenziali, riferisco con rapporto a parte, a seguito di attivi contatti che si sono avuti in argomento con gli Enti americani.

Quanto invece all'ammontare dei nostri stanziamenti, risultanti dal documento in oggetto, il Dipartimento di Stato ha manifestato una notevole preoccupazione per quanto sembra risultare da telegrammi ricevuti da codesta ambasciata americana e appare anche in qualche modo confermato dai dati contenuti nel sommario. Da tali dati sembra infatti emergere che alla somma di 250 miliardi già stanziata non ne verrà aggiunta alcun'altra a fronte dell'anno fiscale 1950-51. Si parla invece, sia pure soltanto in linea di ipotesi e con le usuali riserve, della possibilità di un nuovo uguale stanziamento sia nel 1952-53 e sia nel 1953-54. Il Dipartimento ha fatto al riguardo presente quanto segue:

— -il Governo americano si rende pienamente conto che nell'attuale periodo elettorale il Governo italiano non può ovviamente proporre nuovi stanziamenti e dare affidamenti ufficiali di nuovi sforzi e sacrifici; — -si è però sempre sperato che il «ritmo» costituito dall'utilizzo di almeno 250 miliardi di bilancio supplementare in un anno solare, sarebbe continuato dopo il 31 dicembre 1951; — -malgrado le smentite e le spiegazioni italiane, il nuovo documento conferma quei timori di «slittamenti» a suo tempo manifestati da parte americana. In altre parole, nel periodo dal primo gennaio al 30 giugno 1954, il ritmo di 250 miliardi non viene osservato nel corso dei primi 18 mesi. Se così realmente sarà, l'Amministrazione si troverà nel più serio imbarazzo per difendere le cifre dell'aiuto americano presso il Congresso, dato che tutti i documenti sono stati apprestati partendo dall'assunto che il ritmo fosse almeno quello sopra menzionato.

A questo riguardo il Dipartimento si è astenuto dal formulare commenti ispirati a sorpresa o recriminazione, ma ha soltanto insistito sulla grave situazione che potrà determinarsi nei prossimi hearings in Congresso sia in relazione alla presentazione del documento N.A.T.O. di cui trattasi e sia nel caso che venga confermata l'intenzione italiana di lasciare il «vuoto» in questione nei primi 18 mesi.

Da un telegramma ricevuto da codesta ambasciata americana sembrerebbe che, nutrendo la stessa ambasciata preoccupazioni, essa ne abbia già a varie riprese parlato con rappresentanti del Governo italiano. Sembrerebbe anche da tale telegramma che, tra le varie risposte dei rappresentanti italiani, si sia menzionata la possibilità che vengano anticipati gli impegni di spesa prima che siano effettivamente decisi gli stanziamenti per i prossimi anni. In altre parole, la prima metà dei 250 miliardi supplementari presunti per il 1952-53 potrebbero giocare a riempire il vuoto nel secondo semestre 1951-52. Questa non sembra, peraltro, ancora al Dipartimento di Stato una soluzione abbastanza rassicurante, sopratutto nei riguardi della presentazione dei dati al Congresso che, come detto sopra, è motivo di seria e sincera preoccupazione. Si osserva infatti che non ha importanza oggi che si manifesti un «vuoto» alla fine del previsto ciclo di produzione militare e cioè nel 1954: ciò che preoccupa oggi vivamente l'Amministrazione, è che tale «vuoto» si manifesti ufficialmente nel prossimo anno fiscale rendendo molto meno efficace la perorazione del caso italiano in Congresso.

Ho ritenuto doveroso segnalare tali osservazioni del Dipartimento, fatte nello spirito più amichevole, per opportuna notizia dei nostri Enti competenti. Il Dipartimento ha anche aggiunto che, rimanendo sempre ferma la regola secondo cui i negoziati sugli aiuti economici e militari debbono continuare a svolgersi a Roma, si augura che nei contatti costà una formula adeguata verrà escogitata. Esso si è riservato peraltro di ritornare sull'argomento con questa ambasciata dopo che saranno giunte qui nuove notizie, richieste al riguardo a codesta ambasciata americana.

459 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

460

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 6952/112. Bad Godesberg, 7 giugno 1951, ore 21 (perv. ore 8 dell'8).

Capo protocollo von Herwarth informatomi oggi che Adenauer, dopo giornata martedì destinata visita Pontefice, gradirebbe rimanere ancora due giorni Roma titolo strettamente privato per poter visitare città. Ripartirebbe in automobile venerdì mattina calcolando due giorni per suo ritorno Germania.

Dal modo come questa comunicazione mi è stata fatta mi è apparso evidente scrupolo cancelliere federale non permanere Roma oltre soggiorno ufficiale senza consenso e gradimento Governo italiano. Ho risposto von Herwarth che il Governo avrebbe certamente apprezzato delicatezza passo da lui compiuto assicurandolo stesso tempo che esso non poteva che compiacersi ed anzi apprezzare desiderio cancelliere federale conoscere meglio nostro paese.

Von Herwarth mi ha anche fatto parte desiderio cancelliere aver più pieni poteri per conversazioni con presidente del Consiglio e V.E. di quel che a prima vista sembra ricavarsi da programma ufficiale. Egli vorrebbe infatti aver margine sufficiente per poter illustrare ampiamente principali problemi interessanti situazione anche interna Germania ed ottenere ampi ragguagli pensiero italiano su problemi internazionali attuali sui quali Germania è ancora scarsamente orientata per effetto isolamento diplomatico in cui si è finora trovata1 .

460 1 Con T. 80 dell'11 giugno Zoppi comunicava di assicurare che era già stata prevista la possibilità di altri incontri sia con De Gasperi che con Sforza.

461

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 6955/121. Teheran, 7 giugno 1951, ore 22 (perv. ore 9,15 dell'8).

Ho veduto stasera presidente del Consiglio Mosaddeq al quale ho tenuto linguaggio conforme alle istruzioni di V.E. contenute nei suoi telegrammi 16 e 181, sottolineando particolarmente interesse Italia a consolidare Stato persiano cui situazione nei confronti Turchia e paesi Arabia tocca da vicino problemi Mediterraneo orientale per noi di vitale importanza.

Mosaddeq mi ha detto era assai grato queste dichiarazioni e mi assicurava che tutta sua azione politica è diretta appunto a garantire da ogni lato indipendenza effettiva Persia.

Egli non ha alcun spirito di ostilità verso alcuno, mi ha aggiunto, e meno che mai impero britannico e particolarmente poi verso Governo Attlee delle cui attuali difficoltà parlamentari anche rispetto alla crisi persiana egli si rende perfettamente conto. Ma sia pure in tale spirito egli Mosaddeq è fermamente deciso a risolvere questione petroli in maniera che si chiuda definitivamente periodo ingerenza straniera in Iran «e questo discorso vale per tutti perché nazionalizzazione vige per legge intero territorio Stato» ha concluso.

Presidente ha poi accennato negoziato con Anglo-Iranian che si inizierà prossimi giorni e che egli è deciso condurre entro i termini della legge nazionalizzazione accettata come base da Morrison.

Gli ho allora a titolo personale parlato della esperienza da noi fatta con A.G.I.P. nel senso mio telegramma n. 1162. Mosaddeq che già conosceva mia conversazione al riguardo con Ala mi ha risposto subito come nulla può essere più gradito al suo Governo che poter contare nel negoziato stesso ed in vista prossimo accordo sulla collaborazione pratica Italia. Egli mi ha anzi autorizzato a dire che questa è una sua idea e che egli stesso ha preso tale iniziativa. Concretamente Mosaddeq chiede che un [dirigente] A.G.I.P. esperto nell'organizzazione di quell'ente statale sia come legislazione e metodo seguito per mantenere gestione statale ricerche e sfruttamento petrolio e metano e sia come accordo ed intesa per cooperazione tecnica con società britannica ed americana pervenga urgentemente in aereo Teheran con tutta documentazione necessaria. Presidente del Consiglio mi ha assicurato darà istruzioni questo ministro affari esteri perché apertosi negoziato con Anglo-Iranian esperto A.G.I.P. possa assistere tali trattative come invitato da Governo persiano.

A mia domanda presidente Mosaddeq mi ha detto che non solo tale intervento ed assistenza non debbono avere carattere segreto ma che egli trova giusto se Governo Roma approva proposta che britannici ne siano lealmente informati perché si trat

2 Del 5 giugno, non pubblicato.

ta appunto di facilitare e non di complicare il negoziato. Dirigente A.G.I.P. dovrebbe partire fra tre o quattro giorni in modo essere qui inizio stesso negoziato. Tale urgenza sembra anche a me necessaria; documentazione completa legislativa poi seguirà con successivo aereo.

Presidente nel ringraziarmi cordiale cooperazione nell'interesse accordo mi ha domandato informarlo appena possibile se V.E. approvi sua predetta richiesta.

Di quanto sopra trattandosi per ora di contatti personali mi riserverei informare ambasciatori britannico ed americano quando e se V.E. lo approverà3 .

461 1 Vedi DD. 441 e 452.

462

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE IN AMERICA LATINA

TELESPR. 11/08740/C. Roma, 7 giugno 1951.

Dall'esame degli allegati al presente telespresso1 codesta ambasciata rileverà come la questione in oggetto2 sia sempre rimasta impostata dinanzi alle Nazioni Unite e all'opinione pubblica mondiale; come il concetto della revisione, rimasto in sospeso dal punto di vista giuridico, abbia continuato a fare notevoli progressi nella coscienza internazionale; come sia ora urgente affrontare nuovamente il problema nel suo insieme e non limitatamente alle clausole militari.

2. -Si sta ora preparando infatti il trattato di pace con il Giappone, che sarà ispirato a ben maggior liberalità di quello italiano. Per quanto l'Italia concordi con tale spirito liberale, pure non può non preoccuparsi, conscia delle limitazioni che sono ancora in vigore nei nostri riguardi, delle conseguenze che susciterebbe nell'opinione pubblica un siffatto generoso atteggiamento delle grandi potenze verso il Giappone. Questo pensiero trova chiara espressione nella parte finale del telespresso inviato all'ambasciata a Washington in data 25 maggio, qui unito per estratto3 . 3. -Va rilevato che, a prescindere dall'atteggiamento favorevole degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Francia, le dichiarazioni contenute nel discorso di Genova del 20 maggio4 hanno avuta vasta eco nella stampa internazionale suscitando un certo fervore di consensi anche nei giornali inglesi, americani e della America latina, come qualche rappresentanza ha segnalato. 4. -La nostra rappresentanza a Washington è stata pregata di sondare il terreno al fine di vedere se non sia possibile che gli Stati Uniti prendano l'iniziativa di intender

2 Il documento reca il seguente oggetto: «Revisione trattato di pace».

3 Vedi D. 433.

4 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 451-471.

si con la Francia e l'Inghilterra perché i tre paesi vengano, congiuntamente, incontro ai nostri desideri.

5. -In pari tempo converrebbe esaminare la possibilità che nell'America latina si prendesse l'iniziativa di un'azione parallela. - 6. -È lecito ora attendersi che da parte degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Francia non venga a mancare l'appoggio ad una iniziativa analoga a quella argentina del 1947. È anche presumibile che la maggior parte degli Stati latino-americani riconfermino, in tale eventualità, l'atteggiamento, a noi favorevole, tenuto nel 1947. Ma è anche presumibile, come ha lasciato intravedere la nostra ambasciata a Santiago, che Stati come il Cile ed il Perù risollevino — per le note questioni con i paesi con essi confinanti — la loro obiezione di principio ad ogni azione tendente alla «revisione di trattati». Trattasi, è vero, di obiezioni di carattere formale che, come riferisce la nostra ambasciata a Santiago5, non infirmano l'adesione cilena a che il «nostro» trattato venga riveduto. - 7. -Le considerazioni di cui al precedente n. 6 consigliano di procedere con le necessarie cautele perché l'iniziativa parta dal paese o da un gruppo di paesi suscettibile di raccogliere il maggior numero di adesioni.

Questo Ministero non può non rilevare in questa occasione che non tutte le nostre rappresentanze dell'America latina hanno riferito sull'azione svolta a seguito del telespresso 21 marzo n. 20/4416/C. 6, pertanto incompleti sono gli elementi di giudizio aggiornati sull'atteggiamento dei vari paesi nella questione che interessa. Comunque quei rappresentanti che hanno riferito in argomento hanno confermato che i paesi dove essi sono accreditati aderirebbero «ad ogni eventuale iniziativa a nostro favore».

6 Vedi D. 312.

8. Sarebbe pertanto desiderabile che gli Stati dell'America latina si consultassero direttamente al fine di ottenere che il più gran numero di essi si uniscano nel presentare alle Nazioni Unite una mozione che inviti le grandi potenze a rivedere il trattato di pace con l'Italia secondo le linee fissate negli allegati al presente telespresso. Qualora fosse possibile ottenere l'adesione di principio dei Governi latino-americani ad un'azione del genere si potrebbe suggerire costà che i vari Governi diano istruzioni alle rispettive delegazioni all'O.N.U. perché procedano d'accordo alla formulazione della mozione, richiedendo, ove lo ritenessero necessario, la cooperazione del nostro osservatore all'O.N.U.

461 3 Per la risposta vedi D. 464.

462 1 Gli allegati non si pubblicano.

462 5 Vedi D. 410.

463

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE 6675. Washington, 7 giugno 1951.

In relazione alla sua lettera del 28 maggio u.s.1, relativa al mio congedo, desidero assicurarla che continuerò, in questi giorni e nelle visite precedenti la mia partenza, ad insistere per avere qualche affidamento, in merito alle questioni che interessano l'Italia e principalmente alla revisione o estinzione morale del trattato di pace.

Non le nascondo che, su questo punto, la situazione non è sostanzialmente mutata rispetto a quella di tre mesi fa.

Nessuno dubita, qui, che il trattato di pace debba essere emendato, non solo per le esigenze del riarmo, ma anche per ragioni morali e per il necessario adeguamento ai previsti trattati con la Germania e col Giappone. Gli studi, che qui si compiono al riguardo, sono condotti seriamente ed in vista di risultati positivi.

Si è, però, tuttora convinti che le conversazioni quadripartite costituiscono un ostacolo pressoché insormontabile al passaggio della questione dal campo dell'esame interno, da parte negli Stati Uniti, a quello internazionale delle trattative con la Gran Bretagna, con la Francia e con noi stessi.

Mi sto adoperando in ogni modo affinché quest'ostacolo sia considerato con minor preoccupazione e non impedisca, per lo meno, un inizio di manifestazione di volontà collettiva, da parte delle tre potenze occidentali. A questo fine, naturalmente, l'atteggiamento di Parigi e di Londra ha un'importanza fondamentale. In proposito occorre anche tener presente che le conversazioni quadripartite vengono continuate proprio per venir incontro ad esigenze politiche anglo-francesi; infatti gli Stati Uniti, per parte loro, le avrebbero lasciate cadere da tempo.

Spero comunque di poterle comunicare qualche cosa di più prima della mia partenza.

463 1 Vedi D. 439.

464

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 4613/20. Roma, 8 giugno 1951, ore 15,30.

Suo 1211 .

In telegramma di questo Ministero n. 182, che integrava raccomandazioni da farsi a codesto Governo secondo istruzioni contenute nel precedente telegramma n. 163, ci siamo espressi nel senso che Governo poteva contare su nostra «amicizia» e «comprensione», evidentemente ai fini di cui al suo 1164 cioè di contribuire se possibile a facilitare distensione rapporti anglo-iraniani e a ricercare compromesso sulla questione petroli. Seguito intervento presidente Truman situazione, almeno vista da qui, è poi apparsa meno tesa, e V.E. ne ha dato conferma con suo 1175. Non è tuttavia nei nostri programmi offrire in questa fase collaborazione tecnica per applicazione progetto nazionalizzazione (ciò che assumerebbe carattere anti-inglese) tanto più dopo atteggiamento americano su stessa questione e dopo quanto segnalato da V.E. con telegramma 1136. A meno che ciò non possa agevolare anche inglesi nelle trattative che stanno per iniziare costì. Voglia presentire dunque suo collega britannico lealmente spiegandogli di che si tratta anche per evitare ogni equivoco in merito nostro atteggiamento.

465

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1627. Belgrado, 8 giugno 1951 (perv. l'11).

Mentre ad alto livello si continua qui a dichiarare che il problema del T.L.T. non è maturo per la sua soluzione, ho l'impressione che tuttavia vi si pensi molto più di quel che non si dica.

Dopo le dichiarazioni a Trieste di Babic e dell'Unione antifascista italo-slovena auspicanti l'indipendenza del Territorio Libero di Trieste, Mates si affrettò a dichiarare che si trattava di una tesi locale divergente dal noto punto di vista del Governo jugoslavo.

2 Vedi D. 452.

3 Vedi D. 441.

4 Del 5 giugno, non pubblicato.

5 Del 6 giugno, non pubblicato.

6 Del 4 giugno, con il quale Cerulli aveva riferito circa lo stato della controversia anglo-iraniana sulla questione della nazionalizzazione del petrolio.

Ma subito dopo, tuttavia, qualche giornalista americano cominciò a diffondere «segretamente» che il Governo jugoslavo si affrettava ad assumere una posizione ufficiale in favore della tesi dell'indipendenza.

Successivamente, il 3 giugno, per converso, questo ambasciatore Bartos che occupa al Ministero una notevole posizione mi comunicava confidenzialmente che questo Governo aveva incaricato codesto ministro Ivekovic e i rappresentanti accreditati presso i Governi firmatari del trattato di pace di comunicare ufficialmente che il Governo jugoslavo era pronto a iniziare trattative dirette con l'Italia per risolvere la questione del T.L.T.

Secondo Bartos, anzi, tale comunicazione doveva essere già stata fatta al momento della nostra conversazione. Viceversa due giorni dopo Mates, cui avevo genericamente accennato alla cosa, me ne smentiva ogni fondamento, aggiungendo che per il momento era prematuro parlare della questione.

Poiché Bartos non è né l'ultimo venuto né estraneo alla politica jugoslava bisogna arguire che per lo meno era stato nelle intenzioni di questo Governo di fare una tale comunicazione.

È probabile che si fosse pensato alla sua opportunità in vista della ventilata riunione dei quattro ministri degli esteri nel prossimo luglio, o quantomeno per dimostrare agli anglo-americani la buona volontà del Governo jugoslavo.

Senza dire che con la comunicazione ufficiale del punto di vista jugoslavo, del resto già noto, si cercava forse di mettere in mora il Governo italiano di fronte all'opinione pubblica mondiale.

Le intenzioni ed i propositi jugoslavi potrebbero anche in un certo senso non preoccupare se si potesse conoscere fino a qual punto essi sono manovrati dagli anglo-americani.

Non è presumibile che questi ambasciatori di America e di Gran Bretagna che tanto si sono agitati per migliorare i rapporti greco-jugoslavi restino ora indifferenti e inattivi alle questioni italo-jugoslave, specialmente nel momento in cui è sul tappeto il riarmo della Jugoslavia.

In proposito l'ambasciatore Peake è diventato in questi ultimi tempi riservato e reticente.

Per quanto riguarda Allen ho l'impressione che si stia occupando del problema. Dopo i suoi viaggi a Trieste e Gorizia egli conosce la questione certamente meglio di qualche mese fa. Non escluderei che in proposito egli abbia anche conversato con questi dirigenti. In occasionali conversazioni egli mi ha accennato, forse per fare la parte del diavolo, a vari argomenti cari alle tesi jugoslave.

Recentemente poi è passato da Belgrado il consigliere americano presso la

A.M.G. di Trieste, signor Unger. So che, accompagnato da Allen, ha avuto un colloquio con questo ministro aggiunto Mates. Del tenore del colloquio nulla so, ad eccezione che si è parlato dell'eccessivo numero di profughi che confluiscono a Trieste. Ho colto l'occasione per invitare sia Allen che Unger a colazione. Dopo colazione si è naturalmente parlato di Trieste.

Avendo io fatto un accenno ad Allen sulla difficoltà di penetrare le vere intenzioni jugoslave circa la soluzione del problema del T.L.T., Allen mi ha espresso in proposito la sua opinione.

Secondo Allen, gli jugoslavi sarebbero disposti a lasciare all'Italia una parte della Zona B contro una rettifica di frontiera nella Zona A. Allen ha accompagnato il suo dire tracciando un rudimentale schizzo del T.L.T.

Da esso risultava che gli jugoslavi sarebbero in definitiva disposti a cedere Capodistria, Isola e Pirano, mentre la nuova frontiera sarebbe delimitata dal fiume Dragogna. Della Zona A dovrebbero passare alla Jugoslavia i Comuni orientali in maggioranza slavi.

Unger si è affrettato a richiamare l'attenzione di Allen affinché io non interpretassi tale soluzione come una base di trattative.

Allen mi ha allora confermato che si trattava della sua opinione personale, alla quale tuttavia egli aveva premesso di «essere sicuro» che gli jugoslavi accederebbero a tale definitiva soluzione.

Se la conversazione di Allen può rappresentare un interessante indizio di una possibile evoluzione della tesi jugoslava, non posso d'altra parte non segnalare che ultimamente sono partite da organizzazioni varie e da uomini politici della Zona B dichiarazioni e messaggi con i quali si è affermato che quelle terre non torneranno mai più all'Italia.

Non bisogna tuttavia porre limiti al «possibilismo» jugoslavo di cui questo Governo ha dato in questi ultimi tempi notevoli prove.

Non mancherò di riferire a V.E. ogni altro elemento di cui venissi in possesso1 .

464 1 Vedi D. 461.

466

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7054/373. Parigi, 9 giugno 1951, ore 20,50 (perv. ore 21,30).

Mi sono recato da Alphand e gli ho esposto e illustrato istruzioni di V.E.1 . Alphand dopo aver nuovamente e vivamente insistito su note ragioni politiche urgente necessità testi, mi ha detto desiderare fosse ben chiaro carattere non impegnativo testi da lui richiesti, che sarebbero rapporto su stadio lavori con allegato avant-progetto trattato quale risulta attualmente dopo discussioni Conferenza.

Gli ho risposto che mie istruzioni erano quelle che gli avevo comunicato e che desiderio V.E. era rimandare redazione qualsiasi testo; che tuttavia avrei nuovamente comunicato suo desiderio a V.E. sembrandomi però in ogni caso dover assolutamente escludere che potesse figurare allegato al rapporto qualsiasi avant-progetto articolato di trattato che si presentasse anche solo formalmente come risultato lavori Conferenza.

Alphand mi ha ringraziato per voler intervenire ulteriormente presso V.E. e, onde darmi tempo ricevere istruzioni, ha rinviato a 14 corr. riunione Comitato direzione che doveva aver luogo questo pomeriggio.

Dato carattere chiaramente non impegnativo che avrebbe rapporto e sembrandomi d'altra parte difficile impedire (prevedibilmente da soli) a presidente far redigere a Conferenza dopo quattro mesi riassunto lavori, permettomi pregare V.E. voler ove possibile autorizzarmi per 13 corr. comunicare Alphand che, date sue insistenze ed estremo interesse che Francia annette questione, non ci opporremmo a redazione rapporto, purché non vi sia allegato alcun testo di progetto di trattato che figuri come elaborato comune delle delegazioni2 .

465 1 Questo documento, unitamente al D. 482, venne trasmesso da Sforza a De Gasperi il 19 giugno (vedi D. 481).

466 1 Vedi D. 456.

467

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7060/124. Teheran, 9 giugno 1951, ore 22 (perv. ore 7 del 10).

Telegramma di V.E. n. 201 giunto indecifrabile e ne chiedo ripetizione con telegramma a parte. Tuttavia desidero subito chiarire che, come comunicai ultima parte mio telegramma 1132, è considerato importante da questa ambasciata britannica ed americana che Iran non possa disporre di personale tecnico per sfruttare pozzi petroli e soprattutto gestione impianti industriali raffinerie. Ciò come mezzo pressione a noti fini. Tale situazione è del tutto diversa da quanto da noi si gradirebbe; e cioè, non già di aver nostri tecnici per assicurare funzionamento industriale; ma di aver un nostro esperto di questioni giuridiche ed organizzative interne dell'A.G.I.P. che fiancheggi negoziato da iniziare con l'Anglo-Iranian. Non ho bisogno di ricordare che tale negoziato ha aspetto formale di una trattativa interna tra Governo persiano e società concessionaria: ma nulla esclude che esso possa restare un tentativo o viceversa assumere altra veste più propizia, e comunque da parte nostra formale sarebbe A.G.I.P. e non Governo a porre sua esperienza a disposizione per facilitare accordo. Tale presenza

A.G.I.P. non solo non dovrebbe avere carattere anti-inglese come è ovvio ma dovrebbe essere previamente gradita all'Anglo-Iranian. E come noto A.G.I.P. non solo è nei migliori rapporti con l'Anglo-Iranian ma ha costituito mesi fa una Società federativa con Anglo-Iranian e dovrebbe avere mezzo per assicurare Londra scopo sua adesione eventuale richiesta persiana. Tale sondaggio sarebbe forse preferibile però farlo non qui dove situazioni politiche sono complicate da situazioni personali delicate di questi ambienti anglo-iraniani ma a Roma o a Londra. Comunque si potrebbe forse pen

2 Vedi D. 464, nota 6.

sare anche a capovolgere ordine richiesta persiana cui mio telegramma 1213 inviando per ora qui un memoriale dell'A.G.I.P., con legislazione nostra su organizzazione tale ente e notizie sui suoi accordi con società estere perché anche queste agiscano (qui Anglo-Iranian ha appunto citato intese con A.G.I.P. per raffinerie porto Marghera) e riservarsi poi decidere successivamente a negoziati iniziati eventuale invio nostri esperti e sondaggi effettuati. Del memoriale ovviamente A.G.I.P. potrebbe dare dirette notizie sua consorella Londra. Quanto situazione generale qui localmente come ho riferito vi è qualche segno iniziale di distensione ma nel complesso come è d'altronde spiegabile vi è più ottimismo fuori dell'Iran che qui. Ad annunzio arrivo brigata paracadutisti britannici Cipro stanno corrispondenti esercitazioni dimostrative truppe sovietiche appoggiate aviazione lungo frontiera fiume Arass continuando così da parte russa a sottolineare parallelismo due azioni4 .

466 2 Vedi D. 471.

467 1 Vedi D. 464.

468

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1066/592. Ankara, 9 giugno 1951 (perv. il 14).

Ho avuto occasione d'intrattenermi a più riprese col ministro degli esteri Fuad Köprülü sull'attuale fase della questione relativa all'entrata della Grecia e della Turchia nel gruppo atlantico. Il ministro mi ha detto di aver ricevuto un messaggio da Morrison, al quale però non ha ancora risposto. Evidentemente l'Inghilterra cerca di evitare che il risentimento della Turchia si accentui contro di essa, pur senza prendere, da quanto mi ha fatto comprendere il ministro, alcun impegno preciso. Permane perciò una situazione non chiara ed il Governo turco, col ritardare la risposta al messaggio del ministro degli esteri britannico, intende far sentire il suo malcontento.

La mia impressione tuttavia è che il ministro Fuad Köprülü sia piuttosto ottimista sull'esito dell'iniziativa americana, ancorché questa stampa continui la campagna contro l'Inghilterra, sostenendo che la dichiarazione di Morrison ai Comuni in data 30 maggio u.s. non ha portato alcun elemento nuovo, e permanga perciò il sospetto che l'atteggiamento britannico non sia mutato. Ma in questi ultimi tempi i contatti tra il Ministero degli esteri turco e l'ambasciata britannica si sono fatti più frequenti. L'8 corrente l'incaricato d'affari britannico signor Scott Fox ha partecipato a una riunione presso gli esteri presieduta dal ministro Fuad Köprülü e alla quale sono intervenuti i funzionari di grado superiore dello stesso Ministero degli esteri. Il che dimostra che il problema è allo studio. Sull'esito di tali contatti mi riservo di assumere informazioni.

4 Con T. segreto 4726/23 del 12 giugno Zoppi comunicava: «Del contenuto suo 124 è stata informata questa ambasciata britannica cui è stato anche detto che V.E. avrebbe preso contatto con codesto rappresentante inglese».

Il motivo più grave di preoccupazione è il dubbio che l'U.R.S.S. eserciti copertamente accentuate pressioni per impedire l'ingresso della Turchia nel gruppo atlantico. Il sospetto è stato ravvivato da alcuni accenni fatti confidenzialmente da questo ambasciatore sovietico a un collega del corpo diplomatico verso la fine della settimana scorsa e precisamente all'indomani del passo anglo-franco-americano a Mosca per affrettare la riunione dei quattro ministri degli esteri a Washington. Lavrichtchev, riferendosi a tale passo, affermò che l'U.R.S.S. non vi avrebbe acconsentito, ma avrebbe chiesto che continuassero le conversazioni tra i sostituti a Parigi per ottenere l'inclusione nell'ordine del giorno sia del problema del Patto atlantico sia di quello delle basi americane in Europa. Lavrichtchev concludeva di non condividere perciò l'ottimismo del suo collega sulla prossima entrata della Grecia e della Turchia nel gruppo atlantico, perché l'Inghilterra non avrebbe certamente voluto aggravare la situazione aderendo in questo momento alla proposta americana in favore di tale inclusione.

Fuad Köprülü è stato subito informato di tali dichiarazioni di Lavrichtchev e me le ha riferite. Ne ho avuto poi conferma dallo stesso collega al quale Lavrichtchev le aveva fatte. Il tono di sicurezza con cui l'ambasciatore sovietico ha espresso il suo convincimento ha fatto sorgere il sospetto che le preoccupazioni, più volte manifestate dal Governo britannico e da quello francese, che l'adesione della Turchia al Patto atlantico possa essere considerata dal Governo sovietico una minaccia alla sua sicurezza, siano il risultato di un preciso atteggiamento del Cremlino e che questo abbia potuto far conoscere tale suo modo di vedere sia a Londra che a Parigi.

Sopratutto è sorto il dubbio che la manovra sovietica, nelle riunioni dei sostituti a Parigi, per ottenere che siano iscritte all'ordine del giorno della riunione dei Quattro tanto la questione del Patto atlantico quanto quella delle basi americane in Europa, miri, tra l'altro, a bloccare l'ingresso della Turchia nel gruppo atlantico.

Se questi dubbi sono giustificati è evidente la necessità di raddoppiare le pressioni sul Governo britannico per indurlo ad aderire senza ulteriori indugi alla proposta americana. È quanto il Governo turco si propone di fare, mettendo Londra di fronte alle conseguenze che deriverebbero da un suo rifiuto o da un suo ritardo nel-l'aderire. Accennai nel mio precedente rapporto che il Governo britannico rischia, scontentando la Turchia, di perderne definitivamente la collaborazione sia nel fronte atlantico sia in quello del Medio Oriente. Sulla ferma determinazione del Governo turco di attenersi a una politica di neutralità armata, qualora non si addivenga prossimamente a una soluzione del problema della garanzia, è stato con me particolarmente esplicito il ministro Fuad Köprülü. Questi mi ha confermato che, in caso di rifiuto della proposta americana, la sua posizione diventerebbe insostenibile. Già oggi, come riferisco dettagliatamente più appresso, l'opposizione contro di lui, negli stessi ranghi del suo partito, è assai forte. Se egli ha potuto tenervi fronte finora, ciò si deve alla sua indubbia autorità. Fuad Köprülü è uno dei fondatori del partito democratico e, dopo Adnan Menderes, la più forte personalità del Governo. Questa sua eccezionale influenza egli l'ha spesa per sostenere la causa degli Alleati. Se la sua politica non ottiene il risultato voluto, se cioè è dimostrato che tutti gli sforzi compiuti da due anni a questa parte per accogliere la Turchia in un sistema di sicurezza accanto alle altre potenze occidentali sono vani, non rimarrà al Governo che cambiar strada e certamente non sarà Fuad Köprülü, una volta fallita la sua politica, che potrà mutare orientamento. Non gli rimarrà perciò che andarsene. Me lo ha detto e ripetuto nettamente. Evidentemente resteranno i vincoli di collaborazione, sulla base della dottrina Truman e del piano Marshall, sia con la missione militare americana che colla missione E.C.A.; permarrà altresì l'alleanza con l'Inghilterra e la Francia. Ma cosa varranno questi legami di fronte al sentimento di delusione, di amarezza, di ostilità di tutta l'opinione pubblica? Una cosa è certa, ed è che la Turchia si asterrà dall'assumere impegni di alcun genere e tanto meno dal prestare agli Alleati le sue basi. Su questo punto il ministro Fuad Köprülü è stato con me categorico.

«La mancata collaborazione della Turchia — mi ha detto il ministro — renderà impossibile la difesa sia del Medio Oriente, sia del Mediterraneo, sia dei Balcani, sia della stessa Africa. La conseguenza sarà un indebolimento dell'Alleanza atlantica e una svalutazione del Patto che ne è alla base. Ad esempio, la Jugoslavia difficilmente si deciderà ad aderirvi, dato che non si sentirà sufficientemente garantita. Ma il risultato più grave della mancata ammissione della Turchia al gruppo atlantico sarebbe che in tutto il mondo questo fatto verrebbe considerato come il più clamoroso successo della Russia, e cioè come una resa dei paesi occidentali alle imposizioni sovietiche. L'U.R.S.S. ne trarrebbe il più formidabile argomento per la sua crociata della pace e per far dilagare in tutti i paesi la politica di neutralità da essa auspicata. Se ciò dovesse avvenire, sarebbe stato assai meglio per gli Stati Uniti non sollevare ora la questione e sopratutto astenersi dalla pubblicità che lo stesso Governo americano ha dato alla sua iniziativa. Ma, ora che si è impegnato, non può più retrocedere, senza subire le più gravi conseguenze di un suo insuccesso, con danno incalcolabile del suo prestigio e della sua politica».

Tali dichiarazioni, che riferisco testualmente, costituiranno senza dubbio il nocciolo delle istruzioni impartite da Fuad Köprülü ai suoi rappresentanti a Washington e a Londra.

Siamo ormai al punto culminante di questa lunga e delicata azione diplomatica. I turchi sono convinti, come ho detto, che i russi metteranno in opera tutte le possibili pressioni per impedire che il fronte militare del gruppo atlantico si saldi alle loro frontiere e li minacci con le sue basi avanzate nella Tracia e in Anatolia. A queste pressioni la Turchia risponde giuocando la sua carta decisiva, e cioè ammonendo i paesi occidentali sulle conseguenze di una sua politica di stretta neutralità. La scelta s'impone. Fino ad oggi i paesi atlantici hanno cercato di sottrarsi a una decisione tergiversando: ora non più.

Né si creda che le dichiarazioni di Köprülü siano una mera manovra per impressionare. La verità è che l'atmosfera nel paese è assai tesa. Lo ha dimostrato la riunione del gruppo parlamentare del partito democratico del 5 corrente, nella quale per circa sei ore è stata discussa, con toni vivacissimi e con critiche quasi sempre assai aspre, la politica estera del Governo e in particolare il problema dell'adesione turca al Patto atlantico. La nota saliente di tale dibattito è stata la raccomandazione al Governo di astenersi ormai da ogni nuovo passo, perché la dignità della Turchia non lo consente. Da più parti si è insistito perché, dinanzi all'incomprensione dei paesi europei, la Turchia adotti una politica di neutralità armata. E poiché agli oratori che sostenevano tale tesi il ministro Fuad Köprülü ha obiettato che tale linguaggio era quello adoperato da Radio Mosca, ne è sorto un incidente e il ministro ha dovuto spiegare che la sua affermazione non conteneva alcun proposito offensivo.

La gravità della situazione è nel fatto che le critiche e le resistenze predette vengono, come ho detto, dallo stesso partito governativo, il quale ha cercato di far dichiarare al ministro degli esteri quale politica il Governo intende seguire qualora il rifiuto di accogliere la Turchia nel Patto atlantico spingesse l'opinione pubblica turca a voler adottare una politica di neutralità armata. Il ministro si è astenuto dal rispondere, ma la risposta è stata chiaramente data da un largo numero di deputati e calorosamente sostenuta da gran parte della stampa.

467 3 Vedi D. 461.

469

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7117/15. Amman, 11 giugno 1951, ore 19,25 (perv. ore 23). Suo 141.

Ho fatto questa mattina visita al ministro degli esteri allo scopo di comunicargli le istruzioni di V.E. relative alla custodia dei Luoghi Santi e alla codificazione delle norme sui Luoghi Santi stessi.

Il ministro degli esteri ha preso atto della mia comunicazione. Egli ha fatto al riguardo presente — pur avvertendo di parlare a titolo personale — di essere sempre stato contrario alla nomina del custode.

Analogo passo è stato anche stamane compiuto dal ministro di Francia col quale mi ero previamente inteso.

A quanto mi viene poi riferito il ministro di Giordania in Ispagna sarebbe entrato in rapporti col nunzio pontificio a Madrid al fine di trovare una formula che desse le debite garanzie alla Santa Sede nei riguardi della tutela degli interessi dei cattolici sui Luoghi Santi2 .

2 Per il seguito della questione vedi D. 492.

469 1 Vedi D. 455.

470

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, DOMINEDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 11 giugno 1951.

Ho ricevuto stamane alle ore 13 il ministro di Jugoslavia, il quale aveva chiesto di vedermi con sollecitudine.

Egli mi ha dichiarato di dover avvertire il Governo italiano che la Jugoslavia trovasi nella necessità di opporsi alla nostra proposta di revisione del trattato di pace. E ciò per il motivo che un'eventuale revisione potrebbe rappresentare, ad avviso del Governo jugoslavo, una incrinatura nel sistema, costituendo «precedente» anche agli effetti di una possibile richiesta di revisione di altri trattati (paesi satelliti).

In vista di ciò, il Governo jugoslavo ha già fatto passi presso i paesi firmatari del trattato di pace con l'Italia, esclusa la Russia, facendo presente questo suo apprezzamento. I maggiori paesi (U.S.A., Inghilterra, Francia) verrebbero avvertiti proprio «in questi giorni».

Ho risposto che avrei riferito quanto di dovere, con riserva di eventuali comunicazioni. Ed ho soggiunto, sia pure a titolo personale, che non vedevo come si potesse costituire il «precedente», considerando la ben diversa situazione dell'Italia rispetto ai paesi satelliti: al che lo stesso ministro di Jugoslavia ha riconosciuto trattarsi di «altra cosa».

Tuttavia, egli ha insistito sull'esigenza di non creare alcuna turbativa dell'attuale situazione la quale potrebbe essere sfruttata dai paesi satelliti con pericolo della causa comune della «pace».

Ha concluso, dichiarandosi particolarmente desideroso di sottolineare:

a) l'intenzione «amichevole» con cui ha compiuto il passo, sia volendoci rendere edotti dell'iniziativa presa dal Governo jugoslavo, sia volendo metterci a parte delle ragioni che l'hanno determinata;

b) che comunque la maggiore questione pendente tra l'Italia e la Jugoslavia, e cioè Trieste, deve considerarsi assolutamente indipendente dalla presente iniziativa, restando ben fermo che il problema è sempre suscettibile di essere risolto, «mediante negoziati diretti fra i due paesi», ai quali il Governo jugoslavo si considera anche attualmente pronto.

471

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI, A PARIGI

T. SEGRETO 4752/294. Roma, 12 giugno 1951, ore 22.

Ambasciatore di Francia è qui intervenuto ieri per appoggiare richiesta Alphand1 . Gli è stato risposto con stessi argomenti di cui telegramma n. 2812 ma con riserva esaminare ancora questione.

Dato che francesi dimostrano annettervi tanta importanza confermole suggerimenti telefonici Venturini nel senso che siamo disposti consentire che Segreteria Conferenza presenti qualcosa di più di una relazione su lavori svolti. Il documento potrebbe consistere in organico riassunto verbali seduta; in rassegna problemi istituzionali, finanziari, militari finora esaminati concludendo col fissare i progressi compiuti e soluzioni prospettate.

Noi abbiamo interesse a non apparire antitetici ai francesi. Si regoli in conseguenza pur tenendo presente quanto precede e parlando in tal senso Alphand.

472

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7412/55. Ankara, 14 giugno 1951, ore 21,25 (perv. ore 8 del 15).

Questo Ministero esteri mi ha consegnato oggi promemoria diretto da Governo turco a Governi paesi minori N.A.T.O. e per conoscenza a Governi americano, francese, inglese e italiano. In esso Turchia, nel riferirsi sua collaborazione organismi europei e desiderio integrarsi difesa Europa, comunica Governi destinatari che essa considererebbe prova di amicizia durevole accettazione pronta e senza riserve a proposta americana inclusione Turchia nel Patto atlantico.

Invio testo per corriere1 .

2 Vedi D. 456. 472 1 Non pubblicato.

471 1 Vedi D. 466.

473

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 4829/25. Roma, 15 giugno 1951, ore 16.

Mio telegramma n. 231 .

Governo britannico ha fatto conoscere suo gradimento esprimendo fiducia collaborazione A.G.I.P. possa agevolare ricerca soluzione. Pregola pertanto informare codesto Governo che Carafa vice presidente A.G.I.P. sarebbe disposto recarsi costì e potrebbe partire per Teheran appena ricevuta conferma da parte codesto Governo. Come noto Carafa è esperto in tutte materie che possono interessare codesto Governo.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

TELESPR. 1031 SEGR. POL. Roma, 15 giugno 1951.

Riferimento: Telespresso V.S. n. 1625/693 dell'8 corrente1 e lettera segretario generale n. 926 del 4 giugno u.s.2 .

Qualora ella lo giudichi opportuno, potrà far presente costì il nostro suggerimento di una dichiarazione italo-greca-jugoslava intesa ad affermare il rispetto della indipendenza e della integrità dell'Albania.

Con l'occasione, ella vorrà aggiungere che noi saremmo disposti a chiedere alla Bulgaria di associarsi alla dichiarazione suddetta, e ciò al fine di togliere un'eventuale arma, se non altro propagandistica, a future possibili manovre sovietiche in tale delicato settore, come sembrano temere gli jugoslavi.

2 Vedi D. 453.

473 1 Vedi D. 467, nota 4. 474 1 Non rinvenuto.

475

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

L. PERSONALE 6971. Washington, 15 giugno 1951.

Mi riferisco alla tua lettera 945 del 6 corr.1 .

Condivido le tue preoccupazioni ed il tuo convincimento che sia necessario sorvegliare attentamente la situazione del Vicino Oriente. Sono inoltre d'accordo con Quaroni nella sua valutazione di essa2 .

In realtà, come bene osserva Quaroni, la situazione è effettivamente così intricata da non consentire agli Stati Uniti di adottare rapidamente una politica ardita e costruttiva.

Gli Stati Uniti non sottovalutano l'importanza degli avvenimenti iraniani. È bensì vero che i funzionari addetti alle questioni del Vicino e Medio Oriente sul «piano operativo» (come si dice qui) registrano con soddisfazione la relativa distensione verificatasi in questi ultimi giorni, mentre, d'altra parte, non notano nessun sintomo immediatamente inquietante nei paesi arabi, la cui attenzione sembra interamente assorbita dai contrasti con Israele.

Al tempo stesso, però, quei dirigenti del Dipartimento di Stato che, per la natura del loro ufficio, guardano più lontano, si rendono ben conto della gravità della situazione iraniana e delle sue possibili conseguenze in più vasto raggio.

Non si crede qui che l'U.R.S.S. intenda metter la mano subito e brutalmente sul petrolio dell'Iran. Si pensa infatti ch'essa non abbia i mezzi di trasporto occorrenti a ricevere tutto il petrolio iraniano e che inoltre tema, in caso di avvenimenti drammatici, il sabotaggio degli impianti da parte inglese. Si sa però che il petrolio è uno dei prodotti di cui l'U.R.S.S. maggiormente paventa la scarsità in caso di guerra e si ritiene che perciò essa intenda assicurarsi un graduale approvvigionamento di quello dell'Iran, attraverso un'azione politica, la quale potrebbe anche consistere nello sfruttamento di vicende sorte senza diretto intervento sovietico. Si è quindi, qui, assai attenti nel sorvegliare gli avvenimenti e nel seguire tutte le piste, comprese le più ... romanzesche. (So, ad esempio, che i servizi americani stanno sorvegliando le mosse del pretendente al trono dell'Iran, appartenente alla dinastia deposta dai Pahlevi. Costui vive a Parigi ed è, si dice, sotto l'influenza sovietica).

Il passaggio, però, da questa vigilanza ad un'azione concreta è estremamente difficile. Agli Stati Uniti era sembrato che il primo passo potesse consistere nell'inclusione della Grecia e della Turchia nel Patto atlantico. Tu hai visto quanti ostacoli sono stati a ciò frapposti. Nella migliore delle ipotesi quell'inclusione richiederà dei mesi. Frattanto, non si rifiuta qui di considerare (ed anzi si studia attivamente) qualche altra soluzione. Peraltro, alla rapida creazione di un organico sistema difensivo nel Vicino Oriente ostano da un lato la riluttanza dei paesi arabi nonché il complesso

2 Vedi D. 406.

gioco delle influenze britanniche e francesi e dall'altro l'impossibilità per gli Stati Uniti di assumere nuovi e vasti impegni economico-militari.

In conclusione, il Vicino Oriente è oggetto della massima attenzione da parte degli Stati Uniti, come mi è stato del resto confermato anche recentemente da McGhee e da Perkins, ma l'inquadramento di esso da parte degli Stati in un piano politico preciso è tuttora in una fase embrionale.

475 1 Non pubblicato.

476

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO. Roma, 16 giugno 1951.

Ho convocato l'ambasciatore di Persia e gli ho detto che non avevamo risposto alla sua richiesta di tecnici ed esperti da mettere eventualmente a disposizione del suo Governo in materia di petroli perché, nel frattempo, il nostro ambasciatore a Teheran aveva avuto un colloquio con il primo ministro Mosaddeq1. Nel corso di tale colloquio, constatate le relazioni di amicizia esistenti fra l'Italia e l'Iran era stato esaminato come tale amicizia avrebbe potuto riuscire di giovamento nell'attuale situazione. Fu così evocata l'esistenza in Italia di una Società statale A.G.I.P. per i petroli e il presidente Mosaddeq mostrò interesse a conoscere la configurazione giuridica e finanziaria e la organizzazione amministrativa di tale ente, nonché i suoi rapporti ed accordi con Società estere.

L'ho informato che, aderendo a tale richiesta, l'A.G.I.P. è disposta ad inviare in missione a Teheran il conte Carafa d'Andria2 che, per la esperienza acquisita in molti anni di lavoro nel campo italiano e internazionale dei petroli, è in grado di rispondere a tutti i quesiti che potrebbero venirgli posti dal Governo persiano.

Ho aggiunto che attendevamo conferma da Cerulli3 per far partire il Carafa e che ne avremmo lealmente informato gli inglesi anche per evitare false interpretazioni dell'intervento dell'A.G.I.P.

476 1 Vedi D. 461. 2 Vedi D. 473. 3 Vedi D. 479.

477

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALLE RAPPRESENTANZE NEI PAESI DELL'ALLEANZA ATLANTICA

TELESPR. 2/1046/C. SEGR. POL. Roma, 17 giugno 1951.

Questo Ministero è venuto nella determinazione di chiarire ai vari Governi membri del N.A.T.O. il proprio punto di vista in merito alla ammissione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico, e di spiegare i motivi per i quali il Governo italiano è da tempo in massima favorevole a tale ammissione.

L'E.V. (S.V.) vorrà quindi consegnare l'unito memorandum, con allegata copia in lingua inglese ove ciò sia ritenuto utile e opportuno, a codesto Governo.

Il sostituto italiano nel Consiglio atlantico vorrà analogamente darne copia all'ambasciatore Spofford e ai suoi colleghi.

ALLEGATO

MEMORANDUM

Il Governo italiano ritiene necessario chiarire agli altri Governi partecipanti al Patto atlantico il proprio punto di vista in merito alla ammissione della Turchia e della Grecia al N.A.T.O. e spiegare i motivi che gli hanno fatto considerare con favore tale ammissione fin dal principio.

Gli scopi e l'organizzazione del Patto atlantico essendo esclusivamente difensivi ed il Patto proponendosi di garantire i paesi associati contro il pericolo di una aggressione esterna, è evidente che è solo per questa deprecabile eventualità che il Patto ha creato un sistema difensivo basato sul controllo di determinati punti di importanza strategica, sul potenziamento sino ad un ragionevole livello delle forze armate dei paesi associati e sullo sviluppo della produzione corrispondente a tale potenziamento. È sperabile che tali misure, quanto più andranno perfezionandosi, tanto più si riveleranno idonee non soltanto ad assicurare la difesa del mondo libero, me anche a scoraggiare qualunque velleità criminosa da parte di un qualsiasi aggressore. Per assicurare appunto tale risultato, il Governo italiano ritiene che, nell'esaminare le questioni connesse col Patto, importanza preminente deve essere riconosciuta a tutto ciò che può contribuire ad assicurare le maggiori possibilità di efficace difesa nella deprecata eventualità di una aggressione. Da questo punto di vista non vi è dubbio che il bastione rappresentato dal-l'Asia Minore (Turchia) ha per il settore sud-mediterraneo dell'intero complesso del N.A.T.O., lo stesso valore che il bastione scandinavo ha nel settore nord. La perdita di quel bastione arretrerebbe la difesa atlantica al Mediterraneo centrale, come la perdita del bastione scandinavo arretrerebbe la difesa atlantica alla Manica rendendo, nell'un caso come nell'altro, assai più difficile la difesa del continente europeo e indebolendo tutto il sistema per la perdita di punti di appoggio di estrema importanza strategica.

Di fronte a queste fondamentali considerazioni sembrò al Governo italiano che le questioni di sapere se la Grecia e la Turchia rientrino o meno in stretto senso geografico nell'area atlantica (che ha dato il nome al Patto), o se quei paesi possano o meno avere le caratteristiche storiche e politiche per entrare a far parte della comunità atlantica, perdano gran parte delle loro importanza. Del resto, a nostro parere, l'estensione del Patto alla Turchia ed alla Grecia è aderente al carattere regionale dell'accordo. È poi appena il caso di ricordare che la Grecia ha resistito negli scorsi anni ad una continuata pressione militare alle sue frontiere che ha tenuto per parecchio tempo in armi il mondo libero; e che la Turchia, fatta oggetto ad una ripetuta pressione diplomatica per una nuova sistemazione degli Stretti, non ha ceduto e si è vista costretta dopo di allora a notevoli sacrifici per rafforzare la sua difesa nell'interesse proprio, ma anche di tutto l'Occidente. Né sembra sia da darsi peso eccessivo all'argomentazione che l'inclusione delle Turchia nel sistema difensivo del Patto atlantico possa venire erroneamente interpretata come un atteggiamento offensivo. Noi tutti sappiamo bene che questo non è il caso, e che d'altra parte il mostrarsi timorosi può avere per effetto di incoraggiare sempre più un avversario senza scrupoli, mentre un fermo atteggiamento può avere il benefico effetto di consolidare il mantenimento della pace.

Certo il Governo italiano è per parte sua disposto ad accettare ed appoggiare altre soluzioni, se possibilmente assicurino in altro modo le partecipazione della Turchia e della Grecia alla organizzazione difensiva del mondo libero. Come è noto la possibilità che a questi paesi venga data una garanzia da parte di alcune potenze, ha incontrato serie difficoltà di ordine giuridico costituzionale presso alcuni dei principali Governi interessati: tali garanzie, in quanto già esistono, sono del resto limitate alla Turchia e non contemplano la Grecia. Una proposta che è stata avanzata è anche quella relativa alla costituzione di un Patto, aperto non soltanto alla Turchia e alla Grecia, ma anche ad altri paesi del Medio Oriente. Il Governo ita liano non è contrario in massima a tale proposta. Essa avrebbe senza dubbio il vantaggio di facilitare — per lo meno in seguito — la partecipazione alla difesa del Mediterraneo orientale dei paesi arabi che occupano una importante posizione geografica e strategica in quel settore. Se è vero che tali paesi non costituiscono oggi un importante apporto dal punto di vista delle loro forze armate, è tuttavia da tener presente che nel caso deprecabile di un conflitto che partisse o si estendesse a quel settore, i loro territori diventerebbero inevitabilmente teatro di operazioni belliche. Converrebbe quindi alle potenze occidentali averli sin da ora amici ed alleati. *Sotto questo aspetto il Governo italiano riconosce che la partecipazione della Turchia e della Grecia al Patto atlantico, piuttosto che ad un patto mediterraneo, ha il difetto di rendere più difficile almeno dal punto di vista politico, la organizzazione dei paesi arabi, in quanto non è pensabile né ora né in futuro ad una loro partecipazione al N.A.T.O.*. Tuttavia bisogna anche riconoscere che è perché gli studi per la creazione di un patto mediterraneo si sono pro lungati per molto tempo senza giungere a conclusioni concrete, che si è ritornati e prendere in esame l'ammissione pura e semplice della Turchia e della Grecia nel Patto atlantico.

Da qualche parte è stato chiesto se vi siano ora motivi urgenti per tale esame. Il Governo italiano ritiene che a questa domanda si possa rispondere in modo affermativo, perché nel Medio Oriente sono state prospettate in questi ultimi tempi talune tendenze neutralistiche (dette di «non identificazione», «equidistanza», ecc.) che se dovessero svilupparsi e consoli-darsi sarebbero assai pericolose per l'Europa occidentale in quanto quei paesi non saranno mai in grado di difendere la loro neutralità. È cosa ormai conosciuta che allo sviluppo di tali tendenze ha contribuito anche la delusione creatasi in tali paesi verso il mondo occidentale, che dopo aver inviati molteplici commissioni di studio e formulato promesse varie di assistenza, non ha potuto sino ad ora intervenire in modo efficace per il miglioramento del tenore di vita di quelle popolazioni, né per superare la grave situazione di disagio creata dal conflitto arabo-israeliano tuttora latente.

I recenti avvenimenti in Iran sono anche una conseguenza di questa situazione. Se infatti la Persia è divenuta nuovamente un centro di sommovimento e un motivo di preoccupazione, ciò è dovuto in parte anche alle difficoltà incontrate dall'Occidente nel concretare l'aiuto promesso a quel paese, che pure era riuscito a fare retrocedere la pressione comunista che si era esercitata su alcune delle sue regioni più ricche e strategicamente importanti. Se tale pressione si rinnovasse, noi potremmo a un tratto veder l'aggressore affacciarsi al Mediterraneo attraverso una zona inquieta e mal difesa.

Non è senza profonde ragioni che il precipitare della situazione nell'Iran ha avuto gravi ripercussioni in Turchia, le quale ha visto nella Persia le conseguenze cui può condurre nel Medio Oriente il continuo procrastinarsi di «decisioni» da parte dell'Occidente.

I recenti avvenimenti persiani, oltre a scoramento, hanno introdotto — secondo ri feriscono tutti i rappresentanti italiani nel Medio Oriente — elementi di dubbio e di incertezza negli ambienti responsabili di Ankara e di altre capitali, tanto da far porre in discussione se non convenga cercare rifugio nel campo della neutralità invece che continuare ad invocare garanzie che vengono sempre rinviate. Se dette tendenze neutralistiche oggi affiorano soltanto, è però difficile prevedere quale sviluppo esse potrebbero prendere qualora perdurasse l'attuale stato di incertezza e di malcontento che investe il Levante dal Canale di Suez al Golfo Persico.

Ecco perché nel pensiero del Governo italiano occorrerebbe agire per arrestare tale pericoloso stato d'animo e rafforzare le posizioni dell'Occidente e del mondo libero in tale importante settore. L'ammissione della Turchia e della Grecia al N.A.T.O., sembra il modo più efficace per completare nel Mediterraneo il sistema della difesa europea, iniziando così un processo di cristallizzazione della situazione del Levante, che mantenga il Medio Oriente nel campo occidentale. *Ma se non si prende la via dell'ammissione al N.A.T.O. occorre agire al più presto con altre soluzioni*. La vacillante incertezza attuale non presenta che pericoli per la causa della pace.

477 1 Questa versione del memorandum fu modificata da Sforza che, in seguito alle osservazioni di Gallarati Scotti sulla inopportunità di consegnarlo, decise la soppressione dei due periodi qui riportati tra asterischi. Con T. segreto 7829/339 del 23 giugno l'ambasciatore a Londra aveva infatti scritto: «... Seconda parte memorandum relativa posizione italiana nei riguardi eventuale patto mediterraneo potrebbe essere interpretata come passo indietro rispetto atteggiamento estremamente fermo da noi sempre tenuto per immediata inclusione Grecia e Turchia Patto atlantico ...». Delle modifiche venne data comunicazione a Gallarati Scotti con T. segreto 5152/204 del 24 giugno, e alle altre rappresentanze con T. segreto 5153/C. pari data.

478

L'AMBASCIATORE A IL CAIRO, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 2557/909. Alessandria, 17 giugno 1951 (perv. il 20).

Riferimento: Mio rapporto n. 2030/702 del 14 maggio 19511 .

Alla nota di protesta britannica — di cui accludo per conoscenza copia2 — non si erano sinora associati né gli Stati Uniti né la Francia. Sicché ho ritenuto opportuno attendere.

L'ambasciatore Caffery mi ha a suo tempo spiegato che era suo proposito non farne nulla in quanto egli teneva a conservare una certa posizione di indipendenza e di distacco che gli pareva giovasse — ma credo si faccia molte illusioni in proposito — a quell'opera personale ch'egli va svolgendo per portare su un qualche binario di compromesso la maggiore controversia anglo-egiziana sulle rivendicazioni nazionali.

L'ambasciatore Couve de Murville ha a sua volta detto che riteneva miglior cosa non rinnovare proteste destinate a restar lettera morta, con discapito dunque di chi insiste a inutilmente farle.

Tanto Caffery quanto Couve hanno tuttavia — evidentemente in seguito e nuove pressioni del Foreign Office — ricevuto istruzioni associarsi al passo britannico, ciò che il primo ha fatto ieri e il secondo farà in questi giorni. Affiancherò dunque anch'io il passo occidentale nei termini e nei modi prescrittimi da V.E. con telespresso n. 703 del 5 maggio u.s.3 .

479

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7598/135. Teheran, 19 giugno 1951,ore 12,20 (perv. ore 22). Suo telegramma 251 .

Ho veduto stamane il presidente del Consiglio cui ho comunicato quanto è oggetto del telegramma. Mosaddeq mi ha pregato esprimere a V.E. sinceri ringraziamenti Governo iraniano per gesto amichevole che fa l'Italia nell'interesse accordo in

2 Non pubblicato ma vedi D. 393.

3 Vedi D. 393. 479 1 Vedi D. 473.

questa grave questione. Egli mi ha ripetuto che ammesso principio della nazionalizzazione questo Governo farà il possibile per facilitare un compromesso. Mi si è confidenzialmente dichiarato disposto ad ammettere anche se necessario che esperti stranieri del petrolio siano chiamati a fare parte del Consiglio di amministrazione della futura Società nazionale petroli.

Presidente del Consiglio mi ha vivamente raccomandato che Carafa e Borgucci giungano al più presto tra 2 o 3 giorni al massimo. Si è dichiarato particolarmente lieto venuta Carafa che egli si propone di ricevere subito dopo arrivo qua. Presidente del Consiglio mi ha infine detto che egli comunicherà verbalmente a questo ministro degli affari esteri che sino ad ora non è stato messo al corrente come egli Mosaddeq ha preso l'iniziativa chiedere che vengano qui due dirigenti azienda statale italiana petroli per mettere a disposizione del Governo iraniano nell'interesse di un accordo risultati loro esperienza. Mi ha chiesto di fare anche io in giornata una comunicazione verbale allo stesso ministro degli affari esteri nella stessa forma.

478 1 Non rinvenuto.

480

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, DIANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7619/74. Bruxelles, 19 giugno 1951, ore 22 (perv. ore 12,15).

Van Zeeland mi ha mostrato copia della lettera inviata a V.E. in data 14 cor rente1 e mi ha confermato che egli ritiene opportuno una nuova riunione del Consiglio del Patto atlantico. Ha detto che tutte le date suggerite nella lettera stessa andrebbero ugualmente bene ma occorre che ordine del giorno sia bene preparato.

Ha indicato che la riunione del Consiglio è consona alla normale procedura del Patto e non deve perciò essere interpretata come sintomo di particolari preoccupazioni.

Ha detto che il Governo belga è in linea di massima favorevole all'ammissione della Grecia e della Turchia ma altri Governi fra cui quello dei Paesi Bassi dimostrano ancora qualche esitazione. Sua impressione personale è che tutte le esitazioni saranno superate e tutti si pronunzieranno in senso favorevole. A riguardo riarmo Germania ed opportunità consentire costituzione unità della forza di una divisione, si è richiamato alle notizie pubblicate dalla stampa americana ma non ha voluto dirmi se nel colloquio recentemente avuto con lui generale Eisenhower si sia espresso nello stesso senso. Mi ha detto invece che nel corso della conversazione aveva rilevato conferma della favorevole impressione riportata dal generale per preparazione militare italiana; mentre nei riguardi di taluni altri paesi gli era apparso assai meno soddisfatto.

480 1 Non rinvenuto.

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. SEGRETA1 . Roma, 19 giugno 1951.

Poiché tu segua lo stato delle cose non tanto fra Italia e Jugoslavia quanto al confine fra i due Stati, ti accludo copia di un dispaccio che ho oggi inviato all'ambasciata a Londra2. Dopo scrittolo, ho ricevuto un rapporto di Martino3 da Belgrado, annunziatemi che secondo il suo collega americano gli jugoslavi son disposti a cederci «Capodistria, Isola e Pirano ponendo la nuova frontiera al fiume Dragogna; e dalla Zona A dovrebbero passare alla Jugoslavia i comuni orientali in maggioranza slavi».

Di questi comunelli, il vescovo Santin mi disse due anni fa che sarebbe una fortuna perderli. È vero che, chiesto di ciò ripetere a negoziato iniziato, è probabile direbbe che intesi male. Comunque, a me sembra che nel momento attuale non conviene a noi di iniziare un negoziato, seppur segreto.

482

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1075 SEGR. POL. Roma, 19 giugno 1951.

Concordo con quanto V.E. osserva nel suo rapporto del 22 maggio1 e cioè che il problema di Trieste non è soltanto un problema italo-jugoslavo, ma riveste una particolare importanza per tutta la difesa occidentale e che quindi non può escludersi, tanto più se dovesse continuare a deteriorarsi la situazione internazionale, che si vengano manifestando da parte di Washington e di Londra tendenze a premere fortemente su di noi per una soluzione definitiva che tolga di mezzo un tema di attrito nei rapporti fra Roma e Belgrado.

Mi sembra tuttavia che anche in quel caso non ci mancherebbero possibilità di far sentire agli Alleati che è soprattutto sugli jugoslavi che essi dovrebbero concentrare le loro sollecitazioni per raggiungere quell'intesa italo-jugoslava, che noi sempre abbiamo auspicato. Riconosciamo che le condizioni materiali nella Zona B sono migliorate. Ma purtroppo non è migliorato il sospettoso spirito fazioso che è proprio

2 Vedi D. 482.

3 Vedi D. 465.

di ogni regime totalitario. Potrei citare varii estratti di fogli ufficiosi jugoslavi, ma mi limito a inviarle qui acclusa copia di un telegramma da Belgrado del 15 corrente2 .

Certo, è dover nostro ammettere che esiste anche da noi una faziosa minoranza (il M.S.I.) che cerca di opporsi a ogni intesa con gli jugoslavi sperando così di rinnovare la situazione che tanto giovò ad avventurieri che specularono nel 1919-20 sul falso slogan della «vittoria mutilata»; ma è purtroppo altrettanto vero, e cento volte più grave, che a Belgrado si esita di fronte alle più ragionevoli aperture, e ciò per la ragione semplicissima che una dittatura può più difficilmente transigere che non un Governo democratico come il nostro.

Oltre l'artificioso movimento missino esiste da noi un ostacolo nelle tensione razziale alla frontiera fra italiani e slavi, tensione resa più acerba dalla sanguinosa crudeltà dell'occupazione titina nel 1945: quando i titini partirono trassero seco circa un migliaio di cittadini goriziani colpevoli ai loro occhi di essere «fascisti» non comprendendo che nelle zone di confine un'abile propaganda travestiva sotto il colore del patriottismo le esagerazioni nazionalistiche meno sensate. Checché ne fosse di ciò, il fatto rimane che di quel migliaio di deportati pare che non resti più nessuno di vivo. Anche per regolare dolorose situazioni famigliari bisogna constatare quei decessi e gli jugoslavi si rifiutano di farlo, pur ammettendo a mezza voce che morti sono.

Certo, ella, qualora se ne presentasse l'occasione, dovrà lasciare intendere agli inglesi che noi non ci sottrarremo ad un onesto negoziato, ma che non ci sembra opportuno fare proprio in questo momento ulteriori aperture e ciò perché (a parte quello che potrebbe essere un ovvio accorgimento di tattica diplomatica) la nostra opinione pubblica non capirebbe che dopo il ben noto nostro atteggiamento, quale fu preso col mio di scorso di Milano dell'8 aprile 19503, toccasse a noi, e a noi soli, a fare un nuovo passo4 .

481 1 Autografo.

482 1 Vedi D. 426.

483

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 1768/024. Belgrado, 20 giugno 1951 (perv. il 22).

Durante conversazione con ministro aggiunto Mates questi mi ha informato in termini generici su passo che avrebbe fatto costì Ivekovic1 e che altri rappresentanti jugoslavi avrebbero fatto presso Governi paesi firmatari trattato di pace in merito atteggiamento italiano per revisione trattato pace.

3 In «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.

4 Vedi D. 496.

Mates si è limitato a dirmi che Governo jugoslavo ha osservato che richiesta revisione trattato di pace costituirebbe carta a favore Unione Sovietica nel momento in cui potenze occidentali hanno lamentato infrazioni trattati da parte Ungheria, Romania e Bulgaria.

Governo jugoslavo avrebbe anche fatto presente che tesi jugoslava per accordo diretto tra Italia e Jugoslavia su questione Trieste cui Governo jugoslavo resta fedele, non costituirebbe revisione trattato in quanto soluzione contenuta in trattato di pace non escluderebbe accordo diretto tra paesi interessati per soluzione più definitiva.

Mates ha evitato conversazione in merito.

Mi sono limitato a osservare a titolo personale che atteggiamento Governo jugoslavo, specialmente per quanto riguarda revisione clausole riarmo, mi pareva in contrasto con precedente atteggiamento maresciallo Tito in occasione intervista corrispondente Ansa e soprattutto in occasione mie comunicazioni allo stesso Tito del 12 marzo c.a.2 .

Gradirei conoscere termini e forma passo jugoslavo e possibilmente atteggiamento Governo italiano in merito.

È presumibile si tratti della comunicazione che alto funzionario di questo Ministero esteri mi aveva erroneamente preannunciato quale invito a trattare direttamente questione di Trieste e di cui ai miei telegrammi n. 137 e 1423 .

482 2 Con il T. 7448/150 Martino aveva comunicato l'insuccesso della cerimonia di riconsacrazione della cappella del cimitero militare italiano a Caporetto per le gravi misure messe in atto dalle autorità locali nonostante che la cerimonia fosse stata regolarmente autorizzata.

483 1 Vedi D. 470.

484

IL MINISTRO A MANAGUA, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 162/20. Managua, 20 giugno 1951 (perv. il 5 luglio).

Riferimento: Per ultimo telespresso ministeriale n. 11/08737/C. del [7 giugno 1951]1 .

In conformità delle istruzioni a suo tempo impartitemi ho approfittato della prima udienza ottenuta da questo ministro degli affari esteri per interessarlo al problema della revisione del nostro trattato di pace.

Non mi è stato possibile parlargliene prima perché, subito dopo la mia presentazione delle credenziali, egli si è assentato per accompagnare il presidente in un lungo viaggio nell'interno con i tecnici del Punto IV di Truman, e solo negli scorsi giorni ha fatto ritorno a Managua.

3 Rispettivamente del 5 e 6 giugno, con i quali Martino aveva dapprima preannunciato una comunicazione ufficiale iugoslava per avviare trattative dirette sulla questione del T.L.T. per poi smentire tale notizia in base alle dichiarazioni resegli in proposito da Mates. Per i chiarimenti forniti da Luciolli circa il passo jugoslavo presso il Dipartimento di Stato vedi D. 521, nota 6.

Il ministro Oscar Sevilla Sacasa ha ascoltato con vivo interesse i vari argomenti che gli ho esposto per dimostrargli che il trattato è moralmente sorpassato e giuridicamente invalidato a seguito della inserzione ed attiva partecipazione dell'Italia nel-l'organizzazione dell'Europa occidentale e nel Patto atlantico, ed in conseguenza del riarmo degli Stati satelliti dell'Europa orientale e della tenace opposizione sovietica alla nostra ammissione nelle Nazioni Unite, e che nelle attuali condizioni il trattato stesso costituisce un ostacolo alla nostra efficiente collaborazione alla difesa dell'Occidente, alla quale anche l'America latina è direttamente e vitalmente interessata.

L'ho quindi messo al corrente dei passi fatti dal ministro Sforza presso i ministri degli esteri a Parigi, Londra, e Washington, e delle reazioni favorevoli destate, specie in seno al Senato americano, e gli ho comunicato che il Governo italiano confidava che, come in altre recenti occasioni, il Governo del Nicaragua avrebbe manifestato la propria comprensione ed accordato il proprio appoggio alla nostra iniziativa.

Dopo avermi ascoltato con vivo interesse il ministro Sevilla Sacasa mi ha detto che, data l'importanza dell'argomento, avrebbe al riguardo conferito col presidente della Repubblica, ma che mi poteva fin d'ora assicurare che il Governo italiano poteva anche in questa particolare occasione contare con la simpatia e la solidarietà del Governo del Nicaragua.

Gli ho consegnato un promemoria che avevo preparato per sua documentazione.

Mi riservo di riferire ulteriormente.

483 2 Vedi D. 295.

484 1 Forniva elementi per norma di linguaggio in materia di revisione del trattato di pace.

485

L'AMBASCIATORE AD ATENE, ALESSANDRINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 1718/570. Atene, 21 giugno 1951 (perv. il 23).

Re Paolo di Grecia, con il quale ho avuto ieri un lungo colloquio, mi ha incaricato di trasmettere a V.E. l'espressione della sua viva soddisfazione e del suo apprezzamento per l'atteggiamento tenuto dall'Italia in favore dell'ammissione della Grecia al Patto atlantico. Egli ha aggiunto che avrebbe consigliato il suo Governo di rendere sempre più intimi e fiduciosi i rapporti fra Italia e Grecia, certo di interpretare, con tale consiglio, i sentimenti della popolazione greca e di rendere al proprio paese un preciso servigio.

Venizelos, che ho visto oggi e che è stato evidentemente intrattenuto in tale senso da re Paolo (il presidente era stato a Palazzo poco prima), mi ha ripetuto quasi testualmente le parole del sovrano, aggiungendo che «nella formazione difensiva meridionale dello schieramento occidentale la Grecia desidererebbe appoggiarsi in modo particolare all'Italia». «Le nostre relazioni con i turchi e con gli slavi — ha continuato Venizelos — non saranno mai, anche se dettate da ovvî ragionamenti e da precise necessità, improntate a quella immediatezza di comprensione, e certamente in futuro anche di sentimenti, che potremo avere con gli italiani».

Il presidente si è dichiarato assai soddisfatto della nomina di Carney a comandante del settore atlantico meridionale ed ha espresso la speranza che «anche le forze armate greche siano, al più presto, sottoposte al comando di quell'ammiraglio».

Ha lamentato a lungo l'atteggiamento inglese, al quale fa risalire l'opposizione dei paesi nordici all'inclusione della Grecia nel Patto e mi ha incaricato di informare riservatamente V.E. ch'egli ha dato istruzioni al suo ambasciatore a Londra di protestare per tale atteggiamento, facendone presente l'incongruenza e segnalando ancora una volta il pregiudizio ch'esso può recare alla causa dell'Occidente. «Spero — ha soggiunto — che Londra esca al più presto dalle sue esitazioni, speculazioni e contraddizioni, acconsentendo alla nostra inclusione nel Patto, o, almeno, dando il via per la formazione di una collaterale intesa mediterranea. Comunque, ho fatto chiaramente dire agli inglesi che i soldati greci sono disposti a battersi solo in Europa e per l'Europa e non, dico non, nel Medio Oriente e per i salvataggi di prestigio che Londra cerca di operare in quella zona».

Anche Peurifoy è preoccupato per la mancanza di decisioni occidentali relativamente all'ammissione della Grecia al Patto atlantico e ne attribuisce esplicitamente la colpa agli inglesi.

L'opinione pubblica greca appare meno nervosa di quella turca nei riguardi della tanto discussa ammissione. Ma gli avvenimenti d'Iran si fanno anche qui sentire e la preoccupazione greca di giungere ad una urgente chiarificazione della posizione del paese nello schieramento occidentale appare più che giustificata.

486

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 7201/3801. Washington, 21 giugno 19511 .

Riferimento: Telespresso segr. pol. n. 856 del 25 maggio u.s.2 .

È noto a codesto Ministero che quest'ambasciata non ha mancato di riferire periodicamente circa l'andamento delle conversazioni presiedute da Foster Dulles col Giappone e con i maggiori alleati e come per quanto riguarda certe questioni connesse con la normalizzazione delle relazioni italo-nipponiche, io stesso abbia suggerito l'opportunità di compiere un primo passo presso il Dipartimento di Stato in merito ai danni di guerra subiti da cittadini italiani per azioni belliche giapponesi. Passo che venne autorizzato e condusse alla nota del Dipartimento di Stato in data 20 settembre scorso3 .

In tale nota il Dipartimento si limitava a dichiarare di non essere allora in grado di rendere noto il proprio punto di vista circa la questione dell'indennizzo dei danni

2 Vedi D. 433.

3 Non pubblicato.

di guerra per azione giapponese, ma che esso presumeva che i claims italiani sarebbero stati considerati insieme a quelli presentati da altri paesi in relazione alla normalizzazione delle relazioni col Giappone.

Successivamente, in seguito alle istruzioni ministeriali del febbraio scorso4 , l'ambasciata intratteneva gli Uffici Estremo-Oriente del Dipartimento e poi lo stesso Allison e riferiva quindi le più definite conclusioni cui si era qui pervenuti con l'esclusione di ogni ulteriore riparazione e solo accogliendo il principio dell'indennizzo per danni subiti in Giappone per una somma totale non superiore a circa 140 milioni di dollari americani.

Nel corso di quelle conversazioni si accennava allora per la prima volta all'intenzione del Governo italiano di raggiungere la normalizzazione delle relazioni col Giappone attraverso un accordo diretto piuttosto che mercé l'adesione a un trattato aperto ai paesi alleati (telespresso urgente n. 2509/1409/012 del 1° marzo scorso)3 .

Il soggiorno a Washington di D'Ajeta5 fu occasione per nuove conversazioni ai diversi livelli ed anche su questo si riferiva, particolarmente su quanto era stato insistentemente ripetuto in relazione ai tre principali aspetti sotto i quali si presenta per noi la ripresa delle relazioni con Tokio: la questione di procedura, quella dei claims e le più favorevoli condizioni previste per il Giappone nei confronti di quelle a noi imposte.

Le direttive e le considerazioni portatemi a conoscenza con il telespresso in riferimento sono state ripetute e sviluppate da questa ambasciata ai diversi livelli e uffici del Dipartimento, non tanto al fine di ottenere definizioni o assicurazioni che qui non si è ancora in grado di dare finché durano le discussioni con i maggiori paesi interessati, quanto perché si convenisse che le richieste nostre per un trattamento dei claims italiani almeno non meno favorevole di quello che sarà riservato ad altri erano il minimo che noi italiani potessimo chiedere, sia per esigenze di equità comune a tutti i belligeranti, sia, sopratutto, per il più duro trattamento che anche a questo riguardo era stato riservato a noi, malgrado la nostra cobelligeranza riconosciuta anche in sede di trattato di pace. Ci si rendesse quindi conto, al Dipartimento, del carattere di maggiore urgenza che assumeva per noi la «revisione» del nostro trattato di pace in vista del prossimo col Giappone e di quello a seguire con la Germania.

Mentre ci si riserva di riferire quanto risulterà da una conversazione con Foster Dulles la settimana prossima6, risulta da una nuova conversazione avuta luogo oggi con il direttore dell'Ufficio Asia nord-orientale che al Dipartimento non si prevedono difficoltà per un eventuale accordo diretto tra i due Governi interessati alla cessazione dello stato di guerra; a questo potrebbero far seguito accordi supplementari relativi alle diverse questioni connesse con la ripresa delle effettive relazioni; al nostro rappresentante in Tokio non mancherebbe l'azione fiancheggiatrice del Dipartimento a tutela dei nostri interessi. Né si ravviserebbero difficoltà per quanto si riferisce all'opportunità di raggiungere l'accordo principale contemporaneamente agli altri paesi interessati, in quanto il trattato aperto alle adesioni non entrerebbe in vigore se

5 Vedi D. 411.

6 Vedi D. 529.

non con la avvenuta ratifica di un certo numero di essi, Giappone compreso. E ciò importerebbe sempre un tempo di vari mesi, tra la firma e l'entrata in vigore.

Circa i claims per i danni subiti in Giappone ci è stato confidato che le nuove conclusioni accolte dal Dipartimento sono in favore dell'indennizzo totale, volendo così rilevare, implicitamente, che a questo riguardo le condizioni d'indennizzo per i due terzi imposte a noi risulterebbero più liberali. Così pure si è accennato all'importanza fondamentale che avranno per il Giappone, anche economicamente, le clausole territoriali.

Con tutto ciò non sfuggiva al nostro interlocutore la validità nelle nostre argomentazioni; egli si limitava solo ad esprimere il proprio parere (in modo volutamente vago, d'altronde) circa la migliore procedura da seguirsi tra i due Governi quando si escludesse quella dell'adesione e a rilevare, in via personale e confidenziale, alcuni aspetti delle condizioni che verrebbero imposte a Tokio.

Ci si riserva di riferire più utilmente dopo aver visto Foster Dulles la prossima settimana6 .

486 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

486 4 Non rinvenute.

487

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7746/411. Parigi, 22 giugno 1951, ore 17,30 (perv. ore 18). Seguito mio 4061 .

Delegazioni occidentali (anche in considerazione che orizzonte è sgombro da avvenimenti elettorali e che pertanto molto vento è tolto a vele comuniste) hanno ieri preso di pieno accordo decisione interrompere Conferenza quattro sostituti. Ieri pomeriggio hanno rifiutato a Gromyko nuova riunione oggi per obbligarlo rispondere subito. Egli non si è curato mostrare sorpresa ed ha tirato fuori voluminosa risposta preparata da tempo. Da parte francese si aggiunge che Gromyko ha apertamente dimostrato, in seduta e fuori seduta, aperta soddisfazione per rottura. Delegazioni occidentali insistono sul fatto trattarsi pura «interruzione» ma realtà non muta.

487 1 Del 21 giugno, non pubblicato.

488

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7753-7754/413-414. Parigi, 22 giugno 1951, ore 20,05 (perv. ore 22).

In riunione odierna plenaria Alphand ha fatto ad osservatori relazione intonata accentuato ottimismo comunicando decisione redigere rapporto interinale non impegnativo per Governi. Nel ringraziare Alphand sua presidenza ho creduto ribadire note posizioni italiane questioni principali e precisare alcuni punti che Alphand aveva in suo esposto tralasciato (in particolare preoccupazioni problemi finanziari), ricordando tuttavia che tendenze manifestate da delegazione erano a titolo personale, ogni decisione restando riservata a V.E. Invio testo mia dichiarazione per corriere1. Delegato tedesco ha nuovamente sollevato questione parità diritti considerata condizione sine qua non per accettazione Germania Esercito europeo ed ha fatto chiare allusioni assicurazioni che avrebbe ricevuto dai francesi. Ambasciatore americano Bruce ha infine sottolineato necessità Esercito europeo significhi effettivamente rafforzamento Esercito atlantico, rilevando urgenza rapporto Conferenza se si desidera esso possa essere utilmente tenuto presente in imminente esame protocollo Petersberg.

Lavori Conferenza si sono aggiornati per dare tempo Segreteria preparare progetto rapporto che dovrebbe essere esaminato 3 luglio.

Questione parità di diritti Germania è venuta oggi in seduta plenaria Conferenza in primissimo piano precisando trattarsi modifica attuale statuto internazionale Germania. Negoziato su tale questione dovrebbe essere condotto al più presto.

Data connessione che tedeschi hanno voluto stabilire fra questione parità diritti e riarmo Germania è possibile che si addivenga ad un negoziato unico o comunque strettamente congiunto vertente su protocollo Petersberg, rapporto Conferenza Parigi e rivendicazioni tedeschi su loro statuto internazionale.

Delegato tedesco mi ha anche privatamente confermato che Alphand gli ha dato da parte francese sostanziali assicurazioni. Ho detto a Roediger ignorare contenuto conversazione V.E. con Adenauer ma personalmente ritenere Governo italiano sarebbe certamente favorevole a parità di diritti.

488 1 Non pubblicato.

489

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, TARCHIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO PERSONALE 7765/647. Washington, 22 giugno 1951, ore 17,35 (perv. ore 9,30 del 23).

Ho avuto con Acheson lungo colloquio presente Perkins di cui riassumo argomenti principali:

1) Revisione trattato. Ne ho diffusamente illustrato necessità politica morale pratica, rilevando anche che rottura conversazioni quadripartite elimina difficoltà segnalate da Governo americano. Ho trovato Acheson molto recettivo. Riferisco per corriere aereo speciale1 su pensiero segretario di Stato circa procedura da seguire per avviare problema verso soluzione pratica, con indispensabile riservatezza.

2) Iran. Acheson mi ha ripetuto quanto dettomi da McGhee, confermando preoccupazione per atteggiamento intransigente e fanatico del Governo persiano ma altresì fiducia che Gran Bretagna non commetta imprudenza (intervento militare).

3) Grecia e Turchia. Acheson ritiene che Gran Bretagna Francia ormai avviate approvare adesione Patto atlantico cosicché, malgrado resistenza altri paesi, punto di vista italo-americano prevarrà.

4) Emigrazione. Prendendo spunto da quei risultati elezioni italiane che hanno fatto qui qualche impressione, ho ancora una volta illustrato importanza politica risolvere problema sovrapopolazione italiana. Acheson, assicurando che tale importanza è perfettamente compresa, ha promesso fare prossimamente intrattenere ambasciata su risultati studi attualmente in corso.

5) Ho concordato con Acheson presenza Truman a inaugurazione note statue, da effettuarsi in linea di massima 12 ottobre.

490

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7770/336. Londra, 22 giugno 1951, ore 21,30 (perv. ore 7,30 del 23).

Sensazione riportata da miei colloqui di questi giorni è che ormai Foreign Office non intende frapporre ulteriori indugi ad inclusione Grecia e Turchia in Patto atlantico. Non che esso sia pienamente convinto utilità di una simile soluzione ai fini migliore

difesa settore Mediterraneo orientale; anzi sue obiezioni di principio rimangono valide. Ma a spingerlo verso decisione favorevole contribuisce sensazione pericolo alienarsi altro importante fattore medio-orientale nel momento in cui situazione Persia appare estremamente grave e sentimenti antibritannici dilagano in Egitto e altrove.

Mi risulta anzi in modo positivo che Morrison ha indirizzato messaggio personale a ministro esteri turco con lo scopo creare atmosfera distensiva, chiarire atteggiamento e intendimenti britannici e dirimere incomprensioni e malintesi degli am bienti politici turchi, che erroneamente tendono a vedere in Gran Bretagna unico oppositore. A questo riguardo mi sono state riconfermate forti resistenze che ancora permangono in Francia, paesi scandinavi, Olanda e Portogallo.

Decisione britannica potrebbe anche essere imminente se nel Gabinetto prevarranno considerazioni carattere politico su quelle di ordine puramente militare; quelle cioè di chi, avendo soprattutto in mente le concrete esigenze difensive intera zona medio-orientale con solo ingresso Grecia e Turchia Patto atlantico, disinteressandosi di quella ulteriore articolazione mediterranea senza la quale qui si è convinti non potersi effettivamente costituire soddisfacente sistemazione difensiva intero settore.

489 1 L. 7320, pari data, non rinvenuta.

491

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1101 SEGR. POL. Roma, 23 giugno 1951.

Dopo la tua lettera del 1° giugno1, ho visto il tuo rapporto 3351/1836 del 15 giugno2 relativo alla questione del trattato.

Mi rendo perfettamente conto del fatto che la nostra presa di posizione e le nostre insistenze abbiano costituito un elemento di disturbo specie per chi ha molti problemi da risolvere e non tutti facili. L'aver noi messo sul tappeto un nuovo problema è cosa che è certamente dispiaciuta agli uffici di varie cancellerie che avrebbero, forse, preferito vederci, con rassegnato esprit de routine, condurre a termine, sino all'ultimo capoverso e senza sollevare obiezioni, l'esecuzione del trattato. Non è necessario molto senso psicologico per renderci conto di ciò. Se tuttavia abbiamo insistito è per evidenti e superiori considerazioni di equità e di interesse nazionale, e per i riflessi che questa questione è destinata ad avere sulla nostra opinione pubblica.

Non si può infatti dimenticare che la dichiarazione di Potsdam stabilì una precedenza nella conclusione del trattato di pace con l'Italia rispetto a quelli con la Germania e col Giappone, in quanto, proprio all'Italia, si voleva allora usare un trattamento più favorevole. Dice infatti testualmente la dichiarazione di Potsdam: «l'Italia è stata la prima tra le potenze dell'Asse a rompere con la Germania alla cui sconfitta ha dato

2 Non pubblicato.

un materiale contributo, ed ora è a fianco degli Alleati nella lotta contro il Giappone. L'Italia si è liberata dal regime fascista e sta facendo buoni progressi verso il ristabilimento di un Governo e di istituzioni democratiche»3 .

Il trattamento più favorevole riservato all'Italia dalla dichiarazione di Potsdam non era evidentemente limitato alla priorità nella conclusione del trattato, ma anche alla sua sostanza. Si pensava cioè di riservare all'Italia condizioni meno severe di quelle che sarebbero state imposte alla Germania e al Giappone. E che così fosse è anche provato dal fatto che ai rilievi da noi avanzati nel corso della redazione del nostro trattato a quelle clausole che ci parevano troppo dure ci veniva invariabilmente risposto che non avevano la minima idea di ciò che sarebbe stato imposto alla Germania ed al Giappone. Gli sviluppi della situazione internazionale hanno cambiato radicalmente la situazione. Non saremo noi — da un punto di vista generale e superiore — a lamentare che, sia pure sotto la pressione degli eventi più che per spontanea saggezza, altri criteri ispirino ora la formulazione del trattato giapponese; ma non possiamo nemmeno accettare di rimanere a nostra volta vittime di questa evoluzione, tanto più dopo che il Governo si assunse la responsabilità di perorare di fronte al paese — e ad un Parlamento allora più che perplesso — la necessità della firma e della ratifica del trattato di pace. Avemmo naturalmente ragione allora di agire così e questo è provato dal cammino percorso nei nostri rapporti internazionali. Ma le stesse considerazioni ci obbligano oggi — divenuti alleati — a porre il problema della revisione.

Secondo lo spirito della dichiarazione di Potsdam, e della stessa successiva alleanza, il nostro trattato contiene implicita una specie di clausola della nazione più favorita per cui quello che non dovesse essere imposto o chiesto al Giappone ora e alla Germania poi, dovrà cessare in qualche modo di avere vigore nei nostri riguardi.

Quanto al timing esso non potrebbe essere procrastinato troppo a lungo: certo non oltre la data in cui dovessero divenir di dominio pubblico le linee generali del trattato giapponese.

Poiché la tua conversazione sarà confidenziale, mi pare che dovresti aggiungere anche questo; che si potrebbe lealmente riconoscere dai nostri amici che la nostra azione si guardò bene dal creare imbarazzi giuridici e politici, appunto perché eravamo consci della responsabilità del momento; ma che ci era impossibile non sollevare il problema davanti alle pubbliche opinioni. Ciò facendo compimmo anche un atto di lealtà verso gli Alleati.

Puoi aggiungere che di ciò il Governo di Washington mi ha dato spontaneamente atto4 .

p. 1492. 4 Per la risposta vedi D. 516.

491 1 Vedi D. 449.

491 3 Testo originale in Foreign Relations of the United States, The Conference of Berlin (The Potsdam Conference), 1945, vol. II, Washington, United States Government Printing Office, 1960,

492

L'INCARICATO D'AFFARI AD AMMAN, FARINACCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 962/406. Amman, 23 giugno 19511 .

Riferimento: Telegramma di questa legazione n. 15 in data 11 giugno c.m.2 .

In risposta al passo di cui al telegramma di questa legazione n. 15 in data 11 giugno c.m. relativo alla nomina di un custode musulmano dei Luoghi Santi questo Ministero degli affari esteri ha inviato oggi la seguente nota verbale n. 21/12/67-85:

«Il Ministero degli affari esteri giordanico presenta i suoi complimenti alla legazione d'Italia, e in risposta alle riserve espresse da S.E. il ministro d'Italia circa la nomina di un custode dei Luoghi Santi, durante la sua visita al ministro degli esteri, in data 11 giugno 1951, si onora comunicare a codesta legazione quanto segue:

1) Il Governo giordanico ha preso nota della comunicazione di S.E. il ministro d'Italia, ma, a suo avviso, non può accettare le ragioni addotte per quanto concerne la situazione nella città di Gerusalemme, come pure non può riconoscere il fondamento di tali ragioni.

2) Per quanto concerne ciò che ha definito «ordinamento e unificazione delle leggi e dei regolamenti», il Governo giordanico esprime il suo rincrescimento per la non giusta interpretazione cui si è ispirato il Governo italiano, poiché il Governo giordanico non intende assolutamente introdurre mutamenti allo statu quo, anzi, al contrario, esso si adopera per consolidarlo a vantaggio di tutte le comunità aventi diritti nei Luoghi Santi».

Questo ministro di Francia mi ha mostrato la nota verbale da lui ricevuta lo stesso giorno. Essa è identica a quella a noi indirizzata.

493

L'AMBASCIATORE A MOSCA, BROSIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 7858-7859/175-176. Mosca, 24 giugno 1951, ore 19,22 (perv. ore 22).

Pravda odierna commenta editoriale chiusura conversazioni Parigi. Rigettata intera responsabilità su occidentali, essa riassume storia negoziati e dichiara che Alleati hanno voluto impedire riunione ministri e sono responsabili non solo rottura trattative ma anche crescente tensione dei rapporti internazionali. Aggiunge Pravda

2 Vedi D. 469.

che Alleati hanno svolto Parigi doppio gioco fingendo un accordo mentre realmente sabotavano giacché non vogliono miglioramento situazione internazionale e loro affermazioni sono false e ipocrite, conclude che U.R.S.S. continuerà svolgere politica pace. Stesse considerazioni svolge Zuker, corrispondente Pravda da Parigi, aggiungendo che Alleati hanno atteso svolgimento elezioni francesi per rompere negoziati.

Altri giornali non commentano uniformandosi evidentemente parola d'ordine Pravda.

Prime impressioni sono che sovietici, se non proprio sorpresi rottura, non siano soddisfatti e con loro ultima nota intendessero creare possibilità continuare negoziati pur non sperando esito positivo dalla riunione ministri Esteri. Tono primi commenti è comunque forte ma non drammatico né intenzionato dare avvenimento colorito allarmistico. Parecchi diplomatici occidentali Mosca si domandano se avendo continuato così a lungo trattative era meglio sondare fino in fondo intenzione sovietici; comunque prevalente opinione è che [rottura] trattativa non dovrebbe avere portato conseguenze pericolose. Costituisce conferma dichiarazioni Malik all'O.N.U. pubblicate oggi da stampa sovietica concludendo con invocazione accordo per Corea sulla base immediate trattative per cessazione fuoco, armistizio e ritiro truppe dal 38° parallelo. Può darsi che tale proposta sia stata fatta presupponendo rifiuto americano che offrirebbe motivi una più intensa offensiva cino-sovietica ma intanto è certo che sovietici hanno modificato precedenti posizioni facendo notevoli passi avanti verso distensione in Corea.

492 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo.

494

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 7900/146. Londra, 25 giugno 1951, ore 23,30 (perv. ore 7,30 del 26). Mio telespresso 635 del 20 corrente1 .

Proseguita oggi discussione su ammissione Turchia Patto atlantico.

Questioni in esame sono state:

1) possibilità accordi bilaterali degli Stati N.A.T.O. con Turchia. 2) Patto mediterraneo.

Prima alternativa scartata perché considerata soluzione inadeguata. Spofford ricordato al riguardo come politica americana fosse in favore accordi collettivi.

Su seconda alternativa sostituti hanno confermato note rispettive posizioni. Segnalo dichiarazione britannica nel senso che un patto che includesse tutti i paesi Mediterraneo orientale sarebbe idealmente soluzione migliore ma attualmente impraticabile data situazione paesi arabi ed Israele.

Avendomi sostituto belga posto precisa domanda se Italia partecipando ad un eventuale patto mediterraneo avrebbe mantenuto suo interesse in Patto atlantico ho risposto enfaticamente nell'affermativa. Ho poi rilevato che Italia vedeva in un patto mediterraneo possibilità utile successiva accessione Stati Mediterraneo orientale ma che, soprattutto per motivi pratici e di urgenza riteneva dovere insistere su inclusione della Turchia e Grecia in Patto atlantico. Sostituto britannico ha convenuto su motivi praticità ed urgenza e sul fatto che desiderio Governo ed opinione pubblica turchi avevano evidentemente particolare peso nella scelta della soluzione più adatta. Ha poi messo confidenzialmente al corrente i sostituti di una comunicazione scritta indirizzata al Foreign Office da questo ambasciatore Turchia per affermare che Turchia entrerebbe nel Patto atlantico senza porre riserve per quanto concerne basi militari da stabilire su suo territorio.

Sostituto norvegese ha a sua volta comunicato che Governo turco ha fatto presente ad Oslo che avrebbe considerato atto di amicizia favorevole atteggiamento norvegese a candidatura turca Patto atlantico.

Da notare che inclusione Italia in qualsiasi possibile combinazione mediterranea apparsa qui sempre come fuori discussione. Nessun minimo accenno dubitativo è stato fatto neppure oggi quando ho dato una nostra partecipazione ad eventuale patto mediterraneo come acquisita e quando sostituti norvegese e belga vi hanno fatto esplicito riferimento come a sicuro dato di fatto2 .

494 1 Non rinvenuto.

495

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7923/142. Teheran, 26 giugno 1951, ore 18 (perv. ore 7 del 27).

Carafa arrivato1. Stamane abbiamo insieme incontrato presidente del Consiglio che ha esaminato a lungo situazione attuale. Mosaddeq ha espresso ancora una volta determinazione Governo iraniano applicare legge nazionalizzazione. Tale inderogabile premessa ad ogni negoziato va intesa nel senso che una Società nazionale petrolifera di capitali interamente statali si sostituisca alla anglo-iraniana nella coltivazione dei giacimenti petroliferi e nella gestione impianti industriali. Mosaddeq sottolineato sostanziale differenza tra questa tesi persiana e proposta ultimamente presentata da anglo-iraniana che praticamente affiderebbe petroli ad una società filiazione della anglo-iraniana che assumerebbe la nazionalità persiana facendosi registrare in Persia. Presidente del Consiglio ha in via del tutto confidenziale accennato a due nuove importanti concessioni cui Governo iraniano potrebbe arrivare:

495 1 Vedi DD. 473 e 479.

1) Consiglio d'amministrazione società statale persiana potrebbe comprendere membri stranieri ed anzi questi stranieri potrebbero addirittura essere la maggioranza del Consiglio sempre fermo restando che invece capitale azionario sarà tutto statale persiano.

2) Governo iraniano intende anzitutto liquidare sua situazione amministrativa contabile che Anglo-iranian (valutazione oleodotto, valutazione royalties, debiti e crediti reciproci ecc.). Ma avvenuta tale liquidazione in un negoziato con Anglo-iranian, Governo Teheran sarebbe pronto ad entrare in trattative con Governo Londra su altri aspetti questione. Tale secondo punto è assai importante in relazione nota tesi intransigenza sostenuta sino ad ora2 .

494 2 Per il seguito della questione vedi D. 518.

496

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 3560/1979. Londra, 26 giugno 1951 (perv. il 28).

Ci siamo ritrovati ieri con l'ambasciatore Brilej in un lungo colloquio che era il primo dopo il nostro incontro di Stratford1 e poco prima della sua partenza per la Jugoslavia dove passerà un abbastanza lungo periodo di riposo. Egli oltreché parlarmi delle questioni generali di comune interesse desiderava ricapitolare meco il risultato degli ultimi mesi in cui in via unicamente «esplorativa» c'eravamo scambiati idee circa la soluzione del problema di Trieste. Senza alcun accenno polemico e senza ombra di recriminazioni o di ricordi di quanto poteva essere ragione di attrito, l'ambasciatore Brilej osservò che mentre l'anno passato le nostre conversazioni estive2 avevano preparato il terreno agli ottimi risultati degli accordi economici connessi col trattato di pace, questa volta purtroppo facendo il bilancio dei risultati ottenuti dalle nostre conversazioni non si poteva constatare nessun decisivo passo avanti in rapporto a una intesa sul grande problema che ancora ci divide. Nonostante la migliore buona volontà c'eravamo arrestati ad un punto morto; ma la ragione principale di questo arresto gli sembrava dovuto specialmente a una nostra impostazione, in certo modo più pessimistica e diffidente verso Belgrado, che a suo parere non era giustificata dalla reale situazione e dalle sincere intenzioni di accordo del suo Governo. Accennò anzi a questo proposito ad alcune comunicazioni ricevute da Belgrado negli ultimi tempi.

V'era anzi a questo riguardo qualcosa che Brilej non riusciva a spiegarsi. Anche sulla questione di Trieste egli constatava dei punti di progresso sul passato per facilitare una intesa:

1) la Jugoslavia affermava nel modo più esplicito che la migliore soluzione, «anzi l'ottima» per risolvere il problema di Trieste era quella di un'intesa diretta, leale ed amichevole, con l'Italia;

2) Tito aveva affermato, e Brilej era in grado di riconfermare, che una apertura di trattative era desiderabile e che la Jugoslavia era disposta a iniziarle in qualsiasi momento e anche subito nel modo e nelle condizioni migliori per farle riuscire;

3) anche per riconoscimento nostro le condizioni nella Zona B erano migliorate ed era nella precisa volontà del Governo jugoslavo di normalizzarle sempre più;

4) la Francia, gli Stati Uniti d'America e la Gran Bretagna (ciò gli constava direttamente) avrebbero visto con la maggiore compiacenza un accordo tra la Jugo slavia e l'Italia tale da rendere più tranquilla la situazione in un punto delicato e di grandissimo interesse per tutti quale è Trieste. A parere di Brilej uno degli argomenti principali per desiderare da parte degli Alleati questa intesa era il fatto che da un momento all'altro potevano nascere situazioni di tensione internazionale tali che avrebbero obbligato ad una difesa comune e collegata Italia e Jugoslavia; ma una simile collaborazione presupponeva il superamento di un persistente e immanente conflitto politico di cui Trieste costituiva il fulcro.

Di fronte a questi elementi positivi sembrava però a Brilej che da parte italiana la volontà di un accordo su questo punto si fosse alquanto attenuata. Egli non discuteva né contendeva le ragioni di questa non volontà di concludere, ma le constatava: ed ormai da troppe parti questa nostra posizione gli era divenuta palese. Perciò il Governo jugoslavo non avrebbe potuto fare nessun nuovo passo avanti che sembrasse di invito a trattare, se da parte nostra non si fosse prima risposto in modo inequivoco che anche l'Italia era pronta a trattare in una concorde visione dei vantaggi reciproci che si potevano ottenere dall'affrontare coraggiosamente ciò che ancora ci divideva e rendeva più difficili i nostri rapporti. Tutto però lasciava fin d'ora intravedere che l'Italia, per la pressione dell'opinione pubblica e il lavorio di quanti a destra e a sinistra non volevano una soluzione definitiva del problema di Trieste, non era in grado di dare a una simile precisa domanda una risposta concreta e che forse piuttosto che affrontare una battaglia interna, preferisse rimandare a tempo indeterminato o lasciarla maturare secondo le circostanze.

Qui eravamo giunti al nocciolo della lunga discussione (ho tralasciato i miei argomenti e le mie osservazioni nello spirito di quanto V.E. mi ha espresso e riconfermato nel suo dispaccio n. 1075 del 19 giugno u.s.)3. Capovolsi allora le posizioni e dissi: voi domandate se sì o no il Governo italiano sarebbe pronto a trattare. A mia volta vi faccio una precisa domanda opposta: è il Governo jugoslavo pronto a discutere sulla base del principio della linea etnica come proposta dal ministro Sforza nel suo discorso di Milano dell'8 aprile 1950?4 Dire che si è disposti a trattare una soluzione riguardo alle Zone A e B non vuol dire nulla se non si accetta prima la base stessa su cui è possibile trovare un compromesso.

Brilej è galantuomo nella discussione. Ammise che la mia domanda era altrettanto legittima quanto la sua e che sarebbe stato assolutamente inutile aprire conversazio

4 In «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218.

ni più o meno ufficiali senza che l'uno e l'altro avessero prima risposto con piena chiarezza alle sue domande. Per parte sua egli si preparava a riesaminare la questione in Jugoslavia anche in rapporto alla situazione così come si andava evolvendo.

Devo aggiungere che, avendo nel discorso chiesto incidentalmente se non gli risultasse che nel Territorio Libero i titini fomentassero la tendenza per una soluzione di indipendenza, egli mi rispose molto semplicemente e sorridendo che non riteneva che questa soluzione fosse nella mente di più jugoslavi che in quella di molti italiani, e che d'altronde erano gli interessi economici, ecc., più che le direttive politiche che rafforzavano un adattamento progressivo allo statu quo.

Riassumendo e concretando dunque le mie impressioni circa il colloquio di ieri con Brilej, mi sembra poter concludere che:

— -la Jugoslavia, come prevedibile, è assai meno ansiosa oggi che non lo fosse alcuni mesi fa di trovare una soluzione concordata e un compromesso per le due Zone, sentendo che le circostanze — sia pure lentamente — maturano a suo favore e che gli Alleati non sentono in questo momento una impellente necessità di esercitare «pressioni» per indurre a trattative dirette Italia e Jugoslavia; — -la Jugoslavia, essendo persuasa che l'Italia non vuole o non può trattare su basi di compromesso la dibattuta questione, a sua volta non è disposta a prendere nessuna nuova «iniziativa» per cercare altri incontri, tanto più che le sue posizioni di partenza sono più forti delle nostre essendo essa già occupante di una parte del territorio conteso; — -Belgrado, secondo ogni probabilità, ripeterà che è pronta a trattare a qualsiasi momento ma non farà altri passi concreti per esprimere il suo desiderio di giungere ad una conclusione; — -malgrado ciò il Governo jugoslavo rimane convinto che una intesa diretta sarebbe la soluzione migliore ma, come già Brilej mi disse a Stratford, ciò non implica che, rebus sic stantibus, la Jugoslavia non si faccia propugnatrice più o meno indiretta — a Trieste e nella Zona A — della tesi indipendentista, a tutto danno delle nostre posizioni. Che essa miri effettivamente alla costituzione del Territorio Libero di Trieste quale è previsto dal trattato di pace, mi sembra cosa quanto mai improbabile poiché appare molto difficile che essa sia disposta a perdere il diretto controllo sulla Zona B. Ma oggi come oggi non vi è dubbio alcuno che il rafforzamento del-l'indipendentismo in Zona A mentre la Zona B continua a rimanere sotto occupazione jugoslava è quanto di più dannoso può verificarsi per noi. Ed i rapporti della nostra missione a Trieste mi sembrano, con il loro grido di giustificato allarme in previsione delle elezioni, convalidare simile avviso.

495 2 Con T. segreto 524/30 del 27 giugno Zoppi chiedeva l'opinione di Cerulli sull'opportunità di mettere al corrente gli inglesi di quanto dettogli da Mosaddeq. 496 1 Vedi D. 375. 2 Vedi serie undicesima, vol. IV, DD. 308, 326, 356, 360 e 453.

496 3 Vedi D. 482.

497

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 428. Parigi, 26 giugno 1951 (perv. il 28).

Ho intrattenuto Schuman sulla questione di una dichiarazione di superamento del trattato di pace.

Gli ho di nuovo spiegate le ragioni che hanno spinto V.E. a questo passo1: avendo egli mostrato — o fatto finta — di capire che la cosa concerneva soltanto le clausole militari, gli ho detto che la cosa non ci bastava, perché l'opposizione interna avrebbe reagito dicendo che si trattava di far dell'Italia carne da cannone, e che era quindi necessaria anche una dichiarazione di superamento del trattato. Gli ho detto come V.E. rivolgendosi per primo a lui, non si era soltanto rivolto al ministro degli esteri di un paese amico, ma aveva voluto offrire alla Francia, prendendo essa l'iniziativa di tale gesto, la possibilità di approfittarne ai fini dell'atmosfera psicologica fra i due paesi, tanto importante ad ogni fine: era stata quindi una prova dell'importanza che il Governo italiano dà ai rapporti con la Francia.

Noi saremmo andati avanti su questa strada lo stesso: anzi le reazioni che avevamo avute in vari ambienti, a Washington, ci permettevano di avere fiducia nel successo, spero che Schuman ci creda: desideravamo ancora che fosse la Francia a prendere l'iniziativa.

All'obiezione di Schuman che la dichiarazione avrebbe dovuto essere fatta da tutti i firmatari, almeno i non kominformisti, ho detto che quello che ci importava ed importava era una dichiarazione dei Tre Grandi: gli altri o avrebbero seguito o non ce ne importava molto che seguissero, a tutti i fini pratici.

Schuman mi ha detto che la cosa avrebbe potuto essere fatta in occasione della firma dell'accordo per l'Esercito europeo. Gli ho risposto che speravamo ardentemente che l'accordo per l'Esercito europeo avrebbe potuto essere firmato, ma che non pensavo che sarebbe firmato così presto. D'altra parte collegarla con la firma dell'accordo per l'Esercito europeo avrebbe dato all'opinione pubblica italiana un'impressione di do ut des, quindi svalutato il valore dell'atto, specie per le ripercussioni italo-francesi: se l'atto aveva un valore esso lo poteva avere soltanto se fosse stato senza alcuna contropartita nostra: ne avevamo già date abbastanza di contropartite in sede di trattato di pace. Schuman non solo ha accettata la mia osservazione, ma ha aggiunto che la sede non sarebbe stata opportuna in quanto avrebbe potuto provocare delle reazioni tedesche.

Una sede più appropriata gli sembrava invece la prossima riunione del Consiglio dei ministri del Patto atlantico. Tenuta presente la fine della Conferenza del Palais Rose, si sarebbe potuto, in quella sede, procedere alla decisione di abolizione delle limitazioni militari del trattato di pace, accompagnata da una dichiarazione solenne di superamento morale del trattato.

Gli ho detto che personalmente la sede mi sembrava buona anche per il fatto che la riunione sembrava imminente.

Mi ha poi fatta l'obiezione che mi aspettavo, che si trattava cioè di una idea facile a comprendere, ed anche ad accettare, ma difficile a formulare: tanto più che non vedeva ben chiaro cosa avevamo in mente.

Gli ho risposto che mi sembrava invece che la lettera di V.E. fosse, in quanto alla sostanza, più che esplicita.

Il trattato di pace aveva tutto un carattere punitivo ed un preambolo che sanciva questo carattere punitivo: ci prometteva, e più che esplicitamente, come compenso, l'ingresso alle Nazione Unite e ci si era detto, pure esplicitamente, che attraverso le Nazioni Unite, avremmo potuto sollevare la questione della revisione sia materiale che morale del trattato. Ora alle Nazioni Unite noi non ci eravamo entrati e non ci saremmo entrati mai, almeno fintanto che la Russia avesse continuato a farne parte. Alla obiezione di Schuman che noi facciamo parte a perfetta eguaglianza del Patto atlantico, gli ho fatto osservare che il Patto atlantico non ha un meccanismo per la revisione materiale né morale dei trattati.

Il Governo italiano non pensa e non ha mai pensato a negare che il Governo fascista sia stato colpevole di aggressione: ma ha sempre rifiutato di ammettere che fosse giusto di accollare ad un Governo composto di persone che hanno lottato contro il fascismo, e la sua politica, più assai di quanto l'abbia fatto l'estero, la responsabilità, anche morale, di quello che ha fatto un altro regime: si poteva, al momento del trattato di pace, ancora dire che l'Italia era «in prova»: ora la prova è fatta. Una dichiarazione avrebbe dovuto, secondo me, riconoscere che con la non ammissione all'O.N.U. i firmatari del trattato di pace non hanno adempito, sia pure non per colpa loro, ad uno degli impegni essenziali del trattato di pace, si può dire all'unica loro contropartita positiva: e con questo alla possibilità dell'Italia di rivedere la sua posizione morale e materiale: non essendo in grado di promuovere l'ammissione dell'Italia all'O.N.U. per l'opposizione russa, essi si ritenevano obbligati in coscienza a rimediarvi con una dichiarazione solenne che il trattato di pace è moralmente superato e lo è anche materialmente per quelle clausole per cui è oggi necessario. Del resto una formula soddisfacente poteva essere trovata con un po' di buona volontà. Ho ancora insistito sull'opportunità dell'iniziativa francese.

Schuman ha finito col dirmi che ci avrebbe pensato: che era favorevole all'idea, e all'idea dell'iniziativa francese: si trattava soltanto di trovare la formula migliore per tutti.

Ho riferito con dettaglio la conversazione, perché V.E. possa rendersi conto dalle sue obiezioni che mentre Schuman è favorevole all'abolizione delle clausole militari, e probabilmente, per questa potrebbe anche, realmente, essere disposto a prendere delle iniziative, ha molti dubbi sulla «decadenza morale» del trattato. Non mancherò di insistere sia direttamente su di lui, sia su altri ministri quando si sarà maggiormente delineata la figura del nuovo Governo. Ma le mie speranze, per quello che concerne i francesi, sono molto relative. I francesi sono troppo giuridici e formalisti per poter apprezzare un'iniziativa del genere.

Schuman, d'altra parte, personalmente, ha molte questioni gravi da sottomettere al Governo ed al Parlamento: il piano Schuman, il riarmo tedesco, l'Esercito europeo, per non menzionare che le principali: e non ha un compito facile: conoscendo ormai il suo carattere, non lo vedo mettersi sulle spalle un nuovo affare, che non passerebbe da sé.

Viste le cose dal punto di vista nostro interno, si capisce benissimo il perché del nostro passo: ma, visto dall'estero non si capisce bene che cosa noi vogliamo — non parlo naturalmente delle clausole militari. Noi italiani abbiamo, a torto, la fama di essere dei furbi e dei realisti: la decadenza morale del trattato così a prima vista, non si capisce bene a cosa ci serve in pratica: e di lì a pensare che c'è sotto qualche trucco, ed a domandarsi che applicazione pratica daremo a questo principio, non ci vuole molto. «Et dans le doute abstiens-toi».

497 1 Vedi D. 220.

498

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 429. Parigi, 26 giugno 1951 (perv. il 28).

Premettendo che parlavo a titolo personale, ho voluto intrattenere Schuman sulla questione dell'Esercito europeo.

Gli ho ricordato che a Santa Margherita1 gli era stato detto che noi non eravamo estremamente convinti del progetto francese di Esercito europeo: ma che tenuto conto della delicata situazione francese, interna, nei riguardi del riarmo tedesco, ci eravamo impegnati a non dare fastidio ai francesi e ad appoggiarli, in quanto possibile — e lo avevamo fatto (di questo Schuman mi ha dato pienamente atto) — ma, quanto al fondo volevamo vederci chiaro prima di pronunciarci.

Allo stadio attuale delle trattative, sempre per corrispondere ad un desiderio francese, avevamo la massima buona volontà di concorrere alla redazione di un documento. Ma, perché non ci fossero equivoci, tenevo a dirgli che le nostre riserve e le nostre difficoltà erano grandi e sostanziali.

Prima di tutto la questione finanziaria. Se si fosse dovuto dare esecuzione a quanto prevedeva il progetto, la maggior parte del bilancio militare italiano avrebbe dovuto passare dalle mani del ministro del tesoro italiano, a quelle dell'Ente europeo. Ora una decisione di questo genere il ministro del tesoro italiano non l'avrebbe mai accettata: avevo molti dubbi se l'avrebbero accettata anche il ministro della difesa ed in genere i militari: ma anche se il Governo l'avesse accettata, non l'avrebbero accettata le Commissioni di finanza della Camera e soprattutto del Senato.

Schuman mi ha detto che non minori difficoltà si sarebbero incontrate anche da parte francese: era quindi tutta una parte che il Governo francese avrebbe dovuto riesaminare, appena fosse in grado di funzionare.

Gli ho poi detto che, per quello che concerneva l'organizzazione dell'Esercito europeo, a Santa Margherita gli avevamo detto esplicitamente che noi avremmo accettata solo un tipo di organizzazione che sarebbe stata accettata dagli americani.

Gli ho chiesto se aveva delle impressioni su quello che era l'atteggiamento americano: perché noi avevamo l'impressione che fossero piuttosto reticenti.

Mi ha detto che soltanto poche ore prima, gli era stato chiarito il punto di vista americano. Gli americani si erano convinti che il miglior sistema di far passare, anche in Germania, il riarmo tedesco era appunto l'Esercito europeo: e questa era la loro decisione. Dal punto di vista pratico essi vedevano le cose in questo modo:

1) Grandi unità nazionali: ciò implica l'abbandono dell'idea del combat team: divisioni della grandezza di diecimila uomini. Schuman è stato molto vago quando gli ho chiesto di precisarmi se per grandi unità intendesse divisioni o corpi d'armata: la mia impressione sarebbe piuttosto che gli americani propenderebbero per il corpo d'armata e che lui spera di convincerli ancora a contentarsi della divisione;

2) Comando delle grandi unità: europeo: mi ha precisato che lo Stato Maggiore delle grandi unità dovrebbe comprendere ufficiali di varia nazionalità: e che il generale comandante della grande unità dovrebbe preferibilmente essere di nazionalità differente da quella delle truppe. L'idea mi è sembrata un po' strana per cui ho voluto precisare se egli intendeva con questo pool di generali di varia nazionalità, da cui si dovessero scegliere i comandanti delle grandi unità, e se, in caso concreto, ammetteva che il comandante di un Corpo d'armata francese avrebbe potuto essere un generale tedesco. Mi ha risposto solennemente di sì;

3) Comando europeo, Stato Maggiore europeo, Scuola di guerra europea e Servizi di intendenza pure europei, almeno nei loro settori essenziali.

Gli ho per ultimo chiesto se i socialisti francesi e Jules Moch erano disposti ad accettare un piano così differente da quello che avevano affermato essere la loro estrema concessione, o se era una di quelle questioni su cui poteva saltare il Gabinetto. Mi ha detto che i vari partiti francesi erano d'accordo nel far arbitrare da Eisenhower le loro differenze. A mia richiesta di precisazione ha finito per dirmi: «Una volta accettato dagli americani il principio dell'Esercito europeo, esso sarà costituito così come lo vorrà Eisenhower».

Schuman non sempre dice la verità quando assicura che gli americani sono d'accordo su questa o quella iniziativa francese: sia che realmente non abbia capito, sia che puramente o semplicemente dica delle cose non vere. Non mi sento quindi di garantire che il punto di vista americano sull'Esercito europeo sia realmente tale quale me lo ha descritto Schuman. Probabilmente si tratta di un cocktail fra le idee tedesche di Petersberg, il pensiero francese e delle idee americane. La nuova soluzione escogitata è senza dubbio molto più realistica del progetto originale di divisioni composte di combat teams di diversa nazionalità: ma anche questa non manca certo di immaginazione.

Sarebbe certo divertente di vedere un generale tedesco che comanda il Corpo d'armata francese di Parigi: temo però che la realtà dello spirito europeo non sia ancora arrivata così lontano.

La cosa interessante è invece, a mio avviso, il riconoscimento da parte francese del fatto che su questo argomento non si può prescindere dalle idee americane e di lasciare all'atto pratico, l'organizzazione dell'Esercito europeo alla decisione di Eisenhower. Su questo punto mi sorprenderebbe un po' che Schuman mi avesse addirittura detta una bugia. Comunque, se è così, la relazione quale che essa sia, andrebbe forse, pro forma, al Comitato dei supplenti: poi andrebbe ad Eisenhower e sarebbe comunque lui che deciderebbe.

Se le cose stanno realmente così, per quello che concerne gli americani e mi sembra difficile escluderlo a priori, mi sembra che sia arrivato il momento che di questa questione dell'Esercito europeo ci si occupi da noi anche ad alto livello. Finché si poteva contare sullo scetticismo e sulla opposizione americana, si poteva non prendere sul serio la questione: ma il giorno che ci fosse un'idea ed un progetto di Esercito europeo, approvati dagli americani e da Eisenhower, non vedo bene sotto quale forma noi potremmo tirarci indietro.

Non è soltanto sul tappeto una questione di prestigio nazionale, di autonomia militare; considerazioni tutte che, di fronte all'opinione pubblica italiana, europeissima a parole, ma niente affatto europea a fatti, hanno un peso che non si può trascurare. Ma è anche una questione di sostanza.

L'Esercito europeo, come del resto in fatto anche tutto il Comando di Eisenhower, in realtà, è l'Esercito dell'Europa centrale. Ed è anche logico che lo sia: in caso di attacco russo sull'Europa occidentale i combattimenti decisivi saranno quelli che si svolgeranno tra Elba e Reno: ed è per questo stesso fatto, che attenzione, aiuti e pressioni americani sono concentrati oggi sulla Francia, e domani anche sulla Germania assai più che su di noi. Quindi la nostra partecipazione all'Esercito europeo — come del resto la nostra partecipazione all'Esercito atlantico, ma in forma più precisa

— significa partecipazione alla difesa dell'Europa centrale: e cioè significa in altre parole la possibilità di invio, in certe eventualità, di truppe italiane in Europa centrale. Lo stesso caso del resto si presenterà per il settore meridionale, per il Medio Oriente sia che esso sia agganciato al settore europeo mediante una accessione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico, sia che esso lo sia attraverso un patto mediterraneo. Questo non si verificherà subito: fintanto cioè che le nostre forze armate sono ancora estremamente ridotte, ma si verificherà il giorno in cui esse avranno raggiunto lo sviluppo da noi previsto.

Ed è del resto logico che ciò sia così: ed anche nel nostro interesse. Nella guerra come è intesa oggi, quando si è arrivati alle frontiere nazionali, specie nel caso di paesi di piccola estensione, come tutti i paesi europei, si è già all'ultima linea di difesa. L'interesse è quello di portare la difesa il più lontano possibile dal territorio nazionale.

Mi permetto di attirare l'attenzione su questo punto, perché ciò si urta alle difficoltà della nostra Costituzione: ma il concetto di non inviare le truppe nazionali al di fuori delle proprie frontiere è un concetto svizzero, ossia di un paese neutrale: non è un concetto sostenibile da un paese il quale fa parte di un sistema mondiale di alleanza.

Non creda V.E. che non mi renda conto di quanto questo problema sia, in Italia, dal punto di vista interno difficile e delicato. È appunto per questo che mi permetto di attirare su di esso l'attenzione di V.E. quando il problema non è ancora attuale e immediato. Esso però si presenterà e bisognerebbe quindi che noi cominciassimo fin da ora a pensare come risolverlo.

498 1 Vedi D. 233.

499

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATISSIMO URGENTE 071. Parigi, 26 giugno 19511 .

Ho esposto a Schuman le linee essenziali del nostro memorandum annesso al dispaccio di V.E. n. 1046 del 17 u.s.2. Gli ho ripetuto come noi vediamo la situazione turca in particolare e quella del Medio Oriente in generale, ed ho insistito sulla necessità di far presto.

Schuman mi ha ripetuto le ragioni francesi per preferire la soluzione patto mediterraneo (ha avuto la bontà di non ripetermi il concetto dell'accerchiamento della Russia) aggiungendomi che però la Francia non ne faceva una questione di principio e che era aperta a tutte le soluzioni.

A mia impressione i francesi continuano ad esseri contrari all'accessione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico ma se l'America dovesse realmente impuntarsi, e pensano che finirà per farlo, sono più che rassegnati a cedere: quindi cominciano a prepararsi all'idea.

500

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7963/144. Teheran, 27 giugno 1951, ore 19 (perv. ore 21).

Sono stato con Carafa a vedere Ala col quale abbiamo lungamente esaminato si tuazione.

Avvenimenti Abadan odierni di cui al mio telegramma 1431 possono avere secondo Ala conseguenze assai gravi in quanto se britannici arrivassero provvedimenti gravi (e tale sarebbe già minacciato sgombero totale personale Abadan) Mosaddeq potrebbe replicare dimettendosi e facendo appello al paese; ciò che porrebbe sovrano in situazione estremamente delicata. Pertanto Ala mi ha informato che in mattinata è stato inviato messaggio personale urgente a presidente Truman, perché eserciti sua influenza moderatrice su Londra. Ala stesso mi ha chiesto vedere Grady e metterlo al corrente punti utili mia conversazione di ieri con Mosaddeq per studiare se possano dare appiglio ad un ulteriore passo americano2 .

499 1 Copia priva dell'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 477. 500 1 In pari data, riferiva della minaccia di far partire da Abadan il personale tecnico britannico. 2 Con T. segreto 5285/32 del 28 giugno Jannelli comunicava: «Siamo intervenuti a Washington nello stesso senso messaggio di codesto Governo».

501

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 7973/345. Londra, 27 giugno 1951, ore 21,07 (perv. ore 1 del 28). Suo 2041 .

Oggi ho consegnato a sottosegretario Pierson Dixon promemoria relativo Grecia e Turchia2 .

Nello spirito istruzioni V.E. e atteggiamento costante nostro Governo nonché tenendo presenti considerazioni di cui a mio telegramma 3363 ho sottolineato a mio interlocutore che abbiamo visto e vediamo con favore inclusione Grecia e Turchia nel

N.A.T.O. Nostro memorandum, ho fatto presente, risponde principalmente a duplice preoccupazione di un sempre maggiore collegamento entrambi quei paesi con Comunità atlantica e della predisposizione politica di un solido sistema difensivo del Medio Oriente.

Di tale sistema politico Italia non potrebbe non essere chiamata a far parte, come mediterranea e nell'interesse stesso Comunità occidentale.

Dixon nel prendere atto mia comunicazione si è dichiarato spiacente non poter ancora esplicitamente espormi punto di vista suo Governo tanto più avendo dovuto mantenersi altrettanto riservato di fronte domande miei colleghi Francia, Turchia e Grecia. Intera questione è tuttora oggetto esame con Stati Uniti ma ho avuto sensazione che decisione sollecita inclusione Turchia e Grecia in organizzazione atlantica non può troppo tardare.

Alquanto premature apparivano invece a Dixon considerazioni relative ulteriore articolazione politica (patto mediterraneo).

501 1 Vedi D. 477, nota 1. 2 Vedi D. 477, Allegato. 3 Vedi D. 490.

502

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, JANNELLI

L. PERSONALE 7513. Washington, 27 giugno 1951.

Ho letto lo scambio di comunicazioni (allegato al telespresso ministeriale segr. pol. 1076/C. del 20 corrente)1 relativo alla questione di Trieste.

Desidero dirti subito che condivido interamente il pensiero del ministro. Non mi pare, infatti, che sia questo il momento di risvegliare il cane dormiente delle trattative con la Jugoslavia sul problema territoriale.

Non mi pare, soprattutto, che ci convenga svegliarlo, mossi dal timore di essere sottoposti fra breve a pressioni anglo-americane.

Gli Stati Uniti, in tutta la loro azione verso la Jugoslavia, hanno sempre evitato di subordinare gli aiuti economici a concessioni politiche. Hanno voluto cioè che la Jugoslavia modificasse il suo atteggiamento politico verso l'Occidente, sotto la pressione indiretta delle sue difficoltà interne, dell'assistenza elargitale per sormontarle e della minaccia sovietica e non già sotto pressioni dirette.

A questa regola (buona o cattiva che sia) gli Stati Uniti si sono attenuti perfino a proposito degli aiuti jugoslavi ai guerriglieri greci. La stessa regola ha giocato contro di noi quando chiedevamo a Washington di strappare alla Jugoslavia concessioni politiche nella Zona B, in connessione con gli aiuti economici che le venivano accordati; ma ha anche giocato a nostro favore, liberandoci da qualsiasi specie di pressione americana.

Come sai, per quanto il desiderio americano di vedere l'Italia e la Jugoslavia accordarsi sulla questione di Trieste sia stato e sia tuttora vivo, il Dipartimento di Stato non ci ha mai forzato ad aprire negoziati o ad abbandonare le nostre aspirazioni, conformi alla dichiarazione del 18 marzo 19482. Prova ne sia che quando, circa un anno fa, la Jugoslavia sembrò desiderare un accordo, ma, in pari tempo, dimostrò di non volersi spingere a cercarlo sulla base da noi indicata (annessione da parte dell'Italia di entrambe le Zone del Territorio Libero, con lievi rettifiche di frontiera a favore della Jugoslavia e con facilitazioni economiche nel porto di Trieste) nessuno, qui a Washington, ci disse che dovevamo modificare quella base.

Non credo che, da allora, la situazione sia mutata sostanzialmente. Credo ancora meno che ci convenga, col prendere l'iniziativa di nuovi contatti, mostrare di crederla mutata. È vero che non si intravvede per il momento la possibilità di risolvere la questione nel modo da noi voluto; ed è parimenti vero che la piaga aperta rischia sempre di diventare cancrenosa; ma questo rischio, credo, merita ancora oggi di essere affrontato, a preferenza di quello di ... una mutilazione.

Oggi, del resto, il rischio della cancrena mi sembra essere connesso meno con la situazione generale che con quella locale. Infatti, secondo le informazioni che mi pervengono dall'Italia (vedi, fra l'altro, il telespresso ministeriale 9432/C. del 18 corrente)3 nonché da fonti americane, i partiti estremi di Trieste si mostrano assai più attivi dei partiti democratici, i quali ultimi appaiono disorganizzati e discordi. Si rischia quindi che le elezioni dell'ottobre prossimo segnino una vittoria delle correnti favorevoli alla costituzione del Territorio Libero; e che, la soluzione da loro patrocinata restando per noi inaccettabile, la loro vittoria crei confusione sul posto e impressioni sfavorevolmente gli americani.

Naturalmente, su questo aspetto del problema, a Roma ne sapete più che noi qui.

502 1 Con tale telespresso erano stati ritrasmessi i DD. 426 e 482 alle ambasciate a Parigi e Wa shington ed alla legazione a Belgrado. 2 Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 per la quale vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

503

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8025/428. Parigi, 28 giugno 1951, ore 20,15 (perv. ore 20,30).

Progetto N.A.T.O. rapporto preparato da Segretariato Conferenza esercito europeo mi è pervenuto stamane. Da primo esame sembrami che testo, il quale come previsto tende a dare a lavori Conferenza carattere più concreto ed impegnativo della realtà, necessiti ritocchi.

Testo verrà da me inviato per corriere sabato prossimo 30 giugno unitamente principali emendamenti che proporrei in riunione Conferenza martedì 3 prossimo.

Sarei grato V.E. volesse, ove possibile, farmi pervenire telefonicamente entro lunedì sua approvazione ed ogni altra eventuale sua osservazione1 .

502 3 Non pubblicato.

503 1 Con il T. segreto 5448/330 del 4 luglio Zoppi rispose: «D'accordo circa emendamenti proposti. Insista in ogni caso su concetto che “conclusioni” rapporto non possono però in alcun modo avere carattere impegnativo».

504

IL MINISTRO A QUITO, MOSCATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 815/265. Quito, 28 giugno 1951 (perv. il 7 luglio).

In riferimento al telespresso ministeriale n. 11/08740/C. del 7 giugno1 e al rapporto n. 621/206 del 18 maggio u.s.2 mi onoro comunicare di aver stamane intrattenuto il sottosegretario agli esteri, cui ho all'uopo rimesso un riassuntivo memorandum, sulle considerazioni ed argomentazioni rappresentate da codesto Ministero in merito alla revisione del trattato di pace.

Ho nel contempo pregato che l'Equatore, il quale a mezzo dei suoi agenti diplomatici invocò nel 1946, con amichevole iniziativa, una giusta pace a favore dell'Italia, considerasse l'opportunità di presentare, secondo la procedura e le linee indicate con il citato telespresso, la suggerita mozione alle Nazioni Unite, aderendo, inoltre, a quella azione che i paesi amici avessero a concertare per dar corso, nei riguardi dell'ammissione del nostro paese all'O.N.U., alle promesse implicitamente contenute nel trattato stesso.

Il dott. Tobar (il ministro degli esteri ha accompagnato il presidente della Repubblica negli Stati Uniti e sarà con lui di ritorno verso la seconda decade di luglio) nell'accogliere con sentimenti di viva simpatia e cordiale interessamento quanto gli esponevo, ha assicurato che il suo Governo, come già per il passato, sarebbe decisamente intervenuto nel senso richiesto, riservandosi di riscontrare il memorandum e di prendere contatti con il delegato all'O.N.U. che, previe intese con altri paesi latino-americani e con il nostro osservatore, farà conoscere quando converrà e potrà presentare la mozione.

505

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 5304/34. Roma, 29 giugno 1951, ore 21.

Suo 1541 e precedenti2 .

Tutto ciò che V.E. e Carafa potranno fare d'accordo con persiani e inglesi in vista determinare distensione e favorire i negoziati ha nostra approvazione.

504 1 Vedi D. 462. 2 Riferiva circa le conversazioni con il sottosegretario agli esteri ecuadoregno Tobar sulla questione della revisione del trattato di pace. 505 1 In pari data, con il quale Cerulli riferiva circa un tentativo di distensione tra britannici e persiani ad Abadan. 2 Da ultimo vedi il D. 500.

506

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATO PERSONALE 7427/3927. Washington, 29 giugno 1951 (perv. il 4 luglio).

Ho l'onore di far seguito alla lettera dell'ambasciatore Tarchiani n. 7320 del 22 corrente1, riferendo a V.E. le prime notizie qui raccolte dopo le dichiarazione fatte dal segretario di Stato nel colloquio del 22 corrente.

Non vi è dubbio che la questione del trattato di pace sia entrata in una nuova fase, caratterizzata dalla decisione americana di adoperarsi attivamente a favore della revisione.

L'azione intrapresa a tal fine dal Governo italiano nei mesi scorsi ha, pertanto, conseguito un primo successo.

So che, dopo il colloquio Acheson-Tarchiani, il Dipartimento di Stato ha avuto un primo contatto con le ambasciate di Gran Bretagna e di Francia, invitandole a chiedere il punto di vista dei rispettivi Governi sulla revisione e facendo chiaramente intendere che quello americano è favorevole.

Ciò premesso, ho il dovere di segnalare che la nuova fase della questione non si annuncia né breve né facile.

Il Dipartimento di Stato sembra essere, per ora, alla ricerca di una formula che permetta di emendare il trattato di pace senza offrire troppo apertamente all'U.R.S.S. il destro di protestare con buoni argomenti giuridici. Inoltre esso avrebbe finora dedicato la sua attenzione soprattutto alle clausole militari, insistendo meno su quegli aspetti psicologici del problema che invece rivestono per la nostra opinione pubblica un'importanza primaria.

D'altra parte, secondo qualche confidenza fattami da parte francese, converrebbe orientarsi verso una procedura che apra bensì la via all'inosservanza delle clausole militari da parte dell'Italia, ma che al tempo stesso lasci all'Italia la maggior parte possibile della responsabilità di tale inosservanza.

Si tratta per ora di impressioni preliminari, da accogliersi con tutte le riserve. È ovvio però che le idee sopradescritte, se risultassero confermate, non risponderebbero alle esigenze della situazione italiana, che consigliano non già la ricerca di espedienti giuridici tendenti a consentire la costruzione di qualche carro armato di più, bensì un atto politico coraggioso, atto a sancire solennemente la posizione, che l'Italia già occupa, di alleata delle massime potenze occidentali nella difesa della pace mondiale.

Sono certo che anche a questo atto coraggioso si giungerà; ma la strada per arrivarvi non sembra ancora sgombra di ostacoli.

Sarà mia cura, nei prossimi contatti col Dipartimento di Stato, di insistere perché il Governo americano non perda di vista gli aspetti fondamentali della questione. Mi sarà, in proposito, preziosa ogni tempestiva indicazione sulle reazioni dei Governi britannico e francese, che possono avere qui un peso quasi determinante.

506 1 Non rinvenuto ma vedi D. 489.

507

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8130/158. Teheran, 30 giugno 1951, ore 19,30 (perv. ore 24).

In seconda riunione con questo sottosegretario finanze abbiamo esaminato sulla base punto di vista persiano da lui già esposto quali concrete possibilità d'accordo si presentino nella situazione attuale. A conclusione lunga riunione durata tre ore e mezzo e nella quale circostanze politiche e tecniche sono state liberamente considerate ho richiamato l'attenzione sottosegretario su alcuni metodi da studiare più da vicino per negoziare un accordo:

1) riconosciuta chiaramente nazionalizzazione giacimenti e industrie petrolifere inglesi in Persia e costituzione società statale petrolifera, questa società statale con vari sistemi (costituzione società di capitale misto britannico iraniano, concessione a gruppi britannici singole gestioni ecc.) [potrebbe] assicurarsi collaborazione capitali e tecnici e mantenere a suo vantaggio attuale tradizione industriale e mano d'opera creata da britannici;

2) accettato principio nazionalizzazione come sopra e in attesa che ulteriori negoziati regolino rapporti definitivi, sistemare intanto situazione nella zona petrolifera con un accordo temporaneo che duri alcuni mesi e che assicuri intanto collaborazione sul posto tra britannici e persiani. Hassibi studierà questo metodo e ne parleremo in terza riunione domenica mattina.

508

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1198/668. Ankara, 30 giugno 1951 (perv. il 5 luglio).

Riferimento: Telegramma di V.E. n. 54 del 25 giugno u.s.1 .

Ho portato riservatamente a conoscenza di questo Ministero degli affari esteri il punto di vista del Governo italiano sull'adesione della Grecia e della Turchia al Patto atlantico, come dal memoriale diretto ai membri del N.A.T.O.2 .

Il segretario generale Akdur ne ha preso conoscenza con vivissima soddisfazione e mi ha dichiarato che non si poteva prospettare la fondatezza della nostra tesi con maggiore evidenza e validità di argomentazione. Mi ha pregato di ringraziarne il Governo italiano, aggiungendo che la Turchia mostrerà la sua gratitudine per questo appoggio così efficace. Parole non meno calorose mi ha rivolto poco dopo il ministro degli esteri Köprülü.

Si attende ora l'arrivo di Sir Noel Charles ad Ankara per conoscere l'atteggiamento britannico. L'ambasciatore ha tardato sulla data prevista, probabilmente per attendere a Londra, secondo quanto qui si presume, i risultati della Conferenza del Commonwealth.

L'ambasciatore Akdur mi ha detto che sulla decisione britannica influiranno questioni di importanza strategica, quali i piani di difesa del Medio Oriente e la nomina del comandante del Mediterraneo orientale. Logicamente, mi ha detto il segretario generale, le questioni politiche dovrebbe avere la precedenza su quelle strategiche. In altri termini i problemi militari dovrebbero essere discussi dopo che siano stati conclusi gli accordi politici e nel quadro di questi accordi; altrimenti i paesi coi quali si intende collaborare, come è il caso della Turchia, sono messi in presenza di piani stabiliti senza il loro intervento e di situazioni precostituite. Con tali parole il segretario generale ha inteso esprimermi la preoccupazione del suo Governo di dover iniziare con Noel Charles trattative difficili su questioni già pregiudicate.

Come ho accennato in altri rapporti, la Turchia ha la sgradevole sensazione che si tende, senza il suo intervento, a decidere delle sorti dell'area geografica della quale essa fa parte, e che altri disponga in un certo qual modo del suo stesso avvenire. L'ambasciatore Akdur si è riferito particolarmente alla nomina dell'ammiraglio Carney al Comando del settore meridionale dell'organizzazione atlantica. Benché non si abbiano elementi precisi sulla competenza di questo Comando, è chiaro che ne resta escluso, almeno per ora, il Comando del Mediterraneo orientale, sul quale l'Inghilterra mantiene immutate le sue pretese. Ora i turchi, che hanno avuto con l'ammiraglio Carney, durante le sue visite a Ankara e Istanbul, degli scambi di vedute che hanno rivelato un'armonia di obiettivi, preferirebbero veder lui e non un militare inglese al Comando del Mediterraneo orientale, tanto più che con il generale Brian Robertson, come Akdur ha tenuto a confermarmi, lo scambio di vedute fu nettamente negativo.

Sembra dedursi da tutto ciò che la Turchia si attende: o che la decisione inglese circa la sua adesione al Patto atlantico verrà procrastinata a dopo la nomina del comandante del Mediterraneo orientale, o che, nelle trattative ch'essa avrà con Noel Charles, venga fatto qualche riferimento a tale questione. E probabilmente essa non sarà la sola ad essere sollevata, non essendo da escludere, secondo quanto mi sembra comprendere, che una decisione inglese potrebbe essere subordinata a precisi chiarimenti e impegni sull'atteggiamento della Turchia. Molto esplicitamente il ministro Köprülü mi ha detto di attendersi che gli inglesi «gli chiederanno molto».

In tema di adesione della Turchia al Patto atlantico tengo a segnalare una interessante e significativa conversazione avuta sull'argomento da un mio collega del corpo diplomatico con l'ambasciatore sovietico Lavrichtchev. Il mio collega, per scandagliare gli intendimenti sovietici, ha chiesto a Lavrichtchev perché la Russia non aveva fatto dei passi presso il Governo turco per assicurarlo che l'U.R.S.S. avrebbe sempre rispettato la sua neutralità. L'ambasciatore sovietico gli ha risposto che di proposito se ne era astenuto per due motivi. In primo luogo, perché un passo del genere avrebbe avuto il risultato diametralmente opposto, e cioè avrebbe spinto le potenze occidentali a superare ogni indugio e ammettere senz'altro la Turchia nel gruppo atlantico. In secondo luogo, perché «giova molto più alla politica russa una Turchia scontenta che una Turchia che spera tuttora in una possibile adesione». Il mio collega commentava la risposta di Lavrichtchev nel senso che la Russia è convinta che i turchi riceveranno un rifiuto alla loro domanda di adesione al Patto atlantico e che essa attende quel momento per iniziare nei loro riguardi le sue manovre di allettamento.

508 1 Invitava Pietromarchi a richiamare l'attenzione del Governo turco sul memorandum italiano relativo all'ammissione di Grecia e Turchia al Patto atlantico. Vedi D. 477, Allegato. 2 Vedi D. 477, Allegato.

509

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1855. Belgrado, 30 giugno 1951 (perv. il 4 luglio).

Dopo aver preso visione del rapporto del 22 maggio del nostro ambasciatore a Londra e della risposta di V.E.1, ritengo opportuno ritornare brevemente sulla questione del T.L.T.

Durante una conversazione del 26 corrente con questo ministro aggiunto Leo Mates, egli mi ha manifestato una sua generica insoddisfazione sugli attuali rapporti tra i due paesi, o meglio ha precisato che essi non si sono sviluppati come sarebbe stato desiderabile. Vi sono ancora questioni da risolvere — egli ha detto — e si suole dire che debbono essere risolte con soddisfazione da entrambe le parti: ma sarebbe meglio dire che esse non possono [essere] risolte che con insoddisfazione reciproca, perché purtroppo normalmente ciascuno in ogni accordo, guarda più al passivo che all'attivo. Per esempio, egli ha aggiunto, prendiamo la questione di Trieste. Il Governo jugoslavo sa già che un eventuale accordo implicherà rinunce da parte della Jugoslavia. Mates, accennando implicitamente alla tesi jugoslava, oramai più volte ribadita, dell'attribuzione della Zona A all'Italia e della Zona B alla Jugoslavia, ha detto che il Governo jugoslavo, pur persistendo in tale tesi, è preoccupato di dover un giorno rendere noto al popolo jugoslavo di aver rinunciato a Trieste ed a tutta la Zona A.

Se tale accenno di Mates non contiene nulla di nuovo, può essere invece interessante un'altra osservazione di Mates: e cioè che la questione di Trieste esiste che pende tra noi, che bisognerebbe che fosse risolta specialmente in relazione alla presente situazione internazionale.

È noto che fino ad oggi l'atteggiamento di questo Governo e dello stesso Maresciallo era nel senso che era opportuno risolvere tutte le altre questioni e differire quella di Trieste, che poteva per ora essere accantonata. Dal tono, invece, della conversazione di Mates ho tratto l'impressione che ora questo Governo fa molto dipendere il futuro delle relazioni fra i due paesi dalla soluzione di quella questione.

Senza avere alcun elemento in merito, sarei indotto a pensare che questo nuovo atteggiamento possa originare da qualche conversazione di questi ambasciatori inglese ed americano con questi dirigenti.

È ovvio il desiderio delle grandi potenze democratiche di eliminare questo punto di attrito in seno allo schieramento occidentale ed è anche presumibile che esse desidererebbero che esso fosse eliminato o in via di eliminazione prima dell'eventuale Conferenza dei quattro ministri degli esteri, dove non sarebbe loro agevole assumere una chiara posizione.

Senonché, come giustamente ha osservato V.E., non sta al Governo italiano fare delle aperture. Alla tesi jugoslava della spartizione pura e semplice del T.L.T. sulla base dello statu quo, V.E. offrì una soluzione [in] base ad una «linea tecnica», che pure implicava la possibilità di una soluzione al di fuori del ritorno di tutto il T.L.T. all'Italia, affermato nella Dichiarazione tripartita2. Dopo tale offerta gli jugoslavi non hanno fatto alcun passo avanti.

Non ci è perciò possibile abbandonare la proposta di V.E., dato che l'elemento etnico è indubbiamente l'argomento più sicuro e forte per sperare in una buona soluzione.

Né finora sono apparsi qui accenni per un eventuale cedimento della tesi jugoslava.

Sulla questione il maresciallo Tito ha intrattenuto questo ministro di Israele, durante la visita di congedo (come è noto egli è stato trasferito a Roma), e quest'ultimo è rimasto impressionato dal tono deciso del Maresciallo quando gli ha affermato che il Governo italiano non può sperare in nessuna parte della Zona. Pare che l'argomento del «prestigio» e della impopolarità di eventuali cessioni fossero alla base della dichiarazione di Tito. E non a caso questo ultimo ha fatto tale dichiarazione al ministro Ishay che sapeva trasferito a Roma.

L'atteggiamento del Maresciallo è perciò in netto contrasto con l'opinione di questo ambasciatore d'America già comunicata a V.E.3, che il Governo jugoslavo potrebbe arrivare a restituire all'Italia la costa fino a Pirano, seguendo la linea della Dragogna.

Pur prospettando una soluzione insoddisfacente, se l'opinione di Allen avesse qualche base si poteva almeno sperare su un cedimento della intransigenza jugoslava.

Nonostante l'estrema difficoltà di una possibile soluzione, non sono tuttavia da escludersi pressioni anglo-americane per una soluzione definitiva della questione. Ma appare ovvio che tali pressioni dovrebbero piuttosto indirizzarsi sul Governo jugoslavo che su noi: ciò sarebbe più coerente con le tesi sostenute dalle grandi potenze in sede di Conferenza della pace e alla Dichiarazione tripartita.

Ciò sarebbe anche più consigliabile dato che in questo momento la Jugoslavia ha estremo bisogno dell'Occidente.

Se l'Occidente ha usato sinora dei riguardi per la Jugoslavia perché era necessario strapparla definitivamente da Mosca, dovrebbe ora convincersi, ed in base a tale convinzione dirigere la sua politica, che oggi è Tito che ha più bisogno dell'Occidente, che non questo di Tito.

Non è certo facile convincere Tito con la forza o con le minacce, ma le grandi potenze occidentali hanno oggi in mano buoni argomenti di persuasione.

3 Vedi D. 465.

509 1 Vedi DD. 426 e 482.

509 2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

510

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8153/160-161. Teheran, 1° luglio 1951, ore 20 (perv. ore 7,30 del 2).

Stamane ho avuto conversazioni con questo presidente del Consiglio su sviluppo situazione. L'ho messo al corrente anche da parte mia delle nostre conversazioni con sottosegretario di Stato finanze e particolarmente sui metodi soluzione questione petroli di cui al mio telegramma 1581. Mosaddeq m'ha detto che egli è d'accordo sostanzialmente con suo sottosegretario di Stato nel ritenere che soluzione definitiva non possa essere raggiunta ora nello stato attuale dell'opinione pubblica in Iran e tenendo conto situazione parlamentare. Questione Anglo-Iranian può essere risolta invece a suo avviso con un metodo graduale. Egli vedrebbe un ordine di questo tipo:

1) riconoscimento chiaro da parte britannica nazionalizzazione del petrolio ed insieme gli ho suggerito il modus vivendi provvisorio per trasferimento gestione temporanea impianto Abadan;

2) negoziati con Anglo-Iranian per regolare questioni finanziarie del passato e relative al passaggio gestione;

3) negoziati tra Governi persiano e britannico per questioni di carattere politico connesse col problema petroli. Presidente si è spinto a dirmi che a prova sua buona volontà egli potrebbe anche accettare contemporaneità secondo e terzo negoziato ciò che rappresenta ulteriore accostamento punto di vista Londra. Avendogli io accennato che questione petroli come egli stesso mi aveva detto in passato comporta anche esame situazione altri paesi acquirenti produzione Abadan Mosaddeq mi ha detto molto volentieri egli vedrebbe che a lato negoziati col Governo britannico vari paesi acquirenti mandino loro delegati eventuale conferenza per regolare complessiva distribuzione e pagamento petrolio persiano.

Mosaddeq mi ha ripetutamente dichiarato che in questi termini egli è pronto ad assumere personalmente responsabilità soluzione nei confronti Parlamento e paese. Io ignoro peraltro se e sino a che punto tali sue vedute abbastanza moderate siano condivise dalle varie correnti nazionalistiche di estrema.

Presidente del Consiglio dopo avermi esposto suo punto di vista circa eventuale accordo con Londra ha aggiunto che tale accordo anche se nominalmente definitivo non può in realtà essere altro che provvisorio e cioè valevole soltanto sino a che «continui nel mondo la pace ed in Iran la neutralità». Egli si è riferito all'amara esperienza fatta nell'ultimo conflitto e mi ha detto non si fa illusioni sulla possibilità che in caso di guerra mondiale Iran non sia occupato dall'uno o dall'altro belligerante. Ma ha dichiarato è nell'interesse blocco occidentale come dell'Unione Sovietica che neutralità persiana duri il più a lungo possibile in caso conflitto senza alcuna delle

parti ponga in gioco da una parte Abadan e dall'altra le frontiere del Caucaso e del Turkestan. Questo [interesse] vitale dell'Iran alla durata della propria neutralità è perciò un interesse comune dei due blocchi. E ha ancora più chiaramente [detto] presidente del Consiglio è facile vedere come Governo persiano non possa garantire tale neutralità che appunto soltanto se a presenza effettiva e non eliminabile dei russi a nord non corrisponda in qualche modo una presenza degli occidentali ad Abadan (e mi ha sottolineato la parola «occidentali»). Ciò Londra dovrebbe comprendere perché in tale necessità persiana si trova anche migliore garanzia che sorpassate difficoltà presenti e accertato che britannici non si ingeriranno più politica interna persiana diventa un immediato interesse vitale per la Persia accentuare in Abadan sua collaborazione con Gran Bretagna ed altri paesi blocco occidentale.

510 1 Vedi D. 507.

511

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8166/432. Parigi, 2 luglio 1951, ore 19,30 (perv. ore 20). Mio 4281 .

Delegazione tedesca ha chiesto rinvio riunione Comitato direzione (che doveva aver luogo domani) a lunedì 9. Alphand seccatissimo ha telegrafato a François-Poncet perché intervenga affinché riunione possa aver luogo venerdì 6. Data riunione quindi è ancora incerta. Nel frattempo membro delegazione tedesca è venuto a vedermi da parte di Roediger, che è a Bonn, per dirmi che a Bonn si troverebbe testo progetto rapporto troppo ottimista e si sarebbe annoiati per estrema fretta francesi: e questi ultimi affermano che sarebbero spinti da americani. Pur non avendo obiezioni sostanziali a testo progetto rapporto tedeschi comunque desidererebbero che loro posizione venga più diffusamente spiegata.

Senza informare interlocutore tedesco di nostri proposti emendamenti, gli ho detto che se rapporto era alquanto ottimista, non vi si poteva nemmeno accentuare divergenze vedute. Gli ho aggiunto che anche da parte nostra probabilmente avremmo chiesto inserzione alcune precisazioni; sopratutto tenevo a che nel rapporto risultasse ancor più chiaramente Governi non essere impegnati e rimanere liberi ritornare su tutto.

511 1 Vedi D. 503.

512

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 1556/344. Teheran, 2 luglio 1951 (perv. il 4).

Lo scià mi ha ricevuto in udienza privata con Carafa e Verani.

Il sovrano ha voluto essere informato dettagliatamente della situazione. Non mi ha nascosto sue gravi preoccupazioni, da un lato per lentezza da parte di Londra ad adattarsi alle nuove circostanze e dall'altro per gli eccessi alcune volte infantili degli estremisti. Questo stato di reciproca incomprensione, egli ha detto, impedisce sin ora che la Persia possa diventare quel che veramente sarebbe nella sua funzione storica: un avanzato baluardo anticomunista nel Medio Oriente. «Auguriamoci non sia troppo tardi» ha concluso. Mi ha poi vivamente ringraziato per la prova di amicizia datagli dal Governo italiano con l'invio della missione Carafa e ha raccomandato di fare il possibile per far conoscere a questa opinione pubblica come in Italia la costituzione ed il funzionamento dell'Agip non hanno mai escluso collaborazione con gruppi petrolieri esteri e specialmente britannici ed americani. A suo avviso è importante illuminare almeno l'opinione pubblica media «perché ad un certo momento potremmo anche passar oltre l'opposizione dei fanatici».

513

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI

T. SEGRETO 5421/38. Roma, 3 luglio 1951, ore 21.

Suoi 160-1611 .

Ci sembra a prima vista difficile che inglesi possano accettare due condizioni accennate punto primo senza che siano anche concordati, almeno di massima, principi cui dovrebbero ispirarsi successivi accordi definitivi. Se codesto Governo fosse disposto, una volta accettato da tutti principio nazionalizzazione, ad entrare ordine idee prospettato in suo telegramma 1582 (compagnia statale iraniana con gestione giacimenti ed eventuale proprietà impianti, e compagnia mista per esercizio raffinerie e trasporti) potremmo, in più delle conversazioni tecniche che si svolgono costì, intrattenere Londra su più concrete possibilità soluzione.

2 Vedi D. 507.

Nell'attesa che situazione si chiarisca meglio teniamo inglesi al corrente per sommi capi contenuto suoi telegrammi riferendoci per maggiori dettagli in loro stessi contatti costì con V.E. e Carafa.

513 1 Vedi D. 510.

514

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8202/434. Parigi, 3 luglio 1951, ore 8,45 (perv. ore 9).

Alphand, pur non avendo chiaramente manifestato sue intenzioni, ha a varie riprese lasciato intendere che suo desiderio sarebbe che Conferenza, dopo approvazione rapporto, non interrompa lavori. Egli ha parlato di continuazione lavori Comitati tecnici (al che non vi dovrebbero essere da parte nostra obiezioni) ma anche di riunioni di Comitato direzione e in particolare di convocazione riunione ministri per decisioni in high level che rimettano in marcia senza ritardo Conferenza.

Dato che credo capire che da parte nostra si desidererebbe invece aver pausa almeno fino settembre, crederei opportuno, se tale effettivamente è nostra intenzione, che essa venga espressamente fatta conoscere in una prossima seduta Conferenza e comunque comunicata formalmente a Alphand.

Prego V.E. voler, ove lo creda opportuno, dare istruzioni questa delegazione.

Aggiungo che, a quanto sembra, anche delegazione tedesca sarebbe favorevole prolungata sospensione1 .

514 1 Con il T. segreto 5449/331 del 4 luglio Zoppi rispose: «Dica pure a Grandville che non solleviamo obiezioni su continuazione lavori Comitati tecnici. Circa riunioni a più alto livello è questione da vedersi a momento opportuno. Venturini recherà più precise istruzioni».

515

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8216/57-58. Tokyo, 3 luglio 1951, ore 19,55 (perv. ore 18). Miei telegrammi 42 e 431 .

Ho veduto Allison che rientrato stanotte Washington. Miei timori circa pregiudizievole isolamento italiano nei confronti di pace giapponese hanno avuto conferma benché odierna conversazione, su richiesta di Allison, sia da considerarsi non (dico non) impegnativa.

Procedura sarebbe ora seguente:

1) entro questa settimana progetto sarà presentato Governi membri Commissione Estremo Oriente;

2) poco dopo testo aggiornato sarà consegnato Stati in guerra Giappone: Italia sarebbe esclusa;

3) trattato sarà firmato dai Governi di cui a punto primo; tutti gli altri aderiranno trattato aperto, salvo Italia;

4) Italia e Giappone potrebbero successivamente entro periodo firma e ratifica negoziare pace separata;

5) da preciso accenno Allison desumo che nostri specifici interessi non (dico non) verrebbero tutelati in alcun modo in trattato generale.

A titolo strettamente personale non ho mancato fare osservare Allison grave inconveniente per noi tale procedura che tra l'altro mi sembra riservare Italia trattamento ex alleato Giappone anziché cobelligerante e membro Patto atlantico.

Allison ha concluso tuttavia che decisione definitiva non (dico non) è stata ancora adottata e mi ha assicurato prendere nota mie osservazioni.

515 1 Del 19 giugno, non pubblicati: preannunziavano l'incontro con Allison esprimendo dubbi circa l'accoglimento delle richieste italiane.

516

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. PERSONALE. Londra, 3 luglio 1951.

Ho ricevuto la tua lettera del 23 giugno 1951 (segr. pol. 1101)1 e godo di poterti esprimere la mia piena comprensione e adesione alla seria e convincente impostazione relativamente alla revisione del trattato.

Più che noi «per aver noi messo sul tappeto un nuovo problema» qui a Londra si trattava di una certa incomprensione del modo e del momento in cui era stato posto e per cui — a parte generiche assicurazioni di buona volontà — era difficile intravedere come si sarebbe potuto aiutarci a fare «un passo avanti» sul terreno concreto. Questo me lo aveva lasciato capire confidenzialmente Morrison, con un vago accenno alla difficoltà di dare un seguito sul terreno diplomatico a iniziative sviluppate sopratutto su quello giornalistico e in pubblici discorsi.

Ora la questione parte da una base nuova e convincente, che non può essere «girata» in buona fede e che ha diritto a un serio esame e a chiare prese di posizione da parte degli Alleati.

Sto preparando il terreno per la mia conversazione sull'argomento con Morri son2 che, ne sono convinto, non può mancare di prenderlo in considerazione con sentimento di leale simpatia3. Te ne scriverò poi anche in via affatto riservata.

ALLEGATO

L'AMBASCIATA A LONDRA AL MINISTERO DEGLI ESTERI DI GRAN BRETAGNA

PROMEMORIA4 . Londra, 2 luglio 1951.

The problem of the revision of the Italian Peace Treaty cannot be equitably considered unless it is examined in the light of the events that have led to its conclusion. As it is well known, the Potsdam declaration explicitly recognized that «Italy was the first of the Axis Powers to break with Germany, to whose defeat she has made a material contribution and has joined with the Allies in the struggle against Japan». For this reason the Three Powers considered «the preparation of a Peace Treaty for Italy as the first among the immediate and important tasks to be undertaken by the new Council of Foreign Ministers».

2 Vedi Allegato.

3 Vedi D. 546.

4 Consegnato a mano da Gallarati Scotti a Strang.

The intention that Italy should be granted a more favourable treatment than the other ex enemy countries was repeatedly confirmed. Whenever during the drafting of the Peace Treaty amendments of harsh clauses were requested by Italy, the Allies always stressed that such clauses were by far more lenient than those which would be imposed upon Germany and Japan.

It was on this basis that Italy, wishing to cooperate with all her strength towards the reconstruction of the world devastated by the war, accepted to sign a Peace Treaty notwithstanding the great sacrifices and burdens imposed upon her.

From 1947 to today the international situation has undergone radical changes and Italy

— who has willingly contributed towards the strengthening of the Western democratic world — fully appreciates the wisdom which inspired the Allied Government, in respect of the Peace Treaty with Japan and eventually with Germany, to adopt conditions far more lenient than those contemplated at the time the Peace Treaty with Italy was drafted.

On the other hand, at the moment when such Peace Treaties are about to be drafted with Japan and Germany, it would appear unthinkable that the Allies should continue to keep Italy bound by the present Peace Treaty, all the more so as it was meant to place her in a more favourable position than Japan or Germany. It is obvious that Italy should be relieved at least of those clauses and provisions which shall not be imposed upon Japan now and Germany later.

Italy appreciates that, whilst the Deputies were negotiating in Paris for a meeting of the Foreign Ministers, it was difficult for the Allies to take up the question of the revision of the Italian Peace Treaty. But now that such a suspensive condition has ended, the problem should be faced in full.

Italy realises that, before reaching a final solution, the question requires to be carefully examined by the Three Powers both from a political as well as from a juridical point of view. However, the Italian Government are anxious to bring to the attention of the British Government the very serious effect on Italian public opinion and the harm that would thus be caused to the Western community, if the problem were not dealt with before the general outlines of the Peace Treaty with Japan are made known.

In a recent conversation the Italian Ambassador had at Washington, the Secretary of State Mr. Acheson fully appreciated this point of view; and Rome is confident that — in the renewed atmosphere of Anglo-Italian relations — the United Kingdom will do their utmost in seeing that the question is solved in the best possible way in the general interest.

516 1 Vedi D. 491.

517

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI

T. SEGRETO PRECEDENZA ASSOLUTA 5490/272. Roma, 5 luglio 1951, ore 19,30.

Telegramma di questo Ministero n. 2691 .

Chieda subito precisazioni a Dipartimento di Stato.

Se si era accennato in passato, e cioè prima che fosse noto progetto trattato pace, a possibilità accordo diretto, ciò si era fatto nell'idea che tale soluzione potesse riuscire gradita codesto Governo nelle more trattato giapponese, e che Governo americano si adoperasse, in vista note circostanze nostra dichiarazione di guerra Giappone, a farci ottenere condizioni in ogni caso non diverse da quelle che sarebbero state riconosciute ad altri paesi che furono come noi formalmente in guerra col Giappone. Già con successivo telespresso (n. 856 del 25 maggio)2 in considerazione rapida maturazione trattato giapponese, mostravamo peraltro nostra preferenza per formula più impegnativa ed automatica.

Telegrafi3 .

518

IL RAPPRESENTANTE NEL CONSIGLIO ATLANTICO, A. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8353/152. Londra, 5 luglio 1951, ore 23,40 (perv. ore 7,30 del 6).

Continuata stamane discussione su Grecia e Turchia1 .

Sostituto norvegese letto dichiarazione suo Governo esprimente timore inclusione Grecia e Turchia nel Patto atlantico cambierebbe carattere regionale ed ideologico Patto stesso rendendo impossibile auspicata stretta unione fra Stati membri. Riconoscendo tuttavia importanza associare Grecia e Turchia difesa occidentale nonché loro legittimo desiderio maggiore protezione, Norvegia è per sollecita stipulazione patto mediterraneo.

Analoga dichiarazione fatta sostituto danese che particolarmente insistito su pericolo che entrata Turchia Grecia Patto atlantico porti a violente reazioni sovietiche, aumento tensione mondiale e rischio conflagrazione generale.

2 Vedi D. 433.

3 Per la risposta vedi D. 529.

In relazione suddette dichiarazioni sostituto francese sostenuto che patto regionale mediterraneo collegato a Patto atlantico mediante accordi tecnici sembra essere soluzione preferibile.

Spofford risposto che Stati Uniti avevano già considerati vantaggi e svantaggi due alternative e si erano pronunciati per estensione Patto atlantico date inevitabili difficoltà e ritardi che comporterebbe patto mediterraneo nonché circostanza che due parallele organizzazioni creerebbero immancabili interferenze e complicazioni.

Discussione rinviata a 10 corrente.

517 1 Del 4 luglio, ritrasmetteva il D. 515.

518 1 Vedi D. 494.

519

IL CAPO DEL SERVIZIO ECONOMICO TRATTATO, SCADUTO MENDOLA, ALLE AMBASCIATE A LONDRA, PARIGI E WASHINGTON

TELESPR. RISERVATO 45/10413/C. 1 . Roma, 5 luglio 1951.

Riferimento: Seguito telespressi nn. 06572/C. del 30 aprile 1951 e 06360/C. del 26 aprile 19512 .

Si informa che il 22 maggio u.s. ha avuto luogo ancora una seduta presso il Ministero degli affari esteri dell'U.R.S.S. tra delegati italiani e delegati sovietici, in merito al problema delle riparazioni dovute dall'Italia all'Unione Sovietica e si rimette, in pari tempo, il relativo verbale3 .

In data 8 giugno poi, in considerazione del prolungarsi delle trattative senza fondate probabilità di una intesa a breve scadenza, sono stati fatti rientrare gli esperti italiani, senza, peraltro, che si sia addivenuti finora da una parte o dall'altra ad una formale rottura delle trattative.

Si riassumono qui appresso, per opportuna notizia e ad ogni buon fine, i termini della questione.

Il trattato di pace stabiliva che i 100 milioni di dollari dovuti dall'Italia all'U.R.S.S. a titolo di riparazioni venissero pagati da tre fonti:

a) macchinari già adibiti a fabbricazione di materiale bellico;

b) beni italiani in Romania, Bulgaria ed Ungheria;

c) produzione industriale italiana.

Con l'accordo firmato a Mosca l'11 dicembre 19484 fu soppressa senz'altro la prima fonte e stipulato che si sarebbe pagato mediante:

agli stessi destinatari del presente telespresso il D. 362.

3 Non pubblicato.

4 Vedi serie undicesima, vol. I, D. 751.

1) i beni italiani in Bulgaria, Romania ed Ungheria;

2) produzione industriale italiana.

È da notare che, all'epoca dell'accordo di Mosca, non si conosceva ancora il valore dei beni italiani, valore che sarebbe stato, poi, determinato da Commissioni italo-sovietiche.

Secondo lo spirito del citato accordo, che stabilì il trasferimento dei beni «nella loro consistenza e funzionalità all'8 settembre 1943», la principale fonte delle riparazioni doveva essere costituita dai beni italiani nei Balcani, mentre la produzione industriale rappresentava solo una fonte eventuale per il caso che il valore dei beni risultasse inferiore ai 100 milioni di dollari.

Le Commissioni italo-sovietiche non raggiunsero l'accordo sui valori: da parte italiana i beni furono stimati 177 milioni e, da parte russa, solo 11 milioni e mezzo di dollari.

La divergenza nelle valutazioni fu anche dovuta al fatto che i russi rifiutarono sia di accettare molti beni o di riconoscerne l'appartenenza ad italiani, sia di riferirsi, come stabilito con l'accordo dell'11 dicembre 1948, ai valori che i beni avevano ancora sul libero mercato nel 1943, cioè prima della bolscevizzazione dei Balcani.

Nel febbraio scorso, sono state riprese dall'ambasciatore Brosio affiancato da esperti, le note trattative per tentare un accordo su base forfettaria.

Data però l'assoluta intransigenza sovietica, che nonostante il buon volere dimostrato dalla parte italiana riducendo il valore dei beni italiani nei Balcani da 177 a 130 milioni, ha continuato ad attribuire ai beni predetti valori irrisori di 15 o 20 milioni di dollari, le trattative sono state sospese.

519 1 Indirizzato anche ai ministeri del Tesoro e dell'Industria e del Commercio e alle legazioni a Bucarest, Budapest e Sofia. 2 Ritrasmettevano il primo ai ministeri del Tesoro e dell'Industria e del Commercio, il secondo

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, DUNN

L. 1193 SEGR. POL. 1 . Roma, 5 luglio 1951.

Nel richiamarmi al contenuto della Nota verbale odierna (n. segr. pol. 1191)2 relativa alla validità nel Territorio Libero di Trieste delle sentenze pronunciate dalla magistratura italiana, per ricorso in Cassazione, mi sento in obbligo di richiamare anche in via personale la sua attenzione e quella del suo Governo sulle gravi ripercussioni che certi recenti atteggiamenti del G.M.A. possono avere, e in parte già hanno avuto, sull'opinione pubblica italiana.

2 Non pubblicata, con essa veniva confutata la tesi della separazione dell'ordinamento giuridico italiano da quello vigente nel T.L.T. sostenuta nelle Note statunitense (n. 7638) e britannica (n. 268) del 18 giugno.

Nella questione del Territorio Libero di Trieste la linea di condotta dei Governi alleati è stata una volta per tutte fissata dalla Dichiarazione tripartita del marzo 19483. Per un complesso di circostanze a tutti noi ben note, questa Dichiarazione non ha potuto finora essere tradotta in pratica. Ma questo fatto non può né deve giustificare da parte del G.M.A. e dei suoi organi, atteggiamenti o atti che risultino in contrasto con lo spirito della Dichiarazione stessa. Al contrario, appunto perché non si è ancora potuta dare al popolo italiano la attesa soddisfazione, la politica dei Governi alleati dovrebbe essere quella di incominciare a favorire in pratica e nei limiti del possibile, l'attuazione della Dichiarazione e, in ogni caso, di dare ai triestini e agli italiani la precisa sensazione che nulla è mutato nelle intenzioni già solennemente enunciate.

Viceversa assistiamo purtroppo da qualche tempo a delle «punture di spillo» che non esito a qualificare puntigli di funzionari subalterni forse troppo gelosi di certe loro male intese funzioni e prerogative, e incapaci di più ampie visioni politiche. Spetta per altro alle maggiori Autorità da cui tali funzionari dipendono, di vigilare e intervenire per correggere tempestivamente certi errori e atteggiamenti le cui conseguenze possono essere incalcolabili. Disgraziatamente non sembra che ciò sia stato fatto sinora, e ne è dolorosa prova la Nota che ella mi ha trasmesso a nome del suo Governo in data 18 giugno.

Ella avrà notato, caro ambasciatore, come la stampa e non solo quella normalmente di opposizione, ma anche quella indipendente o vicina al Governo, si stia sempre più interessando alla questione. Non saranno certo sfuggite ai suoi uffici le corrispondenze che viene pubblicando in questi giorni il Corriere della Sera, giornale che ha vastissima diffusione in tutta Italia e che è considerato organo serio e moderato. Si annunciano interrogazioni al Parlamento. La questione ha anche formato oggetto di discussione, non sempre facile per il presidente del Consiglio; anche al recente Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana. Questo stato di delusione di dubbio e di critica, tanto verso il Governo, quanto, è necessario riconoscerlo, verso gli Alleati, proviene dunque anche da ambienti non estremisti. È questo un punto importante da rilevare perché si può ormai notare come un simile stato di animo vada diffondendosi fra quelle correnti di opinione pubblica anche di centro e per loro natura più moderate, che sono state sino ad ora le più entusiastiche sostenitrici della politica atlantica.

C'è da chiedersi se valga la pena, per una questione che non ha in sé importanza pratica alcuna, di creare in Italia un tale stato d'animo contro il quale il Governo non si sentirebbe in grado di prendere posizione.

Ella, caro ambasciatore, è ormai da vari anni nel nostro paese; ne conosce i sentimenti e può perciò valutare quali turbamenti possono suscitare certi atteggiamenti che non tengono nel dovuto conto le reazioni psicologiche dell'opinione pubblica. Se è mio dovere attirare la sua attenzione su questo problema, nessuno meglio di lei è dunque in grado di esporlo a Washington nelle sue varie e serie implicazioni, attuali e future, e di rappresentare la imperiosa necessità di rivedere certe direttive.

520 1 Analoga lettera (n. 1193/503 segr. pol.) venne in pari data inviata all'ambasciatore di Gran Bretagna a Roma.

520 3 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

521

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 7649. Washington, 5 luglio 1951 (perv. l'8).

Riferimento: Mio rapporto n. 7427/3927 del 29 giugno u.s.1 .

In attesa che il Dipartimento di Stato sia in grado di farmi qualche comunicazione ufficiale (come concordato fra il segretario di Stato e l'ambasciatore Tarchiani) ho avuto una conversazione di carattere personale e confidenziale con Byington sulla revisione del trattato di pace.

Ho detto a Byington che l'ambasciatore Tarchiani era assai grato al segretario di Stato per le dichiarazioni fattegli, le quali dimostravano ancora una volta le amichevoli disposizioni americane verso l'Italia e garantivano che gli Stati Uniti intendono ormai adoperarsi attivamente affinché il posto faticosamente riconquistato dall'Italia nel consesso dei paesi liberi sia riconosciuto solennemente attraverso l'estinzione morale del trattato di pace e la modifica di alcune sue clausole. Ho aggiunto che gli stessi sentimenti saranno certamente espressi dal Governo italiano appena l'ambasciatore Tarchiani sarà giunto a Roma ed avrà riferito compiutamente a V.E. sul suo colloquio del 22 giugno u.s.2 .

Ho poi detto a Byington che, in questa questione, mi sembra essenziale determinare chiaramente fin da principio gli obiettivi comuni, perché, concordando su questi obiettivi, sarà relativamente facile trovare le vie migliori per raggiungerli, mentre un'eventuale confusione iniziale sulla natura di essi renderebbe più difficile lo sviluppo ulteriore delle conversazioni.

Ho accennato, in particolare, a due aspetti del problema.

In primo luogo, ritenevo doversi intendere per revisione del trattato non solo e non tanto la ricerca di espedienti giuridici, intesi a conciliare il trattato con un più esteso riarmo italiano, quanto piuttosto un atto spiccatamente politico. (Mi sono richiamato in proposito all'impostazione del problema, inizialmente fatta da V.E. nella lettera al ministro Schuman)3. Un atto politico, che riconoscesse la mutata posizione dell'Italia rispetto al 1946 e che ne traesse apertamente le conseguenze, pagherebbe «un alto dividendo politico». L'esempio della dichiarazione del 20 marzo 19484 dimostra che atti del genere danno sempre frutti positivi, mentre tutto ciò che ribadisce, sostanzialmente o formalmente, il trattamento fatto all'Italia nel 1946 si ripercuote negativamente sulla situazione italiana.

In secondo luogo, ho detto doversi necessariamente scontare l'opposizione sovietica. Cercare, infatti, di soddisfare Roma senza che Mosca ne tragga spunti polemici, equivarrebbe a cercare la quadratura del circolo.

2 Vedi D. 489. 3 Vedi D. 220. 4 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

Ho creduto opportuno menzionare a Byington questi due punti, a causa delle impressioni raccolte la settimana scorsa e sulle quali ho riferito a V.E. col rapporto sopracitato.

Byington ha mostrato di intendere perfettamente entrambi questi aspetti del problema e mi ha promesso di adoperarsi in conseguenza.

Egli mi ha poi ripetuto che il primo passo sulla via intrapresa dal Governo degli Stati Uniti deve consistere in una intesa di massima fra Washington, Londra e Parigi. Pertanto, fino a che non vi sarà stata una prima reazione da parte delle due capitali europee, il Dipartimento di Stato non sarà in grado di indicare a noi nulla più dell'orientamento generico americano verso la revisione. Mi ha, inoltre, sottolineato ancora una volta la necessità che, nella fase attuale, i contatti di cui sopra rimangano rigorosamente segreti.

Ho anche parlato a Byington del passo jugoslavo5. Ne ho avuto la risposta sulla quale ho riferito a parte (telespresso 7476/3976 del 3 corrente)6 .

521 1 Vedi D. 506.

522

IL MINISTRO A MANAGUA, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8402/4. Managua, 6 luglio 1951, ore 13,55 (perv. ore 23,20).

Trasmettesi seguente telegramma a richiesta Mombelli:

«8/6. Mio rapporto 38/27 del 30 giugno1. Questo Ministero esteri mi ha comunicato di aver trasmesso istruzioni al rappresentante dell'Honduras presso Nazioni Unite affinché appoggi al momento opportuno iniziativa per la revisione del trattato di pace».

6 Con il quale Luciolli aveva comunicato: «Il Dipartimento di Stato mi ha assicurato di essersi limitato a prendere atto della comunicazione jugoslava, senza entrare nel merito della questione. Inoltre mi ha precisato che non intende in alcun modo discutere col Governo jugoslavo l'opportunità di emendare il trattato di pace con l'Italia».

521 5 Vedi DD. 470 e 483.

522 1 Non rinvenuto.

523

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. CONFIDENZIALE1 . Roma, 6 luglio 1951.

Vedo i giornali che riproducono una tua intervista radiofonica sulla questione del trattato2. Non so se l'intervista sia esatta. Comunque mi pare una disavventura che proprio quando ci sforziamo di dimostrare che miriamo all'abolizione del trattato per ragioni morali di dignità nazionale, ti mettano in bocca delle frasi che accentuano le ragioni militari: le quali sono naturalmente anch'esse connesse alle nostre rivendicazioni di indipendenza ma devono essere e apparire una conseguenza, non una motivazione della iniziativa. Ti dissi ieri alcune perplessità intorno allo strumento sostitutivo. Ma a parte questo, mi pare che l'argomento vada più approfondito; e sarà bene parlarne nel prossimo Consiglio3 .

524

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 5887/679. Bad Godesberg, 6 luglio 1951 (perv. il 10).

Questi ambienti governativi sono apparsi in questi giorni seriamente preoccupa-ti per un possibile rallentamento del processo di integrazione della Germania alla difesa dell'Occidente sia in conseguenza delle difficoltà sorte per l'Esercito europeo sia per possibili esitazioni alleate di fronte alle nuove iniziative sovietiche.

Blankenhorn mi ha detto ieri che il cancelliere federale si domanda se non sia possibile far qualche cosa per rendere il piano Pleven una cosa funzionante; egli non vedrebbe altra soluzione che quella di integrare il piano stesso con i risultati già raggiunti dalle conversazioni del Petersberg, ciò che naturalmente contrasta con le vedute francesi.

Si è in altri termini ancora una volta in presenza del conflitto delle due tesi contrapposte degli americani e dei francesi, questi ultimi decisi a contenere il riarmo tedesco nel quadro dell'Esercito europeo, e sembra anzi che a questa tesi essi siano recentemente riusciti ad acquisire l'ambasciata americana a Parigi. In Francia, mi è stato ancora detto, si tende di proposito a marcare un eccessivo ottimismo sulle tratta

2 Ed. in «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 28, p. 567.

3 Vedi Verbali del Consiglio dei ministri, maggio 1948- luglio 1953, vol. II, cit., pp. 554-560.

tive del piano Pleven, minimizzandone le difficoltà ed esaltandone i successi, onde ottenere una proroga di qualche mese al «tempo massimo» concesso dagli americani.

Sulla questione ad esempio della costituzione delle unità, Blankenhorn mi ha detto che a Parigi si è ancora molto indietro poiché le divisioni di dodicimila uomini previste colà includerebbero anche i servizi. L'unità di combattimento in altri termini tornerebbe ad essere quella di seimila uomini di concezione francese.

Al Petersberg invece la tesi tedesca dell'unità combattiva di dodicimila uomini è già stata inclusa favorevolmente nelle proprie conclusioni degli americani e degli inglesi; altrettanto — ed è questo un altro punto di contrasto con Parigi — può dirsi per quanto riguarda la necessità di creare in Germania un organismo centrale civile preposto alla difesa.

Ho avuto l'impressione che il cancelliere consideri la questione come molto seria e preoccupante per le conseguenze che potrebbero derivarne a tutto il problema della difesa dell'Occidente e degli stessi piani del generale Eisenhower e che in definitiva non veda altra seria soluzione alla partecipazione tedesca alla difesa, che quella di un associazione della Repubblica federale, almeno di fatto se non di diritto al

N.A.T.O. Mi è anzi parso di intendere che il cancelliere federale, per l'incidenza che la questione può avere anche sugli interessi italiani, si riserbi, ove necessario, di interessarci più direttamente alla cosa o per ottenere una nostra azione conciliativa a Parigi, attraverso contatti di delegazione, o addirittura con un nostro intervento in sede di Patto atlantico.

Ciò che rende la situazione più acuta, di fronte alle difficoltà sorte nelle discussioni di Parigi sull'Esercito europeo, è il riaffiorare anche questa volta, come ogni volta che si profila una distensione sull'orizzonte internazionale, dei timori tedeschi di un accordo fatto a proprie spese.

All'Auswärtges Amt, in altri termini, si ritiene che l'Occidente sia ancora troppo sensibile alle successive manovre ipnotiche della politica sovietica. La Russia cioè avrebbe atteso, un po' come tutti, il risultato delle elezioni francesi dalle quali, viene qui giudicato, essa non ha certo tratto motivi di scoraggiamento. Essa sapeva benissimo che era questa la tappa attesa dagli americani per procedere senza nuovi indugi alla integrazione tedesca alla difesa dell'Europa ed esaurita la fase o almeno la prima fase della Conferenza a quattro, riprende ora l'iniziativa con l'armistizio in Corea. Contrariamente a quanto viene ritenuto negli ambienti alleati e specialmente americani il Governo federale è convinto che l'iniziativa sovietica debba essere senz'altro posta in relazione al progettato riarmo tedesco. E si teme che la nuova mossa sovietica, che sarà certo sfruttata largamente dai partiti comunisti di tutti i paesi quasi come uno sviluppo dell'appello di Stoccolma, finirà col far presa anche negli Stati Uniti, non tanto sul Pentagono e sul generale Marshall, quanto presso il Dipartimento di Stato e quegli ambienti politici intorno a Truman, che più facilmente risentono delle ripercussioni delle opinioni pubbliche europee e americane. Il Governo federale, mi ha detto Blankenhorn, ritiene che se i russi riuscissero a guadagnare un altr'anno con questa tattica dilazionatrice, sarà poi troppo tardi per costituire una efficiente difesa con la partecipazione tedesca, poiché a quell'epoca l'Unione Sovietica avrà completato tutti i propri sistemi di comunicazione, alla cui riattivazione sta procedendo alacremente, ed avrà anche probabilmente perfezionato i propri sistemi di offesa e difesa atomica.

Blankenhorn non mi ha nascosto la preoccupazione che tutto il problema del riarmo tedesco possa perfino subire un nuovo rinvio ed è questo il motivo della ansietà con cui si è atteso il ritorno di McCloy da Washington avvenuto ieri.

Anche volendo ammettere che talune tinte siano forzate dall'ovvio interesse della Germania ad accelerare i tempi del proprio riarmo e della conseguente parità di diritti sembra fuor dubbio che Blankenhorn abbia tuttavia rispecchiato uno stato d'animo di preoccupazione che di fronte alle voci di rinvio di parecchi mesi o addirittura al 1953 del riarmo tedesco, si stava effettivamente impadronendo di questa opinione pubblica. Questa infatti, di fronte al progressivo affermarsi delle tendenze occidentali favorevoli all'integrazione a tutti gli effetti della Germania nel sistema difensivo atlantico, sembrava aver ormai superato le perplessità iniziali ed essersi assuefatta all'idea del contributo militare tedesco. Ed il Governo federale è ben conscio delle conseguenze che un nuovo rinvio potrebbe avere sulla opinione pubblica e sulla stessa solidità della coesione governativa.

Le prime dichiarazioni di Adenauer alla stampa dopo il colloquio avuto ieri sera con McCloy, sono ispirate al più sereno ottimismo ed uguale sensazione ho avuto dalla Cancelleria federale. Un senso di sollievo si è così diffuso negli ambienti governativi. Ciò si giustifica considerando che se un pericolo vi è, di conseguenze incalcolabili per la Germania ed il Governo Adenauer, esso è costituito dalla eventualità di vedere vacillare il solo piedistallo sul quale le speranze tedesche seriamente poggiavano finora, e cioè l'appoggio americano. Le esitazioni di questi giorni avevano fatto dubitare perfino della solidità di questo sostegno e l'opinione pubblica ne ha immediatamente risentito. Le dichiarazioni fatte ieri sera da Adenauer e dallo stesso McCloy, sono destinate quindi a rasserenare l'atmosfera e rassicurare i tedeschi che il processo di integrazione della Germania all'Occidente non ha subito un colpo d'arresto. Sulla portata di tali assicurazioni mi riserbo tuttavia di riferire nei prossimi giorni1 .

523 1 Autografo, in Archivio privato Sforza.

525

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

L. SEGRETA PERSONALE 3727. Londra, 6 luglio 1951.

Il mio collega jugoslavo, Brilej, ha ieri lasciato l'Inghilterra per trascorrere in patria il suo normale periodo di ferie. Ciò significa, in pratica, che egli non farà ritorno qui prima della mia partenza per il congedo e che — «grosso modo» — fino ad ottobre non sarà possibile che riprendiamo le nostre conversazioni.

Del resto, al punto a cui erano giunte le cose, mi domando se il proseguimento di tali contatti senza nessuna precisa decisione da parte nostra avrebbe potuto servire a qualche cosa.

Dopo il mio rapporto del 24 aprile1 sull'ultima conversazione che ho avuto con Brilej, mi hai inviato un appunto di Martino2 che suona molto scettico sulle possibilità di accordo e che sembra considerare il problema come una questione puramente italo-jugoslava e non — come esso è in realtà — come un problema «occidentale» nel quale, se l'Italia e la Jugoslavia sono le parti più direttamente interessate, Stati Uniti e Gran Bretagna sono quelle che potranno — ove lo riterranno necessario per il consolidamento del fronte atlantico — forzare una soluzione. Del resto il mio pensiero in proposito te lo ho espresso nel rapporto 2884/1587 del 22 maggio3 .

Quello che sento però il dovere di dirti, e posso farlo tanto più liberamente in quanto è cessata per qualche mese quella missione esplorativa che avevo svolto secondo le tue direttive, è che sempre più vedo tutto il problema secondo le linee che indicai al presidente del Consiglio e a te in occasione della vostra visita londinese, e che confermai al Ministero con mio telespresso 1332/776 del 13 marzo u.s.4. E cioè che il tempo lavora contro di noi e che ogni rinvio da parte nostra — per motivi di politica interna — di una coraggiosa decisione, non solo ci farà danno nella sostanza ma darà anche luogo a ripercussioni di politica interna di ben più vasta portata. Non dimentichiamo che, se oggi si tratta di lasciare agli jugoslavi parte di quella Zona B su cui non pochi italiani fanno assegnamento sulla base della Dichiarazione tripartita5 (senza rendersi conto di quanto radicalmente la situazione internazionale sia mutata da allora), domani potrebbe essere in giuoco addirittura il ricongiungimento di Trieste con l'Italia; e ciò sarebbe gravissimo.

Per questo motivo mi sembra che non si possa, nell'esaminare l'atteggiamento da adottare, soppesare soltanto chi abbia fatto il passo più lungo e chi meno, oppure tranquillizzarsi dicendo: noi abbiamo fatto una avance e sono stati gli jugoslavi che non l'hanno raccolta.

Se, come ne sono convinto e come le segnalazioni della nostra missione a Trieste sembrano confermare, la situazione in Zona A ci prepara a elezioni meno favorevoli delle precedenti (temo, anzi, molto meno favorevoli), è ovvio che ciò giuocherà a tutto nostro danno quando la soluzione del problema dovrà essere affrontata. Ed è ovvio che ogni ritardo tende a consolidare gli interessi creatisi a Trieste in connessione con la permanenza del regime autonomo: regime autonomo col quale gli jugoslavi hanno l'abilità di identificare ora i loro programmi elettorali mentre noi, legati dalle promesse che ottenemmo nel 1948 dagli Alleati, dobbiamo — volenti o nolenti — farvi accanita opposizione.

Io non so se prima delle elezioni triestine, sia ormai possibile giungere ad un accordo con la Jugoslavia. Ma sono convinto che, anche in tale ipotesi negativa, sia assolutamente necessario per noi di poter dimostrare agli anglo-americani, naturalmente senza pubblicità ma con dati di fatto convincenti, che noi facciamo il possibile per raggiungere l'accordo, che facciamo agli jugoslavi delle avances concrete e che essi le rifiutano. Ciò per lo meno rafforzerebbe la nostra posizione per quel domani,

2 Vedi D. 405, Allegato.

3 Vedi D. 426.

4 Vedi D. 296.

5 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

che non possiamo escludere a priori abbia a presentarsi, in cui ci si chiedesse — sul-l'altare della collaborazione atlantica — di accettare una soluzione cui il nostro Go verno non se la sentisse di sottoscrivere.

Giorni or sono Morrison, incontrandomi in un pranzo, mi accennò alla necessità del più completo accordo fra Italia e Jugoslavia, e si riservò di avere una conversazione meco in argomento6 .

524 1 Vedi D. 526.

525 1 Vedi D. 375.

526

L'AMBASCIATORE A BONN, BABUSCIO RIZZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8450/133. Bad Godesberg, 7 luglio 1951, ore 16 (perv. ore 24).

Seguito mio rapporto 58871 (che giungerà lunedì per corriere). Blankenhorn convocatomi stamane per informarvi invio Parigi Conferenza Esercito europeo consigliere militare Adenauer deputato Blank il quale partirà domani sera. Ricordo che predetto è stato capo della delegazione tedesca conversazioni militari Petersberg recentemente conclusesi.

Missione Blank è accelerare al massimo lavori piano Pleven conformemente intendimenti Adenauer rendere possibilmente funzionante piano stesso integrandovi risultati conseguiti conversazioni Petersberg. Qualora non sia possibile modificare rapporto intermediario destinato Governi interessati Blank avuto istruzioni avanzare e fare verbalizzare proprie riserve.

Impressione Adenauer è che francesi tendano minimizzare divergenze ed altro scopo missione Blank sarà perciò individuare esattamente porre giusto rilievo difficoltà esistenti. Sono stato pregato far sapere V.E. che cancelliere federale sarebbe assai riconoscente se potessero essere date istruzioni nostra delegazione collaborare in tale compito chiarificazioni.

Ho chiesto Blankenhorn quali fossero motivi ottimismo Adenauer dopo ritorno McCloy. Rispostomi che politica U.S.A., pur trovandosi legata progetti francesi piano Pleven, non ha subìto cambiamenti verso Germania e dovrei ritenere che missione Blank sia stata concertata con americani.

Ho avuto impressione che, qualora non si prospettino conclusioni pratiche a breve scadenza per messa in atto Esercito europeo, americani abbiano già in riserva piano intermedio per contributo tedesco difesa in attesa perfezionamento piano Pleven. Tale soluzione sarà probabilmente presentata e discussa prossima riunione settembre Consiglio dei ministri patto Atlantico.

526 1 Vedi D. 524.

525 6 Vedi DD. 546 e 551.

527

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

APPUNTO1 . Roma, 7 luglio 1951.

È venuto questa mattina a vedermi l'ambasciatore di Francia per uno scambio di informazioni e impressioni sui problemi in corso.

Mi ha chiesto se avevamo ulteriormente riflettuto sulla questione relativa all'immissione della Turchia e della Grecia al N.A.T.O. Gli ho ricordato che il nostro punto di vista in proposito era formato da molto tempo e che lo avevamo ribadito proprio in questi giorni con un memorandum a tutti i Governi alleati2 . Secondo informazioni in suo possesso ci si avvierebbe verso un patto mediterraneo anziché verso la semplice inclusione dei due paesi al N.A.T.O. Ho osservato da parte mia che le nostre informazioni erano un po' diverse: le resistenze inglesi si sarebbero attenuate e la soluzione prescelta sarebbe, almeno in questo momento, quella sostenuta dagli americani e dai noi. Ne è rimasto un poco sorpreso. Gli ho detto che noi non eravamo contrari ad una diversa organizzazione; ciò che premeva era non perdere ulteriormente tempo e poiché fra tutte le soluzioni esaminate quella dell'ammissione dei due paesi mediterranei al N.A.T.O. appariva ancora quella meno irta di difficoltà, abbiamo optato per quest'ultima. L'ambasciatore mi ha detto che anche il suo Governo si era ormai reso conto della necessità di non tardare oltre e che appunto per questo motivo era deciso a far entrare in una fase concreta il progetto per un patto mediterraneo.

Siamo poi venuti a parlare dell'Iran e lo ho messo al corrente dell'attività di Carafa e delle informazioni che ci pervengono3. Fouques-Duparc mi ha detto essere impressionato dell'ondata di anglofobia che si diffonde nel Medio Oriente e di cui hanno riferito al Quai d'Orsay i rappresentati francesi in quella zona. Gli ho confermato che anche i nostri rappresentati riferiscono nello stesso senso ed egli ha riconosciuto i molteplici errori commessi alla politica inglese in quel settore. In particolare ha rilevato che tutto ciò è in parte anche il frutto della politica che l'Inghilterra ha sempre condotto contro le posizioni degli altri paesi in Africa e nel Levante, politica che ora si rivolge contro la stessa Gran Bretagna: è questa naturalmente una spina per i francesi che continuano a temere le ripercussioni che tutta questa situazione può avere sui loro possedimenti coloniali.

L'ambasciatore mi ha poi messo al corrente di recenti scambi di vedute fra il Quai d'Orsay, il Foreign Office e il Dipartimento di Stato relativamente alle conversazioni ingaggiate dagli americani a Madrid. «A prescindere dall'aspetto ideologico della questione, che preoccupa da un punto di vista politico interno, mi ha detto Fou

2 Vedi D. 477, Allegato.

3 Vedi da ultimo il D. 513.

Autografo di De Gasperi del D. 523.

qes-Duparc, ci siamo fatti eco a Washington degli stessi timori da voi riportati, e cioè che dalle conversazioni a due tra Stati Uniti e Spagna possano rinascere idee già superate sulla organizzazione della difesa europea». Secondo le informazioni che sarebbero state date da parte americana, ciò che il Governo statunitense desidererebbe per ora ottenere in Spagna si limiterebbe all'impegno spagnolo di poter usufruire, in caso di necessità, degli aerodromi di Madrid, Siviglia e Barcellona (dove dovrebbero venire naturalmente sin da ora costituiti depositi di carburanti, ecc) e di poter usufruire dei porti spagnoli per le necessità eventuali della Marina da guerra statunitense. Non si avrebbe ancora reazioni da parte spagnola.

Fouques-Duparc ha poi accennato al problema del nostro trattato di pace. Mi ha manifestato i suoi dubbi personali sulla possibilità di trovare una formula soddisfacente per venire incontro al nostro desiderio che egli, personalmente, considera anacronistico: «di fatto, egli mi ha detto, il trattato lo potete considerare estinto; pensate che avrete a Roma assai probabilmente il prossimo Consiglio nord-atlantico; alcune clausole non sono mai entrate in vigore e non entreranno mai; anche il riarmo si potrebbe fare con qualche accorgimento senza attenersi al trattato; ecc. ecc.». Una proposta formale di revisione o di estinzione solleva obbiezioni da parte di alcuni paesi (per esempio oltre cortina) che non intendono aderirvi per ragioni di principio,

o di altri (Jugoslavia) che si preoccupano del precedente che si viene a creare. Mi ha ricordato il recente colloquio Quaroni-Schuman4 da cui risultano le buone disposizioni del ministro degli affari esteri francese e le difficoltà formali e giuridiche in cui questo si trova per risolvere il problema. Gli ho detto che il nostro punto di vista è chiaramente espresso nella lettera di V.E. al ministro Schuman5, che si tratta per noi di una esigenza morale e politica, oramai universalmente riconosciuta, che si tratta solo di trovare il modo migliore per tradurla in atto e che ci risulta che il Dipartimento di Stato è ormai avviato su questa via e sta studiando il problema. A questo punto mi ha osservato che il progetto studiato dagli americani «è alquanto complicato e macchinoso». Ho infine osservato che l'argomento secondo cui non tutti i firmatari del trattato sarebbero disposti ad accettarne l'estinzione, non mi pare consistente: ognuno può rinunziare individualmente e in proprio; per il resto vedremo poi.

Ho messo al corrente Foques-Duparc dei recenti accordi con gli americani per Livorno e delle costituzione del Comando militare del N.A.T.O. a Napoli: per quest'ultimo punto siamo rimasti d'accordo di tenerci in contatto con il Governo francese e con il Consiglio dei sostituti affinché lo status degli organi del Comando N.A.T.O. in Italia sia regolato su base generale come quella dei comandi N.A.T.O. in Francia e in Norvegia e non attraverso accordi bilaterali.

527 1 Trasmesso alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington con Telespr. segreto 1418/C. del 1° agosto.

527 4 Vedi D. 497. 5 Vedi D. 220.

528

IL MINISTRO A SAN SALVADOR, BIANCONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 144/41. San Salvador, 7 luglio 1951 (perv. il 17).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/08740/C. del 7 giugno u.s.1 .

Questa legazione sin dalla sua apertura e cioè circa due mesi fa, conscia dei desideri del patrio Governo e pur man cando della documentazione che l'archivio ricostruito con pena non poteva fornire, ha iniziato subito un'azione diretta a comple mentare l'azione politica nostra per la revisione del trattato di pace.

Debbo premettere che il Salvador non soltanto è com penetrato delle ragioni nostre, ma non ha mancato, in differenti occasioni, di sviluppare un'azione concreta a favore delle nostre rivendicazioni a seguito della seconda guerra mondiale. Il Salva dor infatti non solo ha rifiutato di aderire al trattato di pace (art. 88), ma ha seguito il punto di vista italiano circa l'inter pretazione degli art. 53 e 107 dello Statuto dell'O.N.U. nel 1947 ed ha dato voto favorevole all'Italia nella questione delle colo nie durante l'Assemblea del-l'O.N.U. negli anni 1948 e 1949. Di più il Ministero degli affari esteri del Salvador in un memorandum diretto alla legazione di Argentina in data 15 luglio 1947 dichia rava che avrebbe appoggiato in seno all'O.N.U. la domanda di revisione del trattato di pace.

Il terreno quindi si rivelava favorevole poiché era da credere che il Salvador non devierebbe nel futuro dall'atteg giamento deciso assunto in quell'occasione. Del resto le mie conversazioni preliminari ed officiose avute qui mi avevano fatto certo che specialmente al momento attuale avremmo trovato dispo sizioni favorevoli di cui occorre approfittare.

La mia conversazione di ieri 6 corrente col ministro degli esteri dottor Roberto Canessa e durante la quale nel decorso di un'ora avevo occasione di toccare i differenti punti che inte ressano Italia e Salvador, mi convinse della giustezza di certe mie previsioni. Il ministro stesso mi dichiarò nella maniera più enfatica che il Salvador avrebbe aderito a qualsiasi inizia tiva nel seno delle Nazioni Unite diretta a far rivedere il trat tato di pace col nostro paese. Di più e qualora il nostro Governo lo desideri egli è disposto a dare istruzioni al proprio rappre sentante all'O.N.U. affinché sollevi la questione stessa nella maniera più opportuna dopo aver preso naturalmente gli accordi cogli altri paesi latino-americani. Il dottor Canessa mi ha detto che egli attenderà un mio cenno che gli chiarisca le direttive concrete del nostro Governo prima di dare qualsiasi istruzione al suo rappresentante a Lake Success.

Prima pertanto di dare esecuzione al punto 8 del foglio sopra indicato gradirei conoscere quale seguito conviene dare alle disposizioni del Governo salvadoregno il quale ha sempre dato alla sua politica estera un indirizzo dinamico e deciso. Testimoni il suo atteggiamento verso il Governo di Vichy, quello verso il Governo del generalissimo Franco e quello recente verso il Governo ungherese a proposito del giudizio

dell'arcivescovo Groesz. Ho l'impressione che un atteggiamento deciso del Salvador nel momento attuale a favore delle nostre rivendicazioni potrà avere una riper cussione notevole negli altri paesi centroamericani e quindi servire gli scopi che codesto Ministero si propone nell'ultima parte dalla circolare stessa2 .

528 1 Vedi D. 462.

529

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8523/718-719. Washington, 9 luglio 1951, ore 19,29 (perv. ore 11 del 10). Mio 7061 .

Ho illustrato Foster Dulles posizione italiana su pace con Giappone.

Gli ho detto che liberality nuovo trattato, pienamente compresa da nostro Governo, costituisce tuttavia nuova prova necessità revisione trattato italiano e rende questa più urgente.

Egli ha subito convenuto, confermandomi che progetto trattato con Giappone non (dico non) contiene limitazioni riarmo, ma aggiungendo che clausole economiche saranno «sostanzialmente» simili alle nostre ed in qualche caso più onerose (ad esempio risarcimento previsto in nostro articolo 78 paragrafo quarto nei limiti due terzi è previsto invece per intero in trattato con Giappone).

Ho poi chiesto se notizie segnalate da d'Ajeta2 e confermate da stampa circa esclusione Italia erano esatte. Dulles ha confermato rilevando subito (senza alcuna asprezza ma fermamente) che Italia, avendo combattuto a fianco Giappone ed avendo al pari di esso capitolato soltanto dopo disfatta militare, non poteva partecipare a pace accanto vincitori.

Ho risposto ciò sembrarmi profondamente ingiusto. Italia è uscita dalla guerra due anni prima del Giappone e soprattutto ha cercato, con successo di cui ogni osservatore imparziale deve darne atto, di assumere ruolo attivo anziché passivo in vittoria finale su Germania Giappone nonché in ricostruzione e difesa mondo libero. Sua dichiarazione guerra a Giappone, vivamente approvata per non dire pressantemente suggerita da Stati Uniti, si è inquadrata in tale sforzo, allora incoraggiato, da solenni dichiarazioni alleate ed oggi sviluppate pienamente in Unione atlantica (a questo punto Dulles mi ha fatto ampio elogio del Giappone, affermando esplicitamente che suo perfetto equilibrio interno ha grandemente facilitato pronto impiego truppe americane in Corea).

Ciò premesso ho spiegato che procedura per tutela interessi italiani (partecipazione a trattato generale oppure stipulazione accordo diretto) è secondaria rispetto a

sostanza, cioè ad esigenza morale oltreché materiale che claims italiani abbiano trattamento non meno favorevole di altri paesi e che tale trattamento sia assicurato simultaneamente al trattato generale.

Dulles ha escluso che garanzia per soddisfacimento nostri claims possa figurare in trattato pace, ma ha dovuto convenire che semplici trattative bilaterali non darebbero affidamento soluzione per noi accettabile. Pertanto ha promesso mettersi in contatto con Ridgway ed uffici politici americani Tokio per sentire loro avviso su possibilità che Giappone si impegni accordare claims italiani trattamento uguale a quello previsto da trattato per altri paesi.

Ho chiesto che frattanto progetto del trattato sia comunicato anche ad Italia. Dulles ha aderito. Comunicazione mi sarà fatta tra pochi giorni insieme a paesi non membri Commissione Estremo Oriente. Essa avrà carattere informal per tutti. Quella formal avverrà 20 luglio.

Tale concessione, quantunque in sé non importante, tanto più che progetto sarà presto pubblicato, mi sembra rivestire un certo valore morale e soprattutto offrire spunto per ulteriori interventi.

Allo stato attuale delle cose sembrami esclusa (anche se fosse stata conveniente) partecipazione italiana a trattato. Sembrami quindi occorra insistere per appoggio americano in regolamentazione diretta. In proposito sarà determinante parere Ridgway e suoi esperti. Per parte mia, salvo contrarie istruzioni, continuerò esprimermi qui come oggi con Dulles, sottolineando soprattutto necessità che, qualora ci si orienti verso accordo diretto, Stati Uniti non si limitino promettere buoni uffici in trattative future, ma ottengano impegno giapponese simultaneo a trattato pace e conforme a sue clausole3 .

528 2 Con Telespresso 11/11614/C. del 25 luglio, indirizzato a San Salvador e per conoscenza a tutte le rappresentanze in America latina, Jannelli rispondeva ribadendo le istruzioni già impartite con il D. 462. 529 1 Del 6 luglio, con esso Luciolli aveva preannunciato il suo incontro con Foster Dulles. 2 Vedi D. 515.

530

IL CAPO DEL SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8552/447. Parigi, 10 luglio 1951, ore 21,10 (perv. ore 22,30).

Stamane su domanda delegazione tedesca ha avuto luogo seduta plenaria Conferenza con intervento tutti osservatori fra cui ambasciatori Stati Uniti e Inghilterra. Blank ha fatto lunghe dichiarazioni. Esse hanno portato dapprima su progetto rapporto: Governo tedesco, dopo aver dubitato che stadio lavori giustificasse di già redazione testo, è disposto a farlo purché risulti obbiettivamente intonato. A tal fine delegazione tedesca ha presentato controprogetto.

Passando parlare questione sostanza, Blank ha detto Germania non volere rinascita Esercito nazionale tedesco nonché ricostituzione Stato Maggiore; volere però partecipare a difesa occidentale su piano assoluta uguaglianza. Governo federale è

favorevole integrazione europea particolarmente in settore difesa e ritiene necessario approfondire ed accelerare studi Esercito europeo, dato che molti problemi non hanno trovato soluzione, tuttavia causa urgenza difesa, Germania è pronta, su basi noto protocollo Petersberg, partecipare difesa europea senza ritardo con sue unità agli ordini S.H.A.P.E., in attesa loro inquadramento Esercito europeo, non appena costituito.

Alphand ha risposto ripetendo noti punti di vista francesi su riarmo tedesco e riservando più approfondito esame dichiarazioni Blank.

Ambasciatore Bruce ha rilevato che punti in cui accordo si è realizzato sono importanti e cioè: nessun Esercito nazionale tedesco, inquadramento unità tedesche in S.H.A.P.E., parità diritti Germania. Questioni controverse potrebbero considerarsi relativamente minori e suscettibili di soluzione. Questione più grave è partecipazione tedesca alla difesa in periodo iniziale ed anteriore costituzione Esercito europeo; sembrerebbe naturale che in attesa si perfezioni accordo su organizzazione Esercito europeo Germania inizi creazione unità sotto Comando atlantico.

Corrispondenza dichiarazioni Blank con osservazioni Bruce dà a pensare che atteggiamento tedesco sia in notevole misura dovuto ad accordo con americani. D'altro canto sembrerebbe anche che Stati Uniti per tener conto note esigenze francesi siano ormai venuti ordine di idee appoggiare soluzione Esercito europeo.

Oggi pomeriggio si riunirà Comitato direzione per esaminare congiuntamente due progetti rapporto nonché nostri emendamenti.

529 1 Per la risposta vedi D. 539.

531

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8553/448. Parigi, 10 luglio 1951, ore 22,30 (perv. ore 23).

Suo 5574/C. 1 .

Ne ho parlato a Schuman. Era già al corrente della conversazione avuta costà da codesto ambasciatore di Francia. Comprende nostro allarme e nostra preoccupazione: è convinto necessità evitare qualsiasi cosa che possa sia da una parte che dall'altra riaccendere polemiche. Mi ha detto avrebbe telegrafato istruzioni Londra e Washington parlare nel senso da noi desiderato.

Ritengo poter assicurare che per quanto concerne questione Trieste possiamo contare su appoggio francese a condizione naturalmente che per quello che concerne riarmo tedesco in seno Conferenza Esercito europeo noi continuiamo linea fino ad ora tenuta di non dare fastidio ai francesi.

Ricordo che difficoltà interne questione Trieste e riarmo tedesco sono le stesse e quindi esiste parallelismo di fatto per le due questioni.

Occorre anche tener presente che per quello che concerne Trieste peso e opinione francese non (dico non) sono decisivi.

531 1 Dal 7 luglio, diretto alle ambasciate a Londra, Parigi e Washington ed al ministro Martino a Bled. Con tale telegramma Sforza aveva segnalato il crescente allarme nella stampa e nell'opinione pubblica italiana per l'atteggiamento del G.M.A. a Trieste e dato istruzioni di far comprendere ai rispettivi Governi di accreditamento che: «... politica localmente seguita sino ad ora da autorità locali alleate necessita mutamento di rotta in senso più conforme spirito Dichiarazione e sentimenti nazionali italiani».

532

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8560/364. Londra, 10 luglio 1951, ore 20,30 (perv. ore 24). Mio 3451 .

Foreign Office ha informato confidenzialmente che Governo britannico ha ormai accettato principio inclusione Turchia Grecia Patto atlantico. Tale accettazione, in quanto risponde note esigenze politiche Turchia ma non risolve problema militare Medio Oriente, è integrata seguente proposta attualmente allo studio Standing Group: costituzione Comando supremo Medio Oriente cui farebbero parte membri Standing Group e Turchia, nonché Australia Sud Africa Nuova Zelanda cui contributo truppe è essenziale. Detto Comando sotto direzione britannica sarebbe collegato con Eisenhower ma dipenderebbe direttamente Standing Group.

Progetto non riguarda Grecia cui forze armate sarebbero dirette dipendenze Eisenhower2 .

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI

L. 1233 SEGR. POL. Roma, 10 luglio 1951.

Spero che col presente corriere, e col precedente, tu abbia ricevuto tutta la documentazione che ti abbiamo inviato circa Trieste e precisamente: Nota anglo-americana sulla questione giurisdizionale, mie lettere a Dunn, Mallet e Quaroni1. Soprattutto dal contenuto di queste lettere vedrai come la questione sia sorta e si sia sviluppata, e come noi la abbiamo impostata.

2 Vedi D. 537. 533 1 Vedi DD. 520 e 534.

I fatti deplorati, in sé stessi considerati, non appaiono di grave rilevanza, tranne quello concernente la giurisdizione. È l'indirizzo che essi denotano che ha suscitato e suscita tante apprensioni e così vivaci reazioni.

Da tempo, come sai, il Municipio non può esporre la bandiera italiana, le navi iscritte al porto di Trieste debbono issare la bandiera triestina, le rivendite di generi di monopolio hanno dovuto sostituire lo stemma triestino a quello italiano, si annuncia ufficialmente che la radio di Trieste dedica un maggior numero di ore alle trasmissioni in slavo che in italiano, ecc. ecc. queste disposizioni hanno dato luogo a crisi ricorrenti, e a nostri rilievi, naturalmente sono state tutte riportate di attualità dalla stampa in questi ultimi giorni in occasione del drastico atteggiamento assunto dal G.M.A. circa la questione della Cassazione: a proposito della quale a Londra si era bensì convenuto di cercare di non farne oggetto di polemiche per sostenere il permanere o meno della sovranità italiana, ma non si poteva certamente impedire alla magistratura, che in regime democratico è indipendente, di conoscere le cause che le vengono sottoposte e che essa ritiene di dover giudicare.

Comunque, ripeto, ciò che ha creato nella pubblica opinione lo stato di preoccupazione e allarme attuale, è lo spirito che sembra essere all'origine della attitudine del

G.M.A. Mentre sino a qualche mese fa, nessuno a Trieste pensava ad emanare tali di sposizioni, o ad accorgersi che la Cassazione pronunciava sentenze per ricorso sui giudizi della magistratura di Trieste, mentre anzi sino all'anno scorso le Autorità alleate mostravano di non impressionarsi per tutto ciò che poteva significare progressiva integrazione delle Zona A con l'Italia, e anzi lo favorivano, oggi si nota una cura sempre maggiore nella osservanza di una rigida «equidistanza» e nel riesumare dalle pieghe dello Statuto (del resto mai entrato in vigore) tutto ciò che può differenziare il Territorio dal resto d'Italia. Lo si vede palesemente non soltanto dalle disposizioni su accennate, ma anche nella maggiore riservatezza dei capi del G.M.A. nei loro atteggiamenti e nelle loro dichiarazioni ufficiali, nella prudenza che essi sempre raccomandano a esponenti locali e a personalità italiane in occasione di discorsi, cerimonie, ecc., lo si «fiuta» nell'aria. È quindi la direttiva politica che ispira ai subalterni in Trieste questi atteggiamenti, che noi desideriamo vedere mutata: se ciò non avverrà è da attendersi che le critiche agli Alleati e, per riflesso al Governo italiano, si ripeteranno sempre più frequente. Non ho bisogno di illustrartene le conseguenze possibili nell'attuale clima politico italiano. Se il lamentato atteggiamento del G.M.A. deriva dallo scrupolo di mantenere una linea di obbiettività per riguardo alla Jugoslavia, tale scrupolo a noi sembra veramente eccessivo. Se si pensa a tutto ciò che le potenze occidentali stanno facendo a favore della Jugoslavia, ci sembra che il Governo di Belgrado non dovrebbe nemmeno osare di muovere qualche osservazione agli Alleati ove essi mostrassero di tenere in maggior conto gli interessi e i sentimenti degli italiani a Trieste. Comunque tale scrupolo aliena agli Alleati le simpatie italiane: mi risulta che in questi ambienti dell'ambasciata britannica si è, almeno in un primo momento, minimizzata la cosa, attribuendo la campagna di stampa a motivi elettorali e ad ispirazione di certi ambienti governativi: posso invece assicurarti che le cose non stanno affatto così.

Quanto alle osservazioni che la nostra stampa se la prenda soprattutto con la Gran Bretagna, concordo con te nel deplorarlo; ma è inevitabile conseguenza del fatto che purtroppo Londra si assunse in questi anni l'incarico, per interesse proprio e altrui, di sostenere nei nostri riguardi le parti più odiose: per cui l'opinione pubblica in genere riversa su di essa il suo malumore.

532 1 Vedi D. 501.

534

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI

L. 1235 SEGR. POL. Roma, 10 luglio 1951.

Qui unito le trasmetto copia di una lettera che ho inviato all'ambasciatore Dunn1 . Analoga lettera ho inviato a Mallet. La Francia non partecipa alla amministrazione triestina; tuttavia essa ha assunto a suo tempo l'iniziativa della Dichiarazione tripartita2 e lo ha fatto per considerazioni obbiettive, e cioè per la constatata impossibilità di dar vita al Territorio Libero, ma anche per la consapevolezza delle conseguenze di ordine psicologico e politico che quella decisione avrebbe determinato in Italia. E difatti data, si può dire, da quell'epoca la prima salutare reazione del nostro paese a quello stato di delusione e umiliazione susseguente al trattato che aveva favorito, come sempre accade nei periodi di prostrazione, l'azione sovvertitrice del comunismo.

Né è il caso di ricordare l'influenza che la Dichiarazione ebbe sull'andamento delle elezioni del 1948.

Per ragioni a tutti note, non è stato sinora possibile tradurre in atto la Dichiarazione. Ma appunto per questo avrebbe dovuto esser cura degli amministratori angloamericani dimostrare nei fatti il proposito dei loro Governi di attuare appena possibile la politica enunciata da Bidault il 21 marzo 1948 a Parigi, mantenendo saldi in ogni campo i legami di Trieste con l'Italia e facilitando in pratica quella continua osmosi fra amministrazioni italiane e Zona A che avrebbe dato alla popolazione, e per riflesso agli italiani della penisola, la necessaria sensazione della sicurezza del loro avvenire.

Viceversa così non è stato. Si è anzi assistito in questi ultimi anni ad un crescendo di misure con le quali il G.M.A. sembrava tenere in modo particolare a marcare il distacco fra Trieste e l'Italia. Si tratta, si noti, di misure che non hanno in sé rilevante portata pratica; esse appaiono in parte anche dovute ad iniziativa locale: ma costituiscono altrettanti errori psicologici; e ciò appunto perché non essendo necessarie né giustificate da alcuna esigenza, dovevano inevitabilmente apparire come dirette ad un solo e determinato scopo politico, scopo per di più non consono allo spirito della Dichiarazione tripartita.

Nacquero da ciò le prime polemiche locali: poi estesesi ai giornali di altre città, sulle facoltà del G.M.A. e sulla questione della sovranità, e che hanno assunto carattere più vivace in questi ultimi giorni in relazione alla più importante questione dei rapporti fra la magistratura triestina e la Corte di Cassazione di Roma.

Come le ho già telegrafato3 noi non poniamo in dubbio la lealtà delle potenze; occorre però riconoscere, ed esse stesse debbono riconoscerlo, che il G.M.A. ha compiuto numerosi errori i quali, nell'arroventato ambiente locale (sono anche in vista le

2 Vedi serie decima, vol. III, DD. 468 e 469.

3 Vedi D. 531, nota 1.

elezioni), e nel più vasto quadro del panorama politico italiano, non potevano non avere le ripercussioni cui ora assistiamo.

Questi errori sono dovuti in notevole parte, come ho già accennato, a disgraziate iniziative locali. Ogni capo servizio nel G.M.A. si sente una specie di ministro, vuoi della Economia, vuoi della Giustizia, ecc. Tutti sono gelosi delle loro competenze e prerogative e hanno certamente un esagerato concetto delle proprie funzioni. Ciò crea sul posto tutta una serie di attriti e incomprensioni. Ma in parte minore gli stessi errori sono forse anche da ascriversi a direttive dei Governi che — pur senza voler infirmare l'essenziale della Dichiarazione tripartita — mettono un certo impegno, nel momento attuale, a mantenere un atteggiamento di «equidistanza». Se si pensa a quanto è accaduto in Zona B appare comprensibile come un tale atteggiamento esasperi i triestini. Tanto più che, dati i grandi appoggi di ogni genere che le potenze occidentali stanno dando a Tito, esse possono anche permettersi di assumere a Trieste un atteggiamento filo-italiano ben sapendo cosa dover rispondere ad eventuali rilievi jugoslavi.

Ella vorrà esporre questa situazione — sulla base anche della mia lettera a Dunn e a Mallet — al Governo francese perché a sua volta possa far presente ai Governi inglese e americano che, continuando di questo passo, si rischia di determinare nell'opinione pubblica italiana uno stato d'animo opposto a quello che la Dichiarazione di Torino — ispirata da Parigi — si era prefissa di creare ed era riuscita a creare. Questo stato d'animo, che ci preoccupa, deve preoccupare anche i nostri Alleati, e primi fra essi, quelli europei che possono pertanto farsene portavoce, direi, anche in proprio.

534 1 Vedi D. 520.

535

L'AMBASCIATORE A L'AVANA, MASCIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1031/238. L'Avana, 10 luglio 1951 (perv. il 25).

In risposta al telespresso circolare n. 11/08740/C. 1 ho il pregio di informare che, a causa della campagna elettorale iniziatasi vivacissima da circa due mesi, non mi è stato ancora possibile vedere il ministro di Stato signor Miguel Suarez Fernandez che è uno dei candidati più accreditati ed ha iniziato un giro personale in tutte le provincie dell'isola. Da circa due mesi quindi egli ha sospeso tutte le udienze.

Ho avvicinato tuttavia, circa una settimana fa, l'ambasciatore Gonzalo Guell, che è ambasciatore di Cuba presso l'Unione degli Stati americani a Washington e, dalla nomina di Miguel Suarez Fernandez a ministro degli esteri, è stato richiamato in Avana con il titolo di «Director de la Asesoria Especial»; egli può essere quindi considerato come il capo di Gabinetto personale del ministro e uomo di sua completa fiducia. Facilitato da una ventennale amicizia, ho avuto occasione di esporgli lunga

mente non solo tutto il problema generale della revisione, con particolare riguardo all'atteggiamento dei paesi latino-americani alle Nazioni Unite, ma anche gli sviluppi delle ultime settimane a seguito del discorso di V.E.2, discorso che ha posto dinanzi all'opinione pubblica internazionale l'urgenza della revisione del nostro trattato.

L'ambasciatore Guell era direttore degli Affari politici all'Avana all'epoca dei negoziati per il trattato di pace italo-cubano, e quindi perfettamente al corrente di tutti i precedenti. Non devo nascondere che l'ho trovato un po' risentito sulla «freddezza italiana» all'epoca della firma e della ratifica del trattato, il quale costituì, a quell'epoca, un ripudio sensazionale del trattato di Parigi ed un esempio per coloro che volevano aiutarci.

A suo dire mancò a quell'epoca un gesto formale di ringraziamento da parte del Governo italiano e si giunse anzi a mettere a riposo il ministro Scaduto che aveva efficacemente influito sulla decisione cubana e che stata trattando, con encomiabile passione ed alacrità, i dettagli del trattato.

Non ho avuto causa facile nel convincerlo che queste sue impressioni non erano corroborate dai fatti. Gli ho ricordato la nota di V.E. inviata all'incaricato d'affari cubano a Roma il 25 maggio 1947 e la precedente nota di questa legazione del 19 marzo3; evidentemente questo Governo si attendeva un riconoscimento solenne quale quello proposto da V.E. al Parlamento, del cui esito tuttavia non esistono tracce in questo archivio; ho anche ricordato le mie dichiarazioni al presidente dalla Repubblica all'atto della presentazione delle credenziali quale primo ambasciatore d'Italia e l'ho rassicurato infine che il ministro negoziatore del trattato è tuttora in servizio presso il Ministero.

Eliminata così quest'ombra che era forse più una sua reazione personale — ma che aveva tuttavia la sua importanza — mi è stato facile dimostrargli quanto in effetti il Governo italiano era ed è riconoscente al Governo cubano e quanto noi ci attendessimo ancora da questo fedele e provato amico dei tempi difficili. Ho accennato che il suo Governo in questo momento poteva raccogliere un vero successo nel campo internazionale facendosi eventualmente promotore di una iniziativa destinata ad essere coronata da successo sia per l'atmosfera prevalente negli ambienti latino americani ed anche, in genere, in quelli del Congresso e del Governo americano, sia per l'atteggiamento comprensivo dei Governi francese ed inglese e, quello che più contava, nella grande stampa occidentale. Guell mi ha confermato i sentimenti particolarmente amichevoli nutriti dal Governo cubano nei nostri riguardi e mi ha dichiarato essere sicuro che il suo Governo avrebbe accolto ed appoggiato la nostra richiesta. Senonché occorreva mettere al corrente della questione il ministro Suarez Fernandez, da poco asceso al Cancellierato e purtroppo inafferrabile in questi primordi elettorali.

Ci siamo messi quindi d'accordo che io avrei preparato un memorandum riassuntivo della questione, memorandum che egli avrebbe portato personalmente all'attenzione del ministro, spiegandogli altresì a viva voce tutti quei lati e quei riflessi della questione, sia dal punto di vista internazionale come pure da quello di politica interna per preparare il ministro ad una mia conversazione ufficiale. Ho approntato il

3 Non pubblicati.

memorandum che segue le linee del telespresso sopracitato e l'ho completato con riferimenti, dichiarazioni dei passati negoziati italo-cubani che indubbiamente faciliteranno una decisione favorevole di questo Governo.

Purtroppo l'abituale pigrizia e la lentezza delle trattative comuni a tutti gli Stati latino-americani, e l'attuale accanitissima campagna elettorale (ove il Governo e il Partito rivoluzionario al potere rischiano seriamente di perdere le elezioni) congiurano contro una rapida iniziativa come quella voluta da codesto Ministero. Mi riprometto ad ogni modo, malgrado le attuali tesissime relazioni tra Santo Domingo e Cuba, di spingere questo Governo a farsi promotore della formazione di un «gruppo di Stati latino-americani» che potrebbe eventualmente anche essere formato da quelli centro-americani — che ci sono particolarmente favorevoli — e possibilmente capitanati dal Messico e da Cuba. Si verrebbe così ad evitare una iniziativa argentina con le relative sorde gelosie brasiliane e le esitazioni legalistiche cilene per lo spettro della revisione dei favorevolissimi trattati di delimitazioni territoriali delle sue frontiere.

Posso comunque assicurare che non tralascerò nessuna occasione per fare urgenti pressioni sull'amico Guell per ottenere al più presto la possibilità di conversarne con il ministro Suarez Fernandez ed esplorare così, a fondo, il pensiero e le possibilità di questo Governo.

535 1 Vedi D. 462.

535 2 Ed. in C. SFORZA, Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 451-471.

536

IL CAPO DEL SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8571/450. Parigi, 11 luglio 1951, ore 8,301 .

Mio odierno 4472 .

Riunione Comitato direzione delegazione tedesca prendendo spunto da esame comparato noti testi ha trovato modo riaffermare particolare vigore tesi necessità assoluta parità diritti Germania e, specificando casi in cui discriminazione esisterebbe, ha ottenuto da Alphand con assenso altre delegazioni che, per quanto riguarda Esercito europeo, saranno autorità nazionali tedesche a stabilire e effettuare reclutamento e non commissario.

Delegazione tedesca rivenendo poi su nota sua proposta diretta separazione poteri amministrativi da attribuirsi a commissario da funzioni tipicamente militari da attribuirsi a speciale ispettore, ha ottenuto da francesi soddisfazione di massima, pur insistendo questi su necessità subordinazione gerarchica dell'ispettore al commissario. A tale proposito ho manifestato timore che tale sistema possa creare dualismi in seno Alta Autorità ed ho riconfermato nostro punto di vista su collegiabilità commissario.

2 Del 10 luglio, vedi D. 530.

Da ultimo Alphand ha proposto chiedere a Governi potenze occupanti autorizzazione Conferenza possa esaminare rapporto Petersberg rappresentando esso sostanziale elemento per lavori Parigi.

Delegazioni sono state d'accordo.

536 1 Manca l'indicazione dell'ora di arrivo.

537

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8618/365. Londra, 11 luglio 1951, ore 16,35 (perv. ore 24). Seguito mio 3641 .

Accettazione britannica inclusione Turchia Grecia Patto atlantico con contemporanea proposta istituzione Comando supremo medio orientale sotto direzione britannica è definita da stesso Foreign Office soluzione di compromesso.

Essa tende infatti conciliare esigenza politica concedere Turchia supergaranzia americana (mediante inclusione N.A.T.O.) con esigenza militare provvedere effettiva difesa Medio Oriente.

Presenta, secondo Londra, seguenti vantaggi:

a) dà a Turchia soddisfazione sostanziale e di prestigio;

b) assicura a difesa Medio Oriente concreta partecipazione statunitense sempre considerata qui requisito indispensabile e dalla quale Stati Uniti avevano rifuggito finora;

c) rende possibile ottenere contributo forze armate Commonwealth;

d) disgiunge condotta operazioni militari medio orientali da corresponsabilità atlantica paesi nord europei rendendo così a questi più accettabile ingresso Turchia nel N.A.T.O.

537 1 Vedi D. 532.

538

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8637/81. Rio de Janeiro, 11 luglio 1951, ore 20,43 (perv. ore 8 del 12).

Mio telespresso urgente 011 del 3 corr.1 .

Ho veduto oggi questo ministro esteri. Mi ha confermato che il Brasile assumerebbe favorevole atteggiamento qualora questione revisione nostro trattato di pace fosse posta sul tappeto.

Neves ha aggiunto che, personalmente, persegue politica a noi favorevole già da lui sostenuta in Conferenza della pace Parigi nel 1946, è favorevole ad una eventuale iniziativa Governo brasiliano per proporre revisione. Mi ha precisato che fra breve mi avrebbe dato definitiva risposta dopo avere consultato questo ambasciatore degli U.S.A. ed avere ottenuto definitive istruzioni presidente Vargas2 .

Dal [colloquio] ho tratto impressione che Neves terrebbe molto a farsi promotore iniziativa stessa.

539

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI

L. 1245 SEGR. POL. Roma, 11 luglio 1951.

Riferendomi al tuo telegr. 718-191 mi pare poter essere estremamente scettico sulla possibilità che, una volta concluso un trattato generale, gli Stati Uniti o chi per essi, ci appoggino per la stipulazione di un trattato di pace italo-giapponese che tuteli i nostri interessi. Tutti se ne laveranno le mani e ogni nostra insistenza parrà petulanza! Tutto ciò è estremamente ingiusto ed è doloroso che si continui a mostrare così poca comprensione per certe esigenze della nostra opinione pubblica che sono sopra-tutto di carattere morale. Quando se ne accorgeranno, sarà forse troppo tardi per correre ai ripari: avremo fatto il gioco dei comuni nemici e l'opinione pubblica italiana, che reagisce per sentimenti, si sarà «detournée» dagli americani e dal Governo che ha basato la sua politica sull'amicizia americana. Bisogna mettersi bene in mente che ogni voto che perde il Governo è un voto che perdono gli americani e che andando

avanti di questo passo (vedi Trieste) un sempre maggior numero di persone, anche non comuniste, voterà contro il Governo per esprimere in questo modo la propria delusione verso gli americani. È inutile analizzare se avranno ragione o torto: importante è che si comporteranno così. Se lo si vuole evitare la via da seguire è facile: aprire gli occhi, capirci e agire di conseguenza.

Nel caso della pace giapponese noi sapevamo che non potevano pretendere di essere tra le «prime donne». Per questo avevamo anche pensato ad un trattato separato, ma ciò al solo scopo, dovendo rimanere in disparte, di dare al paese la impressione, almeno, di una politica autonoma. Ma ciò andava fatto prima del trattato generale. Oltre a ciò bisognava convincere il Giappone. Ma è difficile che il Governo di Tokyo vi si decida ora. Alla vigilia di un trattato con le maggiori potenze non troverebbe nessun interesse ad una «pace separata» con noi. Né credo sia ancora autorizzato a condurre un negoziato di tale natura in modo autonomo.

Non resta quindi che l'altra alternativa e occorre insistervi: darci facoltà di aderire al trattato, come molti altri paesi che hanno dichiarato la guerra al Giappone più

o meno all'epoca nostra, o anche prima, ma che non l'hanno combattuta. (Vedi ad es., mi pare, il caso dell'Argentina e di altri paesi sud-americani ed anche europei). Bene hai detto a Foster Dulles che uscimmo dall'Asse due anni prima del Giappone. Bene hai ricordato le insistenze che ci furono fatte perché dichiarassimo guerra al Giappone: ero direttore degli affari politici e me lo ricordo bene. Si deve anche ricordare che la nostra dichiarazione di guerra precedette quella dell'U.R.S.S. Ce ne fu dato atto nella dichiarazione di Potsdam (che spero abbia più valore delle promesse contenute nelle trasmissioni di radio-Londra!) in cui è detto testualmente:

«L'Italia è stata la prima delle potenze dell'Asse a rompere con la Germania alla cui sconfitta essa ha dato un materiale contributo e ora è a fianco degli Alleati nella lotta contro il Giappone».

Per tua documentazione e per trarne spunti alle tue conversazioni puoi consultare i telegrammi dell'ambasciata a Washington n. 187 del 16 giugno 1945, n. 224 del 27 giugno 1945, n. 269 dell'11 luglio 1945, n. 283 del 12 luglio 19452 .

Allora ci furono larghi di apprezzamenti e complimenti!

Ti autorizzo a far leggere questa mia lettera all'amico Byington. Essendo vissuto a lungo tra noi mi lusingo che si intenda di cose italiane più della maggioranza dei suoi connazionali.

538 1 Con il quale Martini aveva riferito le assicurazioni date dal ministro Lyra al consigliere Pescatori circa le favorevoli disposizioni brasiliane in materia di revisione del trattato di pace con l'Italia. 2 Vedi D. 554. 539 1 Vedi D. 529.

539 2 Vedi rispettivamente serie decima, vol. II, DD. 267, 290 e 325. L'ultimo telegramma citato non è pubblicato.

540

L'AMBASCIATORE A LIMA, BOMBIERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1926/465. Lima, 11 luglio 1951 (perv. il 19).

Riferimento: Mio telespresso 1864/457 del 4 luglio corrente1 .

Stamane Gallagher, col quale mi sono intrattenuto nella consueta udienza settimanale, mi ha detto di aver conferito col presidente Odrìa circa l'atteggiamento del Perù di fronte ai nostri passi per ottenere una revisione del trattato di pace.

Il cancelliere peruviano ha detto che anche il presidente Odrìa si è dimostrato favorevole alla nostra tesi ed ha autorizzato completo appoggio a qualsiasi iniziativa che venisse presa da parte di Repubbliche latino-americane secondo la linea da noi tracciata. In tal senso conformi istruzioni sarebbero date al rappresentante permanente del Perù presso l'O.N.U. ed al presidente della delegazione peruviana alla prossima Assemblea generale, dr. Vittorio Andrea Belaunde.

Rincresceva al Perù, diceva Gallagher, non poter il suo stesso Governo farsi promotore della iniziativa, per esserne impedito dal principio sempre sostenuto della «non revisione» nei confronti del trattato coll'Equatore del 1942 e gli altri trattati di frontiera con Cile, Bolivia e Colombia. Ha confermato quanto detto nella precedente conversazione, che il trattato italiano è di carattere diverso e merita e deve esser riveduto, perché le circostanze sono mutate, e tale tesi il Perù è pronto a sostenere con il maggior spirito di simpatia verso l'Italia, associandosi a qualsiasi azione in questo senso. Il che è un notevole passo avanti rispetto all'atteggiamento negativo preso nel 1947.

Il dr. Belaunde, col quale ho lungamente conferito dandogli anche un esemplare dei due pro-memoria consegnati al ministro Gallagher, mi ha assicurato il suo pieno e caloroso interessamento. Ritengo che egli potrà rendere notevoli servigi al nostro osservatore all'O.N.U. poiché troverà in lui un autorevole e convinto patrono.

540 1 Con il quale Bombieri aveva riferito di aver intrattenuto con gli argomenti di cui al D. 462 il cancelliere Gallagher sul problema della revisione del trattato di pace, e di aver ricevuto conferma delle sue personali favorevoli disposizioni.

541

IL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. PERSONALE 101545/S. Roma, 11 luglio 1951.

Ti trasmetto copia del foglio n. 32967 in data 30 giugno u.s. dello Stato Maggiore Difesa, ritenendo opportuno che tu conosca il pensiero del gen. Marras sul ruolo dell'Italia nell'Esercito europeo.

Ho inviato anche a Sforza copia di detto foglio.

ALLEGATO

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA, MARRAS, AL MINISTRO DELLA DIFESA, PACCIARDI

APPUNTO SEGRETO 32967. Roma, 30 giugno 1951.

1) I rappresentanti italiani alla Conferenza per l'Esercito europeo, pur sforzandosi di non prendere posizione, sono costretti, partecipando attivamente ai lavori, per forze di cose ad esprimere di tanto in tanto il loro parere e ad assumere indirettamente qualche impegno. Ciò ci trascina lentamente in un meccanismo che, a mio giudizio, può danneggiarci gravemente.

2) L'Esercito che potrebbe nascere da queste conversazioni — che sono sostanzialmente franco-tedesche — sarà un Esercito destinato a difendere essenzialmente la Germania e poi la Francia, e le sue «Unità» saranno dislocate in Germania. In una tale organizzazione noi non potremmo avere che una parte secondaria, che non giustificherebbe i gravi impegni e limitazioni politiche militari e finanziarie che dovremmo assumere.

D'altro canto anche se l'organismo assumesse uno sviluppo maggiore del previsto, è troppo presto, per ora, e per qualche anno almeno, per vedere sul nostro territorio unità tedesche od anche francesi.

3) Ritengo quindi che, se ad un tale Esercito europeo si deve addivenire, noi non dovremmo parteciparvi che in modo puramente simbolico, assumendo una posizione analoga a quella della Gran Bretagna.

541 1 In ISTITUTO UNIVERSITARIO EUROPEO, Firenze, Archivi storici dell'Unione Europea, Archivio Alcide De Gasperi.

542

L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI D'AMERICA A ROMA, DUNN, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, DE GASPERI

L. Roma, 11 luglio 1951.

I am asked by the Secretary of State of the United States of America, Mr. Dean Acheson, to convey to you the following message:

«The Prime Minister may be informed that U.S. Government has noticed that there has recently been speculation in the Italian press about U.S. policy regarding Trieste. Accordingly U.S. desires assure Prime Minister that U.S. policy in this respect remains unchanged.

That policy continues to be guided by spirit of March 20, 1948 Declaration and by the belief that a permanent and peaceful settlement of Trieste question can best be realized by agreement between parties directly concerned, Italy and Yugoslavia».

543

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI

T. 5716/286. Roma, 12 luglio 1951, ore 22,30.

È necessario far presente a Dipartimento di Stato che pubblicazione progetto trattato giapponese rende ancora più urgente estinzione nostro trattato. Ogni ulteriore indugio potrà avere gravi ripercussioni.

Sottolinei chiaramente che tale suo passo ha carattere ufficiale1 .

543 1 Con T. 5741/229 (Londra) 346 (Parigi) del 13 luglio Sforza inviò analoghe istruzioni a Gallarati Scotti e a Quaroni.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI

T. SEGRETO 5717/287. Roma, 12 luglio 1951, ore 23,15.

Suo 7381 .

Dichiarazione di Foster Dulles non solo non sono rimaste off record ma sono state diramate ieri da Reuter nel seguente testo, per ciò che concerne Italia «Italy and China are being treated as special cases, and would not be asked to sign the final draft of the peace treaty. It was not seemed proper that Italy, a former ally of Japan should come in to the treaty on precisely the same terms as nations which had actively prosecuted the war against her».

Dichiarazioni di questo genere non possono aver altro risultato che opporre pregiudizialmente fatto compiuto a passi tendenti tutela nostri legittimi interessi e svalutare e rendere inefficace a priori anche ogni tentativo di soddisfacente regolamento diretto col Giappone. In questo senso dichiarazioni stesse, anche perché non necessarie, provocano nella nostra opinione pubblica sfavorevole impressione e pongono Governo italiano in imbarazzo, in vista pure del tono inamichevole di esse.

Accenno ad alleanza italiana col Giappone e ad impossibilità porre sullo stesso piano Italia ed altri paesi chiamati a firmare trattato, oltre che contrastare con senso giustizia, ignora fatto che belligeranza italiana con gli alleati fin dall'8 settembre 1943 si è tradotta anche in Estremo Oriente nel sacrificio di varie navi da guerra e di una diecina di navi mercantili, nella morte di militari italiani in servizio, nella cattività, divisa con prigionieri alleati, per più di due anni, da centinaia di civili e militari italiani, oltre che nella perdita e nella confisca di beni pubblici e privati di notevole entità. Com'è noto fra i cinquantaquattro Stati ammessi firma, ve ne sono più di quaranta di cui il contributo bellico e materiale in Estremo Oriente è ben lontano dai danni subìti dall'Italia.

Voglia far rilevare ciò allo State Department in aggiunta istruzioni inviateLe per corriere2 .

544 1 Dell'11 luglio, con esso Luciolli aveva riferito circa le dichiarazioni rilasciate da Foster Dulles nella conferenza stampa sulla pace con il Giappone. 2 Per il seguito della questione vedi D. 549.

545

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8720/455. Parigi, 13 luglio 1951, ore 21. (perv. ore 21,30).

Come Venturini riferirà oralmente a V.E. impostazione che ha dato delegazione tedesca a principio non discriminazione paesi membri Esercito europeo potrebbe eventualmente fornire qualche possibilità per chiedere che Conferenza, in rapporto interinale, si pronunci in favore decadenza disposizioni militari nostro trattato pace. Su tale argomento Venturini reca costà progetto testo dichiarazione e relativo emendamento.

Onde riservare possibilità nostro intervento nel caso V.E. creda di autorizzare simile presa di posizione, in seduta odierna pomeridiana — essendosi nuovamente discusso diffusamente principio non discriminazione — ho detto che nostra delegazione sarebbe forse tornata quanto prima sull'argomento per quanto concerne speciale situazione italiana.

Paragrafo rapporto concernente non discriminazione sarà assai probabilmente deciso martedì pomeriggio; gradirei quindi possibilmente istruzioni per tale data. Sollevare questione più tardi a discussione argomento già chiusa, sembrerebbemi più difficile1 .

546

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8741/373. Londra, 13 luglio 1951, ore 22,05 (perv. ore 7,30 del 14).

Ho avuto stamane lungo cordiale e franco colloquio con segretario di Stato di cui riassumo elementi essenziali.

1) Visita in Italia. L'invito è stato accettato da Morrison in via di massima con vivo desiderio e riconoscenza insistendo sulla grande importanza che hanno contatti diretti e ripetendomi sua sincera simpatia per presidente De Gasperi e per V.E. Egli prevede possibile una sua visita in Italia subito dopo Strasburgo non potendo tuttavia indicare fin d'ora i due o tre giorni che avrebbe disponibili. Egli ritiene che breve incontro confidenziale possa essere molto utile in questo momento.

2) Revisione trattato di pace. Ho sviluppato a segretario di Stato concetti già precedentemente illustrati a Strang in base a lettera e direttive V.E.1. sottolineando come siano resi ancor più attuali ed urgenti da pubblicazione trattato pace giapponese. Morrison ha dimostrato piena comprensione nostro punto di vista ed ha assicurato di voler esaminare questione con sincera simpatia. Ha dichiarato rendersi conto nostre ragioni e ritenere che d'accordo con gli Alleati «qualcosa dovesse farsi» al più presto pur non essendogli possibile indicarmi subito quale potesse essere questo «qualcosa» e domandando naturalmente oggettiva considerazione da parte nostra difficoltà immediata revisione ex integro. Principio fondamentale della politica inglese è di non promettere mai quando non si è sicuri di poter mantenere — disse sorridendo il ministro — e per questo egli voleva avere il tempo necessario per riflettere e consultarsi con gli altri ma non dubitassimo che il problema gli stava di fronte ed egli intendeva trovare una soluzione. Soprattutto su questo argomento mi chiese però che suo discorso non uscisse da segreto cancellerie.

3) Relazioni italo-jugoslave. Segretario di Stato ha confermato come sia di fondamentale importanza per tutta la compagine occidentale che in tale delicato settore si riesca a ricondurre armonia. Come V.E. ricorda — ha aggiunto Morrison — egli aveva personalmente, contro avviso suoi consiglieri e qualche collega Gabinetto, sentito opportunità riconfermare ufficialmente Dichiarazione tripartita in quanto concomitante con impegno da parte italiana di entrare in relazioni con Jugoslavia per accordarsi su T.L.T. Ciò aveva provocato non lievi reazioni Governo Belgrado contro di lui personalmente ma dissapore jugoslavo si era accentuato dopo discorsi pronunciati in Italia in fase elettorale. Morrison ha dichiarato rendersi conto esigenze politica interna che potevano averli ispirati ma doveva d'altra parte constatare che da allora rapporti italo-jugoslavi si erano andati gradualmente raffreddando tanto d'aver oggi la sensazione che su di essi sia ridiscesa una «cortina». Di ciò aveva avuto diretta impressione anche nei suoi contatti con ambasciatore Brilej assai fiducioso e ottimista in passato circa possibilità nostro accordo. Non sto a ripetere V.E. concetti e argomentazioni da me svolti in proposito e — tengo a sottolinearlo — accolti da segretario di Stato con senso realistico. Morrison mi è sembrato comprendere difficoltà posizione nostro Governo sul problema e ancora una volta mi ha ripetuto che mentre non vedeva possibilità né di pressioni a Belgrado né di vera e propria mediazione egli era sempre disposto a interporre buoni uffici a scopo chiarificatore.

Circa atteggiamento G.M.A. ha tenuto sottolineare non (dico non) esservi alcun mutamento di politica da parte britannica nei riguardi Trieste. Per parte mia ho esposto ogni utile elemento atto illustrare atmosfera che si è andata creando, avvalendomi comunicazioni V.E. in proposito. Ho sottolineato importanza questione apparentamenti e riconfermato posizione italiana nei riguardi Cassazione. Morrison ha assicurato che farà esaminare a fondo singole questioni, tenendo presenti delicati riflessi politici nei nostri riguardi.

Riferirò per corriere su intera questione2 .

545 1 Le istruzioni inviate da Sforza (T. s.n.d. 5848/351 del 16 luglio) erano le seguenti: «Testo dichiarazioni deve essere modificato come segue: la Conférence est d'accord qu'il faudra considérer comme caduques toutes les dispositions du traité de paix avec l'Italie qui pourraient directement ou indirectement, agir dans un sens limitatif de l'action économique militaires ou autre que l'Italie entend mettre au service de la défense commune».

546 1 Vedi DD. 491 e 516. 2 Vedi D. 556.

547

L'OSSERVATORE PRESSO L'O.N.U., GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO URGENTE 0261 . New York, 13 luglio 1951 (perv. il 16).

Riferimento: Mio telegramma n. 149 del 12 luglio u.s.2 .

Nella mia conversazione con Remorino ho cercato, non fosse altro per non aver l'aria del postulante, di non presentare il caso italiano come isolato. Ho osservato che le necessità della guerra combattuta, prima, quelle della guerra fredda, poi, avevano fornito per molti anni ragioni e pretesti per rinviare ad epoca indeterminata atti di giustizia internazionale che il trascorrere degli anni faceva soltanto divenire più urgenti. Nel farsi difensori della causa della giustizia internazionale, gli Stati latino-americani, che avevano potuto sinora evitare i rigori più stretti dell'una e del-l'altra forma di guerra, avrebbero trovato un'occasione forse più convincente di qualsiasi altra per manifestare e consolidare la loro forza regionale, cioè la loro capacità di agire uniti.

Il ministro ha vivacemente assentito, e ha detto anche, con ottimismo ma non del tutto inesattamente, che i paesi dell'America latina, sebbene spesso divisi mentre discutono, riescono sempre a trovare una sufficiente unità allorché si tratti di passare all'azione.

Ho proseguito dicendo che la revisione morale del trattato di pace con l'Italia si impone come un atto di giustizia improrogabile. Il trattato con il Giappone inverte singolarmente il ragionamento politico che sta alla base della dichiarazione di Potsdam. L'Italia alla quale, a Potsdam, veniva implicitamente promesso un trattamento di nazione più favorita, tra gli ex nemici, riceverebbe ora un trattamento di nazione più sfavorita o meno favorita.

A questo punto Remorino mi ha chiesto con quali mezzi e procedura il Governo italiano intendeva agire. Gli ho risposto che le mie istruzioni non erano ancora definitive, ma che a Roma si era pensato anche alla possibilità di portare la questione innanzi all'Assemblea delle Nazioni Unite. Il ministro ha mostrato di essere interessato, ma sorpreso. Si è chiesto, ed ha chiesto ai suoi collaboratori che assistevano al colloquio, se la cosa fosse stata tecnicamente possibile. Ne è seguita una discussione generale, i cui risultanti non sono stati, naturalmente, conclusivi. L'impressione che il ministro, e io, ne abbiamo tratta è stata che, nella migliore delle ipotesi, non sarebbero mancate perplessità e obiezioni da parte di vari Stati latino-americani; sia per ragioni di interpretazione dello Statuto, che contano molto presso uomini politici naturalmente portati a considerare il punto di vista giuridico, sia per considerazioni più propriamente politiche.

Non ho insistito sul mezzo. Ho detto che questo era una problema importante ma che avrebbe potuto esser discusso in seguito tra gli stessi Governi interessati. Quello che appariva più urgente era di accertare se vi fosse disposizione tra le nazioni latino-americane a manifestare collettivamente il loro sentimento che il trattato di pace con l'Italia, per impellenti ragioni morali, deve essere riveduto.

Ho insistito anche molto sul concetto che l'azione doveva essere concertata tra un gran numero di Stati; e che soltanto a questo prezzo avrebbe potuto essere veramente efficace.

Sono quindi passato alla questione dell'ammissione dell'Italia alle Nazioni Unite osservando che questa poteva e doveva essere inquadrata nell'azione per la revisione del trattato. Ho ricordato a questo proposito che l'impegno a sostenere la nostra ammissione era stato anzi, in molti sensi, il solo lato positivo del trattato; il minimo che si poteva chiedere è che trovasse una tardiva realizzazione, contemporaneamente alla ripudiazione delle altre clausole moralmente superate. Gli ho fatto notare che il trattato con il Giappone conteneva numerosi riferimenti alla futura partecipazione del Giappone alle Nazioni Unite; sembrava quasi, a leggere l'art. 5, che tale attiva partecipazione fosse alla base del generoso trattamento fatto a un ex nemico. Ma un ingresso del Giappone, senza l'Italia, sarebbe stato impensabile e avrebbe provocato in Italia una tempesta politica. Occorreva dunque rendere il problema italiano almeno altrettanto attuale quanto quello del Giappone.

Se si riusciva a portare innanzi all'Assemblea il problema della revisione del trattato di pace, la questione dell'ammissione italiana sarebbe stata posta sullo stesso piano e con lo stesso rilievo. Ma qualora ciò non fosse possibile sarebbe stato necessario farne oggetto di un'azione a parte. Abbiamo convenuto che il primo spunto per una tale azione ci sarebbe stato offerto dalla raccomandazione del Consiglio di tutela all'Assemblea. Ma il delegato Munoz ha fatto subito notare che una azione così circoscritta avrebbe avuto un carattere meccanico e obbligato, senza alcuna risonanza. Parlando in via personale ho allora fatto cenno alla possibilità di varare un'azione in favore della universalità, nei termini sui quali ho lungamente riferito a V.E. (con il mio rapporto n. 1321 del 6 luglio)3 .

Mentre prendevo da lui congedo, il ministro ha tenuto ad assicurarmi che l'Argentina avrebbe continuato a sostenere qualsiasi azione si fosse dimostrata la più efficace, e giuridicamente possibile, per sostenere il buon diritto dell'Italia.

Remorino, mi dicono, è divenuto famoso a Washington per avere, unico o quasi tra i diplomatici della capitale, preveduto esattamente il successo di Truman alle ultime elezioni presidenziali. Cosa che avrebbe molto aumentato il suo prestigio politico e favorito le sue relazioni personali con il presidente. È considerato un uomo di coraggio e di indipendente giudizio, ma al tempo stesso come, tra gli argentini, uno dei più sicuri amici degli Stati Uniti; non eccessivamente prono cioè a quella che sembra essere una tentazione nazionale, che è di tirare la coda del leone. Questo potrebbe forse renderlo più cauto nell'attuazione di disegni che non incontrino il pieno favore degli Stati Uniti. Nella conversazione di ieri, sebbene, inutile dire, anche da parte mia si fosse mostrata la massima cautela, non sono mancati gli accen

ni in questo senso. Ancora più dominante, mi faceva notare un suo collaboratore, è il fatto che Remorino, uomo politico e non funzionario di carriera, possiede il requisito essenziale per fare il ministro degli affari esteri argentino: gode cioè la fiducia del presidente e della signora Peron. Più di ogni altra considerazione, o personale inclinazione, dovrebbe dunque contare la volontà del capo dello Stato e di colei che, secondo l'opinione popolare, lo ispira.

547 1 Ritrasmesso all'ambasciata a Washington e alle rappresentanze in America latina con Telespr. 11615/C. del 25 luglio. 2 Dava notizia del colloquio con Remorino di cui al presente documento.

547 3 Non rinvenuto.

548

IL MINISTRO A CANBERRA, DEL BALZO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8751/49. Sydney, 14 luglio 1951, ore 16,02 (perv. ore 9,35). Mio telegramma n. 481 .

A poche ore di distanza dalla pubblicazione progetto trattato di pace col Giappone Casey ha presentato e illustrato alla Camera testo patto difensivo fra Stati Uniti d'America, Australia e Nuova Zelanda. Ha rilevato trattarsi avvenimento storico di somma importanza per questo paese che vede così protetta sua sicurezza non solo di fronte minaccia immediata (leggi Russia e Cina comunista) ma anche contro quella che, nei legittimi timori di molti australiani, potrebbe sorgere fra una generazione qualora rinascesse imperialismo giapponese. Patto a tre, corollario trattato di pace, giustifica concessione fatta per riarmo Giappone, rinsalda vincoli con Stati Uniti riconoscendo esplicita responsabilità Australia e Nuova Zelanda fronte Pacifico, rispetta e rafforza legami imperiali.

Stampa dà massimo risalto avvenimento e alla particolare posizione che l'Inghilterra, iniziatrice patto a tre, ha saputo assicurarsi nel Pacifico vincendo perplessità della stessa Australia e aprendosi strada a più ampie future intese per sicurezza questa regione.

Laburisti continuano sostenere invece che rientro giapponese costituisce prezzo esorbitante non giustificato da vantaggi patto difensivo.

548 1 Del 13 luglio, non pubblicato.

549

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8784/749. Washington, 14 luglio 1951, ore 15 (perv. ore 24).

Suo 2901 .

Sono in costante contatto con Dipartimento.

È attualmente allo studio soluzione alternativa: inclusione Italia in articolo 26 oppure preciso affidamento americano che Giappone, simultaneamente a stipulazione trattato di pace, accorderà claims italiani trattamento identico ad altri paesi.

Vi è ancora forte opposizione Foster Dulles, che peraltro si spera superare. So che sue dichiarazioni Conferenza stampa a proposito Italia sono state deplorate in altissimo loco come grave gaffe, la quale richiede riparazione, e pertanto hanno diminuito peso sua opinione in materia.

Insisto per prima delle soluzioni anzidette.

Tutto quanto precede è strettamente segreto.

550

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3855/2161. Londra, 14 luglio 1951 (perv. il 20).

A integrazione di quanto ho telegrafato ieri dopo il mio colloquio con Morrison1 , desidero riferire più in dettaglio all'E.V. l'andamento della parte relativa alla revisione del trattato di pace, che ho l'impressione sia suscettibile di avere favorevoli sviluppi.

Dopo aver trasmesso al segretario di Stato l'invito a recarsi in Italia, da lui accolto col più vivo piacere, in quanto gli offre la possibilità di intrattenersi col presidente del Consiglio e con V.E. sulle fondamentali questioni che ci interessano, sono subito passato all'argomento revisione. Riportandomi alla dichiarazione di Potsdam e al contributo italiano alla causa comune nella seconda fase della guerra, ho messo in evidenza il concetto della clausola della nazione più favorita che — secondo la dichiarazione stessa e le successive ripetute assicurazioni dei Quattro Grandi — doveva ispirare l'atteggiamento degli Alleati verso l'Italia. Ed ho concluso secondo le linee indicate nella lettera di V.E. del 23 giugno (segr. pol. 1101)2 .

2 Vedi D. 491.

Sapendo ormai assai bene come, con un segretario di Stato (e tanto più con uno come Morrison che da pochi mesi soltanto riveste tale carica) sia necessario di «preparare» il colloquio se si desideri di ottenere delle risposte di carattere non anodino avevo nei giorni precedenti sviluppato gli stessi concetti in un colloquio con il sottosegretario permanente.

Morrison ha accolto la mia esposizione con il senso della massima comprensione, facendomi chiaramente intendere che non poteva non condividere l'impostazione data al problema. Questo, egli ha affermato, apre il «caso italiano» ed è un caso che va risolto. È inutile nascondersi che difficoltà di ogni genere tuttora si oppongono ad una immediata revisione ex integro del nostro trattato di pace, anche se è venuta temporaneamente a cadere la «clausola sospensiva»: di ciò Morrison non dubitava che noi ci rendessimo obiettivamente conto, traendone le debite conseguenze. Ma questo non significava che il nostro «caso» fosse accolto a parole per essere poi accantonato di fatto. Egli non solo si rendeva pienamente conto delle nostre ragioni ma sentiva anche che «qualcosa» bisognava fare, e al più presto.

Sul momento egli stesso non era in grado di precisare che cosa; voleva meditare sulle possibilità concrete e — in ogni caso — consultarsi con americani e francesi. Non pensassimo però che la sua risposta stesse a indicare l'intenzione di trascinare le cose in lungo: il «qualcosa» doveva anzi, secondo lui, esser quanto più prossimo possibile.

Ed è a questo punto che ha aggiunto — sorridendo — che il valore di quanto egli mi diceva era confermato, pur nella sua formulazione vaga, dal principio fondamentale della politica inglese di non promettere mai quanto non si sia sicuri al 100% di poter mantenere: meglio, secondo gli inglesi, non promettere oggi qualcosa che un imprevedibile mutamento di circostanze renda impossibile di dare domani. È un sistema, riconosceva il segretario di Stato, che spesso pone il Regno Unito in svantaggio rispetto ad altri paesi, ma non per questo si ha qui intenzione di abbandonarlo. È un sistema insito nella mentalità di chi, alieno dalla codificazione di fondamentali norme giuridiche, è portato ad attribuire un'importanza magari esagerata anche ad assicurazioni che non siano consacrate in atti giuridicamente perfetti.

Fin qui il colloquio. Quali le conclusioni che se ne possono trarre? A questo scopo occorre, secondo me, fare un passo indietro ed esaminare che cosa esattamente vogliamo.

A me sembra che al problema dalla revisione noi abbiamo dato una doppia impostazione. Una impostazione pubblica e una impostazione diplomatica, che non solo non coincidono del tutto fra loro, ma che addirittura possono tendere — date le difficoltà connesse con la situazione internazionale — a obiettivi affatto diversi e facilmente contrastanti l'uno con l'altro.

L'impostazione pubblica ha senza dubbio acuito nell'opinione pubblica italiana la latente aspettativa di un fatto solenne che costituisca — per lo meno moralmente — la pietra tombale dell'infausto trattato.

L'impostazione diplomatica mira anch'essa, possibilmente, alla integrale sepoltura del trattato; donde i richiami quanto mai opportuni alla inapplicabilità delle clausole che non siano imposte anche al Giappone oggi e alla Germania domani.

Per quanti sforzi vengano compiuti da parte nostra per persuadere gli anglofranco-americani del contrario, non mi sembra che la situazione internazionale, o perlomeno il modo in cui gli Alleati la vedono, possa consentire di fare assegnamento sulla immediata attuabilità di una solenne revisione del trattato, che soddisfi ad un tempo le esigenze dell'opinione pubblica (più sensibile magari alla forma che alla sostanza) e quelle indicate dai nostri veri interessi e che si compendiano nel superamento delle clausole militari ed economiche più gravose. È vero che la Conferenza dei sostituti a Parigi è ormai fallita, ma ciò non toglie che gli Alleati vogliono mantenere sempre una porta aperta per ritesserne le fila, vogliono tenersi le mani libere per protestare contro le violazioni dei trattati di pace da parte dei satelliti senza sentirsi accusare di aver ufficialmente e unilateralmente modificato il trattato di pace italiano.

Le segnalazioni che pervengono dalle nostre ambasciate a Washington e Parigi confermano questa sensazione3. Né le ultime notizie sulla ripresa dei negoziati per un armistizio in Corea sono di natura tale da far pensare che proprio ora gli Alleati pensino a dipartirsi da una simile linea di condotta.

Nonostante tali aspetti negativi della situazione, mi sembra che dovrebbe ancora essere possibile di soddisfare — ma in due tempi — entrambe le nostre aspirazioni. Ed ho l'impressione che il colloquio con Morrison indichi l'esistenza di tale possibilità.

Il segretario di Stato britannico mi ha manifestato la sua piena convinzione della necessità di fare intanto «qualcosa» e di farlo presto. Perché questo primo «qualcosa» non potrebbe, su nostro suggerimento, assumere la forma di una dichiarazione tripartita? Di una dichiarazione, intendo, che da un lato pronunci quella decadenza morale del trattato indicata dall'E.V. nella sua lettera a Schuman del 5 febbraio scorso4, e che dall'altro lato contenga l'esplicita assicurazione che i tre Alleati studieranno le formule e i mezzi per modificare concretamente quelle clausole del trattato che sono ormai superate dagli avvenimenti. Ciò dovrebbe essere largamente sufficiente per calmare le legittime ansietà della nostra opinione pubblica. E ci consentirebbe di metterci al lavoro subito dopo, con maggior serenità e in quell'atmosfera di assoluta riservatezza che è un valido contributo al felice esito delle trattative diplomatiche, per trovare i mezzi atti a far «saltare» una ad una le varie clausole militari ed economiche che ci legano ancora le mani.

Qualora l'E.V. concordasse su tale linea di azione, le sarei grato se volesse darmene telegraficamente comunicazione per mettermi in grado di agire tempestivamente con Morrison e con Strang, sollecitando loro scambi di vedute con gli americani e i francesi. E qualora il segretario di Stato si rechi effettivamente in Italia nel prossimo agosto, come ne ha espressa l'intenzione, potrebbe intrattenerne il presidente del Consiglio e l'E.V. onde concordare il contenuto della dichiarazione e gettare le basi dell'ulteriore azione intesa al superamento concreto delle singole clausole del trattato5 .

4 Vedi D. 220.

5 Sforza rispose con Telespr. 1359 del 24 luglio accettando la linea di azione qui proposta e aggiungendo le precisazioni di cui al D. 593.

549 1 Del 14 luglio, non pubblicato, ma vedi D. 544.

550 1 Vedi D. 546.

550 3 Vedi DD. 497 e 506.

551

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3856/2162. Londra, 14 luglio 1951 (perv. il 20).

Come le ho telegrafato1, gran parte del mio colloquio di ieri con Morrison è stato dedicato alla questione di Trieste e dei rapporti italo-jugoslavi.

Per quanto riguarda l'atteggiamento del G.M.A. ho iniziato con l'argomento che per il momento mi sembra il più urgente e che sapevo sarebbe stato più accessibile degli altri a una persona come Morrison, che ha sino a pochi mesi fa vissuto di problemi di politica interna e di partito; e cioè la questione dell'apparentamento per le prossime elezioni triestine. Fra parentesi, devo aggiungere che di tale questione questa ambasciata è stata informata dal Ministero soltanto pochi giorni or sono mentre

— stando a quanto afferma il competente Dipartimento del Foreign Office — la decisione del G.M.A. in tal senso risaliva al generale Airey ed era stata adottata sin dallo scorso febbraio.

Passando poi all'esame della politica del G.M.A. ho sottolineato che la Dichiarazione tripartita2, con il suo riconoscimento dell'italianità del Territorio Libero e della necessità del suo ritorno all'Italia, dovrebbe ora almeno servire come criterio ispiratore della condotta delle Autorità alleate preposte alla amministrazione della Zona A.

Il G.M.A. adottando un atteggiamento di formale imparzialità fra Italia e Jugo slavia anziché favorire quel processo di graduale integrazione fra Trieste e Madrepatria che è insito nella Dichiarazione tripartita, finisce praticamente ad alterare a nostro svantaggio la situazione a Trieste, proprio mentre gli jugoslavi proseguono indisturbati la loro politica di slavizzazione della Zona B.

Fra i punti controversi ho particolarmente sottolineato a Morrison quello della giurisdizione della Corte di Cassazione, che coinvolge ad un tempo una sostanziale questione di principio e delle importanti conseguenze di carattere pratico. E gli ho ricordato la ferma posizione assunta in merito dal nostro Governo anche per bocca del presidente del Consiglio.

Ho infine insistito sul concetto che, anche se non esiste da parte anglo-americana un mutamento di politica circa Trieste, esiste senza dubbio — in seguito all'atteggiamento degli organi del G.M.A. — un sensibile mutamento di atmosfera al quale occorre assolutamente porre riparo. In situazioni delicate come quella che caratterizza i rapporti fra Trieste e l'Italia, il fattore psicologico ha una importanza di primissimo ordine della quale è indispensabile tener conto. Mentre in zona B sventola la bandiera jugoslava e sono insediate le truppe di Tito, a Trieste e in Zona A la bandiera e le truppe sono inglesi ed americane: l'unica che ne rimane fuori è proprio l'Italia.

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

Occorre, ho detto a Morrison, trovare il modo per «inserire» l'Italia in questo Territorio che voi stessi avete riconosciuto spettarle, magari intanto attraverso la presenza anche di un semplice reparto di truppa italiano accanto a quelli angloamericani.

Il segretario di Stato ha ascoltato con simpatia ed interesse la mia esposizione. Egli, come era da attendersi, non si trovava in condizioni di poter rispondere sulle singole questioni per le quali mi ha peraltro assicurato il più attento esame da parte dei competenti uffici del Foreign Office. Del resto, quello che sopratutto interessava

— a questo livello — era di sottolineare come una serie di provvedimenti che, presi isolatamente, potevano apparire di importanza relativamente secondaria, avessero determinato il formarsi di quell'atmosfera psicologica alla quale occorreva porre riparo.

Sotto questo aspetto Morrison è stato molto ricettivo e, nel ripetermi che nulla era mutato negli intendimenti alleati circa Trieste, si è meco espresso nello stesso senso di cui alle recenti dichiarazioni del portavoce del Foreign Office segnalate con telegramma dell'11 luglio3 .

Il segretario di Stato è poi passato alla questione dei rapporti italo-jugoslavi: è inutile che io stia a sottolinearvi — egli ha affermato — la fondamentale importanza per tutta la compagine occidentale che si possa ricondurre l'armonia in un settore così delicato ed importante sia politicamente che strategicamente.

Egli ha ricordato come, in occasione della visita del presidente del Consiglio e dell'E.V. a Londra4, egli avesse personalmente vinte le resistenze di alcuni suoi consiglieri e di qualche collega di Gabinetto, insistendo nel senso da noi desiderato, e cioè che il comunicato finale menzionasse la riconferma della Dichiarazione tripartita. Tale presa di posizione, ha continuato Morrison, era — e non a caso — concomitante con l'intesa da parte nostra su un accordo con la Jugoslavia per la soluzione del problema. Ciò aveva determinato una marcata reazione jugoslava contro di lui, Morrison; Belgrado si sentiva tradita dall'Inghilterra proprio durante il delicato processo di avvicinamento all'Occidente. Purtroppo però i discorsi pronunziati da parte italiana alla vigilia delle elezioni amministrative avevano dato agli jugoslavi la sensazione che il nostro Governo non avesse intenzione alcuna di avviarsi verso un accordo che si discostasse minimamente dalla base «Zona A più Zona B».

Morrison è troppo sensibile alla politica interna per non rendersi conto del perché di tali discorsi: ma ciò non toglieva, egli ha aggiunto, che ormai una «cortina» sembrava essere ridiscesa sui rapporti italo-jugoslavi prima ancora che da parte nostra si tentasse di orientarsi concretamente verso l'accordo. Anche Brilej, che inizialmente si era dimostrato fiducioso in un'intesa, ora non gli sembrava più nutrire molte speranze.

Alle mie argomentazioni e alla necessità da me prospettatagli di far chiaramente comprendere a Belgrado la enorme portata dei sacrifici che già ci erano stati imposti, Morrison ha risposto che non vedeva la possibilità di esercitare pressioni su Belgrado né di svolgere una vera e propria mediazione. Ma era sempre disposto ad interporre i propri buoni uffici per chiarire situazioni particolari.

4 Vedi D. 298.

A questo punto il segretario di Stato mi ha chiesto a bruciapelo quali, in sostanza, fossero le nostre minime esigenze. Gli ho risposto che, a titolo affatto personale, ritenevo esse fossero sempre quelle indicate dall'E.V. nel discorso di Milano5 riconfermate nelle conversazioni londinesi: e cioè Zona A (meno eventualmente uno o due villaggi slavi) e i centri italiani di Zona B.

Questa domanda di Morrison, evidentemente, sta a indicare che i buoni uffici dovrebbero poter andare oltre il chiarimento di «situazioni particolari».

Riassumendo, le assicurazioni per quanto riguarda le misure adottate dal

G.M.A. sono state generiche in quanto la soluzione delle singole questioni è demandata ai competenti uffici del Foreign Office. Il segretario di Stato ha mostrato di comprendere il significato ed i riflessi della situazione psicologica creatasi a Trieste, ma ha anche posto l'accento sul graduale raffreddamento dei rapporti italo-jugoslavi e sulla necessità di ricreare l'armonia in quel settore.

551 1 Vedi D. 546.

551 3 T. 8619/366, non pubblicato.

552

IL MINISTRO A CIUDAD TRUJILLO, G. ROSSI LONGHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 0256/179. Ciudad Trujillo, 14 luglio 1951 (perv. il 22).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 20/04416/C. del 21 marzo u.s.1 .

Durante un lungo e cordiale colloquio avuto con questo ministro degli affari esteri non ho mancato, valendomi delle argomentazioni contenute nel telespresso ministeriale citato in riferimento, d'intrattenerlo ancora una volta sulla necessità per parte nostra di una revisione del trattato di pace.

Il mio interlocutore ha tenuto a confermarmi come l'orientamento del Governo dominicano nei riguardi dei problemi che interessano l'Italia continuerà ad essere improntato, come per il passato, ai sentimenti di cordiale ed amichevole collaborazione e comprensione.

Ho quindi creduto opportuno insinuargli fin da ora la convenienza che a momento opportuno siano impartite specifiche istruzioni alla delegazione dominicana presso le Nazioni Unite in aggiunta a quelle di carattere generale già in suo possesso, e sia invitata a prendere contatti con il nostro osservatore presso il predetto organismo internazionale.

551 5 Dell'8 aprile 1950, in «Relazioni internazionali», a. XIV (1950), n. 15, pp. 216-218. 552 1 Vedi D. 397, nota 1.

553

L'AMBASCIATORE A TEHERAN, CERULLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8854/183. Teheran, 16 luglio 1951, ore 19,45 (perv. ore 7 del 17).

Circoli americani di qui continuano campagna favorevole progetto soluzione ambasciatore [americano] della questione petroli Iran, e cioè passaggio gestione petroli ad un ente non più anglo-persiano ma internazionale. Mentre perciò continuo a sviluppare contatti qui e mentre è bene che contatti creati missione Carafa siano mantenuti credo sia giunto momento far vedere da nostri tecnici se abbiamo pratiche possibilità inserirci in tale soluzione ambasciatore quando ad essa debba proprio giungersi. Politicamente suppongo che britannici ove siano davvero costretti ad accettare tale soluzione potrebbero gradire non trovarsi soli con americani; e non è escluso che a Washington si possa avere stessa impressione. Tra i vari Stati occidentali mi pare che oggi noi siamo qui nella migliore posizione per dare collaborazione.

Comunque salvo contrarie istruzioni di V.E. vorrei profittare atmosfera favorevole questi giorni per concludere accordo commerciale ricavandone massimo vantaggio per nostri traffici generali. Pertanto riprendo da stamane colloqui con questo Ministero degli affari esteri per esaminare questione ancora in corso.

554

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 8863/82. Rio de Janeiro, 16 luglio 1951, ore 20,30 (perv. ore 8 del 17). Seguito telegramma n. 811 .

Segretario generale affari esteri mi ha oggi confermato che il Governo brasiliano è disposto prestarci suo amichevole appoggio per revisione trattato di pace, ed anche a prendere eventuali iniziative in tal senso alle Nazioni Unite o presso singoli Governi, nel momento che si riterrà più opportuno per giungere ad un felice risultato.

In vista di ciò questo Ministero affari esteri gradirebbe essere tempestivamente informato dell'azione svolta da V.E. e degli affidamenti ottenuti presso Governi inglese francese e sopratutto americano.

Segretario generale mi ha autorizzato riferire quanto sopra aggiungendo che l'azione del Governo brasiliano verrebbe a suo tempo concordata col Governo italiano.

554 1 Vedi D. 538.

555

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1300/739. Ankara, 16 luglio 1951 (perv. il 19).

Coi miei telegrammi nn. 76 e 77 in data odierna1 ho riferito il colloquio da me avuto questa mattina col ministro Fuad Köprülü. Questi già dalla fine della settimana scorsa mi aveva fatto sapere che desiderava vedermi, fissandomi l'appuntamento per oggi: ne dedurrei che il messaggio di Morrison rimonta a giovedì o venerdì scorso.

Nel commentarmi tale messaggio, il ministro Köprülü mi ha detto ch'esso comprende due parti: nella prima comunica che il Governo britannico è favorevole all'adesione della Turchia al Patto atlantico e che si adopererà presso gli altri membri del Patto perché addivengano anch'essi a una decisione favorevole; nella seconda chiede se la Turchia è disposta ad assumersi la difesa del Medio Oriente insieme alla Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti.

Questa seconda parte, ha tenuto a precisarmi Fuad Köprülü, non costituisce una condizione della prima. Né, secondo il ministro, l'organizzazione della difesa del Medio Oriente si presenta di rapida attuazione. Troppi ostacoli vi si oppongono ed egli ha tenuto ad enumerarli all'ambasciatore britannico sir Noel Charles. L'opinione espressami dal ministro Köprülü è che Morrison abbia voluto includere nel messaggio l'accenno alla necessità di organizzare la difesa del Medio Oriente per spiegare all'opinione pubblica turca il ritardo della decisione britannica ad aderire all'inclusione della Turchia nel gruppo atlantico. L'Inghilterra aveva sostenuto finora che la garanzia alla Turchia dovesse esserle data nel quadro della sicurezza del Medio Oriente perché questo era il settore di più vitale importanza per essa. Se oggi l'Inghilterra accetta l'inclusione della Turchia nel Patto atlantico, non intende rinunciare con questo ai piani di difesa del Medio Oriente, alla cui attuazione il concorso delle forze turche è di fondamentale importanza. In tal modo il messaggio intende dare altresì all'opinione pubblica britannica l'assicurazione che il nuovo atteggiamento del Governo non modifica sostanzialmente la linea seguita finora. Fuad Köprülü ha molto insistito su questo concetto ripetendo ad abundantiam che la seconda parte del messaggio non contiene nulla di preciso e che per potergli dare un principio di attuazione occorrerà molto tempo. La prima condizione secondo lui è di normalizzare la situazione dei paesi arabi. I rapporti tra la maggior parte di questi paesi e l'Inghilterra sono tutt'altro che buoni. Né migliori sono i rapporti tra essi e la Francia. La stessa America, che pur non può essere accusata di aver svolto una politica imperialistica e tanto meno una politica coloniale, non gode di larghe simpatie per l'appoggio da essa dato a Israele. Molti errori erano stati commessi indubbiamente dagli arabi con la loro politica «fantastica, impulsiva, spesso infantile», ma errori non meno gravi erano stati commessi dalle grandi potenze e tanto più imperdonabili quanto maggiore è la

loro esperienza. Solo la Turchia era riuscita a guadagnarsi la fiducia dei paesi arabi, come era dimostrato dal calore dei contatti avuti col re Abdullah e col segretario generale della Lega araba. Se la Turchia non avesse perseguito incrollabilmente, no nostante le esitazioni, le remore, i ritardi dei suoi amici e alleati, una politica di deciso orientamento verso le potenze occidentali, tutta l'Asia sarebbe perduta all'influenza di queste ultime e si orienterebbe verso una politica di stretta neutralità. È indispensabile perciò — egli mi ha detto — rimediare agli errori commessi, instaurando una politica di perfetta convergenza di vedute in modo da creare nel Medio Oriente un fronte unico delle potenze interessate alla sua difesa. Traspare chiaramente da questi accenni di Fuad Köprülü la funzione, che la Turchia intenderebbe attribuirsi, di coordinatrice, se non di ispiratrice, di tale politica, tra i paesi arabi e, se possibile, di mediatrice tra i loro interessi e quelli delle potenze occidentali. Fino a qual punto l'Inghilterra sia disposta a fargliela assumere è un altro discorso.

Le dichiarazioni del ministro degli esteri avevano l'evidente scopo di rassicurarmi che nulla di definitivo, nulla di immediato era in vista per quanto riguardava quella difesa del Medio Oriente alla quale ben sapeva, perché avevo avuto occasione di parlargliene più volte, quanto fosse direttamente interessata l'Italia. Gli ho perciò ricordato che, più che altri paesi mediterranei, l'Italia non poteva disinteressarsi da quanto veniva progettato o organizzato per la difesa del Medio Oriente, perché da essa dipendeva direttamente e la difesa del Mediterraneo e la situazione stessa dell'Italia. Su questo punto il Governo italiano aveva sempre nettamente insistito.

Ho aggiunto di avere qualche dubbio che la seconda parte del messaggio di Morrison si riferisse a un'eventualità così lontana e imprecisa com'egli riteneva, dato soprattutto che la stampa internazionale aveva accennato nei giorni scorsi a conversazioni tenutesi a Washington, a Londra e a Parigi per concretare le linee di intesa sul-l'organizzazione del Medio Oriente e sul Comando del Mediterraneo.

Se la Turchia aveva motivo di rallegrarsi per la politica di amicizia e di fiducia instaurata coi paesi arabi, non diversa era stata la politica perseguita dall'Italia nei loro riguardi e non meno felici ne erano stati i risultati, cosicché meritatamente l'Italia godeva tra essi di un'influenza basata sulla imparzialità e su un'amicizia che aveva ormai fatto le sue prove.

Köprülü ne ha pienamente convenuto. Mi ha detto di aver avuto occasione d'intrattenere V. E. su tale argomento e di aver constatato la perfetta identità della politica perseguita dai due paesi.

Questa identità era determinata dal fatto che né Turchia, né Italia perseguono altro interesse che quello della pace e della sicurezza generale, considerato con realismo scevro da qualsiasi preoccupazione d'altro genere. Köprülü era d'avviso che non soltanto l'Italia, ma anche la Grecia doveva far parte dell'organizzazione del Medio Oriente. Per ora, egli mi ha detto, l'idea è di far aderire gli Stati Uniti al sistema di alleanza tripartita che lega la Turchia, la Gran Bretagna e la Francia in virtù del trattato dell'ottobre 1939. Ma l'idea è ancora fluida ed egli non ha ancora potuto ottenere alcun elemento preciso. Ad esempio egli non sa come sarà organizzato il Comando militare della nuova organizzazione, né se sarà coordinato, e in qual modo, all'organizzazione militare atlantica. «Quando l'Inghilterra ci chiede se siamo disposti ad assumere la difesa del Medio Oriente con le altre potenze, intende forse significare che i quattro paesi sarebbero in qualche modo dei mandatari dell'organizzazione atlantica?» si è domandato.

La mia impressione, contrariamente a quanto il ministro Köprülü mi ha dichiarato, è che l'Inghilterra abbia tutto l'interesse ad affrettare la messa a punto del nuovo sistema. Finora essa era stata ritardata dalla mancanza d'impegni precisi da parte di due fattori determinanti: i dominions e la Turchia. Oggi è assicurata del concorso degli uni e dell'altra. Per giunta essa tocca con mano la necessità di puntellare d'urgenza il suo vacillante prestigio in tutto il Medio Oriente scosso dalla crisi iraniana e dalle resistenze egiziane. Il giorno che si troverà a capo di una coalizione militare importante, le sue possibilità saranno ben diverse. Per questo motivo ha dovuto cedere alla pressione della Turchia di essere inclusa nel Patto atlantico. Benché Köprülü abbia tenuto a rilevare che l'adesione inglese non è stata condizionata all'impegno turco di partecipare alla difesa del Medio Oriente, è chiaro che tutte le trattative anglo-turche di queste ultime settimane si sono aggirate su tale argomento. In fondo il recente messaggio di Morrison non ha fatto che riprendere le linee della risposta di Köprülü al Governo britannico di cui detti notizia col mio rapporto del 16 giugno u.s. n. 1116/6242. La Turchia si è sempre resa conto che solo se assicurava l'Inghilterra su quella che è la sua preoccupazione principale, e cioè la difesa delle sue basi imperiali nel Levante, avrebbe potuto risolvere il problema della garanzia americana. In realtà l'Inghilterra avrebbe preferito che tutte le forze turche fossero destinate a una funzione medio-orientale. L'America, che sopporta tutto il peso del riarmo di queste forze, ha trovato eccessiva questa pretesa e ha insistito per ottenere che almeno una parte di esse siano destinate all'ala orientale del fronte atlantico per la difesa dei Balcani. Così la Turchia fa da cerniera tra il fronte atlantico e quello medio-orientale e si assicura la garanzia tanto delle posizioni europee che di quelle anatoliche. Evidentemente è interesse dell'Inghilterra ottenere quanto prima delle precisazioni sull'entità del contributo turco e forse a tal fine già parla dell'organizzazione di Comandi militari. Ma la Turchia pone come netta condizione ad ogni impegno nel Medio Oriente, di essere ammessa nel Gruppo atlantico a parità di diritti con gli altri membri. Questa condizione della Turchia costituisce una remora e potrà forse permetterci di veder chiaro nel giuoco britannico.

V'è un punto sul quale Fuad Köprülü non è stato molto chiaro. Egli mi ha accennato a conversazioni avute con sir Noel Charles sulla questione del Comando mediterraneo. Al riguardo egli ha tenuto a dirmi, con molta enfasi, che la Turchia intendeva disinteressarsi di tale questione e che in questo senso egli aveva parlato sia all'ammiraglio Carney che al generale Robertson fin dal febbraio scorso. Ha voluto l'Inghilterra assicurarsi che la Turchia, entrando nel gruppo atlantico, non farà prevalere gl'interessi americani? Certo in tutta questa politica di gruppi più o meno ristretti e di esclusioni la ricerca di clienti assume un'importanza particolare.

Il ministro Fuad Köprülü ha poi passato in rassegna con me l'atteggiamento prevedibile degli altri paesi membri del Patto atlantico all'inclusione della Turchia. Gli risulta che la Francia si schiererà a fianco dell'Inghilterra. Anche i paesi nordici ne seguiranno l'esempio. Incerta ancora è l'attitudine del Portogallo, ma il ministro ha pregato l'ambasciatore spagnolo Fiscowich di far premere dal suo Governo su Lisbona, mettendo in rilievo che la Turchia entrando nel gruppo atlantico vi accrescerà il numero dei paesi favorevoli all'entrata della Spagna.

Köprülü è poi venuto a parlarmi dell'atteggiamento sovietico. Egli è convinto che l'U.R.S.S. non si attende l'ammissione della Turchia. «L'ambasciatore sovietico Lavrichtchev ha già in tasca — mi ha detto — un accordo di amicizia e di non aggressione da presentarmi il giorno che la Turchia fosse stata esclusa dal Patto». Il ministro si è dichiarato convinto che non è nei piani dell'U.R.S.S. di attaccare, anche in caso di un generale conflitto, la Turchia, bensì di aggirarla per isolarla e neutralizzarla. L'obiettivo delle armate sovietiche nel Medio Oriente è, secondo lui, Suez per togliere agli Alleati il dominio del Mediterraneo e delle basi africane.

Da ultimo il ministro mi ha chiesto se mi risultava che il Consiglio del Patto atlantico si sarebbe riunito a Roma. Gli ho risposto di aver la sensazione che qualche impegno era corso in tal senso e di aver anche sentito accennare a una probabile riunione nel settembre. Mi ha allora pregato di far presente a V.E. l'interesse della Turchia di anticipare al massimo tale riunione, se possibile entro la prima settimana di settembre. Dal 15 al 16 dello stesso mese si terranno in Turchia le elezioni parziali che, come riferisco a parte, saranno aspramente contese dal partito di opposizione, bramoso di una rivincita. Un successo del Governo in politica estera quale potrebbe essere il voto favorevole del Consiglio atlantico all'inclusione della Turchia, costituirebbe un atout decisivo.

555 1 Comunicavano in sintesi quanto qui più diffusamente riferito.

555 2 Non pubblicato.

556

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3859/2165. Londra, 16 luglio 1951 (perv. il 20).

Faccio seguito ai miei rapporti n. 3855/2161 e n. 3856/2162 del 14 corrente1 , relativi al mio colloquio con il segretario di Stato, per riferire all'E.V. su una conversazione che ho avuto oggi con Eden e che getta, sui problemi che ci stanno a cuore, una luce tanto più interessante in quanto non è da escludere che il mio interlocutore possa divenire fra pochi mesi il primo ministro britannico.

Già in precedenza avevo espresso a Eden il mio desiderio di rafforzare e intensificare i miei cordiali contatti con il partito conservatore, non soltanto come possibile successore del partito oggi al potere, ma anche e soprattutto perché in pochi paesi l'opposizione beneficia di quella effettiva partecipazione che ha in Inghilterra alle decisioni del Governo in ogni importante questione di politica estera: ed egli aveva pienamente concordato meco. Di questi contatti, del resto, sia il Governo che il Foreign Office sono perfettamente al corrente. Giorni or sono, Eden e Macmillan si sono invitati ad una colazione intima da me per poter tranquillamente discutere della situazione.

Intendendo affrontare la questione del trattato di pace e quella di Trieste, ho anzitutto illustrato ai miei interlocutori la situazione interna italiana mettendo in evidenza

— come ho già ripetutamente fatto con gli esponenti governativi — le difficoltà cui il nostro Governo deve far fronte e l'assoluta necessità di convogliare e ricondurre nel-l'alveo dei partiti democratici quelle correnti — in notevole aumento in seguito al risveglio del sentimento nazionale — che altrimenti si orienterebbero verso movimenti estremisti del genere dell'M.S.I. pur non condividendone i postulati. La molla del sentimento nazionale, ho sottolineato, è del resto utile ai fini della piena partecipazione del paese alla politica atlantica: bisogna assolutamente evitare che gli anglo-francoamericani, non tenendo sufficientemente conto della psicologia del popolo italiano, contribuiscano a deviare da una sana concezione democratica quella parte della nostra opinione pubblica il cui sentimento nazionale potrebbe invece, con un minimo di buona volontà, da parte alleata, essere utilizzato ai fini della causa comune.

Per quanto riguarda la revisione del trattato di pace, mi sono espresso con i miei interlocutori nello stesso senso in cui mi ero intrattenuto con Morrison. Ed ho riscontrato in loro la stessa reazione, favorevole nel particolare e più cauta nel generale, che ho trovato nel segretario di Stato. Essi pure rilevano le difficoltà che la situazione internazionale frappone alla piena realizzazione delle nostre aspirazioni, ma vedono anche la necessità di far qualcosa al più presto.

È interessante osservare che, su questo «qualcosa», essi sono stati più espliciti di Morrison, orientandosi senz'altro secondo le linee che prospettavo all'E.V. nell'ultima parte del mio rapporto n. 3855/2161 del 14 corrente; e cioè solenne dichiarazione sulla decadenza morale del trattato e sulla necessità di rivederne le clausole, seguita poi da un'azione di graduale e silenzioso «smontaggio» delle singole clausole del trattato: anzitutto quelle militari, sempre più contrastanti con il clima dell'Alleanza atlantica; e poi le altre, Trieste inclusa, man mano che evolve la situazione.

Per quanto riguarda Trieste, ho trovato i miei interlocutori — nonostante le precedenti conversazioni che avevo avuto in argomento con Macmillan — più «indietro», o per lo meno più pessimisti, di Morrison.

Essi hanno l'impressione che ormai dall'una e dall'altra parte si sia giunti ad un punto morto dal quale non si vede una via d'uscita in quanto né Tito né noi siamo di sposti a fare un passo avanti per non scatenarci addosso i nazionalisti dell'uno e del-l'altro paese. E se il nostro Governo deve tenere nel massimo conto il sentimento nazionale in fase di notevole risveglio, i miei interlocutori osservavano che tale sentimento non deve essere meno trascurato da Tito che ha fatto e fa principalmente leva su di esso per giustificare la sua progressiva «occidentalizzazione» in funzione di difesa dell'integrità nazionale dal prepotere sovietico.

In simili circostanze gli esponenti conservatori, pur considerando che l'interesse dell'Occidente esige che si giunga ad una soluzione armonica del problema del T.L.T., erano assai perplessi sulle effettive possibilità di arrivarvi. E sottolineavano perciò l'importanza, nell'interesse generale e nel nostro in particolare, del permanere a Trieste del simbolico velo di truppe anglo-americane: «il mantenimento di forze anglo-americane, sia pur modeste, in cima all'Adriatico — essi concludevano — fa di Trieste la Berlino dell'Europa meridionale».

È inutile che stia a ripetere tutti gli argomenti che ho addotto per sostenere ai miei in terlocutori le nostre posizioni e sopratutto per indurli a studiare in quale modo — se la situazione attuale avesse a prolungarsi secondo le loro previ sioni (e con l'inevitabile processo di «stabiliz zazione», che ne seguirebbe, del G.M.A. e delle sue istituzioni) — sarebbe possibile di «inserire» sempre più l'Italia a Trieste e in Zona A in attesa, e direi quasi come pegno, del giorno in cui sarà possibile il ricongiungimento di gran parte del T.L.T. alla madrepatria attraverso un'intesa con la Jugo slavia.

Eden e Macmillan non se la sono sentita di rispondermi subito, ma mi hanno promesso di studiare la questione: devo aggiungere, però, che ho avuto la sensazione di una certa loro perplessità ed esitazione sulle effettive possibilità di un nostro maggiore inserimento.

Concludendo, mi sembra che dal colloquio si possa rilevare che — mentre per la questione della revisione del trattato di pace troviamo Go verno ed opposizione con eguali favorevoli disposi zioni ed orientamenti — per quanto riguarda Trieste e la soluzione del problema del T.L.T. incontreremo nei conservatori, quando salgono al potere, un osso forse più duro che non nei laburisti.

Il loro riconoscimento delle difficoltà che si frappongono alla realizzazione di un ac cordo non può imputarsi alle dichiarazioni fatte giorni or sono da Tito2 all'indomani del discorso di S.E. De Gasperi al Senato3: era una idea che sussisteva sin da molto prima. Da un lato pos siamo esserne indotti a pensare che se non cer chiamo un accordo non saranno i conservatori a rimproverarcene. Ma dall'altro lato l'atteggiamento dei conservatori dovrebbe farci seriamente meditare. Esso è ispirato a una valutazione per sonale di circostanze di fatto, ma francamente il loro concetto della inscindibilità della pre senza di truppe anglo-americane con il permanere dello statu quo non mi convince del tutto.

È un elemento, questo, che dovrebbe contribuire a farci considerare l'opportunità di concludere l'accordo prima che i conservatori sal gano al potere: o per lo meno, se un accordo non fosse possibile, di metterci in grado di dimostrare che noi abbiamo fatto di tutto — ma concretamente — per concluderlo e che sono stati gli ju goslavi a dire di no. Ciò servirebbe almeno a darci una solida arma di più non solo per conti nuare a rivendicare Trieste ma anche per resi stere, in un domani che non possiamo escludere a priori che si presenti, a eventuali pressioni per indurci ad ulteriori sacrifici in quel settore sull'altare dell'Alleanza atlantica.

ridiana dell'11 luglio, pp. 25649-25693.

556 1 Vedi DD. 550 e 551.

556 2 Si tratta del discorso pronunciato da Tito il 13 luglio a Titograd e trasmesso da Belgrado con il T. 8788/172 del 14 luglio, non pubblicato. Vedi «Relazioni internazionali», a. XV (1951), n. 29, p. 587. 3 In Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 1951, vol. XXIII, seduta antime

557

IL MINISTRO AD AMMAN, LA TERZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1052/456. Amman, 16 luglio 1951 (perv. il 21).

A causa delle feste del Bairam, della nuova ricaduta del principe ereditario nella sua infermità mentale e di una concomitante piccola crisi ministeriale, il re era stato costretto a sospendere per circa una settimana le udienze individuali, e quindi soltanto ieri mi ha potuto ricevere da solo.

Gli ho anzitutto consegnato la lettera che S.E. il presidente della Repubblica gli aveva indirizzato in risposta a quella che Abdallah gli aveva fatto pervenire a mio mezzo.

Il re ha subito voluto che io gli facessi lettura del suo contenuto, ed è rimasto commosso delle parole che il no stro presidente si è compiaciuto così cortesemente rivolgergli.

Ho poi letto al sovrano il messaggio verbale che V.E. gli ha inviato.

Abdallah — che da buon arabo non riesce a nascondere i suoi sentimenti — aveva, mentre io leggevo, lo sguardo ed il viso raggianti di contentezza.

«Dica al conte Sforza — ha subito detto — che lo ringrazio delle sue parole, e che esse mi incitano a persevera re nella via per la quale mi sono incamminato».

Gli ho poi offerto un artistico lavoro in ferro smaltato dono degli allievi dell'Istituto statale d'arte di Firenze. Abdallah lo ha molto gradito.

Infine gli ho mostrato le fotografie di alcuni yachts in vendita in Italia, dato che mi aveva incaricato di trovargli un'imbarcazione da diporto di un 7-800 tonn.

Al re è sopratutto piaciuto uno di essi (il «Nikin») ed ha detto che avrebbe incaricato il primo ministro di entrare subito in rapporto col proprietario per cercare di addivenire all'acquisto. Poi si è mostrato un po' preoccupato per la mancanza in Giordania degli elementi adatti per costi tuire l'equipaggio del grosso panfilo.

Al che — dato che a Roma avevo preso contatti al riguardo con l'ammiraglio Tallarigo il quale gradirebbe avere persone di sua fiducia in questa zona — gli ho risposto che non si doveva dare alcun pensiero, perché avremmo fatto venire gli ufficiali e gli uomini dall'Italia.

Abdallah mi ha ringraziato, aggiungendo che ciò facilita molto la realizzazione del suo desiderio.

Il discorso è poi passato sulla situazione poli tica.

Il re è convinto che la situazione persiana finirà per accomodarsi. Egli ha infatti incaricato il suo ministro a Teheran — che si trova qui per conferire — di rientrare subito in Iran e portare allo sciàinscià un suo messaggio in cui pro pone la sua mediazione fra Persia e Inghilterra.

Abdallah ritiene che il suo intervento potrà essere più efficace di quello americano, perché l'opinione pub blica persiana — così suscettibile — sicuramente vede nell'intromissione degli Stati Uniti un gesto di pressione e forse anche di forza a favore dell'Inghilterra e quindi è già prevenuta contro, mentre nella Giordania vedrà soltanto il gesto di una nazione amica e musulmana per giunta.

Secondo notizie portate dal predetto ministro lo sciàinscià è legato dalla presente situazione e può fare molto poco.

Una rilevante colpa in tutto ciò — sempre secondo l'anzidetto ministro — l'avrebbe l'Inghilterra che non si vuol rendere conto che i tempi nel M.O. sono cambiati e che quindi bisogna mutare modo di agire e di trattare con i Governi e le popolazioni del luogo. Se Londra avesse ceduto subito alle giuste richieste iraniane, la situazione non sarebbe così tesa come è quella di oggi.

Infine lo stesso ministro Rifai ritiene che Mosca non abbia provocato tale situazione, ma si limita a tirar ne naturalmente tutti i vantaggi possibili.

Avendo io chiesto al re il suo pensiero al ri guardo, mi ha detto che egli crede invece che tutto l'attuale movimento ultra-nazionalistico persiano sia provocato dai russi, i quali mirano così prima a far fuori gli anglo-americani, e poi a dominare in Iran.

558

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. RISERVATO 2025/879. Belgrado, 16 luglio 1951 (perv. il 20).

Venerdì scorso1, durante una visita a questo ministro aggiunto Vejvoda, questi, come ho telegrafato2, mi aveva rappresentato la irritazione degli ambienti jugoslavi per la campagna irredentistica che ultimamente conduceva la stampa italiana, per l'ampiezza che la questione di Trieste aveva assunto al Parlamento italiano, ed infine per gli accenni del presidente del Consiglio italiano all'Istria occidentale ed a Pola3 , che, secondo Vejvoda, costituiva un appoggio ufficiale ai circoli irredentistici italiani. Tutto ciò, concludeva Vejvoda, non solo non potrà essere passato sotto silenzio da parte jugoslava, ma indurrà il Governo jugoslavo a dare adeguata risposta.

Vejvoda non mancava di ricordare i «sacrifici» fatti dalla Jugoslavia accettando il trattato di pace, aggiungendo che l'Istria e Pola sono territori jugoslavi (croati o sloveni) e che mettendoli in discussione i rapporti tra i due paesi non avrebbero potuto che peggiorare.

Risposi a Vejvoda che dal testo a mia conoscenza del discorso del presidente del Consiglio non avevo tratto l'impressione che in esso fosse stata impostata una rivendicazione dell'Istria occidentale e di Pola; che il presidente De Gasperi si era limitato a ricordare il sacrificio dell'Italia con la rinuncia a tali territori, sacrificio che è nella coscienza di tutti gli italiani e che nessuna presa di posizione jugoslava avrebbe fatto

2 T. 8774/4 del 14 luglio da Bled, non pubblicato.

3 Nel discorso al Senato l'11 luglio, vedi D. 556, nota 3.

superare. Né il presidente del Consiglio italiano aveva dichiarato nulla di nuovo, se si ricorda quali erano state le dichiarazioni e l'atteggiamento del Governo italiano alla Conferenza della pace.

Ricordare i sacrifici già fatti dall'Italia quando si parla di soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste è talmente naturale che io, che ho il dovere, per la mia missione, di rendermi conto delle reazioni in Jugoslavia su tutto ciò che si scrive e si dice in Italia relativamente ai rapporti ed alle questioni interessanti i due paesi, non avevo rimarcato che il presidente del Consiglio italiano avesse dichiarato alcunché che dovesse suscitare particolare allarme o reazione in Jugoslavia.

E ricordai a Vejvoda che nella mia conversazione con Mates, cui egli era presente, del 26 marzo del 19504, e che ebbe per oggetto la questione del T.L.T., ebbi egualmente ad accennare che bisognava che la Jugoslavia si rendesse conto di quanto l'Italia aveva dovuto cedere col trattato di pace. Secondo me, dunque, sarebbe stato erroneo che da parte jugoslava si considerasse l'accenno del presidente De Gasperi all'Istria occidentale ed a Pola come una presa di posizione a carattere di rivendicazione, e che se pubblicamente da parte Jugoslava si fosse seguita tale inesatta interpretazione, e si fosse reagito sostenendo che l'Istria e Pola sono territori croati e sloveni, si rischiava che il problema su quelle terre, non voluto e non posto da De Gasperi, venisse messo sul tappeto proprio per opera del Governo jugoslavo. Quanto meno la stampa italiana avrebbe dovuto infatti dal canto suo sostenere la italianità di quei territori, così come è nella convinzione delle decine di migliaia di polesi e di istriani, che costituivano la quasi totalità di quelle zone e che, italiani, sono emigrati in Italia.

Vejvoda replicava che se anche il presidente del Consiglio italiano non aveva posto una questione attuale di rivendicazione, le sue parole dovevano quanto meno considerarsi come rivendicazione in potenza, da avanzarsi cioè in futuro, quando diverse condizioni storiche e politiche lo avessero consentito.

Risposi ancora a Vejvoda che non bisognava confondere le questioni presenti con quelle che potessero sorgere nel futuro. Che entrambi eravamo a conoscenza delle questioni o meglio della questione attualmente pendente e che soltanto risolvendo le questioni aperte, e conducendo poi una politica fondata su interessi comuni, si sarebbero determinati i futuri rapporti tra i due paesi.

In ogni modo, insistevo, sarebbe errore da parte jugoslava se si volesse accendere oggi una polemica sul discorso del presidente del Consiglio italiano, giudicato da tanti ambienti equilibrato e persino dal Corriere di Trieste, notoriamente filojugoslavo, il quale pur nella prima reazione al discorso presidenziale non rilevò neppure gli accenni che tanto irritavano questi dirigenti.

Né il ricordo di Pola e dell'Istria avrebbe avuto molto probabilmente alcun rilievo particolare nella stampa italiana, dato che le parole di De Gasperi sono nel cuore di tutti.

Non mancavo anche di accennare a Vejvoda che il malumore manifestatosi in Italia era piuttosto diretto contro la poco chiara politica posta in essere dagli angloamericani a Trieste che non contro la Jugoslavia.

Alla fine della conversazione, mantenuta sempre in tono sereno, Vejvoda mi disse che non avrebbe mancato di sottoporre le mie osservazioni al ministro Kardelj.

Sennonché presso a poco contemporaneamente a questa conversazione, il maresciallo Tito pronunciava a Titograd (e non so se Vejvoda ne fosse in quel momento informato) il discorso di cui ho telegrafato il testo5 .

Discorso duro e spavaldo. Frutto, a mio avviso, di una reazione impulsiva contrastante con quel controllo di se stesso di cui il maresciallo aveva, in generale, dato prova fino ad oggi. Il suo discendere alla polemica, persino con giornalista italiano, in una questione tanto grave non depone a favore di quell'equilibrio e di quella compostezza di cui, vincendo la propria natura aveva cercato di vestirsi, dopo aver assunto tanto importanza nazionale e internazionale.

Discorso che in certi punti potrebbe essere considerato come quello di un megalomane, se non lo si inquadrasse nella odierna realtà che ha segnato tanti punti a suo favore. La riuscita ribellione a Mosca è uno dei fattori, ma non il più importante. È piuttosto il ruolo che egli sente o crede di giuocare in questo momento in seno all'Occidente, e non è il caso di indugiarsi sulle responsabilità di chi ha favorito e carezzato le sue ambiziose opinioni. È infine, e soprattutto, la convinzione che mostrando il «viso duro», le grandi potenze occidentali, che non vogliono complicazioni, si asterranno dall'esercitare influenze su di lui.

Il discorso del maresciallo è chiaro e non occorre pertanto che lo esamini nei dettagli. Esso, categorico quale vuol essere, non sembra lasciar adito, almeno per ora, ad alcuna speranza. Anche l'accenno a superare d'accordo l'abisso che separa i nostri due paesi ed a preparare il terreno per le trattative e gli accordi tra i nostri due Governi, perché l'accordo sarebbe possibile se si ha volontà e se non si aspira a qualcosa che non è giusto e non è reale, non può illudere, da tutto il contesto del discorso, su una possibilità di discussione sulla Zona B.

Può darsi che avvenuto lo «sfogo» e specialmente se le grandi potenze occidentali faranno rilevare la inopportunità della durezza del suo discorso, Tito possa in avvenire attenuare la sua intransigenza.

Non può escludersi anche un certo «possibilismo» della politica jugoslava, per quanto non sembri, almeno per ora, che si possa contarvi molto.

La progressiva jugoslavizzazione della Zona B e le gradualmente «autorizzate» manifestazioni di attaccamento delle popolazioni locali alla Jugoslavia e le dichiarazioni di non voler far più parte dell'Italia rendono la strada sempre più difficile.

Quello che forse è a lamentarsi [è] che il recente atteggiamento degli angloamericani in Zona A abbia di nuovo messo all'ordine del giorno con tanta ampiezza la questione di tutto il T.L.T., nel momento in cui pareva che la situazione in Zona B andasse migliorando. Questo miglioramento, infatti, che era stato oggetto della mia ultima conversazione con V.E., era l'obiettivo immediato che ci eravamo proposti, e per il quale avevo qui lavorato secondo le istruzioni di V.E., rendendoci conto che non era attuale la soluzione della questione del T.L.T., per quanto grave ed acuta essa sia.

558 1 Il 13 luglio.

558 4 Vedi D. 282, nota 2.

558 5 Vedi D. 556, nota 2.

559

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 8910/757. Washington, 17 luglio 1951, ore 19,20 (perv. ore 7 del 18).

Ho illustrato a Acheson urgenza risolvere problema revisione trattato di pace.

Ho rilevato trattarsi problema non nuovo, ma aggravatosi in questi ultimi tempi tanto da richiedere pronta azione ed ho particolarmente sottolineato seguenti punti:

1) Dichiarazione tripartita ha dato atto, oltre tre anni fa, della inapplicabilità clausole relative Trieste.

2) Clausola concernente ammissione Nazioni Unite è stata resa inoperante da veto sovietico.

3) Contributo italiano a rinascita democrazia nonché responsabilità assunte da Italia per difesa pace contrastano palesemente con spirito trattato e con molte sue clausole, specialmente con quelle militari.

4) Trattato con Giappone, concepito con spirito interamente diverso, di giusta liberalità, rende vieppiù stridente contrasto fra trattato italiano e attuale posizione italiana nel mondo.

Ho dichiarato che Governo italiano chiede ufficialmente revisione trattato, la quale non si limiti a modifica singole clausole bensì costituisca atto politico sanzionante anche estinzione morale del trattato stesso.

Ho concluso affermando che Italia confida ancora una volta in amicizia Stati Uniti affinché azione nel senso anzidetto sia prontamente intrapresa e condotta a buon fine.

Acheson mi ha risposto che Governo americano riconosce contrasto fra trattato e attuale posizione italiana nel mondo ed ha già, come preannunciato ad ambasciatore Tarchiani 22 giugno1, chiesto a Gran Bretagna e Francia opinione circa procedura per revisione e circa possibile contenuto revisione stessa. Trattasi infatti di problema complesso, nel quale Stati Uniti non possono procedere soli. Dipartimento insisterà («will press further») in tale azione con Londra e Parigi.

Per ora è dolente non poter dire di più.

Ho ringraziato segretario Stato, aggiungendo apparirmi necessario che opinione pubblica italiana sia informata buone disposizioni Governo americano inizio sua azione diplomatica.

Egli ha rilevato che siffatta presa di posizione pubblica conduceva Stati Uniti «assai più lontano» di quanto fossero andati finora su questo problema. Gli ho risposto precisamente questo essere richiesto da situazione.

Abbiamo quindi concordato due dichiarazioni alla stampa, che Perkins ed io abbiamo rispettivamente letto ai giornalisti al termine del colloquio e di cui trasmetto testo in chiaro2 .

Acheson ha manifestato durante tutto colloquio viva cordialità e comprensione per esigenze morali e politiche italiane.

559 1 Vedi D. 489.

560

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8913/463. Parigi, 17 luglio 1951, ore 23,48 (perv. ore 7,30 del 18).

Conferenza ha oggi esaminato paragrafo 1 mio rapporto che è stato in gran parte approvato.

Nostro emendamento su poteri commissario per distribuzione «aiuti esterni» è stato fortemente appoggiato da delegazione tedesca.

Alphand ha sostenuto insistentemente testo progetto francese che, a suo dire, sarebbe conforme desiderio americani. Decisione è stata rinviata.

Prendendo occasione poteri commissario, delegazione tedesca ha posto in termini direi violenti esigenza creazione ministro difesa Germania cui partecipazione in Consiglio ministri europeo sarebbe essenziale. Controversia con delegazione francese, da cui mi sono astenuto, non è stata concludente.

561

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8912/464. Parigi, 17 luglio 1951, part. ore 4 del 18 (perv. ore 7,30).

Dopo aver prevenuto Alphand ho in seduta odierna proposto alla Conferenza testo quale mi è stato telegrafato da V.E. con il suo 3511. In mio intervento ho fatto dichiarazioni alquanto differenti da quelle già in possesso di V.E., sembrandomi più opportuno, da andamento discussione, non agganciare nostra richiesta a sempre più esigente atteggiamento tedesco (vedi mio odierno 463)2 .

In mie parole ho sottolineato trattato pace contenere disposizioni incompatibili a piena partecipazione Italia a Comunità europea difesa, accennando a limitazione effettivi, armamenti, a demilitarizzazione frontiera est, nonché ad articolo 69. Ho detto tutto ciò è in contraddizione con termini trattato qui in discussione. Evidentemente Conferenza non può modificare trattato pace conchiuso al di fuori di essa ma delegazione italiana chiede che Conferenza, rendendosi conto necessità fondamentali Italia e difesa europea, faccia dichiarazione principio. Ho terminato osservando che sia dichiarazione sia eventuale accettazione testo da me proposto, avendo eguale valore tutto rapporto interinale non impegnerebbe Governi.

Ho creduto necessario aggiungere tale osservazione per sottolineare che comunque testo rapporto, anche con eventuale inserzione nostro testo, resta ugualmente non impegnativo. Possibile equivoco mi è sembrato pericoloso.

Presidente ha preso atto, chiedendo tempo affinché delegazioni possano riflettere e ha rinviato discussione mia proposta.

Se mi è possibile formulare impressione questa è piuttosto favorevole, tuttavia reiterate rivendicazioni tedesche per eguaglianza diritti potrebbero finire per mettere altre delegazioni in imbarazzo anche relativamente nostra richiesta.

559 2 Non pubblicato. I testi del comunicato ufficiale del Dipartimento di Stato e delle dichiarazioni di Luciolli sono editi in «Relazioni internazioni», a. XV (1951), n. 30, p. 602. 561 1 Vedi D. 545, nota 1. 2 Vedi D. 560.

562

IL CAPO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO, PERASSI, AL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI

APPUNTO 7/3508. Roma, 17 luglio 1951.

1. Il trattato di pace contiene disposizioni di varia por tata, talune riguardano diritti od interessi particolari di deter minati Stati contraenti nei rapporti con l'Italia, altre riguar dano questioni di carattere politico generale, altre riguardano im pegni imposti all'Italia verso Stati anche non contraenti.

La complessità delle disposizioni del trattato induce, in primo luogo, ad esa minare se sia praticamente possibile dar se guito all'idea, da qualche parte prospettata, di una denuncia del trattato da parte del Governo italiano.

Anche ammesso che la denuncia sia accompagnata da una dichiarazione con la quale si mantengano gli effetti delle clau sole del trattato in base alle quali sono state attuate cessioni territoriali a favore della Francia e della Jugoslavia e sono state determinate le sorti delle ex colonie italiane e si mantengano gli accordi bilaterali stipulati con alcuni Stati dopo l'entrata in vigore del trattato per regolare l'applicazione pratica di clausole economiche che, attraverso tali accordi, hanno subito qual che revisione, la tesi della denuncia in blocco del trattato solleva varie obiezioni.

Si consideri, in particolare, la questione di Trieste. La denuncia del trattato, ossia degli art. 21 e 22 e relativi annessi (VI-X), quale effetto avrebbe? L'Italia è in grado di attuare quello che dovrebbe essere l'effetto della denuncia, cioè la reintegrazione nella piena sovranità italiana della zona che secondo il trattato era destinata a costituire il Terri torio Libero di Trieste? Quale sarebbe la frontiera fra l'Ita lia e la Jugoslavia se la denuncia del trattato facesse cadere l'art. 22, che determina la frontiera tra la Jugoslavia ed il Territorio Libero di Trieste?

La denuncia del trattato significherebbe che l'Italia considera estinte le disposizioni che le imponevano determinati obblighi verso la Cina, l'Albania e l'Etiopia ed in materia di accordi internazionali (art. 39-43)?

2. La denuncia unilaterale di un trattato e di clausole di un trattato, a prescindere da ogni questione sulla sua le gittimità, si comprende quando i suoi effetti pratici dipendono essenzialmente dalla condotta dello Stato denunciante. Così si comprende la denuncia unilaterale di una clausola di un tratta to che impone allo Stato denunciante un determinato obbligo, per modo che lo Stato denunciante, non adempiendo all'obbligo o ces sando di adempiervi, realizza effettivamente la denuncia, salva ogni questione sulla legittimità della denuncia e sull'eventuale responsabilità dello Stato denunciante.

Sotto questo aspetto, il trattato di pace contiene va rie disposizioni nei riguardi delle quali è concepibile una de nuncia unilaterale da parte dell'Italia nel senso che questa, in seguito alla dichiarazione di denuncia, si astenga dall'adempie re agli ob blighi che le derivano da tali disposizioni.

In tale gruppo di disposizioni rientrano, per esempio, le seguenti:

— -le clausole militari, che impongono all'Italia obbli ghi limitanti la sua libertà in materia di armamento (Parte IV); — -le clausole relative alle riparazioni (art. 74), alle restituzioni (art. 75), all'obbligo della restituzione dei be ni di cittadini di Nazioni Unite e del risarcimento dei danni di guerra (art. 78), a taluni obblighi dell'Italia relativi ai territori ceduti (Annesso XIV); — -le clausole politiche (art. 15, 16, 17) che prevedono obblighi unilaterali dell'Italia relativi al suo ordinamento interno; — -le clausole relative all'obbligo dell'Italia di dar seguito alle raccomandazioni di una potenza alleata od associata per la revisione delle sentenze del Tribunale italiano delle prede che la potenza alleata interessata ritenga non essere conformi al diritto internazionale (Annesso XVII) (Racco mandazioni sulla base di tali disposizioni sono state fatte dalla Grecia e dalla Francia); — -le clausole che obbligano lo Stato italiano a istitui re un procedimento di revisione delle sentenze emesse dalle au torità giudiziarie italiane tra il 10 giugno 1940 e l'entrata in vigore del trattato in processi nei quali un cittadino di una Nazione Unita, come attore o come convenuto, non sia stato in grado di difendere adeguatamente le proprie ragioni ed even tualmente ad accordare all'interessato un indennizzo.

Per talune di dette clausole, si potrebbero anche invo care ragioni di ordine giuridico per legittimare una denuncia unilaterale, cioè la dichiarazione dell'Italia di non ritenersi più vincolata ad osservarle. Ciò, in particolare, può dirsi specialmente per le clausole limitatrici della libertà dell'Italia di organizzare le proprie forze armate e le proprie fortificazioni. Dallo stesso trattato (art. 46) risulta che tali clausole erano da considerarsi temporanee, in quanto era previsto che sarebbero rimaste in vigore fino a quando non fos sero state modificate, in tutto o in parte, mediante un accor do tra le potenze alleate ed associate e l'Italia e, dopo che l'Italia fosse stata ammessa nelle Nazioni Unite, mediante ac cordo tra il Consiglio di sicurezza e l'Italia. Nei riguardi di tali disposizioni del trattato potrebbe invocarsi il prin cipio c.d. della clausola rebus sic stantibus. Le condizioni nelle quali tali limitazioni alla libertà dell'Italia sono sta te imposte col trattato di pace sono profondamente cambiate. Si può addurre a questo riguardo il fatto che nel trattato di pace col Giappone non saranno inserite clausole analoghe. Si può aggiungere che contrariamente agli impegni assunti dalle potenze alleate ed associate nel Preambolo del trattato di pace, la domanda dell'Italia di diventare membro delle Nazioni Unite dopo quasi 5 anni dal-l'entrata in vigore del trattato di pace non è stata accolta, privando così l'Italia della facoltà, pre vista dall'art. 46 del trattato stesso, di chiedere al Consi glio di sicurezza l'abrogazione o la modificazione delle clau sole militari derogatorie del diritto internazionale comune.

Per altre clausole del trattato, da cui derivavano obblighi unilaterali per l'Italia, la questione di una loro eventua le denuncia non si pone, perché sono clausole già estinte per compimento del termine al quale esse stesse avevano limitato gli obblighi dell'Italia (es. art. 82).

3. Resta a vedere se per le clausole per le quali è prati camente concepibile una

denuncia unilaterale sia il caso di ri correre a tale misura.

La decisione su tale problema è essenzialmente politica.

Dal punto di vista giuridico il Contenzioso diplomatico ha solo il dovere di ricordare che la denuncia unilaterale di un trattato, sia pure un trattato di pace non liberamente ne goziato, nella prassi internazionale ha generalmente sollevato controversie o proteste. Non mancano precedenti anche recenti nei quali anche l'Italia ha protestato contro denuncie unilate rali di clausole di un trattato di pace.

I motivi che potrebbero addursi per legittimare con mag giore o minore fondamento una denuncia unilaterale di talune clausole del trattato di pace possono, d'altra parte, essere motivi validi per domandarne la revisione.

La revisione può essere fondatamente chiesta anche per clausole, per le quali la denuncia unilaterale non avrebbe pra ticamente senso. In particolare molte ragioni si possono invo care a sostegno di una domanda di revisione delle disposizioni del trattato relative alla questione di Trieste.

L'art. 21 del trattato aveva previsto la creazione del Territorio Libero di Trieste. Nell'intenzione degli autori del trattato si prevedeva che l'ente denominato «Territorio Libe ro di Trieste» venisse costituito appena entrato in vigore il trattato, tanto che alcuni mesi prima le principali potenze alleate ed associate, come membri del Consiglio di sicurezza, avevano cercato di concordare la nomina del governatore del Territorio Libero. Questa nomina in realtà non è avvenuta né prima né dopo l'entrata in vigore del trattato. Il Territorio Libero non si è perciò in effetti costituito. La situa zione della zona destinata a costituire il Territorio Libero resta tuttora in una condizione giuridica provvisoria. A ciò si ag giunge che tre delle potenze alleate, membri permanenti del Consiglio di sicurezza, hanno dichiarato ripetutamente innan zi al Consiglio che la soluzione prevista dal trattato, cioè la creazione del Territorio Libero, è «inattuabile», tanto che si sono rifiutate di riprendere in esame la nomina del governatore. Le dette potenze hanno dichiarato all'Italia, in maniera solenne, tale loro punto di vista e la loro decisione di proporre un Protocollo aggiuntivo al trattato per reinte grare la zona di Trieste nella piena sovranità dell'Italia.

Vi sono, quindi, ragioni fondate per giustificare la richiesta italiana di una revisione del trattato per le parti sopraindicate. Spetterà alle principali potenze alleate ed associate, ed in particolare a quelle che hanno fatto per Trie ste la Dichiarazione del 20 marzo 19481, di prendere in consi derazione la domanda dell'Italia e assumere le responsabilità relative alla soluzione delle questioni che tale domanda sol leva anche nei riguardi di altri Stati interessati.

L'atteggiamento successivo dell'Italia sarà determinato tenendo conto dell'esito che potrà avere la domanda di revisione.

563

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, PIETROMARCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1311/746. Ankara, 17 luglio 1951 (perv. il 19).

Ho visto stamane il segretario generale degli affari esteri ambasciatore Akdur. Abbiamo parlato dell'organizzazione della difesa del Medio Oriente proposta da Morrison1. Ho sopratutto insistito sull'importanza vitale che il fronte medio-orientale ha per la difesa italiana. Il segretario generale se ne è reso pienamente conto e mi ha detto che non è possibile contestare l'interesse italiano a far parte della nuova organizzazione. La Turchia è del resto stata sempre d'avviso che l'Italia deve essere uno dei fattori della stabilità del Medio Oriente, dove la sua azione politica mira unicamente a rafforzare la pace e la sicurezza senza perseguire interessi particolari o di prestigio.

Il consiglio ch'egli si permette di darci è di agire con quella souplesse e doigté di cui abbiamo dato prova, senza precipitazione ed evitando di provocare resistenze. «La situazione — egli mi ha detto — è particolarmente delicata dati i contrasti che si delineano». Ha aggiunto di non ritenere che si raggiungerà tanto presto una soluzio ne. È da presumersi che gli accenni di Akdur si riferiscano sopratutto al contrasto tra America e Gran Bretagna per il Comando mediterraneo. Di particolare interesse è anche il suo convincimento, espressomi con piena sincerità, che occorrerà del tempo prima di arrivare a decisioni concrete. La mia impressione è che l'Inghilterra abbia interesse di addivenire rapidamente a un'intesa, e che cerchi di affrettarla, ma che la Turchia abbia l'interesse contrario e agisce nel senso di ritardare ogni soluzione.

Ciò infatti che sta a cuore al Governo turco è di entrare con pienezza di diritti nel-l'organizzazione atlantica. Fuad Köprülü mi ha detto e ripetuto ieri che la Turchia è di sposta a far parte dell'organizzazione medio-orientale, ma solo dopo la sua ammissione al Patto atlantico. È perciò probabile ch'essa si mostrerà riluttante, fino allora, ad

563 1 Vedi D. 555.

assumere impegni. In che cosa consisteranno questi impegni, e cioè in qual misura essa intenderà concorrere con le sue forze militari alla difesa medio-orientale sarà un problema di non facile soluzione. È questa una ragione di più per la Turchia di differirne la di scussione a quando si sia assicurata la partecipazione di pieno diritto al Patto atlantico.

La conclusione che sembra trarsi dalle dichiarazioni fattemi da Akdur è che vi sono sul tappeto grossi problemi e che si delineano grosse divergenze che non sembra facciano apparire tanto vicina una soluzione. «Non vi mancheranno perciò — ha concluso Akdur — le possibilità e i modi di far valere il vostro interesse a partecipare alla sistemazione difensiva medio-orientale».

Confermo infine che saranno quanto prima pubblicati dei comunicati, sia a Londra che ad Ankara, sulle intese corse tra l'Inghilterra e la Turchia. V'è un'attiva corrispondenza tra i due Governi per concordarne il tenore. È probabile che detti comunicati s'ispirino più o meno ai messaggi scambiatisi tra Morrison e Köprülü.

562 1 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

564

L'AMBASCIATORE A PARIGI, QUARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 1484/383. Parigi, 17 luglio 1951 (perv. il 20).

Schuman mi ha parlato ancora dell'Esercito europeo dopo la visita di Blank a Parigi.

Mi ha premesso che, non essendoci un Governo francese, non poteva che espormi le sue idee, condivise da alcuni, ma non da tutti i ministri.

Il combat team doveva essere abbandonato: l'unità nazionale minima doveva essere la Divisione.

Considerava come un punto acquisito molto importante la dichiarazione tedesca che la Germania non voleva un Esercito tedesco nazionale né uno Stato Maggiore tedesco: su questo punto erano d'accordo sia Adenauer che Schumacher.

Dato questo, il solo problema difficile da risolvere era lo status dell'Esercito tedesco durante il periodo transitorio: gli americani insistevano perché si mettesse subito la mano alla creazione delle Divisioni tedesche: a chi attaccare queste Divisioni tedesche in attesa che gli organi dell'Esercito europeo fossero in grado di funzionare? I tedeschi avevano proposto di attaccarle senz'altro a S.H.A.P.E.

Questa soluzione presentava, dal punto di vista francese, alcuni inconvenienti:

1) presupponeva, di fatto, l'ingresso della Germania al Patto atlantico; 2) era, sì, una soluzione transitoria, ma che poteva facilmente diventare definitiva: ed allora si sarebbe ricaduti nell'Esercito nazionale tedesco;

3) basandosi sul principio della parità dei diritti, i tedeschi avrebbero potuto chiedere che, in attesa della creazione degli organi europei, anche le unità militari degli altri paesi, destinate a far parte dell'Esercito europeo, fossero attaccate direttamente a S.H.A.P.E. e non più alle dipendenze degli organi militari nazionali.

In linea più generale trovava che il piano francese era troppo macchinoso: bisognava contentarsi di un organismo molto più empirico ed elastico, il quale, col tempo, avrebbe potuto perfezionarsi ed evolversi.

Comunque una soluzione doveva essere trovata e presto.

Gli americani erano convinti, ora, che la migliore formula per il riarmo tedesco fosse quella europea: erano quindi disposti ad appoggiarla: ma non si poteva considerare l'Esercito europeo come un mezzo per ritardare od evitare il riarmo tedesco: bisognava presentare agli americani, al più presto, un progetto pratico ed accettabile. Quali che fossero le sue reticenze e difficoltà interne, il Governo francese doveva persuadersi che, se non ci si arrivava, gli americani avrebbero proceduto da soli al riarmo tedesco. La rinascita di un Esercito tedesco puro e semplice, oltre alle complicazioni che avrebbe creato in Francia, avrebbe potuto portare a delle ripercussioni gravi, forse imprevedibili, presso i satelliti orientali e la Russia stessa.

Gli ho osservato che ritenere che i russi avrebbero meno obbiettato ad un Esercito tedesco, parte dell'Esercito europeo, che ad un Esercito tedesco puro e semplice era una grave illusione: i russi avrebbero sostenuto che era la stessa cosa e ne sarebbero stati anche, in gran parte, convinti.

Quello che era, per me, invece, preoccupante, era che se l'Esercito tedesco fosse rinato senza un previo accordo con la Francia, per questo stesso sarebbe nato contro la Francia. Le speranze di un'intesa franco-tedesca sarebbero diventate minime: ed era appunto il disaccordo franco-tedesco che ci premeva di evitare per l'avvenire dell'Europa.

Per quello che riguarda noi, a sua richiesta, gli ho detto che il Governo italiano stava ancora studiando il problema: gli ho confermato che noi volevamo non dar fastidio alla Francia, ma anzi, nella misura del possibile, aiutarla: gli ho però ripetuti i miei dubbi sulla parte finanziaria del Patto, dubbi a cui egli in parte rispondeva riconoscendo che il piano francese era troppo macchinoso. D'altra parte, noi che potevamo guardare le cose dal di fuori, senza preoccupazioni di politica interna, non potevamo non considerare la necessità di tener conto e delle difficoltà francesi e delle suscettibilità tedesche. Quindi, nell'interesse stesso della Francia e dell'Europa, avremmo continuato a consigliare ai francesi prudenza e comprensione: del resto, con lui, poco avevo da aggiungere su questo tema.

Schuman mi ha detto che questo era appunto lo spirito dei nostri rapporti: franchezza completa. E questo avrebbe potuto essere molto utile alla Francia stessa: noi potevamo anche dare ai tedeschi consigli utili ed ascoltati, e per la soluzione delle questioni più difficili, presentare noi delle proposte intermedie che al Governo francese avrebbe potuto essere difficile presentare direttamente.

Come V.E. vede, questa volta Schuman è stato molto più sul terreno della realtà che nella nostra precedente conversazione1 .

Quanto alla posizione americana, non mi sembra più dubbio, ormai, che quello che mi aveva detto Schuman sia sostanzialmente esatto: le dichiarazioni di Bruce alla Conferenza sull'Esercito sono chiare: e lo Stato maggiore di Eisenhower è stato informato che fra qualche giorno dovrà occuparsi dell'Esercito europeo. Quello che

ancora non è chiaro è fino a che punto gli americani sono vicini alla concezione tedesca o francese dell'Esercito europeo: alcuni francesi, più pessimisti o più realisti di Schuman, dicono che gli americani sono disposti a dare una soddisfazione di forma ai francesi purché si dia una soddisfazione di fondo ai tedeschi.

Là dove temo Schuman sia troppo ottimista è quando pensa che non sarà troppo difficile fare accettare tutto questo al Governo francese: il riarmo tedesco resta sempre un panno rosso di fronte al Parlamento francese, e come che vadano a finire le cose, saranno guai grossi.

Ciò premesso, mi permetto di tornare ai casi nostri.

Fino a qualche settimana fa si poteva pensare che la Conferenza per l'Esercito europeo fosse soprattutto parole: oggi bisogna ammettere che le chances che ne esca qualche cosa sono fifty fifty.

Non è la questione dei rapporti con la Francia che mi preoccupa: dato che, ormai, in larga misura, la questione è presa in mano dagli americani, possiamo benissimo lasciare gli americani battersi con i francesi, appoggiare blandamente le tesi francesi, magari stare zitti e dare ai francesi, a quattr'occhi, tutti i consigli che crediamo. Credo non sarebbe impossibile far capire ai tedeschi che un nostro atteggiamento di questo genere è in ultima analisi il più utile per loro stessi.

Il problema è cosa facciamo noi: bisogna, cioè, che noi decidiamo se vogliamo andare avanti per questa strada o no.

Premetto, perché non ci siano equivoci, che, per quello che mi concerne, non ho nessuna reticenza a marciare per questa strada: V.E. sa che sono realisticamente europeo, e credo che l'Esercito europeo sia una delle poche cose reali che si possono fare. Se faccio l'avvocato del diavolo è perché mi rendo conto di quante difficoltà nostre ci sono e perché ritengo che, nella nostra situazione, la politica più pericolosa che si possa fare è quella di mettersi per una certa strada senza averne viste prima, ed accettate, tutte le conseguenze. Già per non aver pesate le conseguenze ultime di una determinata politica siamo arrivati all'8 settembre 1943: sarebbe opportuno non ripetersi: pensare, come abbiamo spesso una certa tendenza a farlo noi, che tutto si accomoda, che ha poca importanza, che sono parole, ecc., è già pericoloso oggi e lo diventa ogni giorno più.

Quali le conseguenze?

In primo luogo le conseguenze di carattere finanziario: una parte importante e sempre crescente del nostro bilancio militare dovrà essere sottratta al nostro controllo nazionale per passare al controllo internazionale o supernazionale. Questo già di per se è grave perché non so se l'opinione pubblica italiana è disposta ad accettarlo. Ma le conseguenze vanno al di là di questo semplice trasferimento di bilancio. Per esempio: è impossibile che, in un Esercito europeo, noi continuiamo a pagare i nostri ufficiali ed i nostri soldati quello che li paghiamo oggi: dovremmo per lo meno pagarli quello che li paga la Francia, ossia circa il doppio: non potremmo allora, pagare meno anche gli altri nostri ufficiali e non potremmo evitare ripercussioni sulla situazione di tutti gli altri impiegati dello Stato.

Non si possono separare i problemi dell'economia generale da quelli dell'economia militare; già è difficile oggi, lo sarà sempre di più domani: il giorno che saremo parte dell'Esercito europeo non saremo più liberi delle nostre decisioni: potrà anche esser un bene per noi, alla lunga, di dovere seguire l'esempio o le direttive di altri: ma gli inconvenienti immediati saranno non pochi: siamo disposti a fare questo salto nel buio? Certo oggi no: ci vorrebbe un lungo, paziente, difficile lavoro di persuasione del Governo, dei Parlamenti e dell'opinione pubblica.

L'indipendenza della nostra politica estera è ben poca cosa, siamo d'accordo: ma siamo disposti a rinunciare anche a quel poco che ci rimane o che ci illudiamo che ci rimanga?

L'indipendenza della politica estera è in ultima analisi la libera disponibilità delle proprie Forze armate al momento decisivo: se le nostre Forze armate diventano europee, non siamo più noi che decidiamo. In questo caso poi l'Europa sarebbe Francia, Germania e noi, forse in più il Belgio: punto e basta: l'Esercito europeo, se funziona, significa un accordo fra Francia e Germania: comanderà l'una o l'altra, questo sarà da vedere, non saremo certo noi che comanderemo. Ora, militarmente parlando, i nostri interessi sono divergenti: Francia e Germania sono Europa centrale, e noi non siamo Europa centrale. Mi si dirà, si sacrifica una parvenza: d'accordo. Ma l'opinione pubblica italiana è molto lontana ancora dal rendesi conto quanto l'indipendenza, anche relativa, della nostra politica estera sia un'illusione. Se non fosse così non si spiegherebbero tante incongruenze di pensiero e di parola. Anche qui ci vorrebbe una lunga preparazione: preparazione difficile perché parte dal presupposto di far cadere una quantità di illusioni: e non c'è niente di più difficile per un Governo che far cadere delle illusioni.

Non parlo di drammi di prestigio. Già nel Patto atlantico abbiamo avuto il dramma dello «Standing Group», abbiamo avuto il dramma del Comando sud e dovremo affrontare, fra non molto, il dramma del significato reale del Comando Castiglioni, così lontano da quello che ancora oggi noi pensiamo e che scoppierà come seguito dell'ingresso nel Patto atlantico della Grecia e della Turchia. Che drammi avremo quando saremo soli di fronte ai francesi ed ai tedeschi nell'Esercito cosiddetto europeo: drammi che saranno aumentati dal fatto che all'atto pratico dovremmo fare tutti i possibili sforzi perché la nostra contribuzione finanziaria all'Esercito europeo sia ridotta al minimo possibile.

Se siamo pronti ad accettare tutto questo bene: ammesso il principio, non ci resterà che fissare le condizioni della nostra partecipazione e negoziarla al meglio. Incidentalmente possiamo per questa via risolvere il problema delle clausole militari del nostro trattato: non quello della revisione o decadenza morale del trattato stesso.

Se invece non siamo pronti ad accettare tutto questo, bisognerà trovare la maniera di uscirne fuori, ed accettare anche le conseguenze di questa uscita fuori.

Mi pare di aver capito che V.E. pensa si possa da parte nostra porre come condizione che si risolvano altri problemi nostri, soprattutto nel campo economico: se ho ben compreso, si tratterebbe di impostare la questione dell'Esercito europeo come una prima tappa verso la soluzione federalistica europea (che poi in realtà comprenderebbe tre soli Stati europei), ma di cui fossero già precisate altre importanti tappe.

Come posizione polemica all'interno — e questo è un punto di vista estremamente importante — va benissimo. All'esterno non c'è da farsi illusioni: potremmo forse avere l'approvazione di qualche trombone dell'europeismo verbale, ma non inganneremo nessuno: tutti capiranno e diranno che il nostro europeismo è solo a parole.

Non solo: ma una presa di posizione di questo genere ci porta a rivedere il nostro atteggiamento di fronte a tutto il problema europeo. In fatto, ci verremmo così ad allineare sulla posizione inglese: la posizione di chi non vuol far niente e di chi vuol fare solo tutto, sapendo che questo tutto è impossibile, è la stessa. Anche qui niente di male, anzi. Ma si tratta di veder chiaro dove si vuole andare e di accettare tutte le conseguenze, in tutti i campi, di un allineamento della nostra politica su quella inglese.

È ancora possibile che l'incomprensione dei francesi e la mancanza di elasticità dei tedeschi mandi tutto questo per aria senza che noi ci dobbiamo intervenire, e che quindi questa decisione ci sia, per il momento evitata. Ma oggi, ripeto, le chances che questo avvenga non sono più del 50% e, in queste circostanze, è necessario pensare, fin da adesso, a quello che faremo se questo fallimento non ci sarà. Probabilmente molti di noi penseranno che l'alternativa non è così drastica coma la pongo io e che sia ancora possibile salvare capra e cavoli. Posso sbagliare, ma non è la mia opinione.

Purtroppo, e non solo per la questione dell'Esercito europeo, siamo ad una svolta decisiva per molte cose ed andiamo incontro ad un periodo estremamente critico nei rapporti intereuropei ed interatlantici.

564 1 Vedi D. 498.

565

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 8982/467. Parigi, 18 luglio 1951, part. ore 1,57 del 19 (perv. ore 7).

Blank stamane facendo vagamente allusione a conversazioni Adenauer Roma mi ha in maniera larvata ma chiara accennato a certa sua sorpresa per non averlo io appoggiato su varie questioni relative non discriminazione Germania.

Gli ho risposto che era per me difficile farlo in sedute, ma che in miei colloqui con Alphand ho fatto opera di persuasione in favore punti di vista tedeschi; se lui Blank mi indicava punti che gli stavano particolarmente a cuore avrei con piacere insistito.

Atteggiamento da me tenuto in seduta è stato in realtà per quanto possibile neutro ma in frequenti mie proposte di testi compromissori fra tesi tedesche e francesi ho finora, di fatto, sovente favorito francesi. Alphand peraltro mi ha a varie riprese ringraziato. Desidererei possibilmente conoscere con urgenza se debbo in prossime sedute prendere atteggiamento alquanto più favorevole rivendicazioni tedesche1 .

565 1 Con il T. s.n.d. precedenza assoluta 5925/355 del 19 luglio Venturini preannunciò l'arrivo del console Pansa Cedronio, incaricato di partecipare alla Conferenza in argomento e latore delle istruzioni richieste.

566

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, CON L'AMBASCIATORE JUGOSLAVO RISTI?

APPUNTO1 . Roma, 18 luglio 1951.

Il colloquio è durato dalle 10 alle 12,15.

R. precisa che viaggia in Italia da turista, e, in tale occasione, è stato incaricato di abboccarsi, durante il suo soggiorno a Roma, con persona di fiducia del Governo italiano. Si conviene da ambo le parti, del carattere informativo, non impegnativo, riservatissimo di questa conversazione e delle altre che eventualmente seguissero.

Dopo lunghi giri di frasi e di idee, si conviene di ammettere come punto di partenza che tanto l'Italia quanto la Jugoslavia preferiscono di liquidare il T.L.T. Sia a questo punto, sia in seguito, il R. insiste però ad ogni momento sul fatto (naturalmente sempre da me negato) che all'Italia, assai più che alla Jugoslavia, giova uscire dallo stato attuale di cose, con la liquidazione del T.L.T., e quindi possa essa consentire a maggiori sacrifizi.

Come potrebbe avvenire la liquidazione? Il massimo cui la Jugoslavia potrebbe giungere è di rinunciare alla Zona A (salvo qualche rettifica di dettaglio al Nord a suo favore) ed incorporare la B (salvo qualche rettifica di dettaglio a nostro favore del confine fra A e B).

Nel corso della discussione, mi vuol togliere ogni illusione che tali rettifiche, della frontiera A-B possano essere di qualche entità.

Gli ho parlato lungamente dei grandi benefici che il suo paese riceverebbe — una volta sgombrato il terreno dalle questioni territoriali ed etniche — dalla collaborazione economica, finanziaria,commerciale ed anche militare coll'Italia. L'ho esortato a metter questa sul loro piatto della bilancia, più di ogni altra cosa. R. si rende conto del valore di simili prospettive — specie nei frangenti odierni — ma sa purtroppo che la questione etnico-territoriale deve risolversi prima, come cosa a sé.

Della «linea etnica» mi ha detto che è un'impossibilità geografica, economica e razziale tracciarla attraverso la Zona B.

Quanto alle «equivalenze», la Jugoslavia è già fortemente in credito, sol che si contino gli elementi slavi della Zona A.

Gli ho però fatto osservare che, pur non volendo per il momento discutere le cifre da lui citatemi, i risultati delle conversazioni italo-jugoslave (se come fossero di definitivo e realizzabile) per l'opinione pubblica italiana e la logica risulterebbero sempre nell'isieme delle decisioni della pace, e quindi nelle «equivalenze» non si

potrebbe non tener conto di Zara, Fiume, Pola ecc., già cedute definitivamente: di

modo che il credito della Jugoslavia, se pur esiste, rischierebbe di mutarsi in debito.

Ragionamento che non gli piacque e che cercò di neutralizzare, ma non felicemente.

Tralascio tanti altri particolari della conversazione, perché schermaglie in temi noti, oppure riflessioni sulle capacità di un Governo democratico, come il nostro, di guidare o meno la pubblica opinione dove non vuole andare, in confronto di una demo crazia progressiva come la loro; ed altre del genere.

Ci siamo promessi di rivederci domani 19 luglio alle 18. Durante la giornata, R. farà il turista e intende visitare il Vaticano.

Conta fermarsi una diecina di giorni.

Domani, mi riprometterei di attaccarmi per cominciare, al tenue spunto fornitomi dall'accenno a possibili rettifiche della linea di demarcazione fra A e B.

a) Non mi ha parlato di Gorizia, che per dirmi che tal questione non sarà sollevata.

b) Non mi ha accennato a riprese di conversazioni economiche, come addio alle trattative per il T.L.T.

Per conto mio, a titolo personale, gli ho detto che, se si dovesse far qualcosa per preparare il terreno, forse converrebbe che la stam pa dei due paesi venisse istradata a scrivere, con qualche nostalgia, del bello e del buono che i due paesi potrebbero fare lavorando insieme; tentare di polarizzare un po' gli animi verso temi di collaborazioni commerciali, economiche ecc. ... e perfino di collaborazione militare — anziché gli eterni temi triestini.

Ricordo per ultimo che il R. mostrò sempre di ritenere che l'opinione pubblica italiana era preoccupata più della città di Trieste che della zona B. Ho cercato di persuaderlo del suo grave abbaglio — se vero abbaglio è, e non artificiale argomento per sostenere che il Governo italiano potrebbe accontentare la propria pubblica opinione con la semplice annessione della Zona A, cioè Trieste, pur rinunciando alla B.

Se il R. ha veramente votato il suo sacco, anche questo episodio di conversazioni romane non frutterà nulla. Vedrò domani se si apre qualche piccolo spiraglio.

566 1 Questo appunto e gli altri che si pubblicano ai DD. 575 e 594 di questo volume e all'inizio del prossimo (l'ultimo dei quattro colloqui è datato 30 luglio) sono conservati nelle carte Sforza e da lui pubblicati nelle sue memorie (Cinque anni a Palazzo Chigi, cit., pp. 417-429) e non risulta che, lasciando la guida del Ministero, ne abbia dato a posteriori conoscenza al competente Ufficio, né che ne abbia fatto oggetto di comunicazione al suo successore. Si pubblicano perché De Castro conferma (La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, DIEGO DE CASTRO, Trieste, Edizioni Lint, 1981, vol. II, pp. 93-94) che, com'è logico, i colloqui di Soragna con Ristić si svolsero su istruzioni orali del ministro.

567

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. SEGRETO 7980/4180. Washington, 18 luglio 1951 (perv. il 22).

Riferimento: Telespresso di codesto Ministero n. 11/09909 del 25 giugno scorso1 .

In recenti conversazioni amichevoli abbiamo ribadito, in conformità delle istruzioni impartite da V.E., il punto di vista italiano circa la possibilità di un «associated

membership», ricordando il nostro passato atteggiamento al riguardo e sottolineando le ovvie considerazioni politiche e giuridiche che hanno determinato l'atteggiamento stesso. Al Dipartimento di Stato si è preso atto delle nostre dichiarazioni e ci si è assicurato che in avvenire si terrà conto della posizione da noi assunta, che d'altronde viene qui perfettamente compresa ed apprezzata.

Con l'occasione si è voluto da parte americana riesaminare brevemente l'intero problema della nostra ammissione all'O.N.U. e al riguardo ci è stato detto:

Gli Stati Uniti continuano ad attribuire una fondamentale importanza all'ammissione dell'Italia alle Nazioni Unite. Essi tengono costantemente presente tale problema e non trascureranno occasione alcuna né risparmieranno sforzi per risolverlo. Il superamento del veto sovietico con tutti i possibili espedienti giuridici ha fatto ancora recentemente oggetto di accurato esame, ma ancora una volta si è confermato che nel quadro dell'attuale Carta tale superamento non è possibile. Il problema è dunque, in realtà, politico, e come tale esso è subordinato alla evoluzione della situazione politica generale: se questa continuasse a peggiorare, non è escluso che a un certo momento gli Stati Uniti potrebbero indursi a proporre quelle rettifiche della Carta che apparissero più idonee. Studi preliminari sono stati compiuti a questo riguardo e si è anche presa in considerazione la possibilità di consentire all'Italia il diritto di voto in seno al Trusteeship Council. Naturalmente gli studi compiuti dagli uffici hanno un carattere puramente teorico e documentativo affinché una decisione di governo non pone il problema su diverse basi politiche. In conclusione, ci è stato ripetuto esplicitamente, tutto dipende dall'evoluzione della situazione generale.

Il Governo americano intende tuttavia mantener vivo il problema generale del-l'ammissione alle Nazioni Unite dei paesi «veramente democratici» che ne hanno fatto domanda. A tal fine esso pensa che un «associated membership» di questi paesi potrebbe creare una situazione de facto che, oltre a rendere possibile una pratica collaborazione dei Governi in questione con le Nazioni Unite, potrebbe servire a mantener desta l'attenzione generale sul problema creato dal veto sovietico e convertirsi alla fine in una situazione de jure. A questo proposito si è anche accennato al Giappone, il quale — ci è stato detto — si mostra desiderosi di entrare nelle Nazioni Unite e probabilmente, in caso di un veto sovietico, non sarebbe alieno dall'accettare in via provvisoria una situazione de facto.

Infine il Governo americano resta fortemente contrario alla ammissione dei satelliti europei e della Corea del Nord. L'opinione pubblica nordamericana — ci è stato sottolineato — non potrebbe accettare una tale eventualità, che del resto né l'Amministrazione né il Congresso sono disposti a prendere in considerazione. Pertanto anche formule generiche, che potrebbero essere invocate dai russi per esigere l'ammissione dei satelliti, troverebbero decisamente ostile il Governo nordamericano.

Da ultimo ci è stato confermato di aver preso atto della nostra posizione circa il problema specifico dell'«associated membership» e ci è stato assicurato che non si mancherà di tenerci al corrente circa gli eventuali sviluppi della questione generale.

567 1 Non pubblicato.

568

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 8125. Washington, 18 luglio 1951 (perv. il 22).

Le dichiarazioni fattemi dal segretario di Stato il 17 corrente1 e, soprattutto, il pubblico annuncio di esse mi sembrano costituire un progresso sulla via della revisione del trattato di pace.

Il progresso, naturalmente, non consiste in un mutamento dell'atteggiamento americano, ché gli Stati Uniti, per parte loro, erano da tempo orientati in senso favorevole. Esso consiste invece nella pubblica manifestazione di tale atteggiamento.

Finora, il Dipartimento di Stato aveva insistentemente raccomandato il silenzio, tanto sulla posizione americana quanto sui sondaggi preliminari, fatti a Londra e a Parigi.

La pubblicazione del progetto di trattato col Giappone, la giustificata reazione dell'opinione pubblica italiana, il conseguente passo, ordinato da V.E. col telegramma 2872 e la notizia data di esso alla stampa, mi hanno permesso di insistere qui fortemente, nella breve fase di preparazione del colloquio con Acheson e poi nel corso del colloquio medesimo, affinché il favorevole atteggiamento americano e l'intenzione del Dipartimento di Stato di intraprendere un'azione diplomatica in proposito fossero solennemente resi noti.

Sulla natura della revisione permangono le incertezze già da me segnalate col rapporto n. 7427/3927 del 29 giugno u.s.3. Pertanto, ho ben marcato con Acheson il carattere morale e politico della revisione, qual è concepita dal Governo italiano ed ho insistito affinché, nel redigere il comunicato, egli dichiarasse superato «lo spirito» oltre che «talune parti» del trattato.

Anche sulla procedura e, conseguentemente, sui «tempi» della revisione, permane l'incertezza. Né il Governo britannico né quello francese si sono affrettati a rispondere al sondaggio americano, avvenuto pochi giorni dopo il colloquio Acheson-Tarchiani4 e quindi oltre tre settimane fa. Il segretario di Stato mi ha promesso di premere. La pubblicità fatta sulla posizione degli Stati Uniti dovrebbe, di per sé, costituire un elemento di pressione. Se la Gran Bretagna e la Francia cominciassero col mostrare prontamente una reazione, sia pure di massima, favorevole, gli Stati Uniti potrebbero cominciare a lavorare in concreto.

568 1 Vedi D. 559. 2 Vedi D. 544. 3 Vedi D. 506. 4 Vedi D. 489.

569

IL MINISTRO A MANAGUA, SILVESTRELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9011/6. Managua, 19 luglio 1951, ore 8,10 (perv. ore 19). Mio telegramma 31 .

Questo ministro degli affari esteri mi ha ufficialmente comunicato che presidente della Repubblica, aderendo al desiderio del Governo italiano, ha impartito istruzioni ambasciatore Washington Guglielmo Sevilla Sacasa, che è anche rappresentante del Nicaragua presso O.N.U., di promuovere fra delegazioni dell'America latina all'O.N.U. iniziativa per revisione nostro trattato di pace.

Interessamento del suddetto ambasciatore risulta tanto più importante data sua posizione di decano fra gli ambasciatori latino-americani a Washington.

Nell'imminenza del suo ritorno a Washington mi sono intrattenuto lungamente con lui invitandolo tenersi in contatto con ambasciatore Tarchiani e Guidotti.

570

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9014/470. Parigi, 19 luglio 1951, ore 19,45 (perv. ore 20).

Dopo aver parlato per sommi capi con ambasciatore Bruce su posizione americana nei confronti di Esercito europeo, ho lungamente conferito con suo esperto questione.

In colloquio mi è stato detto quanto segue: Governo americano si è convinto che Esercito europeo è migliore soluzione per: 1) integrazione europea; 2) riarmo Germania; 3) efficienza militare, che sono punti fondamentali politica americana in Europa.

Dubbi fino a poco fa erano sussistiti su tempo; ma ormai sono superati e si crede anzi che Esercito europeo, dopo primo periodo, presenterà vantaggi.

Governo americano ha dato assicurazione a tedeschi che entro novembre sarà adempiuta condizione da essi posta per riarmo e cioè revisione Statuto Germania. Governo americano spera che tedeschi anche prima novembre inizino predisposizioni necessarie per riarmo procedendo poi subito a pratiche misure.

Da parte americana ci si rende conto difficoltà francesi per periodo che intercorrerà fra inizio riarmo tedesco e creazione Esercito europeo e vi si vuole venir incontro accelerando al massimo lavori per Esercito europeo.

Rapporto che Conferenza Parigi sta redigendo e che viene attentamente seguito da Washington è considerato da americani come soddisfacente.

569 1 Del 6 luglio, con il quale Silvestrelli aveva riferito che l'ambasciatore Sevilla Sacasa, delegato del Nicaragua alle Nazioni Unite, era stato interessato all'iniziativa della revisione del trattato di pace.

571

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9016/471. Parigi, 19 luglio 1951, ore 19,30 (perv. ore 20). Mio 4641.

Alphand stamane, dopo avermi detto un sacco di buone parole su sentimenti e proponimenti Governo francese per revisione nostro trattato pace, mi ha fatto presente che con suo rincrescimento, dopo aver riflettuto, gli sembrava impossibile che Conferenza facesse dichiarazione da me richiesta, su materia che non rientra quadro Conferenza. Soprattutto egli temeva se nostra richiesta fosse accolta, esigenze tedesche per non discriminazione si sarebbero raddoppiate. Secondo Alphand testo da me proposto potrebbe figurare solo come dichiarazione della delegazione italiana di cui altre hanno preso atto.

Gli ho risposto che la Conferenza era già uscita dal quadro della sua competenza quando aveva ammesso che Germania possa emanare leggi e creare organi per reclutamento; che a causa questo precedente è necessario che Conferenza si pronunci su questione nostro trattato di pace così connessa con nostra partecipazione Esercito europeo; che non era possibile che noi in Conferenza Parigi finissimo per avere trattamento peggiore di quello riservato a tedeschi. Ho aggiunto che mi rendevo però conto sue difficoltà con tedeschi, difficoltà che potevano accrescersi se Conferenza dava a noi soddisfazione e che pertanto gli proponevo che nostra questione venisse discussa per ultima, quando fossero già esaurite con regolamento positivo o negativo, tutte esigenze avanzate dai tedeschi, si che fosse più difficile ritornarci sopra.

Alphand si è riservato risposta2 .

571 1 Vedi D. 561. 2 Vedi DD. 574 e 578.

572

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9019/472. Parigi, 19 luglio 1951, ore 20,50 (perv. ore 21,35). Mio 4681.

Dopo aver esaminato tutto rapporto meno conclusioni si è rivenuti oggi su punti in sospeso. Pomeriggio è stato assorbito da snervante discussione fra tedeschi e francesi su non discriminazione. Pur non essendo nominato, motivo contendere è stato eventuale ministro difesa tedesco. Ho cercato mischiarmi discussione meno possibile ma non ho potuto fare a meno sottolineare che status paesi partecipanti non deve essere ignorato da Conferenza.

Andamento lavori in relazione situazione Germania prende piega sfavorevole per nostra richiesta caducità trattato pace, richiesta che continuo a tenere per quanto possibile sganciata da rivendicazioni tedesche evitando accuratamente fare fronte unico.

573

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. 9029/384. Londra, 19 luglio, ore 20,47 (perv. ore 24).

Sottosegretario Scott ha oggi comunicato, facendo presente che analogo passo veniva compiuto da State Department presso nostra ambasciata Washington, che domani verrà consegnato progetto trattato pace col Giappone a potenze che saranno chiamate firmarlo e tra le quali non rientra Italia.

Al contempo ha consegnato nota che qui di seguito trascrivo:

«Un progetto trattato di pace col Giappone è stato preparato da Governi Stati Uniti e Gran Bretagna in base precedente progetto e scambi di vedute intervenuti tra principali potenze che presero parte a guerra col Giappone. Copia testo del trattato è stata comunicata al Governo italiano. Se Governo italiano lo desidera, Governo di S.M., in cooperazione con Governo statunitense, sarebbe lieto di offrire suoi buoni uffici per negoziazione trattato di pace fra Italia e Giappone, che sia in armonia con progetto trattato di pace preparato da Stati Uniti e Gran Bretagna e che disponendo reciprocamente soddisfacente regolamento beni ed altre questioni derivanti da guerra in Estremo Oriente, faciliti evoluzione di amichevoli rapporti fra due paesi».

Pur non avendo istruzioni in proposito si è ritenuto opportuno cogliere questa occasione per illustrare considerazioni di cui agli allegati a lettera segretario generale 12781 (pervenuta stamane) sottolineando anche effetti che nostra esclusione non può mancare di provocare.

572 1 Pari data, non pubblicato.

574

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9096/479. Parigi, 19 luglio 1951, ore 24 (perv. stessa ora). Mio 4711.

Ho nuovamente parlato con Alphand su nostra nota richiesta. Gli ho detto che per tenerla sempre più separata da esigenze tedesche mi proponevo riproporre Conferenza nostra proposta questi termini: revisione trattato pace Italia è questione che concerne non solo delegazione italiana ma anche delegazione francese belga e lussemburghese. Esse infatti in rapporto su Esercito europeo raccomandano loro Governi cose incompatibili con trattato pace. Predette delegazioni e non solo italiana devono quindi raccomandare revisione trattato pace. Alphand mi ha risposto che in questa forma potrebbe darci qualche soddisfazione, lasciando del tutto fuori i tedeschi. Si tratterebbe, egli ha detto dichiarazione tre predette delegazioni, naturalmente limitatamente clausole trattato pace incompatibile con trattato Esercito europeo. Si è riservata risposta per consultare Schuman. Ho egualmente intrattenuto delegati belga e lussemburghese che sarebbero di massimo d'accordo.

Data situazione che ho fatto presente in mio 4722 mi sembra questo effettivamente massimo si possa ora ottenere. D'altra parte che dichiarazione tripartita sia staccata da rapporto avrebbe vantaggio che potremo chiedere sia resa pubblica alla imminente fine lavori Conferenza, mentre rapporto dovrà naturalmente restare segreto.

2 Vedi D. 572.

573 1 Non pubblicato. 574 1 Vedi D. 571.

575

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, CON L'AMBASCIATORE JUGOSLAVO RISTI?

APPUNTO1 . Roma, 19 luglio 1951.

Il colloquio è durato dalle 18 alle 19,15.

Riprendo la conversazione dallo spunto offertomi dagli accenni di R., il giorno precedente, a modifiche eventuali della linea di confine nord della Zona A (a favore della Jugoslavia), e, rispettivamente, di una possibile correzione (a favore della Zona A italiana) dell'attuale linea di demarcazione fra le due zone.

Lo invito a precisare i desiderata jugoslavi per la Zona A. Tira fuori delle carte, e me ne mostra una dove è tracciata una linea rossa che, partendo da un punto della frontiera fra Medrazze e la ferrovia, corre nella Zona A per il lungo fin circa a Sgomico, e lì, piegando verso nord-est, raggiunge all'incirca all'altezza di Monrupino il territorio jugoslavo.

Mi previene che quella linea rossa non è affatto definitiva.

Gli propongo allora di riassumere il suo pensiero in questa richiesta massima; la Jugoslavia desidera scendere il più possibile verso il mare, salvo la necessità di mantenere un corridoio fra la città di Trieste e il resto dell'Italia. Gli chiesi quanti slavi ritiene sarebbero colà incorporati, non sa di preciso, ma pensa sei o sette mila.

Allora gli chiesi di mostrarmi in che consiste l'allargamento della zona A verso sud, dentro la B. Con molte difficoltà, mi fa comprendere che la linea, che ora tocca il mare sulla punta del capo Punta Grossa, potrebbe essere deviata verso sud, da Alba fino a comprendere S. Nicolò. Osservo che manca qualsiasi paragone fra i due sacrifici; e, di parola in parola, vengo a dirgli che mi aspettavo assai più — sempre troppo poco — ma non una sì sordida avarizia.

La decenza più elementare doveva condurlo a offrire almeno Capodistria, includendo la città nello spostamento della linea. Risponde di neppur sognarselo, e asserisce che quell'arretramento da lui prospettato, basta a dare al bacino di Trieste tutto lo spazio che può desiderare.

Gli rispondo che, così stando le cose, non vale neppure la pena che io ne riferisca al mio Governo, neppure a titolo di cronaca.

Segue, come ieri, uno scambio di opposte ed inconciliabili idee sul valore che l'Italia attribuisce alle terre italiane della Zona B. Gli ricordo l'impegno tripartito2 , proprio ribadito in questi giorni3, e l'impossibilità per noi di rinunciare gratis a simili carte; anzi, peggio che gratis, cedendo parte della Zona A. Gli ricordo anche che, in appoggio alle carte della dichiarazione dei Tre, abbiamo ora lo spirito revisionistico del nostro trattato di pace, che si va diffondendo nel mondo e per via di più sacri prin

2 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469.

3 Vedi DD. 542 e 551.

cipi politici e morali che a poco a poco si vanno imponendo, e per forza degli avvenimenti. (Per esempio, il trattato di pace, per quanto riguarda la frontiera italo-jugoslava e le clausole militari è divenuto oggi assurdo nello stesso interesse jugoslavo — R. fa segni di assenso). Lo spirito revisionistico viene di necessità ad invertire, in senso a noi favorevole, anche le questioni pendenti della nostra frontiera nell'Istria.

R. drizza le orecchie e chiede spiegazioni, ma io passo ad altro, contentandomi di quelle vaghe allusioni (N.B. L'episodio mi fa certo che R. non era al corrente delle proteste e riserve jugoslave contro modifiche del trattato di pace4 — insomma, non era aggiornato).

Faccio, a titolo di sondaggio, un fugace accenno a compensi alla Jugoslavia sulla linea di confine italo-jugoslavo, ma di fronte ad una reazione negativa, abbandonai tosto il pericoloso argomento.

Finalmente, gli chiesi, sottolineando il carattere puramente discorsivo della cosa, se egli sapesse che il criterio di regimi di specialissimi privilegi minoritarii da concedersi alle comunità italiane della Zona B, fosse stato mai ritenuto discutibile o potesse venir preso in considerazione dal suo Governo. Mi rispose in modo da farmi comprendere che la domanda non entrava nel novero di quelle ch'egli poteva prendere in utile considerazione; ma mi obbiettò subito che, nel caso molto improbabile che si giungesse a discutere tale eventualità, si affaccerebbe subito la richiesta di analoghi privilegi per gli slavi della Zona A. Siccome non avevo nessuna volontà di approfondire la cosa, la lasciai cadere.

Pervenimmo così alla conclusione che non potevamo, con tutta la buona volontà, trovare altro spunto utile di conversazione. Mi chiese se ritenevo dovessimo incontrarci ancora. Gli risposi che, se egli fosse venuto a Roma appositamente, gli avrei consigliato di ripartirsene. Ma siccome si fermava ancora per qualche tempo, per completare il suo soggiorno turistico, non vedevo perché non ci saremmo potuti incontrare di nuovo fra qualche giorno; non foss'altro che per congedarci cordialmente. Siamo quindi rimasti d'accordo che ci fisseremmo un appuntamento telefonicamente5 .

Nel chiudere questo breve e poco soddisfacente resoconto, mi permetto di far risaltare due punti:

1) per l'impressione netta che, malgrado le negative del R., un accordo di cui facessero parte certe rettifiche a vantaggio jugoslavo del confine nord della Zona A, potrebbe portare fin all'inclusione di Capodistria nella stessa Zona A, da annettersi all'Italia. Faccio rilevare questo punto, non perché pensi che abbia qualche valore attuale, ma per utile memoria.

2) Non nego che il R., nell'espormi la riluttanza del suo Governo a concessioni che vadano oltre la spartizione fra noi del T.L.T. nelle due note Zone, mi abbia dato l'impressione di parlare con accenti veramente sinceri. Specialmente quando, riassumendo gli ostacoli, mi fece intendere che le difficoltà del regime di Tito, nel campo interno, specie nei riguardi del comunismo cominformista, russofilo ed anti-occidentale, sono una realtà pericolosa da tener sempre presente in queste trattative.

5 Vedi D. 594.

È già malagevole per il maresciallo, egli mi disse, di presentare, come risultato e coronamento della sua evoluzione verso Occidente, la cessione di Trieste all'Italia. Ma la cessione, oltre ciò, di altre terre, sulla costa della Zona B, che ormai l'opinione pubblica slovena ed jugoslava considera acquisita di fatto, supera quanto egli possa prudentemente osare.

575 1 Vedi D. 566, nota 1.

575 4 Vedi D. 483.

576

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GALLARATI SCOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 3915/2198. Londra, 19 luglio 1951 (perv. il 23).

Faccio seguito al mio rapporto n. 3855/2161 del 14 corrente1, per riferire all'E.V. in merito ad ulteriori passi qui svolti in relazione al problema della revisione del trattato di pace.

Il 17 corrente mi sono recato nuovamente da Strang per fare il punto dopo il colloquio con Morrison. Ho colto l'occasione per tornare ancora una volta col sottosegretario permanente sulla questione delle revisione sviluppando i noti concetti che

— del resto — gli avevo già ampiamente esposti sin dal 2 luglio2 in preparazione della mia conversazione col segretario di Stato.

Cogliendo lo spunto della crisi ministeriale in Italia ho sottolineato al mio interlocutore come, anche allo scopo di evitare che correnti politiche meno compenetrate della necessità della piena solidarietà atlantica approfittino della situazione per porre il nostro Governo in imbarazzo, sia interesse dell'Inghilterra di considerare con il massimo senso di comprensione il problema delle revisione il cui più o meno soddisfacente accoglimento da parte alleata può avere ripercussioni psicologiche di prim'ordine in Italia.

Strang ha assicurato che si rendeva perfettamente conto di quanto gli prospettavo ed ha formulato il voto che la crisi potesse risolversi al più presto. Nell'esprimersi analogamente a quanto aveva fatto Morrison, Strang ha ricordato fra l'altro come

— nel campo delle difficoltà cui il segretario di Stato si era richiamato per quanto riguardava le possibilità di una revisione ex integro — figurasse anche la nostra posizione nei riguardi della Jugoslavia. Egli ha ripetuto l'assicurazione che si procederà subito alle necessarie prese di contatto con americani e francesi, manifestando la convinzione che da parte nostra ci si renderà oggettivamente conto di come non si possa giungere in pochi giorni a una decisione.

Dall'insieme della conversazione ho avuto la sensazione che si tema un poco, a Londra, che in Italia ci si possano creare eccessive illusioni circa le effettive possibilità

2 Vedi D. 516, Allegato.

di una immediata e aperta revisione: ed è secondo me anche a questo timore che risponde il desiderio di segretezza formulato da Morrison, nel corso del nostro colloquio.

Un insieme di circostanze, discorsi e indiscrezioni stampa di questi ultimi mesi ha contribuito infatti a far sorgere il dubbio in vari ambienti inglesi, tendenzialmente restii a pubblicizzare i problemi in corso di negoziato, che nell'opinione pubblica italiana sia stata creata un'attesa tale — in materia di revisione e in altri campi — che qualunque soluzione si possa raggiungere rischierà di lasciare un senso di scontento generale; e magari verrà ascritta a colpa anziché a merito del Governo che l'avrà ottenuta attraverso un'azione diplomatica metodica e ben condotta. È un'impressione, questa, che mi sforzo di dissipare rendendomi perfettamente conto degli inconvenienti cui può dar luogo. Ma ho desiderato di riferirla a V.E. non solo per doverosa informazione ma anche perché trovo che la lettura dei nostri giornali giustifica non poco questo timore, tanto più data la natura generosa del nostro popolo facile alle illusioni.

Questa impressione del resto ha trovato oggi conferma quando uno dei miei collaboratori è stato chiamato al Foreign Office dal sottosegretario Mallet il quale desiderava, dopo le dichiarazioni di Acheson a Luciolli riportate ieri anche dalla stampa britannica, confermare una volta di più il pensiero espressomi da Morrison. Mallet ha fra l'altro letto l'appunto redatto dal Foreign Office sul mio colloquio col segretario di Stato, che collima con quanto ho telegrafato all'E.V. il giorno stesso del colloquio3. Egli ha posto però l'accento sulla questione Jugoslavia, dando nettamente l'impressione che vi dovesse essere stato un passo jugoslavo a Londra dopo i miei colloqui con Morrison e Strang, probabilmente in seguito a quanto la stampa aveva pubblicato in argomento.

Mallet, che aveva conferito oggi stesso con Morrison, ha fatto anch'egli un cauto accenno alla necessità che da parte nostra non ci si creino illusioni di una rapida revisione ex integro. Riferendosi a quanto il segretario di Stato mi aveva detto sul-l'opportunità di conservare carattere segreto alla questione, egli ha sottolineato come Morrison consideri tuttora — e cioè dopo il comunicato dello State Department e le conseguenti «indiscrezioni» del Foreign Office in argomento — che sarà tanto più agevole venire soddisfacentemente a capo del problema in quanto i negoziati vengano condotti con ogni riservatezza.

Sempre in tema di revisione, Mallet ha fatto presente che era incaricato di farci conoscere come da parte britannica si fossero pienamente apprezzate le assicurazioni che l'E.V. avrebbe dato all'ambasciatore britannico a Roma, in una «private conversation» dello scorso maggio (mi sembra abbia menzionato il giorno 25 maggio), in occasione di accenni apparsi in un quotidiano romano sulla possibilità che l'Italia denunziasse unilateralmente il trattato. Era inutile sottolineare, ha concluso il funzionario britannico, come orientamenti in tal senso potrebbero essere controproducenti.

576 1 Vedi D. 550.

576 3 Vedi D. 546.

577

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. SEGRETO 8267. Washington, 19 luglio 1951.

La comunicazione fattami oggi da Foster Dulles mi sembra abbastanza interessante, non tanto per il tenore della nota scritta quanto per le dichiarazioni verbali che l'hanno accompagnata.

La nota, infatti, si limita a promettere i «buoni uffici» anglo-franco-americani in una trattativa italo-giapponese tendente alla stipulazione di un trattato, che sia «in armonia» con quello generale. Senza sottovalutare il peso di questi «buoni uffici», sta di fatto che essi, da soli, non darebbero sufficienti garanzie di giungere ad una soluzione per noi soddisfacente.

Sennonché Foster Dulles, a titolo strettamente confidenziale, ma in modo esplicito, ha aggiunto che il Governo giapponese, presentito in conformità della promessa da lui fattami nel precedente colloquio1, si è mostrato in massima d'accordo a stipulare un trattato sostanzialmente simile a quello generale.

Inoltre ha suggerito chiaramente che il Governo italiano rediga esso stesso un progetto di trattato e lo rediga rapidamente, affinché si possa approfittare della presenza della delegazione giapponese a San Francisco.

Tutto ciò giustifica l'impressione che i «buoni uffici» americani abbiano praticamente un valore pari a quello della formula usata nell'art. 26 del trattato generale, a favore delle Nazioni Unite, firmatarie della dichiarazione del 1° gennaio 1942.

Se queste impressioni (rafforzate anche dall'autorizzazione di Foster Dulles a pubblicare la nota) troveranno conferma nei fatti, il Governo italiano avrà raggiunto gli scopi pratici, che perseguiva: evitare di firmare il trattato generale e ottenere per i propri claims un trattamento analogo a quello riservato ai firmatari del trattato generale.

Trasmetto qui unita copia della nota verbale di cui sopra.

577 1 Vedi D. 529.

578

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI, A PARIGI

T. S.N.D. 5961/356. Roma, 20 luglio 1951, ore 14,30.

Suo 4711 .

Nostra intenzione è d'insistere nel modo più energico.

Lascio perciò a lei giudicare se sia più conveniente porre in chiaro sino da ora nostro atteggiamento o attendere ultime battute Conferenza come da lei suggerito.

Per parte nostra sembra preferibile farlo subito.

579

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA

T. SEGRETO 5964/47. Roma, 20 luglio 1951, ore 16.

In relazione contenuto telegramma n. 461 .

Anche per averne norma per nostra risposta a Washington, pregola riferire sua opinione circa possibilità o meno concludere con codesto Governo (prima firma trattato generale) accordo diretto italo-giapponese che constati cessazione stato guerra e rinvii ad ulteriori negoziati questioni a suo tempo sorte in conseguenza tale stato.

Buoni uffici offertici da anglo-franco-americani (di cui dovrebbe essere interesse comune italo-giapponese poter fare a meno) potrebbero essere invocati e utilizzati semmai ove sorgessero difficoltà in fase negoziati2 .

2 Per la risposta vedi D. 583.

578 1 Vedi D. 571.

579 1 Del 26 giugno, con il quale Lanza D'Ajeta comunicava: «Buonissima fonte autorizzata informa progetto trattato di pace giapponese sarà portato a conoscenza presto a tutti interessati. Risulta inoltre trattato di pace sarà firmato congiuntamente dai Governi membri Commissione Estremo Oriente consenzienti conclusione pace, con temporanea esclusione Cina. Quindi trattato di pace rimarrà aperto per pronta adesione numerosi altri Governi in stato di guerra col Giappone, tra cui Italia. Vedrò Allison prossimi giorni».

580

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9088/77-78. Tokyo, 20 luglio 1951, ore 22,10 (perv. ore 23).

Non ho potuto avere conferma quanto riferito con mio telegramma 741 e debbo segnalare all'E.V. che silenzio nostro atteggiamento nei confronti procedura pace giapponese potrebbe essere qui a noi pregiudizievole individuando troppo apertamente incertezza nostra situazione.

Pur pienamente confermando subordinato parere che migliore soluzione sia possibilmente nostra partecipazione nel calderone di San Francisco, mi permetto sottoporre seguente personale soluzione di ripiego circa la quale non (dico non) ho fatto qui parola con nessuno:

1) dichiarazione italiana simile alla nostra recente dichiarazione per la Germania, resa pubblica stesso giorno firma San Francisco;

2) accompagnata da scambio di note previo concordato con Washington e Tokyo garantente più precisa possibile equa applicazione a nostro favore fondamentali principi trattato di pace generale.

Tale soluzione mi pare importerebbe seguenti vantaggi:

1) almeno sincronizzazione con la pace generale;

2) maggiori possibilità Washington dare a noi concreto appoggio per realizzazione nostre richieste tecniche agganciate al massimo possibile al trattato di pace generale;

3) esclusione molto sconsigliabile negoziati pace separata declassando future consequenziali trattative al livello puramente tecnico diplomatico;

4) infine nostra iniziativa concede Giappone uguale trattamento formale già riservato Germania2 .

580 1 Del 19 luglio, non pubblicato. 2 Per il seguito vedi D. 582.

581

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. S.N.D. 9095-9097/478-480. Parigi, 20 luglio 1951, ore 24 (perv. stessa ora).

Blank ha oggi sollevata in termini particolarmente decisi questione ricostituzione organizzazione amministrativa militare tedesca pur confermando sua precedente rinuncia a Stato Maggiore generale. Alphand ha invano cercato far accogliere formula che in sua indeterminatezza lasciasse sostanzialmente impregiudicata questione. Ambasciatore americano ha rilevato che questione era di competenza anche di altri paesi non presenti e che pertanto era opportuno fosse rinviata.

Intransigenza Blank (che ha detto essere stato oggetto attacchi da parte Schumacher per suo atteggiamento a Parigi) e rifiuto Alphand accedere punto vista tedesco hanno prodotto al termine seduta pomeridiana situazione volutamente molto tesa con accenni da parte delegazione francese perfino a dubbi circa possibilità proficua continuazione lavori Conferenza.

Prossima seduta fissata domani pomeriggio.

Come conseguenza decisione Conferenza di cui a mio telegramma 4501 che autorità tedesche possono provvedere direttamente reclutamento soldati, soldati che però — su richiesta pregiudiziale francese — dovranno assumere immediatamente carattere europeo, praticamente si è venuto ad abolire «primo stadio». Ciò comporterebbe tra l'altro secondo odierno progetto francese — accettato da tutti meno che da me — che ad entrata in vigore trattato si impianti immediatamente bilancio europeo su cui graverebbero spese inerenti a creazione tutte nuove divisioni e quindi specialmente divisioni tedesche. Francesi mi hanno detto essere contribuzione altri paesi spese creazione divisioni tedesche assolutamente teorica, avendo avuta ferma assicurazione che Stati Uniti finanzierebbero totalmente riarmo tedesco.

Mi sono riservato risposta domani per studiare eventuale emendamento prudenziale, ma devo aggiungere che osservatore americano ha con me insistito in termini alquanto perentori affinché formula sia anche da noi accettata.

581 1 Vedi D. 536.

582

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9108/79. Tokyo, 21 luglio 1951, ore 12,10 (perv. ore 11,45).

Riferendomi al mio telegramma 771 sottolineo alla E.V. tutta opportunità che Italia non (dico non) venga trovarsi, anche breve tempo dopo pace San Francisco, unica grande nazione stato di guerra Giappone, fatto eccezione caso particolare Cina.

Nonostante dichiarazioni in contrario risulterebbe che ripresa relazioni da parte Governi in rottura di rapporti diplomatici sarebbe in massima parte sincronizzata con pace generale.

A mio subordinato parere buoni uffici anglo-americani potrebbero essere più utilmente offerti per punto due mio telegramma in riferimento (dichiarazione accompagnata da scambio note), lasciando a noi, nei confronti del Giappone, iniziativa proclamare pace.

583

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9134/81. Tokyo, 21 luglio 1951, ore 16,30 (perv. ore 18,45).

Rispondo al telegramma n. 471 incrociatosi miei telegrammi n. 77-78-792 .

Mi pregio informare opinione mia, che non (dico non) posso confortare per ovvie ragioni con sondaggi presso Autorità nipponiche, è seguente:

1) da parte nostra iniziativa, anche come reazione trattamento riservatoci sarebbe più che giustificata ma è consigliabile avvenga in limite realistico tenendo presente soprattutto impossibilità Giappone seguirci ora fuori binario anglo-americano e possibilità che nostre eventuali intempestive proposte appaiano qui quale nostra ripicca situazione che deve essere ormai qui ben nota;

2 Vedi rispettivamente DD. 580 e 582.

2) al tempo stesso elemosinare formale patrocinio anglo-francese-americano in sede, ma fuori Conferenza della pace (ultima parte telegramma di V.E. n. 46)3 mi sembra a tutti fini non confacente e soprattutto poco dignitoso;

3) qualora si intenda veramente aiutarci non vi dovrebbero essere insormontabili ostacoli politico-giuridici adottare linea di condotta quale è stata prospettata nei miei telegrammi in riferimento.

582 1 Vedi D. 580.

583 1 Vedi D. 579.

584

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9145/485. Parigi, 21 luglio 1951, ore 20,50 (perv. ore 23).

Con riferimento a mia telefonata odierna trasmetto testo concordato nota dichiarazione1:

«Trasmettendo loro Governi rapporto interinale della Conferenza per organizzazione Esercito europeo delegazioni belga, francese ed italiana attirano attenzione loro Governi sul fatto che certe clausole del trattato pace italiano si trovano in contraddizione con le raccomandazioni fatte nel rapporto in questione ed impediscono piena partecipazione dell'Italia alla difesa comune. Pertanto appare loro necessario che clausole trattato pace italiano che limitano possibilità che Italia intende mettere al servizio della difesa comune siano modificate».

Alphand mi ha detto che testo ha carattere riservato. Gli ho risposto (senza che lui replicasse) che non potevo garantirgli non vi fossero indiscrezioni a Roma. Tuttavia lascio giudicare V.E. nel caso volesse rendere pubblica tale dichiarazione tripartita, opportunità lasciar passare qualche giorno.

583 3 Del 20 luglio, ritrasmetteva a Tokyo il T. 9051/768 del 19 luglio da Washington, non pubblicato.

584 1 Vedi D. 574.

585

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9147/487. Parigi, 21 luglio 1951, ore 21,40 (perv. ore 23). Mio 4701 .

Crescente interesse americano in Conferenza è confermato da molti elementi. Ambasciatore Bruce frequentemente presente riunioni è spesso intervenuto in discussioni, mentre in questi ultimi tempi funzionari tecnici americani si sono strettamente mantenuti in contatto con francesi ispirando varie delle ultime proposte francesi soprattutto in materia economica.

Francesi affermano aver avuto comunicazione da americani che Eisenhower ha ricevuto istruzioni prendere «strong leadership» lavori Esercito europeo ed infatti oggi si è deciso in Conferenza invitare rappresentati N.A.T.O. in Comitati tecnici che continueranno lavori. Francesi affermano altresì essere pressati da americani affinché Conferenza non interrompa anzi acceleri lavori.

Per quanto francesi abbiano evidentemente interesse ad esagerare ho però effettivamente impressione che americani da qualche giorno a questa parte stiano prendendo in mano redini Conferenza con azione di persuasione e non solo di persuasione.

586

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9148/488. Parigi, 21 luglio 1951, ore 22 (perv. ore 23).

Mio 4791 .

Alphand mi ha proposto testo troppo debole e limitativo. Diceva solo che era «hautement souhaitable» armonizzazione talune clausole trattato pace con trattato Esercito europeo. Si è scusato non poter fare di più facendo in maniera non chiara allusione a necessità intendersi con inglesi. Gli ho replicato che inglesi non erano in Conferenza e gli ho presentato controprogetto ricalcato su noto testo telegrafatomi da

V.E.2. Ho aggiunto che se non poteva accettarlo sarei stato costretto porre questione

2 Vedi D. 545, nota 1.

in termini quanto mai categorici in seduta odierna (cosa che Alphand voleva evitare per non dare nuove occasioni a petulanze tedesche).

Alphand ha allora redatto testo che ho telegrafato3 e che teneva conto mio controprogetto. Ho creduto accettarlo. Ho avuto poi qualche resistenza da parte del belga che ho però superato. Lussemburgo è stato lasciato fuori perché non firmatario trattato pace.

Per non dare a nostra intesa con francesi e belgi carattere poco simpatico per delegazione tedesca, dopo che questione era stata sollevata davanti a tutti in Conferenza, ho, a cose fatte, informato delegato tedesco, spiegandogli che avevo stimato questione interessasse solo paesi che avevano firmato trattato pace.

585 1 Vedi D. 570. 586 1 Vedi D. 574.

587

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, MARTINI

TELESPR. 11/11414/C. 1 . Roma, 21 luglio 1951.

Riferimento: Suo telegramma 822 .

Si prende nota con compiacimento delle favorevoli disposizioni di codesto Governo.

2. -Si richiama peraltro il telespresso 17 corrente n. 11/111783 e si conferma quanto esposto nel telespresso del 7 giugno4 circa le ragioni che sconsigliano, per il momento almeno, di richiedere noi che l'iniziativa parta da un paese dell'America latina piuttosto che da un altro. Infatti anche altri paesi ci hanno fatto offerte analoghe a quella riferita dalla E.V. 3. -V.E. pertanto, nel mentre è pregata di dare costà atto dell'apprezzamento del Governo italiano, vorrà insistere perché codesto Governo: a) solleciti, se crede, i Governi dei paesi amici perché diano istruzioni ai propri rappresentanti all'O.N.U. di concertarsi a New York per l'azione da svolgere in seno alle Nazioni Unite; b) dia esso stesso istruzioni in tal senso al suo rappresentante all'O.N.U. 4. -Questo Ministero ritiene infatti che iniziative di singoli Stati e consultazioni fra i diversi paesi dell'America latina provocherebbero difficoltà e comunque richiederebbero un maggior tempo prima che si arrivi ad un risultato concreto.

La miglior soluzione, sembrerebbe tuttora quella ventilata nell'ultimo capoverso del telespresso del 7 giugno: che, cioè, i vari rappresentanti dei paesi dell'America latina all'O.N.U., una volta ricevute istruzioni dai propri Governi, prendano contatto con il nostro rappresentante alle Nazioni Unite.

2 Vedi D. 554.

3 Anticipava in sintesi le direttive di cui al presente documento.

4 Vedi D. 462.

5. La domanda ufficiale5 di revisione del trattato, da noi fatta il 17 corr. a Wa shington, rende il concretarsi dell'azione parallela, richiesta con il telespresso del 7 giugno (paragr. 5), quanto mai urgente.

586 3 Vedi D. 584.

587 1 Indirizzato per conoscenza alla rappresentanza italiana presso l'O.N.U. a New York.

588

L'AMBASCIATORE A CITTA DEL MESSICO, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. 1797/406. Città del Messico, 21 luglio 1951 (perv. il 31).

Al mio ritorno dal congedo in data 27 giugno u.s., ho preso visione dei telespressi nn. 08737/C. e 11/08740/C. in data 7 giugno scorso1, e delle istruzioni ivi contenute nei riguardi dell'azione da svolgere presso questo Governo affinché gli Stati dell'America latina si consultassero direttamente nell'intento di presentare alle Nazioni Unite una mozione per invitare le grandi potenze a rivedere il trattato di pace con l'Italia.

Poiché, com'è noto, sono pendenti le trattative per la liquidazione delle questioni sorte fra Italia e Messico in seguito al trattato di pace, e poiché tali trattative avrebbero dovuto iniziarsi subito dopo il mio ritorno a questa sede, conformemente alla riunione interministeriale tenutasi presso codesto Ministero degli affari esteri in data 29 maggio c.a., ed alla formale promessa che l'avvocato Lefèbvre, consulente legale, sarebbe giunto a Messico alla fine del mese di giugno scorso, sono rimasto in attesa della notizia dell'arrivo dell'avvocato stesso per poter contemporaneamente iniziare l'azione per la revisione del trattato di pace e dare affidamento che tale revisione non avrebbe in alcun modo influito sulle trattative per le questioni pendenti con il Messico a causa del trattato stesso.

Non appena quindi ricevuto il telegramma n. 25 in data 12 corrente2 che mi annunziava l'arrivo dell'avvocato Lefèbvre, ho indirizzato a questo sottosegretario di Stato e ministro ad interim per gli affari esteri, signor Manuel Tello, un memorandum in data 18 luglio corrente, qui unito in copia (All. 1), con il quale ho fatto presente le buone ragioni che inducevano il Governo italiano a fare assegnamento sulla provata amicizia del Governo messicano per un'azione diretta ad una pronta revisione del nostro trattato di pace, accompagnandolo con una lettera, di cui pure invio copia (All. 2)3 .

Ho avuto poi oggi un lungo colloquio con il signor Tello, il quale, dopo avermi confermato la dichiarazione precedentemente fatta (vedi telespresso 1107/221 del 7 maggio u.s.)4 della incondizionata simpatia del Messico per una revisione del trat

2 Riferimento errato, si tratta del T. 20 del 20 luglio, non pubblicato.

3 Gli allegati non si pubblicano.

4 Vedi D. 397.

tato stesso, mi ha assicurato di aver manifestato tale simpatia ai diversi rappresentanti diplomatici degli Stati dell'America latina che si sono rivolti a lui, per ultimo, in ordine di data, l'incaricato d'affari del Cile. Mi ha detto poi di non aver avuto ancora tempo di esaminare e la lettera e il memorandum qui acclusi, ma che potevo contare sulla sua favorevole disposizione nei nostri riguardi. Ha anzi aggiunto che nella risposta data dal Governo messicano al Governo degli Stati Uniti circa l'invito rivoltogli da quest'ultimo di prendere parte alla riunione per la firma del trattato di pace con il Giappone, da tenersi in San Francisco nel settembre prossimo, egli, prima di accettare l'invito stesso, aveva chiesto spiegazioni circa un articolo del progetto del trattato concernente le proprietà ed i crediti dei giapponesi, non volendo il Governo messicano assumere un impegno che, pur essendo irrilevante nei riguardi del Giappone data la poca consistenza delle proprietà e crediti giapponesi in questo paese, avesse potuto in qualche modo compromettere le pretese che il Governo messicano si riserva di avanzare nei riguardi delle proprietà e crediti dei cittadini germanici in questo paese, quando si dovrà procedere al trattato di pace con la Germania. E nell'avanzare tali riserve egli ha anche fatto presente al Governo degli Stati Uniti la posizione di assoluto sfavore che veniva creata nei riguardi dell'Italia, il cui trattato di pace, già firmato a Parigi nel 1947, sarebbe risultato molto più gravoso di quello progettato con il Giappone, nonostante il fatto che l'Italia era uscita fin dal 9 settembre 1943 dalla guerra contro le Nazioni alleate ed associate, e si era anzi unita alle medesime con la cobelligeranza.

Ho approfittato di tale atteggiamento tanto francamente amichevole del signor Tello per fargli presente l'opportunità che il Governo messicano non si limitasse ad una dichiarazione di favore circa la revisione del trattato di pace, ma che si facesse promotore di una immediata consultazione fra gli Stati dell'America latina per presentare al più presto, alle Nazioni Unite, una mozione per invitare le grandi potenze a rivedere il trattato di pace con l'Italia.

Mi sono valso degli argomenti già svolti nella mia lettera e nel mio memorandum, facendo sopratutto appello non solo all'amicizia del Messico verso l'Italia, ma alla posizione di prestigio che gode questo paese nel campo internazionale sopratutto in materia di giustizia, per la sua grande tradizione di civiltà latina.

Il signor Tello mi ha promesso che avrebbe parlato della questione al presidente della Repubblica, Lic. Miguel Alemán, non appena egli sarà di ritorno dal suo viaggio nel Nord, ossia fra qualche giorno, e mi ha fatto capire che egli era favorevole a tale iniziativa.

Mi riservo d'altro lato di parlare con altri importanti membri di questo Gabinetto perché influiscano sulla persona del presidente della Repubblica nel senso da noi desiderato.

587 5 Vedi D. 559.

588 1 Vedi rispettivamente D. 484, nota 1, e D. 462.

589

L'AMBASCIATORE A BOGOTA, FECIA DI COSSATO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

TELESPR. URGENTE 869/237. Bogotà, 23 luglio 1951 (perv. il 25 agosto).

Riferimento: Telespresso ministeriale n. 11/08740/C. del 7 giugno 19511 .

Ho l'onore d'informare che la questione relativa al nostro trattato di pace ha fatto oggetto di numerosi colloqui, per mezzo dei quali ho tentato di mantenere vivo il problema, ogni qualvolta se ne è presentata l'occasione, presso i competenti organi del Ministero degli affari esteri e, in generale, presso autorità e personalità del paese.

Ultimamente ho presentato al segretario generale del Ministero degli affari esteri il promemoria di cui accludo copia, illustrandolo a voce, e rendendomi interprete presso detto funzionario delle idee e dei suggerimenti contenuti nel paragrafo 8 del telespresso in riferimento (qui giunto con molto ritardo).

Il segretario generale mi ha dichiarato che il Governo colombiano sarebbe ben lieto, come sempre in passato, di far cosa gradita al Governo italiano. Egli ha anzi aggiunto che avrebbe preso l'iniziativa di indire una riunione col ministro degli esteri e col dott. Urdaneta Arbelaez, presidente della Commissione politica dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, onde studiare l'eventualità che lo stesso Urdaneta Arbelaez approfitti della sua prossima andata a New York in occasione della possibile riunione della Commissione politica, per iniziare dei passi presso i vari delegati latino-americani nel senso di ottenere le adesioni occorrenti ad una concreta iniziativa in seno all'O.N.U. tendente a promuovere la revisione del trattato di pace italiano.

Dopo queste euforiche dichiarazioni il segretario generale, che ho rivisto ieri, mi ha precisato il concetto ufficiale sulla questione, dichiarandomi in particolare quanto segue:

1) sono state impartite istruzioni telegrafiche all'ambasciatore di Colombia in Roma, presso il quale codesto Ministero aveva fatto un passo analogo a quello da me qui compiuto, di comunicare che il Governo colombiano è naturalmente favorevole, in linea di principio, ai desiderata del Governo italiano per quanto riguarda la revisione del trattato di pace;

2) che praticamente, però, il concetto di revisione, per il quale la Colombia nulla ha da obiettare nei confronti dei problemi europei, implica da parte degli Stati americani la necessità di previe consultazioni, poiché occorre che questi procedano d'accordo nel formulare un'azione comune tendente a «modificare» alcune parti del trattato di pace italiano;

3) la Colombia è pronta ad associarsi alla ricerca di una tale formula, nella sede e con i mezzi che consentano di evitare il veto russo.

Mi è apparso chiaramente che le dichiarazioni fattemi dal segretario generale differissero sostanzialmente da quanto egli mi aveva detto in antecedenza, nella prima conversazione surriferita. Non solo egli non ha più accennato ad iniziative della Colombia, ma ha questa volta solamente parlato di modifiche al trattato di pace italiano e non più di revisione. Nel mentre è evidente la preoccupazione di evitare le illazioni che comporterebbe la parola «revisione» nei rapporti reciproci degli Stati americani, non vi è dubbio, a mio modo di vedere, che la Colombia non intenda scostarsi, in questa come in altre questioni, da una linea di condotta supinamente aderente a quella che seguiranno gli Stati Uniti. L'atteggiamento degli Stati Uniti, forse già noto alla Colombia o forse non ancora definito, sarà quello sul quale questo paese graduerà, in misura maggiore o minore, l'intensità della sua azione in favore della revisione del nostro trattato di pace.

589 1 Vedi D. 462.

590

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO

T. SEGRETO 6068/5. Roma, 24 luglio 1951, ore 15,30.

Suo telegramma 81 e telespresso 2025/8792 .

Approvo linguaggio da lei tenuto con codesto ministro degli affari esteri e con ministro aggiunto. In successive conversazioni, ella potrà continuare ad esprimersi nello stesso senso, lasciando a suo interlocutore di manifestare quali siano reali intenzioni jugoslave.

590 1 Del 21 luglio, con il quale Martino aveva riferito sul colloquio avuto con Kardelj più ampiamente commentato al D. 596. 2 Vedi D. 558.

591

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9263/493. Parigi, 24 luglio 1951, ore 21,29 (perv. ore 23,45).

Rapporto approvato definitivamente. Ne trasmetto domani testo per corriere1 .

In seduta plenaria Alphand ha messo al corrente osservatori ultimi sviluppi Conferenza accennando fra l'altro a questione nostro trattato. Bruce espressa soddisfazione per risultati raggiunti e ripetuto grande interesse suo Governo.

Al termine seduta delegazione tedesca presentato prevista sua dichiarazione circa revisione statuto Germania e circa spese occupazione, che verrà distribuita insieme con rapporto.

Sopratutto per dare soddisfazione ad ormai chiara fretta americana formalmente lavori Conferenza non subiranno alcuna interruzione e sono previste sin da domani riunioni Comitati per ricognizione problemi tecnici tuttora in sospeso (di cui Alphand ha fatto elenco) e per approfondire studi. Sostanzialmente invece è da prevedersi che Comitati, dopo aver stabilito ordine lavori, potranno aggiornarsi per qualche settimana a partire da prima decade agosto.

592

IL CONSOLE GENERALE CAVALLETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

T. SEGRETO 9260/495. Parigi, 24 luglio 1951, ore 22 (perv. ore 23,45). Miei 470 e 4871 .

Ambasciatore Bruce mi ha domandato quanto tempo credevo necessario perché odierno rapporto divenisse trattato. Gli ho risposto che era difficile pronunciarsi ma a giudicare dal precedente del piano Schuman almeno altri sei mesi. Bruce ha soggiunto sperare vivamente che trattato possa essere firmato per ottobre o novembre; in modo, egli ha detto, reclutamento tedesco possa cominciare senza ritardi in quadro europeo in attesa ratifiche.

Avendo io fatto presente difficoltà pratiche e sopratutto economiche, Bruce mi ha lasciato intendere che Eisenhower ha significato ai francesi che formula Esercito europeo deve essere semplificata evitando inutili e costosi spostamenti di truppe;

importante è avere uniformazione sistemi, scuole in comune e divisioni tedesche inquadrate in Esercito europeo; tutto il resto è accessorio. Francesi a dire di Bruce si starebbero piegando tali esigenze e malgrado complicati sistemi rapporto formula Esercito europeo a cui essi sarebbero ora disposti orientarsi sarebbe in realtà molto più pratica ed attuabile di quella progettata in primo tempo. Circa forma commissario, Bruce mi ha detto che egli non (dico non) sarebbe favorevole collegio, perché diminuirebbe efficienza commissario a cui americani vedrebbero con piacere attribuiti ampi poteri. Ho insistito per nota tesi collegiabilità. Colloquio con Bruce mi fa pensare che ampia e franca spiegazione con americani su nostre maniere vedere per Esercito europeo sarebbe, appena possibile, utile, per non tardare, mentre da parte americana si stanno prendendo concreti orientamenti, far conoscere nostre preliminari e fondamentali esigenze e difficoltà.

591 1 Non pubblicato. 592 1 Vedi DD. 570 e 585.

593

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA, AGLI AMBASCIATORI A PARIGI, QUARONI, E A WASHINGTON, TARCHIANI

TELESPR. 1353 SEGR. POL. Roma, 24 luglio 1951.

In relazione alla questione in oggetto1 trasmetto qui allegato un rapporto

n. 3855/2161 del 14 luglio2 dell'ambasciata a Londra nel quale si prospetta, per quanto si riferisce al problema della revisione del trattato di pace, la possibilità di una azione in due tempi. Non sarei contrario ad accogliere favorevolmente tale suggerimento purché la dichiarazione relativa alla «decadenza morale» (primo tempo) sia redatta in modo tale da dare soddisfazione alle nostre legittime aspettative, apra la via, in modo esplicito, alle modificazioni concrete che è pure legittimo attenderci, e non contenga condizioni e limitazioni per quanto si riferisce all'accettazione dello stesso principio da parte di altri Stati, in quanto ciò equivarrebbe a darle sin dal primo momento un valore puramente platonico.

Per quanto si riferisce al secondo tempo, alla ricerca cioè delle formule atte a superare le clausole che ci legano ancora le mani, questo Ministero ha per parte sua già impostato l'esame di esse, materia per materia, e si riserverebbe di farle via via conoscere all'E.V.

Codesta ambasciata può quindi suggerire a codesto Governo la procedura suindicata.

593 1 Il documento reca il seguente oggetto: «Revisione trattato di pace». 2 Vedi D. 550.

594

COLLOQUIO DELL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, MELI LUPI DI SORAGNA, CON L'AMBASCIATORE JUGOSLAVO RISTI?

APPUNTO1 . Roma, 25 luglio 1951.

Invito R. a pranzo. Conversazione di due ore sui più svariati argomenti politici, sociali, economici. R. mostra di essere un occidentalista in tutte le direzioni. Non m'inganno di sicuro asserendo che il suo tour d'esprit è assolutamente quello di un borghese che fa del socialismo. Non si tocca, neppure di sfuggita, il problema di Trieste.

Usciamo dalla sala da pranzo, e comincio a cercare la formula per congedarci. Allora egli entra di colpo in argomento e dice che ha lungamente ripensato a quella idea, da me lasciata cadere sul corso della precedente conversazione, su libertà, autonomie ed analoghe prerogative alle popolazioni italiane. L'idea gli pare feconda. Mi chiede se io pensavo all'ordinamento regionale (per esempio la regione d'Aosta o la Sicilia) o a privilegi alle singole città.

Gli rispondo che non pensavo a niente di preciso: avevo voluto semplicemente colmare in qualche maniera il vuoto che si pronunciava in quel momento nella nostra conversazione.

Mi domanda se l'ordinamento regionale, p.es. siciliano, comporta un parlamento ed un Governo locale. Gli rispondo affermativamente. Mi fa intendere che il suo Governo deve ad ogni costo salvare la faccia di fronte all'interno ed al cominformismo estero, quindi deve confermare la sua sovranità sulla intera Zona B: ma, dietro questa facciata, molto potrebbe essere concesso.

Mi ripete esser fiducioso che il suo Governo accetterebbe che si esaminasse una soluzione sulle grandi linee seguenti:

a) Trieste e Zona A (salvo i ritocchi di cui alla conversazione II) all'Italia;

b) Zona B sotto la sovranità jugoslava (salvo ritocchi a nord a favore della Zona A, come dalla stessa conversazione II), con un regime speciale di autonomia ad una striscia italiana da convenirsi;

c) accordi per l'uso del porto di Trieste;

d) altri accordi commerciali ed economici.

È chiaro che, in questi tre o quattro giorni, R. ha chiesto istruzioni a Bled prospettando l'ipotesi dell'autonomia, ed ha avuto un «via».

Mi vuol persuadere del valore, per l'Italia, di una soluzione che seguisse questa linea, e del favore che incontrerebbe nel pubblico. Gli rispondo che poco importa persuada me; il giudizio spetta a chi tiene il polso della Camera, dei partiti e del paese, e, conoscendo un poco come stanno le cose, son ben lungi dal condividere la sua euforia.

Mi prega di telefonargli al più presto per un altro appuntamento. Egli attende in ogni modo il ritorno di Ivekovic da Bled.

Credo opportuno raffreddarlo un poco, facendogli notare che la crisi in corso non permetteva di andar tanto per le spicce. Io, poi, contavo partire in licenza verso il 3 agosto e ne avevo bisogno per la mia salute. In ogni modo, avrei fatto del mio meglio, onde vedere se lo spunto, da lui raccolto e sviluppato con un «mestiere» di cui non potevo che tecnicamente felicitarlo, valeva la pena di occupare ulteriormente il nostro tempo.

594 1 Vedi DD. 566 e 575.

595

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, ZOPPI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, M. LUCIOLLI

L. Roma, 25 luglio 1951.

Come tu sai noi abbiamo considerato il progetto Pleven, a suo tempo, sotto tre aspetti, e cioè:

1) possibilità di ottenere, attraverso di esso, il consenso francese al riarmo tedesco che riteniamo necessario alla difesa europea e nostra;

2) far fare un altro passo innanzi, dopo il piano Schuman al progetto di integrazione europea, integrazione che è uno degli obiettivi della nostra politica estera;

3) mantenere una comune linea di azione con la Francia con la quale cerchiamo di svolgere una politica di amicizia e di vicendevole assistenza.

Ci siamo resi sempre conto che il progetto Pleven comportava per noi dei grossi problemi di ordine tecnico, militare, economico, finanziario e politico costituzionale. In realtà pensavamo che gli stessi problemi si sarebbero presentati anche per gli altri e avevamo scontato (a ciò condotti anche dall'atteggiamento fra lo scettico e l'impaziente degli americani) che lungo la via si sarebbe finito per salvare di tale progetto quel tanto che consentisse di far trangugiare alla Francia la pillola del riarmo tedesco, di fare qualche progresso sul piano europeistico, e di mantenere anche in questo campo una certa collaborazione italo-francese.

Calcolavamo in sostanza che altri levasse le castagne dal fuoco per noi almeno per quella parte del progetto Pleven che ci appariva più di peso (immediato) che di vantaggio (presente o futuro).

Dagli ultimi rapporti, e particolarmente da quello qui unito1, vedrai che le cose non sembrano avviate secondo tali, forse ottimistiche, previsioni in quanto ad un certo punto gli americani hanno dato un colpo di timone in senso favorevole al progetto Pleven anche nelle sue concezioni estreme e i tedeschi sembrano interessati a condurlo in porto.

Il problema è per noi di enorme rilevanza e il Governo dovrà decidere l'attitudine da prendere con completa conoscenza di causa. Se dovessimo davvero avviarci verso una soluzione sul tipo di quella riassunta nel telegramma di Malagodi2, è facile comprendere come tanto la nostra autonomia in politica estera, quanto taluni aspetti della nostra vita economica, quanto infine la stessa politica interna, potranno riuscirne influenzati. Ti bastino alcuni accenni. Benché sia ormai ammesso che la guerra non è uno strumento di politica nazionale, è chiaro che un paese il quale non dispone delle proprie forze armate, non è, in certi casi, [dotato di] autonomia di politica estera: non saremmo infatti nemmeno in grado nel caso eventuale di uno sconquasso jugoslavo di ordinare alle nostre divisioni o a quelle che guardassero la nostra frontiera di ristabilire una linea di confine razionale, viceversa rischieremmo di dover subire iniziative magari contrarie ai nostri interessi, in altre zone se ciò fosse deciso da chi avesse nelle mani le leve dell'Esercito europeo.

Il nostro bilancio militare assorbe un terzo dell'intero bilancio dello Stato e il denaro corrispondente a questo terzo viene immesso in circolazione in Italia; la messa a disposizione di una somma così cospicua del bilancio internazionale per l'Esercito europeo senza che se ne possa controllare la destinazione ultima, mentre perdurano le note limitazioni ai movimenti della mano d'opera, ecc. ecc., può avere ripercussioni di ovvia portata sull'economia nazionale. Infine in politica interna pensa ad eventualità sul tipo di impiego di forze armate per ordine pubblico e pensa sinanco a più complesse eventualità quando le forze armate non dipendessero più dai singoli Governi dei paesi nei quali sono stanziate, ma da una autorità che è al di sopra dei Governi stessi.

La conclusione è che la creazione di un Esercito europeo, secondo la ricetta estrema, dovrebbe seguire e non precedere la Confederazione europea.

Ora quello che ci occorrerebbe sapere, con la maggiore approssimazione possibile, per l'esame suaccennato da parte del Governo, è sino a qual punto il Governo americano sia sincero e faccia fronte unico (Dipartimento, Pentagono, e S.H.A.P.E.) nello spingere a fondo una soluzione così drastica: qualche dubbio al riguardo è espresso da Malagodi nel suo rapporto qui allegato1 nel quale si prospetta l'eventualità per noi certo migliore e senz'altro accettabile che si addivenga alla fine ad una forza integrata sul tipo dell'attuale forza atlantica.

595 1 Non rinvenuto.

595 2 T. segreto 9164/311 del 22 luglio da Parigi, non pubblicato.

596

IL MINISTRO A BELGRADO, MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. RISERVATISSIMO 2039. Bled, 25 luglio 1951 (perv. il 27).

A seguito del trasferimento ufficiale a Bled del ministro degli esteri e del Corpo diplomatico, avevo chiesto di fare una visita di cortesia al signor Kardelj. Mi proponevo, in tale occasione, di esaminare con lui i rapporti tra i due paesi, sui quali Mates precedentemente mi aveva espresso il suo pessimismo.

Sennonché immediatamente dopo la mia richiesta è intervenuto il discorso del maresciallo Tito a Titograd1 e la esasperata ed esasperante campagna di stampa contro il preteso «irredentismo italiano» che ha notevolmente mutato il clima nel quale contavo di avere la conversazione con Kardelj.

Questa circostanza non ha però ritardato la mia visita al ministro degli esteri che è avvenuta sabato 21 corrente.

Contrariamente al tono della stampa jugoslava la conversazione di Kardelj è stata pacata. Egli non ha nemmeno creduto opportuno di ripetermi i motivi e gli argomenti largamente e drammaticamente sviluppati in questi giornali contro il risorgente «imperialismo italiano». Dopo la mia conversazione con Vejvoda del 13 corrente (vedi mio telespresso n. 2025/879 del 16 corr.)2 egli sapeva già quale sarebbe stata la mia risposta.

Kardelj ha preferito invece, dopo poche battute, abbordare il tema del T.L.T. per dirmi che sarebbe necessario risolverlo attraverso un accordo fra i due paesi.

Ho osservato che tale è anche il desiderio del Governo italiano come risulta dal-l'ultimo discorso del presidente del Consiglio italiano3, anche se il relativo passo di tale discorso è stato pressoché negletto dalla stampa jugoslava. Kardelj mi ha risposto che la relativa dichiarazione del presidente De Gasperi è stata apprezzata dal Governo jugoslavo. Ma che l'espressione di tale desiderio sarebbe in contrasto con la tesi italiana di risolvere il problema sulla base della Dichiarazione tripartita4, che per la sua portata non può essere considerata dagli jugoslavi che come un diktat, che non offriva possibilità di discussione.

Ho osservato che la possibilità di discussione era stata offerta da V.E. quando accennò ad una soluzione in base alla linea etnica, ma che da parte jugoslava non si era fatto alcun passo avanti, rispetto alla tesi della spartizione del T.L.T. espostami da Mates nel marzo del 19505 e sostanzialmente ripetutami dallo stesso Mates lo scorso anno a Bled.

Kardelj mi ha allora ripetuto la inaccettabilità da parte jugoslava della tesi della linea etnica, e mi ha ancora ribadito le note tesi jugoslave sul diritto alla Istria, cui ho naturalmente controbattuto le tesi italiane.

Kardelj dopo aver detto che nessuna delle parti riuscirà mai a convincersi delle tesi dell'altra, ha concluso che una soluzione non può basarsi che sulla realtà attuale e che, se si tiene conto dell'opinione e delle aspirazioni dei due popoli non può che essere di sacrificio per entrambi. Da parte jugoslava sarebbe già un sacrificio, non confortato da questa opinione pubblica, la rinuncia a Trieste, per la cui indipendenza è invece viva una forte corrente jugoslava.

Da parte mia ho insistito sulla circostanza che una soluzione che tenga conto della etnicità dei territori non può essere, per la sua equità, che bene accetta dalla grande maggioranza dei rispettivi popoli.

Kardelj mi ha parlato dei movimenti irredentistici italiani, che parlano persino di Dalmazia, che se non sono pericolosi oggi potrebbero esserlo domani. Aveva quasi l'aria di dirmi che una soluzione della questione del T.L.T. sarebbe vana se poi da parte italiana si riaccendessero moti per ulteriori rivendicazioni.

Ho cercato di porre in giusta luce i termini e l'ampiezza di tale «irredentismo» cui, per una buona parte, si dà più importanza in Jugoslavia che in Italia.

Alla fine della conversazione Kardelj ha concluso ancora insistendo sulla opportunità che la questione del T.L.T. venga esaminata tenendo conto della realtà di fatto.

Indi, scusandosi di non poter continuare il colloquio per precedente impegno, mi ha pregato di riprenderlo la prossima settimana. Potremo parlare, mi ha aggiunto, di altri argomenti che interessino i due paesi. Ho avuto tuttavia l'impressione che egli non volesse lasciar cadere l'argomento del T.L.T.

Ma, purtroppo, è pure mia impressione che da parte jugoslava non si vogliano fare passi avanti e che si tenti piuttosto a convincerci su quella realtà di fatto che, malauguratamente, non ci è favorevole.

596 1 Vedi D. 556, nota 2. 2 Vedi D. 558. 3 Discorso al Senato dell'11 luglio, vedi D. 556, nota 3. 4 Vedi serie decima, vol. VII, DD. 468 e 469. 5 Vedi D. 282, nota 2.

597

IL CAPO DELLA RAPPRESENTANZA DIPLOMATICA IN GIAPPONE, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, SFORZA

R. 1328/805. Tokyo, 25 luglio 1951 (perv. il 2 agosto).

Ho già avuto occasione di segnalare a V.E. quale suo utile elemento di valutazione della situazione di fatto dei rapporti italo-giapponesi, la cortese e direi quasi cordiale accoglienza che le autorità giapponesi hanno voluto, nei limiti delle loro contingenti possibilità, in genere riservarmi, in quanto nuovo rappresentante diplomatico italiano a Tokyo.

Importante ancora per pochi mesi la «diarchia» S.C.A.P.-Governo giapponese

— cioè in una fluida situazione di transizione e di imprecisione circa l'effettiva divisione dei poteri, situazione nella quale il carattere stesso estremorientale è portato alla massima prudenza — queste stesse autorità non hanno voluto scartare infatti alcuna occasione, sia di loro iniziativa, che raccogliendo qualche mio amichevole gesto di cortesia, per cercare di manifestarmi il loro interesse e la loro simpatia per il nostro paese. Debbo anche aggiungere che non una volta, nel corso di vari contatti avuti con personalità della politica, della cultura o del giornalismo mi si è mai, a tutt'oggi, presentata la circostanza di un qualsiasi segno, da parte giapponese, di incomprensione nei confronti italiani, sopratutto in relazione agli eventi abbastanza recenti della seconda guerra mondiale. Ho trovato invece tutti quelli con cui questi argomenti — reciprocamente scabrosi — sono stati per caso toccati, particolarmente comprensivi e perfino intellettualmente curiosi di approfondire il nostro punto di vista e le nostre esperienze italiane; e ciò su di un piede di pacata serietà storica. Queste stesse personalità si sono anche spesso manifestate desiderose anzi di farmi comprendere che, per loro, il recente passato, con le dolorose esperienze pazientemente sopportate dai nostri due laboriosi popoli, dovevano essere, tra noi, un motivo ulteriore di solidarietà spirituale e di futura pacifica collaborazione.

Al tempo stesso debbo anche aggiungere che se l'armistizio sulla «Missouri» ha annullato — almeno nelle apparenze che ho potuto qui cogliere — qualsiasi recriminazione circa il nostro «8 settembre», e che se il rovesciamento dei valori internazionali intervenuto nella mente giapponese dopo la schiacciante sconfitta ed i sei anni di illuminata ma pesante occupazione americana non ha profondamente qui inciso sulla nostra posizione morale o di prestigio, non ho invece quasi mai trovato nei miei interlocutori nipponici (forse, con me italiano, più franchi del consueto) nessuna particolare manifestazione di guilty conscience per i precedenti del loro recente bellicoso passato. Questo è da loro considerato in genere — nei rari casi che rompano al riguardo il loro dignitoso silenzio — un grosso e doloroso errore di valutazione e di metodi delle passate classi dirigenti, da cui si può soltanto tirare ora stoicamente delle conseguenze pratiche e realistiche per le future finalità politiche del popolo giapponese.

La prossima pace di riabilitazione contribuirà — è logico il pensarlo — a rafforzare questo convincimento e di conseguenza, a mio avviso, faciliterà un ulteriore rapido superamento degli ultimi residui di inferiority complex lasciati dalla sconfitta.

Comunque, e desidero sottolinearlo a V.E., il progressivo rinfrancarsi dell'atteggiamento nipponico — facilmente osservabile ora anche nei formali rapporti con le autorità occupanti e con i circoli diplomatici stranieri — non mi sembra affatto voler sfociare, almeno in un prossimo futuro, in retoriche quanto inutili recriminazioni nazionalistiche. Il nazionalismo nipponico che tradizionalmente si articola in fondo in tutti i principali partiti, ad esclusione dell'estrema sinistra, e nei vari strati sociali, dimostra ora una nuova maturità dopo le brucianti lezioni del recente passato, e punta senza pesanti preconcetti verso quelle realizzazioni pratiche, ammesse o possibili, nella nuova situazione internazionale della quale si dimostra qui di avere piena e serena consapevolezza.

Tuttavia, dopo soli quaranta giorni di soggiorno in Giappone, sarebbe per me veramente imprudente di fare il punto a V.E. sui segreti pensieri del popolo nipponico

o su i più reconditi fini della politica giapponese, proprio ora agli albori della sua rinascente indipendenza; penso però mio dovere segnalarle qualche generica, ma fondata impressione d'insieme e sopratutto quelle manifestazioni di particolare simpatia e comprensione per il nostro paese, a cui ho potuto essere partecipe fin da queste prime settimane, affinché V.E. possa — a tutti i fini — valutare almeno il formale atteggiamento giapponese nei nostri riguardi.

In relazione a questa premessa, ho l'onore di informare V.E. che la Società degli amici dell'Italia — sulla quale ho già riferito con il mio telespresso n. 1104/662 del 28 giugno u.s.1 — ha voluto tenere il 21 c.m., per iniziativa del suo presidente, S.E. il prof. Tanaka e nella residenza ufficiale di lui, una riunione espressamente definita di benvenuto per il sottoscritto. Sul conto di S.E. Tanaka, presidente della Corte Suprema, sulla sua personalità e sulla posizione da lui tenuta nell'ambiente dirigente giapponese, ho avuto occasione di riferire varie volte in precedenza. Mi basti ricordare i suoi intimi legami col primo ministro Yoshida.

Per l'occasione i membri dell'Associazione sono intervenuti numerosissimi: fra essi, oltre a molte personalità del mondo culturale (tra i quali il presidente del giornale Asahi, il segretario generale dell'Accademia delle scienze ecc.), ricorderò solo il direttore generale degli affari culturali e della stampa del Gaimusho e parecchi altri funzionari diplomatico-consolari.

Onoromi allegare il testo dei brevi discorsi scambiati in tale occasione, che segnava anche il primo compleanno della nuova organizzazione: le parole del prof. Tanaka non si limitano a semplici considerazioni culturali ma includono interessanti accenni di natura politica, singolarmente confortano le considerazioni di carattere generale e psicologico da me svolte più sopra. La mia risposta, oltre ai miei ringraziamenti personali — veramente sentiti — per le accoglienze rivoltemi, e per la presidenza onoraria offertami, riprende in certo modo gli accenni predetti nell'ambito di quelli che non possono non essere, a mio personale avviso, i criteri generali cui si debbono inspirare le relazioni italo-giapponesi.

Il pomeriggio è proseguito con un trattenimento di musica e canto italiani. Spero V.E. non stimerà esclusivamente mondana questa cronaca, non tanto perché la politica pura — come l'uomo che viva di solo pane — non è facile da rinvenire, quanto perché, ripeto, episodi siffatti rivelano uno stato d'animo di cui non è inutile prendere atto.

597 1 Non pubblicato.

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APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (1° novembre 1950 – 25 luglio 1951)

MINISTRO SEGRETARIO DI STATO SFORZA Carlo, senatore della Repubblica.

SOTTOSEGRETARI BRUSASCA Giuseppe, deputato al Parlamento, fino al 19 luglio 1951. DOMINEDÒ Francesco Maria, deputato al Parlamento.

GABINETTO DEL MINISTRO

Coordinamento generale, Affari confidenziali, Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro, Rapporti con la Casa del presidente della Repubblica, con la Presidenza del Consiglio, Relazioni del ministro con il Parlamento e con il Corpo diplomatico, Udienze, Tribuna diplomatica.

Capo del Gabinetto: MONDELLO Mario, console di 2ª classe.

Vice capo del Gabinetto: ORLANDI CONTUCCI Corrado, console di 2ª classe, fino al 22 luglio 1951.

Ufficio del Gabinetto: BARACCHI TUA Lorenzo, addetto consolare, fino al 5 giugno 1951; LO RUSSO ATTOMA Nicola, addetto stampa di 3ª classe.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL MINISTRO Capo della Segreteria particolare: CALEF prof. Vittorio. Segretario particolare: BACCHETTI Fausto, vice console di 2ª classe, fino al 19 gen

naio 1951.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO BRUSASCA

Capo della Segreteria particolare: THIENE (DI) Gian Giacomo, console di 2ª classe.

Segretario: BOCCA prof. Giuseppe.

SEGRETERIA PARTICOLARE DEL SOTTOSEGRETARIO DOMINEDÒ

Capo della Segreteria particolare: MOLAJONI Paolo, console di 3ª classe.

Segretari: PETRIGNANI Rinaldo, addetto consolare, fino al 25 aprile 1951; GIORDANO dott. Ernesto.

SEGRETERIA GENERALE

Segretario generale: ZOPPI Vittorio, ambasciatore.

UFFICIO COORDINAMENTO

Capo ufficio: MACCHI DI CELLERE Francesco, consigliere di legazione.

Segretari: COSTA SANSEVERINO Edoardo, PASQUINELLI Cesare, consoli di 2ª classe; RICCIULLI Pasquale, console di 3ª classe, fino al 28 febbraio 1951; PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Pio Saverio, addetto consolare, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO COLONIE E CONFINI

Capo ufficio: MACCHI DI CELLERE Francesco, consigliere di legazione.

Segretari: TALLARIGO DI ZAGARISE E SERSALE Paolo, console di 2ª classe (dal 29 dicembre 1950 primo segretario di legazione di 2ª classe), fino al 31 maggio 1951; PIZZUTI Federico, vice console di 2ª classe.

UFFICIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Capo ufficio: PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale all'Università di Roma.

Segretari: DE ROSSI Michele Gaetano, console di 3ª classe; RAFFAELLI Pietro, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO STAMPA ESTERA

Capo ufficio: FARACE Alessandro, console di 2ª classe, reggente, fino al 7 marzo 1951; PERRONE CAPANO Carlo, console di 2ª classe, dal 6 marzo 1951.

Segretari: RICCARDI Roberto, console di 3ª classe; SAVORGNAN Emilio, vice console di 2ª classe, fino al 5 aprile 1951; BARZINI Ugo, addetto consolare, dal 23 novembre 1950; ROSSI ARNAUD Carlo Maria, addetto consolare, dal 1° marzo 1951; ARDEMAGNI Mirko, addetto stampa di 1ª classe.

UFFICIO STUDI E DOCUMENTAZIONE ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo ufficio: SCARPA Gino, console generale di 1ª classe.

Consulente storico: TOSCANO Mario, professore ordinario di Storia dei trattati e poli tica internazionale all'Università di Cagliari.

Incaricato della direzione dell'Archivio storico: MOSCATI prof. Ruggero.

SERVIZIO ORGANIZZAZIONE ATLANTICA1

Capo servizio: VENTURINI Antonio, consigliere di legazione, dal 1° marzo 1951.

Segretari: BETTELONI Giovanni Lorenzo, primo segretario di legazione di 2ª classe, dal 31 marzo 1951; TONCI OTTIERI DELLA CIAJA Francesco, console di 3ª classe.

UFFICIO AUTONOMO DEL CONSIGLIO D'EUROPA2

Capo ufficio: N.N.

SERVIZIO ECONOMICO TRATTATO

Capo del servizio: CARUSO Casto, ministro plenipotenziario di 2ª classe; SCADUTO MENDOLA Gioacchino, ministro plenipotenziario di 1ª classe, dal 12 feb braio 1951.

1 Istituito con o.d.s. n. 3 del 14 febbraio 1951 alle dirette dipendenze del ministro. 2 Istituito con o.d.s. n. 4 del 14 febbraio 1951 alle dirette dipendenze del ministro.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: SCAGLIONE Roberto, consigliere di legazione; WINSPEARE GUICCIARDI Vittorio, console di 2ª classe; ROSSETTI Romano, vice console di 1ª classe, fino al 2 maggio 1951; BASSI Emilio Paolo, volontario, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO I

Capo ufficio: WINSPEARE GUICCIARDI Vittorio, console di 2ª classe.

Segretari: PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Pio Saverio, addetto consolare; SARACENO Salvatore, volontario, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO II

Capo ufficio: ALOISI DE LARDEREL ALLUMIERE Folco, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretario: BASSI Emilio Paolo, volontario.

UFFICIO DELL'AGENTE GENERALE PER LE COMMISSIONI DI CONCILIAZIONE (art. 83 del Trattato di pace)

Agente generale del Governo italiano: CANCELLARIO D'ALENA Francesco, console generale di 1ª classe.

Segretario: MACCHI DI CELLERE Pio, consigliere di legazione, dal 15 maggio 1951.

CERIMONIALE3 CERIMONIALE DIPLOMATICO DELLA REPUBBLICA

Capo del Cerimoniale: SCOLA CAMERINI Giovanni, consigliere di legazione; SCAMMACCA DEL MURGO E DI AGNONE Michele, ambasciatore, dal 24 marzo 1951.

Vice capo del Cerimoniale: ANTINORI DI CASTEL S. PIETRO Orazio, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 15 gennaio 1951.

3 Con L. 8 luglio 1950, n. 572 sono istituite le cariche di Capo e Vice capo del Cerimoniale diplomatico della Repubblica. Con o.d.s. n. 1 del 20 gennaio 1951 il Cerimoniale del Ministero degli affari esteri costituisce un servizio ripartito in tre Uffici.

SERVIZIO DEL CERIMONIALE

Capo del Servizio: N.N.

Vice capo del Servizio: N.N.

UFFICIO I

Concessione del gradimento presidenziale ai capi missione stranieri, Introduzione di rappresentanti diplomatici e di personalità estere presso il capo dello Stato e il ministro degli esteri, Lettere credenziali, Cerimonie ufficiali in onore di capi di Stato esteri, di rappresentanze diplomatiche, di delegazioni e personalità estere, Visite e passaggi di capi di Stato e autorità estere ed inerente ospitalità, Feste nazionali estere, Messaggi ufficiali, Viaggi del capo dello Stato all'estero, Collegamento con la Presidenza della Repubblica e con le altre Amministrazioni per le questioni inerenti al Cerimoniale diplomatico della Repubblica, Lettere credenziali, di Gabinetto, e patenti dei rappresentanti diplomatici e consolari all'estero o delle Ambascerie straordinarie, Onorificenze.

Capo ufficio: ANTINORI DI CASTEL S. PIETRO Orazio, primo segretario di legazione di 1ª classe.

UFFICIO II

Norme di Cerimoniale, Codificazione e aggiornamento, Questioni giuridiche e di contenzioso, Reciprocità, Trattamento dei diplomatici esteri e dei membri delle Organizzazioni speciali, Franchigie doganali, Privilegi e immunità diplomatiche, Agevolazioni fiscali, Questioni valutarie e questioni di carattere generale.

Capo ufficio: CIMINO Carlo, console di 1ª classe.

UFFICIO III

Rappresentanze diplomatiche e consolari estere in Italia, Elenchi del Corpo diplomatico e consolare straniero, delle Organizzazioni internazionali e delle Missioni estere speciali in Italia, Exequatur, Passaporti diplomatici e di servizio esteri, Visti sui passaporti diplomatici e di servizio esteri, Carte di identità per il Corpo diplomatico e consolare estero e per i membri delle Organizzazioni internazionali e delle Missioni speciali estere in Italia.

Capo ufficio: AMBROSI Giovanni Battista, console di 1ª classe.

SERVIZIO AFFARI GENERALI

Capo servizio: CAROSI Mario, console generale di 1ª classe; SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, ministro plenipotenziario di 2ª classe, dal 18 dicembre 1950.

Alle dirette dipendenze del Capo servizio: MEZZALAMA Francesco, volontario, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO I

Trattati e Atti

Capo ufficio: MONACO prof. Riccardo, consigliere di Stato.

Segretario: ROCCHI Giovanni Stefano, console di 2ª classe.

UFFICIO II

Organizzazioni internazionali

Capo ufficio: N.N.

Segretario: MEZZALAMA Francesco, volontario.

REPARTO VISTI INGRESSO A STRANIERI

Capo reparto: GALLINA Vitale, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: PARENTI Francesco, console di 1ª classe; UNGARELLI Giacomo, console di 3ª classe; MARINUCCI DE REGUARDATI Fausto, volontario, dal 18 febbraio 1951.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI4

Direttore generale: GUIDOTTI Gastone, ministro plenipotenziario di 2ª classe; JANNELLI Pasquale, ministro plenipotenziario di 1ª classe, dal 22 marzo 1951.

Vice direttori generali: SOARDI DI S. ANTONINO Carlo Andrea, ministro plenipotenziario di 2ª classe, fino al 17 dicembre 1950; SILJ DI S. ANDREA D'USSITA Francesco, consigliere di legazione.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: VALDETTARO DELLA ROCCHETTA Luigi, console di 3ª classe; MAGLIANO Mario, addetto consolare.

4 La struttura e le competenze della Direzione generale, già modificate con O.d.s. n. 15 del 14 maggio 1951, furono definitivamente stabilite con O.d.s. n. 20 del 12 giugno 1951.

UFFICIO I

Stati Uniti d'America, Gran Bretagna, Canada, Irlanda, Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria, Svezia, Norvegia, Danimarca, Groenlandia, Islanda, Cipro, Malta, Gibilterra, San Marino, Andorra, Principato di Monaco

Capo ufficio: ROBERTI Guerino, consigliere di legazione; GUASTONE BELCREDI Enrico, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 1° febbraio al 30 maggio 1951; GRILLO Remigio Danilo, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 1° giugno 1951.

Segretari: MANCA DI VILLAHERMOSA E SANTACROCE Enrico, console di 2ª classe, dal 23 dicembre 1950; SEBASTIANI Lucio, console di 2ª classe, dal 4 maggio 1951; CORRADINI Giancarlo, vice console di 2ª classe, dal 17 gennaio 1951; GNOLI Cesare, addetto consolare, fino al 15 marzo 1951.

UFFICIO II

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Finlandia

Capo ufficio: RICCIO Luigi, consigliere di legazione, fino al 12 maggio 1951; SOLARI Pietro, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 13 maggio 1951.

Segretari: GALLUPPI Enrico, DE CARDONA Roberto, consoli di 3ª classe; SPINOLA Luigi, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO III

Africa, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Israele, Arabia Saudita, Yemen, Aden e territori dipendenti

Capo ufficio: GRILLO Remigio Danilo, primo segretario di legazione di 1ª classe; TALLARIGO DI ZAGARISE E SERSALE Paolo, primo segretario di legazione di 2ª classe, dal 1° giugno 1951.

Segretari: ZAMPAGLIONE Gerardo, addetto consolare, fino al 7 marzo 1951; FAÀ DI BRUNO Franco, vice console di 2ª classe (dal 29 dicembre 1950 vice console di 1ª classe); SMERGANI Francesco, commissario tecnico per l'Oriente di 2ª classe; LA ROCCA Umberto, volontario, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO IV

Jugoslavia, Albania, Grecia, Turchia, Iran e questioni relative al confine orientale

Capo ufficio: LO FARO Francesco, primo segretario di legazione di 1ª classe (dal 29 dicembre 1950 consigliere di legazione), fino al 19 aprile 1951; GUASTONE BELCREDI Enrico, primo segretario di legazione di 1ª classe, dal 1° giugno 1951.

Segretari: NUTI Giampiero, console di 3ª classe, fino al 23 febbraio 1951; VITELLI Girolamo, console di 2ª classe, dal 3 novembre 1950; ORSINI BARONI Carlo Andrea, vice console di 1ª classe; CAVAGLIERI Alberto, vice console di 2ª classe.

UFFICIO V

Cina, Corea, Giappone, Thailandia, Filippine, Birmania, Malesia, India, Pakistan, Ceylon, Afghanistan, Indocina, Indonesia, Australia, Nuova Zelanda, Isole del Pacifico, Colonie britanniche, francesi, olandesi e portoghesi in Asia

Capo ufficio: N.N.

Segretari: SMOQUINA Giorgio, console di 2ª classe; BORIN Ottorino, vice console di 1ª classe, fino al 6 maggio 1951.

UFFICIO VI

America latina

Capo ufficio: CIPPICO Tristram Alvise, consigliere di legazione.

Segretario: CARRARA Enrico, vice console di 2ª classe, fino al 31 gennaio 1951.

UFFICIO VII

Santa Sede

Capo ufficio: SPALAZZI Giorgio, consigliere di legazione, dal 21 aprile 1951.

Segretario: N.N.

DELEGAZIONE ITALIANA PER L'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE PROFUGHI (I.R.O.)

Capo della delegazione: DEL DRAGO Marcello, ministro plenipotenziario di 2ª classe (dal 23 gennaio 1951 di 1ª classe).

UFFICIO DI COLLEGAMENTO CON L'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE PROFUGHI (I.R.O.)

Capo ufficio e vice capo della Delegazione italiana per l'I.R.O.: DE MALFATTI DI MONTE TRETTO Carlo, console generale di 2ª classe.

Segretario: CASALI Giuseppe, vice console di 1ª classe, fino al 19 gennaio 1951.

UFFICIO LIBIA

Capo ufficio: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI ECONOMICI

Direttore generale: GRAZZI Umberto, ambasciatore.

Direttore generale aggiunto: VENTURINI Antonio, consigliere di legazione, fino al 28 febbraio 1951; CORRIAS Angelino, consigliere di legazione, dal 19 maggio 1951.

Vice direttore generale: NOTARANGELI Tommaso, consigliere commerciale di 1ª classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: CORTESE Paolo, ministro plenipotenziario di 2ª classe; CANEVARO DI CASTELVARI E ZOAGLI Raffaele, console di 3ª classe; BILANCIONI Giulio, vice console di 2ª classe.

Aviazione, Convenzioni aeree, Turismo e relative convenzioni

DE VERA D'ARAGONA D'ALVITO Carlo Alberto, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

UFFICIO I

Questioni generali. Argentina, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Costarica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Eritrea, Etiopia, Libia, Nicaragua, Paraguay, Perù, San Marino, Santa Sede, Siam, Somalia, Stati Uniti, Uruguay, Venezuela

Capo ufficio: SERAFINI Giorgio, console di 2ª classe, fino al 23 aprile 1951; MALGERI Enzo, addetto commerciale di 2ª classe, dal 7 maggio 1951.

Segretari: ROSSI Mario Franco, console di 3ª classe, fino al 13 dicembre 1950; CRISTILLI Arturo, assistente addetto commerciale di 2ª classe.

UFFICIO II

Spagna, Portogallo, Francia, Benelux e relative colonie, Stati Scandinavi, Svizzera, Germania Occidentale, Tangeri

Capo ufficio: MAJOLI Mario, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: ARLOTTA Fabrizio, vice console di 1ª classe, dal 3 gennaio 1951; SERTOLI Mario, addetto stampa di 1ª classe.

UFFICIO III

U.R.S.S., Polonia, Cecoslovacchia, Austria, Bulgaria, Finlandia, Grecia, Albania, Jugoslavia, Romania, Ungheria, Turchia, Zona sovietica della Germania

Capo ufficio: MOSCATO Niccolò, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: CAPECE MINUTOLO DI BUGNANO Alessandro, console di 2ª classe; FAVRETTI Luciano, vice console di 1ª classe.

UFFICIO IV

Organizzazioni economiche internazionali, Questioni connesse con la guerra e con i trattati di pace (salvo la competenza del S.E.T.)

Capo ufficio: BARATTIERI DI SAN PIETRO Ludovico, primo segretario di legazione di 2ª classe (dal 29 dicembre 1950 di 1ª classe).

Segretari: GARDINI Walter, addetto consolare.

UFFICIO V

Area della sterlina (Regno Unito e Possedimenti, Australia, Birmania,

Ceylon, Eire, India, Iraq, Nuova Zelanda, Pakistan, Unione del Sud Africa), Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Iran, Israele, Libano, Siria, Thailandia, Yemen

Capo ufficio: PAVERI FONTANA DI FONTANA PRADOSA Alberto, primo segretario di legazione di 1ª classe.

Segretari: MURARI DALLA CORTE BRÀ Alessandro, console di 3ª classe, fino al 7 marzo 1951; PRUNAS Mario, volontario, dal 1° marzo 1951; TOTI LOMBARDOZZI Ernesto, assistente addetto commerciale di 1ª classe.

SERVIZIO COOPERAZIONE ECONOMICA EUROPEA

Delegato aggiunto e capo del servizio: MAGISTRATI Massimo, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Segretario generale: BOMBASSEI FRASCANI DE VETTOR Giorgio, primo segretario di legazione di 2ª classe, dal 14 novembre 1950.

Segretari: GIRETTI Luciano, BOLLA Luigi, vice consoli di 1ª classe; KOCH Luciano, addetto consolare, dal 5 aprile 1951.

DIREZIONE GENERALE DELL'EMIGRAZIONE

Direttore generale: GIUSTI DEL GIARDINO Justo, console generale di 2ª classe.

Vice direttore generale: PINNA CABONI Mario, primo segretario di legazione di 2ª classe; GUADAGNINI Piero, console di 1ª classe.

Personale alle dirette dipendenze del direttore generale: FONTANA Franco, console generale di 1ª classe, fino al 7 novembre 1950; SAVINA Paolo, ispettore per i servizi tecnici.

UFFICIO I

Emigrazione e collettività nei Paesi Bassi, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Francia, Monaco, Spagna, Portogallo, Israele, Siria, Libano, Iraq, Transgiordania, Arabia Saudita, Jemen, Stati e territori dell'Africa non di competenza dell'Uff. IV

Capo ufficio: REGARD Cesare, console di 2ª classe.

Segretario: N.N.

UFFICIO II

Emigrazione e collettività in tutta l'Europa non di competenza dell'Ufficio I, in Turchia e nelle regioni asiatiche dell'U.R.S.S.

Capo ufficio: N.N.

Segretari: RUFFO DI SCALETTA Francesco, volontario, dal 1° marzo 1951; DI MATTEI Alfredo, ispettore per i servizi tecnici, dal 15 novembre 1950.

UFFICIO III

Emigrazione e collettività nel Centro e Sud America

Capo ufficio: DE FERRARI Giovanni Paolo, console di 2ª classe.

Segretari: TUCCIMEI Tito, ispettore superiore per i servizi tecnici, fino al 31 maggio 1951; CUSANI Giovanni, ispettore per i servizi tecnici; SPINELLI Francesco, volontario, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO IV

Emigrazione e collettività negli Stati Uniti e Alaska, Regno Unito, Gibilterra,

Malta, Cipro, Aden, Possedimenti e zone d'amministrazione britannica in Africa, Unione Sudafricana, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Isole del Pacifico e Stati dell'Asia non di competenza di altri uffici

Capo ufficio: JEZZI Alberto, console di 3ª classe; CONTARINI Giuseppe, console di 2ª classe, dal 1° giugno 1951.

Segretari: ORSINI BARONI Carlo Andrea, vice console di 1ª classe; BELLINI Vincenzo, addetto consolare.

COMMISSIONE PER L'ESPATRIO NEGLI STATI UNITI D'AMERICA

Presidente: LANZETTA Umberto, console generale di 1ª classe, dal 1° luglio 1950.

Vice presidente: GULLI Vincenzo, console di 2ª classe, fino al 10 maggio 1951.

Membri: CORTESE Federico, PORTANOVA Ettore, ispettori per i servizi tecnici.

UFFICIO V

Collettività ed enti italiani all'estero

Capo ufficio: FONTANA Franco, console generale di 1ª classe, fino al 7 novembre 1950.

UFFICIO VI

Studi e documentazione, Pubblicazioni, Stampa

Capo ufficio: GIRETTI Luciano, vice console di 1ª classe, dal 15 gennaio 1951.

Segretario: TORNETTA Vincenzo, vice console di 2ª classe, fino all'8 febbraio 1951.

UFFICIO VII

Trasporto emigranti, Ispettorati e Delegazioni di zona per gli italiani all'estero

Capo ufficio: N.N.

Segretario: MAZZA Ferrante, ispettore superiore.

UFFICIO VIII

Ufficio tecnico per la colonizzazione

Capo ufficio: MAUGINI Armando, ispettore generale Servizi agrari del Ministero del-l'Africa Italiana.

UFFICIO IX

Questioni internazionali del lavoro

Capo ufficio: N.N.

Segretario: TORNETTA Vincenzo, vice console di 2ª classe, fino all'8 febbraio 1951.

UFFICIO X

Difesa dell'emigrante

Capo ufficio: ROBERTI Guido, maggiore dei CC.

SEZIONE AMMINISTRATIVA

TEDESCO Pietro Paolo, ispettore superiore per i servizi tecnici.

DIREZIONE GENERALE DELLE RELAZIONI CULTURALI

Direttore generale: MAMELI Francesco Giorgio, ambasciatore.

Vice direttore generale: BIONDELLI Giuseppe, ministro plenipotenziario di 2ª classe (dal 23 gennaio 1951 ministro plenipotenziario di 1ª classe).

Alle dirette dipendenze del direttore generale: SALLIER DE LA TOUR CORIO Paolo, ministro plenipotenziario di 2ª classe, fino all'11 dicembre 1950; NONIS Alberto, consigliere di legazione, dal 1° dicembre 1950; RIGHETTI Adriano, addetto consolare.

UFFICIO I

Affari generali, Accordi culturali, Congressi e mostre internazionali in Italia e all'estero, Libro italiano all'estero, Attività musicali, teatrali e cinematografiche all'estero, Attività all'estero di enti culturali italiani, Viaggi di studio, Turismo e radio, Bollettino di informazioni culturali, U.N.E.S.C.O.

Capo ufficio: DE NOVELLIS Gennaro, primo segretario di legazione di 2ª classe.

Segretari: VARALDA Maurilio Guglielmo, console di 3ª classe; ARLOTTA Fabrizio, vice console di 1ª classe, fino al 2 gennaio 1951; CORSI Fernando, ispettore superiore per i servizi tecnici.

UFFICIO II

Istituti di cultura, Lettorati, Istituti culturali stranieri in Italia, Scambi universitari e borse di studio, Riconoscimento dei titoli di studio e professionali conseguiti all'estero

Capo ufficio: MONTECCHI PALAZZI Romeo, console di 1ª classe.

Segretari: DURAZZO Francesco, vice console di 1ª classe; CURCIO Massimo, volontario diplomatico-consolare, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO III

Scuole secondarie ed elementari all'estero, Studi e consulenza legislativa scolastica, Materiale didattico, Biblioteche, Rapporti con la Fondazione figli degli italiani all'estero e collegi dipendenti

Capo ufficio: MALASPINA DI CARBONARA E DI VOLPEDO Folchetto, consigliere di legazione.

Segretario: CANNAVINA Paolo, vice console di 1ª classe.

SERVIZIO AFFARI PRIVATI

Capo servizio: LANZARA Giuseppe, console generale di 1ª classe.

Alle dirette dipendenze del capo servizio: SCHININÀ DI S. ELIA Emanuele, console generale di 2ª classe, fino al 7 novembre 1950.

UFFICIO I

Cittadinanza, Diritti di famiglia, Stato civile, Servizio militare

Capo ufficio: FORMICHELLA Giovanni, console di 1ª classe.

Segretario: GRANDINETTI Eugenio, ispettore generale per i servizi tecnici.

UFFICIO II

Tutela diritti ed interessi patrimoniali, Assistenza consolare, Spedalità e rimpatri, Ricerche e informazioni

Capo ufficio: GIURATO Giovanni, console di 1ª classe.

Segretario: NICHETTI Carlo, primo segretario di legazione di 2ª classe; GIGLI Americo, console di 3ª classe, fino al 24 novembre 1950.

UFFICIO III

Atti tra vivi, Successioni, Assistenza giudiziaria, Estradizione

Capo ufficio: ROSSET DESANDRÈ Antonio, consigliere di legazione; CAPECE GALEOTA DELLA REGINA Giuseppe, consigliere di legazione, dal 12 marzo 1951.

Segretario: MANCA Elio, ispettore superiore per i servizi tecnici.

SEZIONE SPECIALE

Danni di guerra, assicurazioni sociali, Pensioni

GUIDA Ugo, console di 1ª classe.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: COPPINI Maurilio, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Vice direttore generale: OTTAVIANI Luigi, ministro plenipotenziario di 2ª classe.

Alle dirette dipendenze del direttore generale: SORO Giovanni Vincenzo, console di 2ª classe (dal 29 dicembre 1950 primo segretario di legazione di 2ª classe); NISIO Girolamo, addetto consolare, fino al 29 aprile 1951.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri, Personale consolare di 2 categoria, Uffici diplomatici e consolari all'estero,

Questioni riferentisi all'ordinamento del Ministero e delle carriere di gruppo A, Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli e commissioni presso l'Amministrazione centrale, Addetti militari, navali ed aeronautici, Ruoli di anzianità del personale e pubblicazioni inerenti agli uffici all'estero e dell'Amministrazione Centrale, Tipografia riservata, Matricola del personale, Passaporti diplomatici, di servizio ed ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale, Tessere di riconoscimento

Capo ufficio: ARCHI Pio Antonio, primo segretario di legazione di 1ª classe (dal 29 dicembre 1950 consigliere di legazione).

Segretari: MACCOTTA Giuseppe Walter, TORTORICI Pietro Quirino, BORROMEO Giovanni Lodovico, consoli di 2ª classe; BUCCI Maurizio, addetto consolare; VALLAURI Francesco, volontario diplomatico-consolare, dal 1° marzo 1951.

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno e salariato delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri (escluso il personale delle scuole italiane all'estero), Concorsi, nomine ed ammissioni, Commissione di avanzamento e consigli del Ministero ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto, Personale di ogni gruppo, tranne il gruppo A, appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il Ministero degli affari esteri, Personale avventizio, Personale locale

Capo ufficio: ZAPPI Filippo, console generale di 1ª classe.

Segretari: ZUGARO Folco, console di 3ª classe; GIUFFRIDA Elio, addetto consolare, dal 1° dicembre 1950; RABBY Renato, vice segretario per i servizi tecnici, dal 25 giugno 1951.

UFFICIO III

Edifici demaniali, Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'Amministrazione centrale e degli uffici all'estero, Acquisto, vendita affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento

e arredamento, Assicurazioni, inventari e contratti, Locazione di immobili e locali per uso degli uffici, Consegnatario, Deposito e distribuzione marche consolari e passaporti

Capo ufficio: MONTESI Giuseppe, console generale di 1ª classe; FOSSATI Mario, ispettore capo per i servizi tecnici, dal 3 febbraio 1951.

Segretario: FOSSATI Mario, ispettore capo per i servizi tecnici, fino al 2 febbraio 1951.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi, Cassa

Capo ufficio: MONTUORI Pietro, console generale di 1ª classe.

Segretari: STEFENELLI Ferruccio, console di 1ª classe, fino al 27 dicembre 1950; BARBARISI Guglielmo, console di 2ª classe.

UFFICIO V5

Corrispondenza, Servizio corrieri diplomatici, Viaggi del personale

Capo ufficio: BARONE Giovanni, primo segretario di legazione di 2ª classe, dal 15 dicembre 1950.

Segretario: GIUFFRIDA Elio, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO VI

Cifra e crittografico

Capo ufficio: GUGLIELMINETTI Giuseppe, consigliere di legazione (dal 23 gennaio 1951 ministro plenipotenziario di 2ª classe).

Segretari: BERNI CANANI Ugo, console di 2ª classe, fino al 2 giugno 1951; LO JUCCO Giacomo, console di 2ª classe; DONDINI Ettore, addetto consolare, fino al 25 giu gno 1951; SALLIER DE LA TOUR Carlo, ispettore capo per i servizi tecnici; VACCHELLI Alessandro, ispettore capo per i servizi tecnici, dal 7 luglio 1951; CORDERO DI MONTEZEMOLO Giulio, vice ispettore per i servizi tecnici; POLLICI Dante, commissario tecnico per l'Oriente di 4ª classe, dal 22 gennaio 1951.

5 Con O.d.s. n. 12 del 1° marzo 1951 l'Ufficio venne diviso come segue: Ufficio V (Viaggi, corrieri di Gabinetto, accettazione e spedizione corrispondenza), capo ufficio Giovanni BARONE; Ufficio V bis (Archivio, assegnazione e distribuzione corrispondenza), capo ufficio Vincenzo TASCO, console generale di 2ª classe.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DELLA REPUBBLICA ITALIANA ALL'ESTERO (1° novembre 1950 – 25 luglio 1951)

AFGHANISTAN

Kabul – FONTANA Franco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall'8 no vembre 1950.

ALBANIA

Tirana – PAOLINI Remo, primo segretario, fino al 30 maggio 1951; GULLI Vincenzo, secondo segretario, dal 10 maggio 1951.

ARABIA SAUDITA

Gedda – TURCATO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CROVETTO Pier Lorenzo, primo segretario.

ARGENTINA

Buenos Aires – ARPESANI Giustino, ambasciatore; CASARDI Alberico, consigliere; MARIENI Alessandro, primo segretario; DE BENEDICTIS Vincenzo, secondo segretario.

AUSTRALIA

Canberra – DEL BALZO DI PRESENZANO Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CIRAOLO Giorgio, primo segretario.

AUSTRIA

Vienna – COSMELLI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PROFILI Giacomo, primo segretario; SEBASTIANI Lucio, secondo segretario, fino al 1° maggio 1951; COTTAFAVI Luigi, terzo segretario.

BELGIO

Bruxelles – DIANA Pasquale, ambasciatore; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, consigliere; MESSERI Girolamo, primo segretario; MASSIMO LANCELLOTTI Paolo Enrico, secondo segretario.

BOLIVIA

La Paz – GIARDINI Renato, consigliere, incaricato d'affari ad interim, dal 23 gennaio 1951 ministro plenipotenziario.

BRASILE

Rio de Janeiro – MARTINI Mario Augusto, ambasciatore; SILVESTRELLI Luigi, consigliere, fino a maggio 1951; PESCATORI Federico, consigliere, dal 16 maggio 1951; DE LUIGI Pier Giuliano, primo segretario, dal 2 dicembre 1950; NARDI Mario, secondo segretario.

BULGARIA

Sofia – GUARNASCHELLI Giovan Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MACCAFERRI Franco, primo segretario; FUMAROLA DI PORTOSELVAGGIO Angelo Antonio, secondo segretario.

CANADA

Ottawa – DI STEFANO Mario, ambasciatore; DALLA ROSA PRATI Rolando, consigliere; CANCELLARIO D'ALENA Franco, secondo segretario, dal 9 marzo 1951.

CECOSLOVACCHIA

Praga – VANNI D'ARCHIRAFI Francesco Paolo, inviato straordinario e ministro pleni potenziario; MARCHIORI Carlo, primo segretario, fino a febbraio 1951; MATACOTTA Dante, primo segretario, dal 12 marzo 1951.

CEYLON

Colombo – N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

CILE

Santiago – BERIO Alberto, ambasciatore; MACCHI DI CELLERE Pio, consigliere; PLAJA Eugenio, primo segretario.

CINA

Nanchino – STRIGARI Vittorio, primo segretario, incaricato d'affari; MIZZAN Ezio, primo segretario.

COLOMBIA

Bogotà – FECIA DI COSSATO Carlo, ambasciatore, dal 7 aprile 1951; BASSO AMOLAT Maurizio, primo segretario, dal 14 gennaio 1951.

COSTA RICA

San José – SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario1;RICCIO Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 maggio 1951.

CUBA

L'Avana – FECIA DI COSSATO Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario,

fino al 29 marzo 1951; MASCIA Luciano, ambasciatore, dal 1° aprile 1951; SANFE

LICE DI MONTEFORTE Antonio, primo segretario.

DANIMARCA

Copenaghen – CONTI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARESCA Adolfo, primo segretario.

DOMINICANA (Repubblica)

Ciudad Trujillo – ROSSI LONGHI Gastone, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

1 Residente a Guatemala.

ECUADOR

Quito – MOSCATI Riccardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

EGITTO2

Il Cairo – PRUNAS Renato, ambasciatore, dall'11 novembre 1950; FERRERO Andrea, consigliere; FRAGNITO Giorgio, primo segretario; GUILLET Amedeo, secondo segretario.

EL SALVADOR

San Salvador – SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario3; BIANCONI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 9 maggio 1951.

FILIPPINE

Manila – TELESIO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

FINLANDIA

Helsinki – RONCALLI DI MONTORIO Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 27 febbraio 1951; VITA FINZI Paolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 marzo 1951; CONTARINI Giuseppe, primo segretario, fino a maggio 1951.

FRANCIA

Parigi – QUARONI Pietro, ambasciatore; GIUSTINIANI Raimondo, consigliere, fino a gennaio 1951; TASSONI ESTENSE Alessandro, primo segretario (dal 1° dicembre 1950 consigliere); DE CLEMENTI Alberto, primo segretario; MARCHIORI Carlo, primo segretario, dal 1° marzo 1951; POMPEI Gianfranco, secondo segretario; FALCHI Silvio, terzo segretario; CAGIATI Andrea, quarto segretario.

2 La legazione a Il Cairo fu elevata ad ambasciata con D.P.R. 17 gennaio 1950, n. 128, ma la decorrenza del provvedimento venne fissata all'11 novembre 1950 (D.P.R. 1170/1950).

3 Residente a Guatemala.

GERMANIA (Repubblica federale di)4

Bonn – BABUSCIO RIZZO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, capo della missione diplomatica presso l'Alta Commissione alleata, dal 4 aprile 1951 ambasciatore; ALVERÀ Pier Luigi, primo segretario; FAVALE Marco, secondo segretario.

GIAPPONE5

Tokyo – REVEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, primo segretario con patenti di console generale, capo della missione diplomatica italiana presso il comando alleato del Pacifico, fino al 15 giugno 1951; LANZA D'AJETA Blasco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, capo della missione diplomatica italiana presso il comando alleato del Pacifico, dal 15 giugno 1951; RUBINO Eugenio, console di 2ª classe.

GIORDANIA

Amman – LA TERZA Pierluigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FARINACCI Franco, primo segretario.

GRAN BRETAGNA

Londra – GALLARATI SCOTTI Tommaso, ambasciatore; THEODOLI Livio, consigliere; TOSCANI MILLO Antonio, MILESI FERRETTI Gian Luigi, primi segretari; FARACE Alessandro, primo segretario, dall'8 marzo 1951; PASCUCCI RIGHI Giulio, secondo segretario; CORNAGGIA MEDICI CASTIGLIONI Gherardo, terzo segretario (dal 1° luglio 1951 secondo segretario); AILLAUD Enrico, quarto segretario; CARDUCCI Artenisio, quinto segretario (dal 20 gennaio 1951 quarto segretario, dal 1° giugno 1951 terzo segretario); BACCHETTI Fausto, quinto segretario (dal 1° luglio 1951 terzo segretario), dal 20 gennaio 1951.

GRECIA

Atene – ALESSANDRINI Adolfo, ambasciatore; LANZA Michele, consigliere; VOLPE Arrigo, primo segretario.

4 Con D.P.R. 20 luglio 1951, n. 1179 viene soppressa la legazione a Bonn e istituita un'amba

sciata nella stessa sede. 5 Con D.P.R. 4 aprile 1951, n. 369 viene soppresso il consolato generale a Tokio e istituita

nella stessa sede una rappresentanza diplomatica.

GUATEMALA

Guatemala – SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario6; BASSO AMOLAT Maurizio, primo segretario, fino all'11 gennaio 1951.

HAITI Porto Principe – BARBARICH Alberto, primo segretario, incaricato d'affari, fino al 29 marzo 1951; GUERRINI MARALDI Agostino, inviato straordinario e ministro pleni potenziario, dal 20 maggio 1951.

HONDURAS Tegucigalpa – SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario7; MOMBELLI Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 22 maggio 1951.

INDIA New Delhi – PRINA RICOTTI Sidney, ambasciatore; BRUGNOLI Alberto, consigliere.

INDOCINA Saigon – N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

INDONESIA Djakarta – N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

IRAN Teheran – CERULLI Enrico, ambasciatore; MONTANARI Franco, consigliere.

IRAQ Baghdad – ERRERA Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 7 maggio 1951; GIGLI Americo, primo segretario, dal 25 novembre 1950.

6 Accreditato anche presso le Repubbliche di Costarica, El Salvador, Honduras e Nicaragua. 7 Residente a Guatemala.

IRLANDA

Dublino – BORGA Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE GIOVANNI Luigi, primo segretario.

ISRAELE

Tel Aviv – ANZILOTTI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIUSTINIANI Raimondo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 gennaio 1951; GASPARINI Carlo, primo segretario; MASOTTI Pier Marcello, secondo segretario.

JUGOSLAVIA

Belgrado – MARTINO Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PIERANTONI Aldo, primo segretario; SABETTA Luigi, secondo segretario; CASILLI D'ARAGONA Massimo, terzo segretario.

LIBANO

Beirut – CASTELLANI PASTORIS Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VINCI Piero, primo segretario.

LUSSEMBURGO

Lussemburgo – RAINALDI Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Città del Messico – PETRUCCI Luigi, ambasciatore; D'ACUNZO Benedetto, consigliere; NUTI Gian Piero, secondo segretario, dal 24 febbraio 1951.

NICARAGUA

Managua – SECCO SUARDO Dino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario8; SILVESTRELLI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 20 mag gio 1951.

8 Residente a Guatemala.

NORVEGIA

Oslo – RULLI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LUCIOLLI Giovanni, primo segretario.

NUOVA ZELANDA

Wellington – DE REGE THESAURO Giuseppe, incaricato d'affari ad interim.

PAESI BASSI

L'Aja – CARISSIMO Agostino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 20 marzo 1951; CARUSO Casto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 30 aprile 1951; ANTINORI Orazio, primo segretario, fino al 12 dicembre 1950; MURARI DELLA CORTE BRÀ Alessandro, primo segretario, dall'8 marzo 1951.

PAKISTAN

Karachi – ASSETTATI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino all'11 luglio 1951; ROMANELLI Renzo Luigi, primo segretario.

PANAMA

Panama – MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino a marzo 1951; ROSSET DESANDRÉ Antonio, inviato straordinario e ministro pleni potenziario, dal 6 aprile 1951.

PARAGUAY

Assunzione – ROTINI Ambrogio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERÙ

Lima – BOMBIERI Enrico, ambasciatore; BARBARICH Alberto, consigliere, dall'11 a prile 1951; SPALAZZI Giorgio, primo segretario, fino a marzo 1951.

POLONIA

Varsavia – DE ASTIS Giovanni, ambasciatore; GABRICI Tristano, consigliere, fino al 31 marzo 1951; VARVESI Nicola, secondo segretario.

PORTOGALLO

Lisbona – DE PAOLIS Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLIA Franco, primo segretario.

ROMANIA

Bucarest – SCAMMACCA Michele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino a dicembre 1950; CALISSE Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 14 marzo 1951; PURI PURINI Giuseppe, primo segretario.

SANTA SEDE

Roma – MELI LUPI DI SORAGNA Antonio, ambasciatore; BOSIO Giovanni Jack, consigliere, dal 2 gennaio 1951; BETTELONI Giovanni Lorenzo, primo segretario, fino a marzo 1951; MARINUCCI DE REGUARDATI Costanzo, secondo segretario.

SIRIA

Damasco – NATALI Umberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE FRANCHIS Carlo, primo segretario, fino al 14 luglio 1951.

SPAGNA

Madrid – CAPOMAZZA DI CAMPOLATTARO Benedetto, consigliere, incaricato d'affari ad interim, fino al 27 marzo 1951; TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, ambasciatore, dal 27 marzo 1951; LO FARO Francesco, consigliere, dal 20 aprile 1951; CITTADINI CESI Gian Gaspare, primo segretario; BOCCHINI Marcello, secondo segretario.

STATI UNITI

Washington – TARCHIANI Alberto, ambasciatore; MASCIA Luciano, ministro consigliere con funzioni di osservatore presso l'O.N.U., fino a marzo 1951; LUCIOLLI Mario, ORTONA Egidio, consiglieri; BOUNOUS Franco, SENSI Federico, primi se gretari; DELLA CHIESA D'ISASCA Renato, primo segretario, fino a marzo 1951; CATALANO DI MELILLI Felice, GUAZZARONI Cesidio, TRABALZA Folco, secondi se gretari; BETTINI Emilio, terzo segretario; FRANCISCI DI BASCHI Marco, terzo segretario, fino a marzo 1951; MARRAS Raffaele, quarto segretario.

SUD AFRICA

Pretoria – JANNELLI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 23 dicembre 1950; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 26 aprile 1951; FRANCO Fabrizio, primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma – MIGONE Bartolomeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; EMO CAPODILISTA Gabriele, primo segretario, fino a novembre 1950; CLEMENTI DI

S. MICHELE Raffaele, primo segretario, dal 10 aprile 1951.

SVIZZERA

Berna – REALE Egidio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRUNAS Pasquale, primo segretario; MOROZZO DELLA ROCCA Antonino, secondo segretario; GHEZZI MORGALANTI Pietro, terzo segretario, fino a maggio 1951; BORIN Ottorino, terzo segretario, dal 7 maggio 1951.

THAILANDIA

Bangkok – MENZINGER DI PREISENTHAL Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 6 maggio 1951; FERRETTI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 1° aprile 1951.

TURCHIA

Ankara – PIETROMARCHI Luca, ambasciatore; CORRIAS Angelino, consigliere; RUSSO Augusto, primo segretario; MANCA DI VILLAHERMOSA E S. CROCE Enrico, secondo segretario; ROSSI Mario Franco, secondo segretario, dal 14 dicembre 1950.

UNGHERIA

Budapest – BENZONI DI BALSAMO Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 26 luglio 1951; PAULUCCI Mario, primo segretario9; CALENDA Carlo, secondo segretario, fino a maggio 1951; ROSSETTI Romano, secondo segretario, dal 3 maggio 1951.

9 In servizio presso la rappresentanza italiana a Trieste.

U.R.S.S.

Mosca – BROSIO Manlio, ambasciatore; ZAMBONI Guelfo, consigliere; BOLASCO Ernesto Mario, secondo segretario.

URUGUAY

Montevideo – TACOLI Alfonso, ambasciatore; GABRICI Tristano, consigliere, dal 27 aprile 1951; SOLARI Pietro, primo segretario, fino ad aprile 1951.

VENEZUELA

Caracas – VIDAU Luigi, ambasciatore, dal 4 novembre 1950; NAVARRINI Guido, consigliere; TORNETTA Vincenzo, secondo segretario, dal 9 febbraio 1951.

RAPPRESENTANZA ITALIANA A TRIESTE10

CARROBIO DI CARROBIO Renzo, consigliere, capo della rappresentanza; PAULUCCI Mario, primo segretario.

DELEGAZIONE ITALIANA PRESSO LA N.A.T.O., Londra

ROSSI LONGHI Alberto, ambasciatore, capo della rappresentanza, dal 1° novembre 1950; STRANEO Carlo Alberto, consigliere; DUCCI Roberto, primo segretario; ORLANDI CONTUCCI Corrado, primo segretario, dal 23 luglio 1951; CARRARA Enrico, terzo segretario, dal 1° febbraio 1951.

DELEGAZIONE ITALIANA PRESSO L'O.E.C.E., Parigi

CATTANI Attilio, ministro plenipotenziario, capo della rappresentanza; CA RACCIOLO DI SAN VITO Roberto, consigliere; COLONNA DI PALIANO Guido, DE STROBEL DI FRATTA E CAMPOCIGNO Maurizio, primi segretari; MATACOTTA Dante, secondo segretario, fino a febbraio 1951; FRANZÌ Mario, secondo segretario, dal 6 marzo 1951; D'ORLANDI Giovanni, terzo segretario (dal 1° febbraio 1951 secondo segretario).

10 Con circolare del 23 marzo 1951, n. 29 la rappresentanza assunse la denominazione di Missione italiana a Trieste.

RAPPRESENTANZA ITALIANA PRESSO IL CONSIGLIO D'EUROPA, Strasburgo

CARACCIOLO DI CASTAGNETO Filippo, primo segretario; CAVALLETTI DI OLIVETO SABINO Marcello, terzo segretario.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA (1° novembre 1950 – 25 luglio 1951)1

Afghanistan – OSMAN AMIRI Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IBRAHIM Mohammed, primo segretario.

Albania – KONICA Skender, consigliere stampa, incaricato d'affari ad interim; DILO Niko, primo segretario; BEQIRI Shemsi, secondo segretario; ANDONI Kleanthi, KALLÇO Koço, secondi segretari, dal 22 luglio 1951.

Arabia Saudita – MOUVAFFAQ EL ALOUSSY bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dall'8 marzo 1951; CHARARA Mohamed, addetto, dal 23 febbraio 1951.

Argentina – GONZALES RISOS Bernabé Samuel, ambasciatore; FRAGA Rosendo M., ministro consigliere, dal 10 marzo 1951; PAULSEN Olinto Alberto, primo consigliere; COMOLLI Guido, ESPANA Adolfo Raul, consiglieri economici; BALDRICH Ricardo, consigliere; CASTELLS ROCA Luis, MUÑOZ AZPIRI José Luis, primi segretari; CUETO Arturo Ricardo, secondo segretario.

Australia – KELLWAY Cedric Vernon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIBSON John A., secondo segretario.

Austria – SCHWARZENBERG Johannes E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KRIPPL-REDLICH, primo segretario, dal 10 aprile 1951; ROESSLER Georg, HOLTZ Harald, PROKSCH Johannes, segretari.

1 Dati tratti da MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI. CERIMONIALE, Ambasciate e legazioni estere in

Italia (pubblicazione periodica). Per i titolari di sede la data riportata è quella di presentazione delle lette

re credenziali.

Belgio – MOTTE André, ambasciatore; DE RIDDER Frédéric, consigliere; DE ROMRÉE DE VICHENET Henri, consigliere per gli affari economici.

Bolivia – SAAVEDRA SUAREZ José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARCE PACHECO Jorge, ministro consigliere, dal 3 maggio 1951.

Brasile – ALVES DE SOUZA Carlos, ambasciatore; DA ROCHA Antonio Xavier, consigliere commerciale; TOSTES Theodemiro, primo segretario; GRACIE LAMPREIA João, MOREIRA DE MELLO Mellilo, DAYRELL DE LIMA Everaldo, secondi segretari; DE CARVALHO SILOS Geraldo, secondo segretario, dal 2 luglio 1951.

Bulgaria – POPCHRISTOV Damian P., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; IVANOV Stoiko, consigliere, dal 3 luglio 1951; RANGHELOV Stanco, primo segretario; NEDEV Jordan, terzo segretario; MICHOV Neno Michailov, terzo segretario, dal 3 luglio 1951.

Canada – DESY Jean, ambasciatore; BEAULNE Yvon, MAC LAURIN TEAKLES John, se condi segretari; WILLIAMSON Kennet Bryce, terzo segretario.

Cecoslovacchia – MATOUSEK Miloslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACÁK Miloš, consigliere; WERNER Bohumil, secondo segretario; FIALA Fedor, terzo segretario.

Cile – ROSENDE Alfredo, ambasciatore; SILVA Abelardo, ministro consigliere; SANTANDREU Hernan, URRITIA TRABUCCO Juan, primi segretari; BARROS Victor, LAGOS CARMONA Guillermo, secondi segretari; BOLLO ARAVENA Goffredo, terzo segretario.

Cina – YÜ TSUNE-CHI, ambasciatore; WEI KEN-SHEN, primo consigliere; CHANG CHIA-YUNG, secondo segretario.

Colombia – URIBE MISAS Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, ambasciatore dal 23 novembre 19502; ZULETA-ANGEL Eduardo, ambasciatore, dal 1° giugno 1951; ARCINIEGAS Garcia Belisario, consigliere; LOZÀNO Alvaro Ortiz, primo segretario; CARDONA JARAMILLO Alberto, VARELA Hector Fabio, secondi segretari.

2 La legazione di Colombia a Roma era stata elevata al rango di ambasciata il 7 agosto 1950.

Costa Rica – FACIO ULLOA Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 luglio 1951 (assente); GURDIAN ROJAS Max, ministro consigliere, dal 4 luglio 1951 (assente); CASTRO Teodoro B., primo segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 4 luglio 1951.

Cuba – DE BLANCK Guillermo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario3 .

Danimarca – MOHR Otto Carl, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RASMUSSEN Gustav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 13 marzo 1951; BULL Tage, ministro consigliere; DE DOMPIERRE DE JONQUIÈRES Frederik G., primo segretario, dal 24 luglio 1951.

Dominicana (Repubblica) – RODRIGUEZ DEMORIZI Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARRA DE LOS REYES Juan, primo segretario.

Ecuador – JACOME Rodrigo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARTETA Carlos Alberto, consigliere; VELA-BARONA Gonzalo, secondo segretario.

Egitto – BADR BEY Mohamed Abdel Aziz, ambasciatore; DARWICHE Ali Hassan, consigliere; FAHIM Amin Mohamed, CHERIF Hussein, terzi segretari.

El Salvador – SESOSTRIS CANESSA Amedeo, inviato straordinario e ministro pleni potenziario, dall'8 marzo 1951.

Filippine – SEBASTIAN Proceso E., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MALOLES Octavio L., primo segretario; STA ROMANA Eutiquio O., terzo segretario.

Finlandia – HOLMA Harri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; THESLEFF Alexander Amatus, primo segretario.

Francia – FOUQUES-DUPARC Jacques, ambasciatore; SEBILLEAU Pierre, consigliere; TORRES Charles, WINCKLER Jean-Claude, primi segretari; FOURIER-RUELLE René,

3 La legazione cubana fu elevata ad ambasciata con decreto presidenziale del 13 gennaio 1951, e il 4 luglio 1951 de Blanck presentò le credenziali di ambasciatore.

secondo segretario; HUGUES Jean, consigliere commerciale; VIEILLEFOND René, consigliere culturale; DE SEGUIN Jean, ministro plenipotenziario, consulente per i beni dissequestrati.

Germania (Repubblica federale di) – BRENTANO Clemens von, ambasciatore, dal 1° giugno 19514; WOLF Gerhard, HEGGENREINER Heinz, BIEBERSTEIN KRASICKI Dennis von, consiglieri; EISWALDT Erich, consigliere commerciale; KUSSEROW Ernst, consigliere sociale.

Giordania – ROCH BEY Edmond, incaricato d'affari; JAYYOUSI Burhan, terzo segretario.

Gran Bretagna – MALLET Victor A. L., ambasciatore; LINGEMAN E.R., ministro; BRAINE W.H., DEAN P.H., consiglieri; PILCHER Y., HANNAFORD G.G., ADAMS M.C., DANIELL R.A., STEWART C.C.B., REDDAWAY G.F.N., BUSHELL J.C.W., RUSSEL J.W., BENTON K.C., primi segretari; NEVILLE-THERRY W.B., primo segretario, dal 13 dicembre 1950; HENDERSON C.H., MAXWELL W.N.R., TROUNSON A.D., CREMONA S., JONES R.E., SHUTE T.A.E., RAE C.R.A., MILNE A.K., secondi segretari; COATE G.R., secondo segretario, dal 5 febbraio 1951; BRINSON D.N., secondo segretario, dal 29 maggio 1951; ADAMS F.G., ISOLANI C. T., CHARLES D.F.N., HIGGS A.E., LATHAM H.R.W., terzi segretari.

Grecia – EXINDARIS George, ambasciatore; TZIRAS Alexandre, ministro consigliere; VLACHOS Ange S., primo segretario, dal 15 novembre 1950; TOULOUPAS Jean, se condo segretario.

Guatemala – MARTINEZ DURAN Carlos, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOLARES Enrique, primo segretario.

Haiti – ZÉPHIRIN Mauclair, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 25 gennaio 1951; BERNARDIN Emmanuel, segretario, dal 7 febbraio 1951.

India –BINAY RANJAM Sen, ambasciatore; BAJPAI Sarda, consigliere commerciale; BIKRAM SHAH Maharajkumar, secondo segretario.

4 Data di assunzione di tutto il personale dell'ambasciata della Repubblica federale di Germania.

Iran – MANSOUR Ali, ambasciatore; ACHTARI Ibrahim, consigliere; EGHBAL Abbas, consigliere culturale; ADLE TABATABAI Morteza, SALAHI Mohamed, primi segretari; MARZBAN Manoutchehr, primo segretario, dal 24 luglio 1951; DIBA Fereydoun, se condo segretario, dal 29 novembre 1950; BEGLARPOUR Alì Mohamed, terzo segretario.

Iraq – AL-JAMIL Sayid Mohammed Fakhiri, primo segretario, incaricato d'affari; DAGHISTANI Khalil, terzo segretario, dal 5 aprile 1951.

Irlanda – DEVLIN Denis Alfred, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; O'BYRNE Patrick Joseph, segretario; POWER Patrick F., segretario, dall'8 maggio 1951; MACWHITE Eoin, secondo segretario.

Islanda – BENEDIKTSSON Petur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario5 .

Israele – GINOSSAR Shlomo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ISHAY, Moshe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, da agosto 1951; KADURY Benzion, consigliere; GINTHON Reuven G., consigliere commerciale; ORON Arie, primo segretario; ILSAR Yehiel, primo segretario, dal 22 febbraio 1951; BARZAKAY Zvi, terzo segretario.

Jugoslavia – IVEKOVIC Mladen, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOLDATIC Dalibor, primo consigliere, dal 4 aprile 1951; ZEMLJAK Joza, DUMIC Nikola, consiglieri; BARBALIC Ivan, consigliere commerciale, dal 5 febbraio 1951; CERNICOJ Eugen, consigliere commerciale, dal 21 marzo 1951; DEFRANCESKI Josip, consigliere stampa; FORTIC Dusan, consigliere stampa, dal 30 maggio 1951; STANIC Bozidar, primo segretario; ZULJ Berislav, primo segretario, dal 2 maggio 1951; VELJACIC Cedomil, KUIS Petar, GOSOVIC Velisa, MILANOVIC Stanko, secondi segretari; SEKULIC Djordje, KOVACIC Sreko, PAJOVIC Drago, terzi segretari.

Libano – KHOURY Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BANNA Mahmoud, primo segretario.

Messico – OJEDA Carlos Dario, ambasciatore; GARZA RAMOS Mario, consigliere; DE LA VEGA Jorge, secondo segretario; RUIZ G. Wulfrano, consigliere commerciale5 .

5 Residente a Parigi.

Monaco – DE WITASSE Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia – FAY Hans, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BENTZON Sigurd, ministro consigliere; MOLTKE-HANSEN Axel Ivar Lucien, primo segretario.

Paesi Bassi – DE BYLANDT Willem, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FACK R., primo segretario; VAN WALEN Willem, primo segretario commerciale; COHEN STUART W.V., secondo segretario, dal 1° dicembre 1950.

Pakistan – RAHMAN Habibur, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MALIK Aslam, secondo segretario, dal 24 gennaio 1951; FAROOQI Z. M., terzo segretario, dall'8 luglio 1951.

Panama – PEZET AROSEMENA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 25 giugno 1951; VALLARINO Rafael, segretario.

Paraguay – N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Perù – CERRO CEBRIAN Vicente, ministro consigliere, incaricato d'affari; PAGADOR PUENTE Mariano, terzo segretario.

Polonia – TYKOCINSKI Wladislaw, primo segretario, incaricato d'affari; WEISS Edward, consigliere commerciale; GUTT Zygmunt, secondo segretario, dal 5 giu gno 1951.

Portogallo – DE CALHEIROS E MENEZES Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BACELAR MACHADO Eduardo Alberto, primo segretario; PINTO DE LEMOS Abilio Andrade, primo segretario, dal 2 aprile 1951.

Romania – COMNACU Niculae, consigliere, incaricato d'affari; GANEA Petre, MAGHERU Anca, primi segretari.

Santa Sede – BORGONGINI DUCA Francesco, arcivescovo titolare di Eraclea, nunzio apostolico; CHERUBINI Francesco, monsignore, consigliere; CAGNA Mario, monsignore, uditore.

Spagna – DE SANGRONIZ Y CASTRO José Antonio, ambasciatore; DE RANERO Y RODRIGUEZ Juan Felipe, ministro consigliere; ALCOVER Y SUREDA José Felipe, PONCE DE LEON Mario consiglieri; SCHWARTZ Y DIAZ FLORES Juan, consigliere per gli affari economici; BARNACH-CALBO Y GINESTA Ernesto, GARCIA LOMAS Y DE COSSIO Juan, primi segretari; GONZALES-CAMPO DAL RE José Carlos, MUNOZ SECA YDE ARIZA Alfonso, BARROSO Manuel, secondi segretari; ITURRALDE Y DE PEDRO Juan, secondo segretario, dal 1° marzo 1951.

Stati Uniti – DUNN James Clement, ambasciatore; THOMPSON Llwellyn E. jr., mi nistro; BARNETT Vincent M. jr., capo degli affari economici, dal 13 febbraio 1951; HORSEY Outerbridge, COTTAM Howard R., FREE Lloyd Arthur, CHIPMAN Norris B., consiglieri; BLACK Myron L., BLAKE M. Williams, WARNER Carlos J., MELLEN Sydney L., EDGAR Donald D., HOHENTHAL Theodore, primi segretari; OCHELTREE John B., primo segretario, dal 20 giugno 1951; KNIGHT William E., PAPPANO Albert E., RICE Maurice S., NADELMAN E. Jan, HUMES Elizabeth, HIGDON Charles E., HOLCOMB Franklin P., SISCOE Frank, G. FIDEL E. Allen, WEISE Robert W., se condi segretari; FRALEIGH William N., secondo segretario, dal 24 dicembre 1950; LOORAM Matthew J. jr., POE B. Frank jr., PRACHT Raymond W.T., terzi segretari; SHEA John J., terzo segretario, dal 28 febbraio 1951; SCARBROUGH Dwight E., terzo segretario, dal 15 marzo 1951.

Sud Africa (Unione del) – THERON François Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KIRSTEN Robert, primo segretario; VILJOEN A.J.F., secondo segretario; DE VILLIERS I.F.A., MARÈ A.S., terzi segretari; LAMBOOY Bartho lomeus, segretario commerciale; BARNARD W.A.B.R., segretario commerciale aggiunto.

Svezia – BECK-FRIIS Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRÖNWALL Tage Holm Fredrik, consigliere; BERGENSTRAHLE Carl, consigliere, dal 19 aprile 1951; FAGRAEUS Gunnar, segretario; HENNINGS Lennart, secondo segretario.

Svizzera – CELIO Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARODI André, DE RHAM Jean-Guy, consiglieri; DESLEX Edmond Robert, MUSY Lucien, secondi segretari; BERLA Angelo, secondo segretario, dal 9 febbraio 1951.

Turchia – BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; TUNALIGIL Danis, BORAVALI Mustafà, consiglieri; TULUY Turan, primo segretario; BILGIN Halǔk, KARAMAN Nezih, secondi segretari; ÖZKOL Mazhar, consigliere commerciale.

Ungheria – KÁLLÓ Iván, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 4 luglio 1951; MURAI Stefano, consigliere, incaricato d'affari ad interim; SZABÓ Emerico, consigliere, dal 17 maggio 1951; MÀLYI Vilmos, segretario.

U.R.S.S. – KOSTYLEV Mikhail, ambasciatore; SOLOVIEV Pavel, rappresentante commerciale; MIKHAILOV Serguei, consigliere; JAKOVLEV Dmitri, consigliere, dal 14 luglio 1951; SALIMOVSKI Vladimir, VICHNIAKOV Serguei, vice rappresentanti commerciali; MEDVEDOVSKI Pavel, TIMOFEEV Nikolai, KISSELEV Dimitri, primi segretari; BOJANOV Alexandre, ROGOV Mikhail, POKROVSKI Alexei, NIKOULINE Ivan, NOVOSSELOV Dimitri, LAKHTIOUKHOV Mikhail, secondi segretari; BONDARENKO Sviatoslav, terzo segretario.

Uruguay – GIAMBRUNO Cyro, ambasciatore; REGALIA German Roose, ministro consigliere; AVEGNO ILLA Emilio J., segretario.

Venezuela – GIL-FORTOUL Henrique, ambasciatore; PERAZZO Nicolàs, consigliere; TORRE VIVAS Julio, consigliere, dal 16 gennaio 1951; RODRIGUEZ Napoleon Gimenez, primo segretario.